Spettacolo e pubblico
La svolta del digitale
Nei primi anni del nuovo secolo, in prevalenza nelle società economicamente avanzate, ma non solo, hanno avuto forte sviluppo alcuni fenomeni, essenzialmente di natura tecnologica ma legati anche alle trasformazioni sociali, che hanno cambiato in profondità il rapporto del pubblico con lo spettacolo e, in particolare, con quello dal vivo. Il primo è la rete Internet, la cui copertura è ormai estesa a gran parte del pianeta e permette a milioni di individui non solo di comunicare tra loro ma, allo stesso tempo, di veicolare, trasmettere e scambiarsi file multimediali, come brani musicali o, anche, in banda larga, film, concerti, spettacoli dal vivo, spot pubblicitari oppure programmi televisivi. I personal computer si integrano con i lettori e i registratori digitali, che hanno sostituito gli impianti hi-fi e i giradischi, così come i DVD (Digital Video Disc) hanno soppiantato le cassette a nastro magnetico, e le fotocamere digitali la pellicola fotografica, le diapositive e i proiettori: dall’uso di questi apparecchi è nato un nuovo linguaggio, scandito proprio dalle tecnologie. Le abitazioni sono di conseguenza divenute luogo di spettacolo. A livello economico e sociale se, da una parte, si registra la diminuzione del costo dell’informazione e della conoscenza, dall’altra si rilevano grandi disuguaglianze nel loro utilizzo da parte degli individui.
La principale caratteristica di questi cambiamenti, infatti, è una svolta epocale nel godimento della cultura, dell’informazione e dello spettacolo. Lo spettatore, che costituiva il ‘pubblico’ indifferenziato del Novecento, ha la facoltà – il che non significa sempre la volontà – di diventare, allo stesso tempo, attore e/o produttore di cultura e di spettacolo, senza passare attraverso i tradizionali circuiti d’offerta (cinema, teatri, sale da concerto, auditorium o stadi, nel caso degli eventi sportivi) né accontentarsi della fruizione domestica passiva davanti allo schermo televisivo. Fenomeno quest’ultimo che ha segnato l’esperienza di vita e la rappresentazione della realtà per le famiglie dei Paesi avanzati, nella seconda metà del secolo scorso.
L’interazione bilaterale, costituita da decine di milioni di scambi al giorno, ha trasformato quello che una volta era ‘il pubblico’ passivo in una pluralità di pubblici, dai gusti molto differenziati, che richiede offerte ad hoc. Si allargano, allora, i confini dei prodotti di spettacolo, inglobando al loro interno lo stesso pubblico come parte attiva, come accadeva nel teatro sperimentale degli anni Sessanta-Settanta del Novecento e per alcuni programmi televisivi (come lo statu-nitense Candid camera, 1960, e l’italiano Specchio segreto, 1964) basati sulle riprese di telecamere nascoste. Gli studiosi hanno introdotto nuovi concetti per definire il fenomeno, come quello di ‘pubblico partecipante’ oppure quello di ‘pubblico performer’ (su questo v. N. Abercrombie, B. Longhurst, Audiences. A sociological theory of performance and imagination, 1998).
In questo nuovo contesto, riveste un ruolo importante la conversione nel formato digitale dei contenuti culturali e di quelli concernenti lo spettacolo. Tale digitalizzazione ne permette la riproducibilità, evitando la perdita di qualità rispetto all’originale. Ne consente perfino la manipolazione, sempre più a minor costo, da parte dell’utilizzatore finale, dal momento che viene effettuata con software attraverso i quali risulta possibile intervenire agevolmente, per es. per modificare un’immagine o effettuare quello che una volta era il montaggio professionale. Lo scambio di questi software anche tra gli utenti di Internet (arrivati nel 2008 a un miliardo e mezzo) ci permette di parlare di un nuovo uso sociale della cultura e della conoscenza, che investe inevitabilmente il concetto stesso di pubblico e il rapporto che si crea tra quest’ultimo e un’opera. Milioni di spettatori hanno infatti la possibilità di produrre uno spettacolo, così come un libro o un video amatoriale, e di farli in seguito circolare attraverso Internet per trovare un pubblico di affezionati, spesso ristretto e di nicchia, ma anche competente e specializzato. Si è, quindi, attori, registi e pubblico nello stesso momento, senza che questo comunque impedisca, in occasione di determinati eventi, di tornare a essere un pubblico indifferenziato.
