Vedi SPERLONGA dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
SPERLONGA (v. vol. vii, pp. 439-443)
Con l'inaugurazione del Museo Archeologico Nazionale, nel novembre 1963, può considerarsi conclusa la prima fase di lavori, legata all'impegno assunto dall'Amministrazione delle Antichità di mantenere sul posto, esposte degnamente, le numerose sculture rinvenute nei fortunati scavi della Grotta di Sperlonga, detta fin da tempi antichissimi, di Tiberio. Il problema di maggior momento che si pone oggi è di provvedere alla verifica dei restauri effettuati finora, e ciò rende necessarie nuove ricomposizioni fra le migliaia di frammenti accolti nei magazzini di Sperlonga. In questa linea (nell'estate 1967) si è dato inizio ad una seconda serie di restauri, che ha avviato a soluzione il più dibattuto fra i problemi iconografici posti dalle sculture sperlongane: la definizione dell'esatta posizione della figura gigantesca, già ritenuta di Laocoonte, nonché la ricostruzione del gruppo di Scilla e le sue eventuali connessioni con la Nave marmorea.
La critica archeologica concordemente da anni affermava non potersi postulare che la figura fosse stante, come ritenuto al momento della provvisoria ricostruzione tentata in museo. Sembrava, in particolare, difficile che al presunto Gruppo di Laocoonte si ricollegassero: 1) una base marmorea con una grande spira serpentina; 2) una protome felina in nessun modo assimilabile ai serpenti che avvinghiavano il sacerdote troiano nel noto gruppo Vaticano. Sembrava, inoltre, poco chiara la funzione di una cresta marmorea corrente lungo la gamba sinistra - che è conservata per intero - nel caso in cui il gigante fosse stato raffigurato in posizione eretta.
Un puntello marmoreo collegava, infine, la gamba sinistra con un frammento della destra (il polpaccio, per l'esattezza), costringendo il personaggio - ove se ne fosse accettata la posizione eretta - in un atteggiamento impensabile per una statua classica.
I restauri del 1967 hanno fatto individuare il piede destro e quella parte della stessa gamba che sta fra il piede ed il polpaccio già noto. Mettendo in relazione anche questi nuovi frammenti con il resto, si è giunti alla conclusione che l'unica possibile posizione della figura fosse quella sdraiata o semisdraiata. In tale positura, acquistava nuovo significato la cresta risalente lungo la gamba sinistra: non di un sostegno si trattava, ma di un tratto di fondo roccioso sotto la figura. A conferma della posizione reclinata del gigante, vennero isolati, fra le migliaia di frammenti: a) una parte del braccio sinistro piegato ad angolo retto ed aderente ad un tratto di roccia; b) ciocche di capelli di una testa gigantesca aderenti anche essi a tratti di roccia. A questo punto, non era più possibile pensare a Laocoonte per il gruppo, e del resto, anche prima dei nuovi restauri, la tesi del Laocoonte non trovava valido sostegno né nella presenza dei nomi di Agesandros, Athanodoros e Polidoros sull'iscrizione greca (connessa con la nave e non con il nostro gruppo), né nell'iscrizione di Faustino (che non ricorda un gruppo di Laocoonte), né nelle proporzioni gigantesche del personaggio in questione, più giustificabili per una figura divina o mostruosa che per un essere mortale.
L'ipotesi che il gruppo rappresentasse, invece, l'accecamento (da parte di Ulisse e dei suoi compagni) di Polifemo, mentre riposa ebbro nella sua caverna, è stata corroborata dal rinvenimento, fin dal 1964, nei magazzini del museo, di un braccio marmoreo piegato ad angolo retto e reggente un tratto di palo nodoso; un altro frammento di palo si connette con il primo e ad esso può riferirsi anche una terminazione a mo' di face. Sembra probabile, allora, che ci si trovi alla presenza del braccio di uno dei compagni d'Ulisse, intento ad avvicinare all'occhio del gigante dormiente la punta incandescente del tronco d'ulivo preparato per l'accecamento del mostro. Un'altra figura - pervenutaci quasi integra - reca nella mano destra la punta dello stesso palo, che era retto, dunque, da due persone.