Flessibilità e moltiplicazione dell’offerta
Nel settore televisivo il digitale permette di moltiplicare il numero dei canali che possono essere trasmessi su una singola frequenza: ne deriva una tematizzazione progressiva dell’offerta, nella quale possono rientrare anche eventi spettacolari (concerti, teatro) di fatto marginalizzati o esclusi dalla televisione generalista uguale ‘per tutti’, quella degli ultimi decenni, ancora centrale nei consumi delle famiglie ma destinata al declino e poi, forse, alla scomparsa entro il prossimo decennio. Una televisione, quella generalista, basata su programmi in grado di realizzare gli ascolti più elevati e quindi destinata alla stragrande maggioranza della popolazione; non certo, per es., al pubblico ristretto del teatro o della lirica.
Nel cinema, la diffusione progressiva degli schermi digitali permetterà di differenziare l’offerta e azzerare i costi della stampa e della riproduzione della pellicola, con le relative spese assicurative e i costi di trasporto. Usando i proiettori digitali, si possono offrire, in orari diversi, spettacoli destinati a varie tipologie di pubblico o riprodurre nelle sale cinematografiche gli eventi dal vivo, come accade con i megaschermi mobili, grazie ai quali si può consentire il godimento a distanza di uno spettacolo superando il limite fisico dello spazio destinato alle rappresentazioni dal vivo. La differenza è che le sale potranno variare il prezzo del biglietto oppure proporre combinazioni promozionali tra i diversi spettacoli. Tale flessibilità meglio si adatta all’attuale modello di vita urbanizzato, rispetto agli orari rigidi e a un’offerta indifferenziata. Va tenuto presente che i cinema, in questo nuovo secolo, sono diventati strutture multischermo sempre più spesso collocate all’interno di grandi centri commerciali: ciò favorisce un afflusso di spettatori per l’intera giornata e, anche, un loro rientro nella sala per un diverso spettacolo, magari al termine dello shopping. Secondo un’indagine della Doxa (2008) sui giovani e il cinema, il 38,5% dei ragazzi italiani dagli 11 ai 14 anni si reca nei centri commerciali più di una volta a settimana, mentre un altro 43,22% ci va una o più volte al mese, con una maggiore frequenza delle femmine rispetto ai maschi. Complessivamente, il 66,9% dei giovani tra gli 11 e i 14 anni si reca nei centri commerciali e il 65,95% va al cinema. Secondo la stessa ricerca, del resto, ‘andare nei centri commerciali’ e ‘andare al cinema’ sono due delle quattro attività svolte con maggior frequenza dai giovani italiani, in aggiunta ad ‘andare al ristorante’ e ‘andare alle feste’.
La telefonia mobile e la nascita di una pluralità di piattaforme per la diffusione di contenuti informativi e culturali, come la web TV, hanno reso possibile la progressiva convergenza tra le reti di comunicazione. Il pubblico può fruire dello stesso spettacolo da più piattaforme o avere una visione più completa e approfondita di un prodotto passando da una piattaforma all’altra (è il caso del programma televisivo Il grande fratello, creato ad hoc per un’offerta e un pubblico multimediale). La modalità di consumo più innovativa, che coinvolge anche lo spettacolo, è il VOD (Video On Demand), in altre parole la possibilità di consumare, in genere a pagamento, solo un determinato evento, senza dover uscire dalla propria abitazione, al momento desiderato e senza doversi attenere a un orario imposto dall’esterno (al contrario di quanto accade con la pay per view, dove il film o l’evento acquistato sono programmati dall’emittente).
Questi fenomeni stanno accrescendo sempre più il potere dei consumatori e degli utenti, a scapito dell’apparato che produce l’offerta culturale e di spettacolo. Si può vedere un film dovunque, di conseguenza si dipende meno dall’offerta della sala così come da quella del palinsesto televisivo.
I giovani e la musica: la rete e i concerti
La moltiplicazione dell’offerta e delle possibilità di visione non hanno tuttavia eliminato l’esigenza della fruizione collettiva. Agli inizi di questo secolo, infatti, al contrario di quanto previsto, le innovazioni descritte non stanno provocando la scomparsa degli eventi dal vivo, ai quali il pubblico può partecipare in prima persona vivendo un’esperienza che è, allo stesso tempo, individuale e collettiva. E se in Paesi come l’Italia la violenza ha spesso allontanato il pubblico dagli stadi in cui si svolgono le partite di calcio, in altri Paesi, come, per es., la Gran Bretagna, dove questo problema è stato contenuto se non addirittura risolto, i biglietti venduti risultano notevolmente in aumento.
Il caso della musica è, in questo senso, esemplare. La musica, innanzitutto, continua a essere, in particolare per le giovani generazioni, un’esperienza indispensabile, in grado di catalizzare e amplificare le emozioni. Per queste fasce d’età, occupa uno spazio non certo marginale del tempo libero: le scelte musicali sono, invece, rappresentative della propria individualità e del proprio modo di essere. Secondo i risultati di un’indagine condotta negli Stati Uniti nel 2007, per il 76% dei giovani la musica è un elemento di cui non potrebbero fare a meno nella propria quotidianità. In altri termini: ‘Sono quello che ascolto’. Stando a una ricerca dell’Università cattolica di Milano, sempre del 2007, la percentuale di giovani che dichiara «preferirei morire oggi, piuttosto che vivere in un mondo senza musica» è cresciuta dall’82% del 1997 al 90% del 2007. Per i giovani europei e nordamericani risulta essere la prima attività che diverte in assoluto; in Italia è la seconda, dopo ‘stare con gli amici’. Nonostante il moltiplicarsi delle offerte in uno scenario tecnologico e mediale sempre più composito e diversificato, ascoltare musica rimane quindi centrale nella vita delle giovani generazioni; per il 65% dei giovani, è la prima cosa che si fa quando si è sotto stress (Università cattolica del Sacro Cuore, Milano, 2007).
Fondamentale a questo riguardo è la diffusione sempre più massiccia di Internet, il cui effetto è quello di un consumo sempre più personalizzato: i giovani riproducono e memorizzano dalla rete, spesso gratuitamente e illegalmente, oppure a basso prezzo, solo i brani di loro gradimento. Accessori molto utilizzati sono i lettori portatili di musica digitale, come l’iPod, con i quali è possibile ascoltare brani selezionati che corrispondono a quelli preferiti e non a quelli proposti in modalità aggregata dall’industria discografica. Alcuni ritengono che l’iPod sia il ‘nuovo salotto di casa’, quello dove un tempo si ascoltavano i CD o le cassette musicali, e definiscono la strada ‘la nuova casa’. Internet aumenta anche la disponibilità di musica, oltre che di ogni altro prodotto culturale: è la famosa teoria della ‘coda lunga’, secondo la quale grazie a Internet si produce una deconcentrazione del consumo, che si diffonde su una pluralità di titoli, prima non disponibili o difficilmente individuabili negli spazi limitati dei negozi di musica (o delle librerie, nel caso dei libri). Su iTunes Music Store, uno dei più grandi negozi virtuali presenti su Internet, è possibile scegliere tra oltre due milioni di brani: nel 2006 è stato venduto il miliardesimo brano musicale. Impossibile trovarli, anche soltanto in parte, in un negozio oppure in un ipermercato.
La musica è la prima forma di consumo culturale che ha riscritto le leggi economiche nei mercati digitali. In passato, i costi di produzione e di stoccaggio erano giustificati solo per merci culturali vendute in grandi quantità. Il contingentamento degli spazi per la vendita imponeva di creare pochi prodotti buoni per tutti, omologando gusti e preferenze del pubblico. Oggi si parla di distribuzione e di ricerca estesa, di collezioni acquistabili in rete, per es. su eBay.
Tuttavia, se nel 1999 un canale multinazionale dedicato ai giovani e alla loro musica come MTV (Music Television) era il luogo dove veniva trasmesso il tipo di musica che tutti ascoltavano e amavano, in questo primo decennio del secolo ciascuno ascolta la propria musica e Internet risulta essere il luogo perfetto per soddisfare tale bisogno.
È però contemporaneamente in atto un’altra tendenza che può apparire contrastante con quella della personalizzazione del consumo e riguarda lo spettacolo dal vivo. Da una parte, infatti la fruizione della musica è sempre più individuale, solitaria, personale, ma attiva, perché richiede un lavoro di selezione e di composizione della propria classifica personale dei brani da ascoltare (la playlist). Dall’altra, i giovani, anche attraverso Internet, esprimono un crescente bisogno di autenticità, di esperienze rilevanti da vivere in comune. Tanti cercano nella rete i propri amici virtuali, in un fitto scambio di corrispondenza, foto, immagini e, appunto, musica. L’altra faccia del consumo iperindividuale di musica è dunque una crescente domanda di vivere un’esperienza unica e non replicabile: quella del concerto dal vivo.