Ma la scoperta più importante che sia stata fatta nella campagna di restauri 1967 relativamente a questo gruppo, può considerarsi il rinvenimento di varî frammenti della testa del gigante, e precisamente: parte del collo, della bocca, dei denti, del baffo e della guancia destri, del naso, della fronte e dei capelli. Il frammento di naso presenta in alto, immediatamente sotto la moderna frattura, una linea nettamente incisa, che potrebbe essere riferita alla palpebra inferiore dell'occhio centrale del mostro, ma la indicazione è troppo labile perché si possa avanzare tale ipotesi con ragionevole sicurezza. La seconda campagna di restauri del 1969 ha permesso di integrare ulteriormente la figura di Polifemo con l'intera calotta cranica, altre parti del corpo, il ginocchio destro, varî frammenti della gamba. Per il momento, il confronto più vicino per la tipologia del gruppo in questione può istituirsi con un rilievo del Museo di Castello Ursino a Catania, che può considerarsi una libera replica del gruppo di Polifemo di S., e che può porsi alla base degli studî di ricomposizione del nostro gruppo. Una testa di Polifemo nel Boston Fine Arts Museum è senz'altro vicina alla nostra, pur senza essere una replica di quella di S., come pure al gruppo sperlongano può ricondursi un frammento di rilievo con Polifemo sdraiato sulla roccia, rinvenuto a Castelgandolfo nel Ninfeo Bergantino (v. più avanti), e conservato nel Palazzo Apostolico di questa località, anch'esso, peraltro, non una replica, ma una libera interpretazione, se non addirittura la rappresentazione di un momento precedente del mito, quando l'insidia che si appresta a Polifemo non occupa ancora la scena.
Ma se il gruppo di Polifemo ha costituito fino al 1970, l'oggetto principale dei restauri che si conducono a S., con la campagna di restauri 1971, si sta affrontando soprattutto il nuovo restauro del gruppo di Scilla, che pare si colleghi ormai definitivamente con la Nave marmorea. In futuro dovrà affrontarsi il problema di risottoporre a controllo anche gli altri gruppi, e particolarmente quello di Scilla (forse costruito a visione centrifuga e non ad unica visione) che sembra improbabile doversi scindere dal gruppo, ora collegato, della Nave. Revisioni dovranno subire, in futuro, anche i gruppi di Menelao e Patroclo, e di Ulisse, Diomede ed il Palladio.
È ancora aperto il problema della datazione delle due principali iscrizioni provenienti dalla grotta di Tiberio: quella greca con i nomi degli artisti del Laocoonte, e quella latina con l'epigramma di Faustino. La prima è oggi generalmente ritenuta di epoca romana, ed anche tarda: una sorta di "cartellino" apposto al gruppo della Nave al momento o di un restauro in antico, o della messa in opera a Sperlonga. Ad età anche avanzata viene ascritta l'iscrizione di Faustino da chi non accetta l'identificazione di questo poeta con il noto amico di Marziale; essa è ritenuta una esercitazione retorica di un poeta che visitò la grotta quando forse cataclismi naturali o volontarie distruzioni non avevano ancora fatto seppellire nelle piscine i gruppi scultorei. È strano, tuttavia, come Faustino non abbia ricordato il gruppo di Menelao e Patroclo, pure allora noto nell'antichità.
Neppure sulla datazione delle sculture c'è pieno accordo fra gli studiosi; infatti, se molti sono d'accordo nel ricondurre alla media età ellenistica gli archetipi (intorno al 180 a. C.), taluni ritengono le sculture repliche o rielaborazioni di età romana (flavia?), mentre i più pensano che ci si trovi dinanzi ad originali greci. Sembra probabile che i due gruppi maggiori (Polifemo e Scilla), siano realmente originali greci, ma abbiano subito in età antica restauri anche notevoli, e sufficienti a giustificare l'ottusità di talune parti; i gruppi del Pasquino e del Palladio, invece, potrebbero essere repliche da originali proto-ellenistici, opere, però, della medesima bottega che creò gli originali. L'esigenza di restauri antichi si giustifica con i danni che alle opere dovettero venire per il trasporto dalla Grecia, la messa in opera a S. ed i terremoti di cui si ha notizia per questo sito.