Lo spettacolo musicale, il grande concerto rock, rinasce proprio nell’era della virtualità e della personalizzazione dei consumi culturali. Secondo una ricerca di MTV, condotta in Italia nel 2007 su un campione di 2000 utenti, il 76% dei ragazzi ritiene che il concerto sia un’opportunità per avere un contatto diretto con gli artisti. Secondo un’altra ricerca, questa volta di Eurisko, che copre il periodo 2001-2007 e riguarda 10.000 casi, la percentuale di coloro che dichiarano «ho partecipato a concerti negli ultimi tre mesi» sale dal 13% del 2001 al 14% del 2007. Il 71% dei giovani tra i 15 e i 34 anni dichiara di andare ai concerti almeno una volta l’anno. Tanto che, a fronte di tale domanda, si vanno rafforzando le offerte di concerti gratuiti, come quelli promossi da MTV, il cosiddetto MTV Day, oppure quelli sponsorizzati da grandi aziende come Telecom Italia, che ogni anno a Roma organizza il concerto di una grande star musicale.
Un effetto di tali fenomeni è la crisi dell’industria discografica che, per decenni, ha venduto sotto forma di dischi a 33 giri o di CD compilations di 10-12 brani tra i quali, oltre a quello preferito dal pubblico che raggiungeva spesso i primi posti delle classifiche di vendita, vi erano anche brani meno graditi e meno ascoltati. Oggi, ciascun consumatore di musica può realizzare la propria compilation inserendovi solo i brani preferiti. Secondo un’indagine statunitense del 2007, condotta da MTV e Nickelodeon insieme a Microsoft Digital Advertising, soltanto il 18% dei giovani dichiara di acquistare CD, tuttavia, la percentuale sale al 33% in caso di acquisto di CD o DVD di concerti a cui si è partecipato. A fronte della minore disponibilità ad acquistare la musica attraverso i canali di distribuzione tradizionale, vi è una netta propensione condivisa tra i giovani a investire per garantirsi prodotti legati in modo esclusivo a eventi, prodotti che sono visti come un’icona, come un vero e proprio prolungamento dell’esperienza vissuta.
Sotto l’azione dei fenomeni in atto in questo primo decennio del 21° sec., però, stanno cambiando forme e modalità dei grandi eventi musicali dal vivo, per es. nella prenotazione dei biglietti e nella comunicazione dell’evento ma anche nel loro stesso svolgimento. Si tratta di un modello nato nel 20° sec., prima con la grande manifestazione rock di Woodstock, tenutasi nell’agosto del 1969, poi rilanciato con forza dal Live Aid, svoltosi il 13 luglio 1985 per raccogliere fondi a favore dell’Etiopia. Due eventi in realtà molto diversi tra loro: il primo venne infatti vissuto in prima persona solo dai partecipanti, e soltanto in un secondo momento dal resto del pubblico attraverso il disco e il film dedicati al concerto. Il Live Aid è stato invece uno dei maggiori eventi televisivi di tutti i tempi, con un miliardo e mezzo di spettatori in cento Paesi che seguirono in diretta due concerti, svoltisi fisicamente, per 17 ore, nel vecchio stadio Wembley di Londra, in seguito distrutto e ricostruito, e nello stadio JFK di Philadelphia. A metà concerto fu annunciato che il 95% delle televisioni mondiali era sintonizzato sull’evento. Era il tempo dei videoregistratori e il concerto è stato conservato in decine di migliaia di copie private realizzando una prima forma di personalizzazione nel consumo di spettacolo, anche se di qualità ridotta e con un supporto di registrazione destinato a deteriorarsi rapidamente nel tempo rispetto all’attuale riproduzione digitale.
Nei primi anni del nuovo secolo si sono succedute grandi manifestazioni musicali a scopo umanitario, ma rispetto al passato alcuni aspetti sono cambiati. È aumentato, in primo luogo, il numero delle città coinvolte nell’evento: per i governi locali ottenere un grande spettacolo sul proprio territorio è considerato un volano per attirare turisti oltre che per cercare di conquistare consensi tra l’elettorato giovanile. Si parla infatti molto, in questi anni, di turismo culturale.