Se le sculture di S. pongono problemi di esegesi e di stile assai complessi, non minori questioni sono suscitate dall'esame della sistemazione architettonica e della distribuzione delle sculture nella villa di Tiberio. Si deve affermare anzitutto che Tiberio fu solo uno dei molti proprietari, se mai la villa gli appartenne, che si succedettero nella zona dalla tarda età repubblicana alla fine dell'età imperiale. Sono attestate numerose fasi e varî rifacimenti all'interno delle singole fasi per quanto attiene alle strutture murarie della villa. Anche la sistemazione generale del complesso dovette variare grandemente, sia per la diversa capacità finanziaria dei singoli proprietarî, sia per i movimenti tellurici che sono attestati nella zona (si veda, per esempio, il noto passo di Tacito relativo al pericolo corso da Tiberio per un crollo). Anche recentemente un frammento della vòlta della caverna cadde sullo stretto passaggio per il pubblico, nel lato destro dell'invaso.
Nel momento di maggior splendore della villa, al di qua ed al di là del monte Ciannito, si stendeva un complesso di costruzioni digradanti a terrazze verso il mare, con un porticciolo privato, un cavalcavia sulla Flacca, varî padiglioni residenziali, una serie di magazzini e servizi accentrati intorno ad un quadriportico. Punto focale dell'insieme, la grotta, ornata di statue, di sedili, di passaggi coperti, di ponticelli, di decorazioni policrome, con vivide sorgenti e piscine.
Ancora del tutto problematica è la disposizione dei varî gruppi scultorei all'interno e presso la grotta. Unica certezza per il gruppo al quale si collega la base marmorea, ritenuta precedentemente relativa al Laocoonte ed oggi riferita con maggiore probabilità al gruppo della Scilla: esso sorgeva al centro della piscina, su una base in muratura, poiché su questo basamento venne rinvenuto il frammento citato. Il gruppo di Ganimede rapito dall'aquila è probabile che coronasse il fastigio dell'antro, poiché esso venne rinvenuto, quasi intatto, confitto a testa in giù in asse con il centro della grotta. Ogni suggerimento suscettibile di ragionevole sicurezza potrà postularsi solo allorché saranno state completate le opere di restauro delle sculture e ci si sarà resi conto della reale proporzione e delle dimensioni di ciascun gruppo scultoreo.
Sul fondo della parte centrale della caverna si ha un muro di diaframma ad andamento curvilineo. Al di là di esso si era in un primo momento ritenuto che fosse una sorta di laghetto regolato da un "troppo pieno" posto al centro. Osservazioni recenti hanno, invece, dimostrato che il presunto troppo pieno è solo un pozzetto di ispezione per un canale di drenaggio delle acque che scendono dalla montagna. Al posto del laghetto sembra che fosse, invece, un piano pavimentale.
Per lo studio dell'attrezzatura della grotta al suo interno è di notevole aiuto l'esame del cosiddetto Ninfeo Bergantino costruito artificialmente presso il lago di Albano in età forse domizianea. Gli elementi di affinità con la grotta di S. sono tali da far ritenere assolutamente certa la sua filiazione da questa, con la sola variante sostanziale di un pavimento a mosaico al posto della vasca centrale che figura a Sperlonga. Questa opinione è corroborata dal carattere delle sculture e dei rilievi che ornavano il Ninfeo: un gruppo di Scilla ed un gruppo di Polifemo. Di questo ultimo è rimasta una parte con la testa del mostro appoggiata alla roccia, che ricorda assai da vicino la testa di Polifemo che sta nascendo dai frammenti di Sperlonga. La conduzione di sistematiche esplorazioni nel Ninfeo di Albano potrebbe recare nuova luce sulla questione ancora aperta della sistemazione architettonica dell'Antro di Tiberio.