In occasione del concerto Live 8 di Londra, tenutosi nel 2005, Gordon Brown, all’epoca cancelliere, ha reso i biglietti esenti dal costo della VAT (il corrispettivo britannico dell’IVA). Il Live 8 si è svolto nelle nazioni appartenenti al G8, qualche mese prima della conferenza dei Paesi del G8 in Scozia. L’obiettivo, anche in questo caso umanitario, ha assunto un più forte valore politico rispetto ai decenni precedenti: far pressione sui leader di governo delle nazioni più ricche e potenti per cancellare il debito di quelle povere e negoziare regole commerciali più eque. Al Live 8 hanno partecipato oltre mille artisti, i concerti sono stati trasmessi da 182 canali televisivi e duemila stazioni radiofoniche. Nel contesto della sempre maggiore tematizzazione dei canali televisivi, anche di quelli dedicati alla musica, negli Stati Uniti il Live 8 è stato trasmesso dal vivo da MTV, MTV2, MtvU (canale di nicchia dedicato agli universitari), VH1, VH1 Classic, Country Music Television, mentre una rete commerciale, il network ABC, si è limitata a mandare in onda per due ore le parti salienti dei concerti. Ancor più della tematizzazione, che risale alla fine del 20° sec., risalta però la possibilità VOD: nel caso del Live 8, la società di distribuzione di contenuti multimediali AOL (America On Line) ha offerto la possibilità di scegliere quali cantanti seguire in qualunque città dal proprio sito Internet. In questo modo si può personalizzare il consumo di un evento che si svolge in contemporanea su diversi palcoscenici e viene trasmesso in diretta, anche se questa opportunità non ha frenato in alcun modo l’affluenza del pubblico a tale tipo di concerti.
Il pubblico partecipe
La partecipazione del pubblico avviene ormai sia dal vivo sia a distanza, ma in diretta, su una pluralità di piattaforme televisive e via Internet. Il 7 luglio 2007 si è svolta Live Earth, maratona planetaria di 24 ore sulle trasformazioni climatiche, in particolare sui mutamenti prodotti dal riscaldamento globale e dall’effetto serra. Rispetto al Live 8 il numero dei concerti è stato ridotto a otto, realizzati però in tutti i continenti e seguiti da oltre due miliardi di spettatori, non più solo attraverso la televisione e la radio, ma anche attraverso Internet. E mentre le emittenti televisive hanno dovuto realizzare una difficile sintesi tra otto eventi in contemporanea, organizzando la realizzazione di interventi dietro le quinte, dove si è discusso sulle finalità dell’iniziativa, e mandando alcune performances in differita, suscitando polemiche tra i propri spettatori, i diversi siti web hanno potuto trasmettere in diretta tutti i concerti del Live Earth, anche se la rete richiede una capacità di navigazione al proprio interno per passare da un sito all’altro e trovare il proprio cantante preferito. Per i giovani si tratta di una capacità acquisita quasi spontaneamente che ha indotto a individuare una vera e propria divisione digitale (digital divide) tra le generazioni, oltre che tra le classi di reddito, rispetto all’uso dei nuovi media, da Internet alla telefonia cellulare nei suoi usi più avanzati.