Bibl.: Questa bibliografia deve considerarsi integrativa di quella fornita nella voce del vol. VII: M. Guarducci, Iscrizione imprecatoria da Sperlonga, in Rendic. Lincei, VIII, vol. XV, fascc. 2-2, 1960, p. 5 ss.; G. Säflund, Kolossen i Sperlonga, in Svenska Dagbladet, 3 settembre 1964; id., Ettokänt verk av Laocoons mästere, ibid., 17 settembre 1964; H. P. L'Orange, Odysseen i marmor, in Kunstkultur, 47, 1964, p. 193 ss.; B. Andreae, Beobachtungen im Museum von Sperlonga, in Röm. Mitt., 71, 1964, p. 238 ss.; H. Lauter, Der Odysseus i Polyphemusgruppe von Sperlonga, in Röm. Mitt., 72, 1965, p. 226 ss.; P. Krarup, L'iscrizione di Faustino a Sperlonga, in Analecta Romana Instituti Danici, III, 1965, p. 73 ss.; H. P. L'Orange, Osservazioni sui ritrovamenti di Sperlonga (con contributo di P. Krarup), in Acta Inst. Rom. Norvegiae, II, 1965, p. 261 ss.; H. Sichtermann, Das veröffentlichen Sperlonga, in Gymnasium, 73, nn. 3-4, maggio 1966, p. 220 ss.; W. Buchwald, Das Faustinus-Epigramm von Sperlonga, in Philologus, 110, 1966, p. 287 ss.; K. Kerenyi, Lectiones variae, 2- VT oder VI bei Faustinus Felix?, in Symbolae Osloenses, XVI, 1966, p. 23 s.; G. Lugli, Una pianta e due ninfei di età imperiale romana, in Scritti in onore di Edoardo Arslan, 1966, p. 47 ss.; G. Säflund, Das Faustinusepigramm von Sperlonga, in Opuscula Romana, VII, i, 1967, p. 9 ss.; id., Sulla ricostruzione dei gruppi di Polifemo e di Scilla a Sperlonga, ibid., VII, 2, 1967, p. 25 ss.; B. Andreae, Recensione A: G. Säflund, Fynden i Tiberiusgrottan, 1966, in Gnomon, 39, 1967, p. 82 ss. (con una aggiunta ciclostilata a correzione di talune opinioni espresse nella recensione); P. Krarup, Ancora l'iscrizione di Faustino a Sperlonga, in Analecta Romana Instituti Danici, IV, 1967, p. 89 ss.; A. Balland, Une transposition de la Grotte de Tibère à Sperlonga: Le Ninfeo Bergantino de Castelgandolfo, in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire, 79, 1967, p. 421 ss.; B. Conticello, Le sculture di Sperlonga: revisioni critiche alla luce dei nuovi restauri, in Palatino, 4, 1967, p. 418 ss.; id., Un'Odissea di marmo fra le sculture di Sperlonga, in Economia Pontina, 1967, 10, p. 2 ss.; G. Albo, Rilievi di anatomia funzionale sul "colosso" di Sperlonga, in Atti dell'Istituto di Clinica Ortopedica e Traumatologica dell'Università di Roma, 12, 1968, p. 16 ss.; B. Conticello, The oneyed Giant of Sperlonga, in Apollo Magazine, Marzo 1969, p. 188 ss.; id., Restoring the Polyphemus from Sperlonga, in Archaeology, Giugno 1969, p. 204 ss.; B. Andreae, Laokoon oder Polyphem?, in Bild der Wissenschaft, 1969, p. 457 ss.; P. Krarup, Zur Faustinus-Inschrift von Sperlonga, in Acta Inst. Rom. Norvegiae, IV, 1969, p. 19 ss.; B. Conticello, I gruppi scultorei di Sperlonga ed i problemi posti dai nuovi restauri, in Colloqui del Sodalizio, Seconda Serie, I, 1969, p. 83 ss.; E. Salza Prina Ricotti, Il gruppo di Polifemo a Sperlonga. Problemi di sistemazione, in Rend. Pont. Acc., XLII, 1969-70, p. 117 ss.; F. Magi, Il Polifemo di Castelgandolfo, in Rend. Pont. Acc., 1969, p. 68 ss.; A. Hermann, Sperlonga notes, I Martial and Sperlonga, in Acta Inst. Rom. Norv., IV, 1969, p. 27 ss.; P. H. von Blanchenhagen, Laokoon, Sperlonga, und Vergil, in arch. Anz. (für Ernst Zinn 60 Geburstag), 3, 1969, p. 256 ss.; H. Lauter, Die Datierung des Skulpturen von Sperlonga, in Röm. Mitt., 1969, p. 162 ss.; J. Felbermeyer, Sperlonga. The Ship of Odysseus, in Archaeology, XXIV, 1971, p. 137 ss.; B. Conticello-B. Andreae, Die Skulpturen von Sperlonga, in Antike Plastik (in corso di stampa); Atti del I Conv. di Studi di Sperlonga 4-8 settembre 1968 (in preparazione); R. Hampe, Sperlonga u. Vergil, Magonza 1972.