Il pubblico di Internet è un pubblico ‘partecipe’, diverso perciò da quello passivo sottoposto all’offerta televisiva. Un esempio di partecipazione attiva è rappresentato dal fenomeno dei citizen journalists, cittadini che entrano in comunicazione tra loro e concorrono a produrre il flusso d’informazioni, realizzando in proprio video, testi, fotografie, e ponendosi come alternativa agli operatori professionali dell’informazione. Maggiori conseguenze sullo spettacolo implica invece la comparsa della cosiddetta generazione YouTube. YouTube è un sito in cui sono disponibili decine di migliaia di video, provenienti da una pluralità di fonti, sia professionali sia amatoriali. Video che si possono archiviare, votare, scambiare, creando una propria ‘collezione’ condivisa con altri utenti di ogni Paese. Utenti con gli stessi gusti musicali, cinematografici o televisivi. Sono le ‘tribù’ contemporanee. Lo spettacolo si frammenta come il suo pubblico in un formato ridotto: infatti di un film o di uno spettacolo circolano su YouTube solo le scene più rilevanti o quelle che hanno impressionato di più una ‘tribù di spettatori’. Le nuove tecnologie digitali, a loro volta, hanno abbassato drasticamente il costo di produzione dei video amatoriali permettendone la riproduzione pressoché illimitata e la diffusione quasi istantanea in tutti i Paesi del mondo, attraverso siti analoghi. Diversi studiosi ritengono la digitalizzazione e Internet strumenti di una nuova cultura della partecipazione, e quindi di nuove forme di democrazia e di creatività messe in atto da comunità di pubblico che, attraverso una partecipazione diffusa, favoriscono la varietà dei contenuti e la diversità culturale rispetto all’omogeneizzazione dell’offerta dei media professionali (in particolare della televisione più che del cinema e del teatro). Il processo è più complesso e presenta diverse ambiguità: l’accesso alla comunicazione dei nuovi cittadini attivi significa, per es., anche diffusione di materiali a sfondo razzista o di contenuto violento e/o pornografico. Esiste anche, in particolare per lo spettacolo, un problema di tutela della proprietà intellettuale dei produttori e degli autori delle opere professionali, spesso saccheggiate, modificate, stravolte, rimontate, amputate per essere inserite e utilizzate nei video amatoriali detti UGC (Used Generated Content).
Questo fenomeno, come si è detto, non incide sulla volontà di partecipare in prima persona a determinati eventi, in particolare per i giovani a quelli musicali. Negli Stati Uniti i biglietti venduti sono aumentati dell’8% annuo dal 2006 al 2007. Tanto che negli anni 2007-08 si è assistito al passaggio contrattuale di diversi artisti da una casa discografica a un organizzatore di concerti dal vivo, come per es. Live Nation, a testimonianza della crescente importanza economica di questo tipo di eventi musicali e dei soggetti che li organizzano. La pirateria discografica, infatti, oltre a favorire la personalizzazione del consumo, ha indebolito l’industria, ma non ha intaccato la volontà di assistere a un evento unico, e quindi irripetibile. Lo stesso non vale per uno spettacolo riprodotto, come nel caso di quelli cinematografici: spesso le copie pirata di un film, che circolano su Internet o su supporto magnetico, precedono l’uscita di quel titolo nelle sale cinematografiche. I singoli brani musicali circolano ogni anno in sempre maggior numero, in forma sia legale sia illegale, eppure i proventi dei concerti dal vivo continuano ad aumentare: un tour degli U2 ha realizzato, nel 2007, introiti per 349 milioni di dollari. Un altro fattore di successo degli eventi dal vivo è la volontà del pubblico di vedere e conoscere gli artisti e di ascoltare tutti i brani per poi selezionare su Internet i preferiti. Internet permette anche di entrare a contatto diretto con i propri musicisti preferiti: sul sito MySpace, network sociale creato nel 2003 da Brad Greenspan, per es., tra i suoi 36,5 miliardi di pagine, vi sono spazi personalizzati di migliaia e migliaia di musicisti di tutto il mondo, che possono così entrare in rapporto diretto con il pubblico e anche diffondere la propria musica. Il limite di tali esperienze è spesso il dilettantismo, in quanto sono pochi i consumatori che pagano i brani agli artisti presenti su MySpace.
In generale questa tendenza non sembra destinata a esaurirsi nel breve periodo. In sostanza la differenza tra i concerti degli anni Novanta e quelli degli anni Duemila è che nei primi il motore centrale era la casa discografica attorno alla quale si muovevano l’artista, il manager e l’organizzatore, mentre nel nuovo secolo gli artisti e gli organizzatori sono diventati il perno attorno al quale ruota l’evento. Per quanto riguarda il pubblico, la domanda, e quindi il mercato, si concentrano sul singolo brano. È venuto meno quel patto reciproco tra produttori e consumatore per il quale veniva acquistato l’intero album o CD soltanto per poter ascoltare i brani preferiti.
Se le innovazioni tecnologiche hanno trasformato il consumo di musica e stanno trasformando quello della televisione e della radio, gli altri spettacoli dal vivo, dal teatro e dall’opera lirica, presentano una maggiore continuità rispetto al secolo precedente. Il cinema si trova a metà del guado: la pellicola e il grande schermo sono ancora essenziali al successo di un film ma negli Stati Uniti e in molti Paesi europei si vendono più video digitali contenenti un film che biglietti per assistere alla proiezione in sala; esso quindi non costituisce più il luogo privilegiato della visione. Questa constatazione solleva una questione delicata: il passaggio da una modalità collettiva di visione (di un film, ma anche di un’opera lirica o teatrale) a un tipo diverso modifica (e in che modo) le modalità di ricezione e lo stesso comportamento del ‘pubblico’? È stata letta un’analogia tra quanto sta accadendo a opera delle nuove tecnologie con ciò che avveniva in altre epoche storiche. In particolare, ai tempi del teatro dell’Inghilterra elisabettiana il pubblico era «molto attivo e affermava con decisione il proprio diritto a partecipare, esprimendo ad alta voce l’apprezzamento o il disaccordo verso lo spettacolo, arrivando a ignorarlo conversando ad alta voce, camminando qua e là dentro il teatro e persino giocando a carte» (Livingstone 2006, pp. 173-74). Il pubblico passivo e silenzioso del teatro del 19° e del 20° sec., con il prevalere nella sua composizione delle classi medie su quelle popolari, e quello del cinema, con il processo di identificazione/adorazione dello spettatore rispetto alle star, sembrano ormai scomparsi con la moltiplicazione delle offerte e la personalizzazione del consumo. Gli studiosi e i ricercatori si trovano davanti all’invisibilità e alla privatizzazione di ciò che le varie tipologie di pubblico pensano, imparano o sentono e questo, tra l’altro, introduce una maggiore separazione tra l’uso dei prodotti culturali e l’analisi di questi ultimi come testi. Prevale l’incertezza, che mette in discussione la stessa nozione di ‘pubblico’, a vantaggio di termini come fruitore o utilizzatore. Il pubblico ascolta oppure guarda, il fruitore è più coinvolto, ma ha perso il senso della collettività tipico del pubblico, e ha relazioni più attive con i vari media, con i quali può giocare, acquistare, scrivere, visitare, ricercare. Allo stesso tempo il prodotto culturale, lo spettacolo composto di blocchi distinti e di origine differenziata, diventa più elusivo e inafferrabile perché si può consumare a distanza, in parti separate. Anche gli autori si moltiplicano insieme ai prodotti culturali e sempre più spesso non sono identificabili, sono collettivi o anonimi.
Umberto Eco ha parlato di «testo attualizzato» (Lector in fabula, 1979, p. 62), un concetto che si adatta bene all’attuale situazione del consumo nell’era di Internet e della riproducibilità digitale e personalizzata, ma spesso condivisa e di conseguenza non ‘isolata’. In altri termini, si è passati a un tipo di offerta e di consumo sempre più basato sulla non linearità, sulla flessibilità, sull’ipertesto; a strutture testuali composte di blocchi di testo tra loro connessi da collegamenti elettronici (link), all’interno dei quali il lettore oppure lo spettatore può costruire percorsi di lettura o di visione differenti. Questo modello richiede al ‘pubblico’ maggiori competenze: ancor più di quelle che venivano richieste dalla stampa e dalla televisione rispetto allo spettacolo dal vivo.
Spettacoli dal vivo: domanda e offerta
Le analisi orientate sul pubblico dello spettacolo nel suo complesso si sono concentrate su due diversi punti di vista: l’evento e l’utilizzazione dell’opera. Siamo ancora, però, per quel che riguarda lo spettacolo dal vivo, nel regno delle rilevazioni statistiche, che offrono un quadro esaustivo solo nell’ambito delle rappresentazioni pubbliche, dei biglietti venduti, della spesa. In tale contesto sembra prevalere una certa stazionarietà della domanda di spettacolo, senza grandi variazioni da un anno all’altro ma, in qualche caso, a fronte di un aumento consistente dell’offerta (per es., per numero di schermi cinematografici, di posti disponibili e, quindi, di ‘giornate’ cinematografiche). Nel 2006 tutte le attività di spettacolo, secondo la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori), hanno avuto oltre 225 milioni d’ingressi, con un incremento del 3,5% rispetto all’anno precedente e una spesa vicina ai due miliardi di euro.
Nel 2007 si è arrivati a 247 milioni di ingressi a pagamento (biglietti più abbonamenti) con un aumento del 10,1% rispetto al 2006. Sulla base di valutazioni superficiali, nel 2005 era stato rilevato il ‘sorpasso’ del teatro rispetto al calcio, tenendo conto soltanto della spesa al botteghino e non del numero d’ingressi e considerando, oltretutto, l’insieme delle attività teatrali (non il solo teatro classico) rispetto all’insieme delle attività sportive. In realtà resta più alta la spesa del pubblico nello sport, anche nel 2005, calcolando, oltre ai biglietti, anche quella in prevendite, prenotazione dei posti, consumo di bevande. Aumenta ancor più il divario a favore delle attività sportive valutando l’intero volume d’affari delle attività singole, comprendendo quindi nel totale anche le sponsorizzazioni, la pubblicità e i contributi pubblici e privati. Nel 2006 il calcio, escludendo gli altri sport, ha avuto 20 milioni d’ingressi, con una spesa al botteghino di 271 milioni d’euro. Il teatro, inteso come attività teatrali rilevate dalla SIAE, ha avuto 22 milioni e mezzo d’ingressi; ma analizzando solo i biglietti venduti dal teatro in senso stretto e quindi escludendo la lirica, il balletto, la commedia musicale, gli spettacoli di burattini e marionette, si scende a 14,4 milioni di ingressi, di gran lunga inferiori agli oltre 20 milioni del calcio, per 183 milioni d’euro di spesa al botteghino, con un costo medio d’ingresso di 12,7 euro, inferiore a quello medio del calcio, pari a 13,2 euro. Va tuttavia posto l’accento sul fatto che se dal 2000 al 2003 il teatro classico ha oscillato intorno agli 11 milioni di spettatori annui, a partire dal 2004 si è verificato un aumento che ha raggiunto i 14 milioni nel 2006.
Cinema digitale
La ‘sala evento’
Una delle maggiori novità che si sta affermando nel primo decennio di questo secolo, e che giungerà alla piena affermazione in quello successivo, è la trasformazione delle sale cinematografiche in sale digitali. Le conseguenze di tale trasformazione sono molteplici. La prima è la scomparsa progressiva della pellicola, un supporto infiammabile e degradabile nel tempo, il cui costo di riproduzione per singola copia è molto elevato, tale da richiedere una copertura assicurativa adeguata e onerosa. Un film ‘povero’, ossia a basso budget, anche se d’elevata qualità artistica, è fatto circolare il più delle volte in un limitato numero di copie e ha, per questo motivo, difficoltà a raggiungere il suo pubblico potenziale. È questa la cosiddetta censura del mercato, che va a scapito del pubblico oltre che degli autori, perché priva gli spettatori della possibilità di scelta. I produttori e i distributori, con l’avvento del digitale, possono, quindi, concentrare più risorse nella realizzazione del film vero e proprio, grazie alla notevole riduzione dei costi distributivi permessi dalla digitalizzazione dell’esercizio cinematografico. Sia per la televisione sia per il cinema si arriverà a una data limite (il 2012 nel primo caso e il 2015 nel secondo, allo stato attuale) oltre la quale verrà abbandonata la televisione analogica e in cui probabilmente non sarà più distribuita alle sale la copia del film in pellicola. La distribuzione di un film nel formato digitale (sostanzialmente un file numerico) può avvenire attraverso la linea telefonica o, in fase di sperimentazione, in modo satellitare.
I vantaggi per il pubblico, oltre che per gli operatori del settore, sono molteplici. Il principale è la possibilità di adeguare l’offerta alla domanda, variando il prodotto trasmesso sullo stesso schermo anche durante la medesima giornata. Questa necessità di differenziare l’offerta è già presente nel mondo della pellicola in celluloide: molte sale programmano nei primi due spettacoli un film per bambini, e uno più adatto al pubblico adulto, invece, negli spettacoli serali. Al massimo, però, è possibile alternare due pellicole. Con il digitale, invece, si può anche variare il titolo a ogni spettacolo, sempre a patto di raggiungere un accordo contrattuale tra il distributore del film e l’esercente della sala cinematografica, accordo che viene ‘scritto’ nella chiave di criptaggio. Un altro vantaggio non di poco conto per il pubblico è l’opportunità di poter fruire nella sala cinematografica (quindi nell’ambito di un’esperienza collettiva) non solo di film, ma anche di spettacoli dal vivo. Così in occasione del concerto londinese di David Bowie nel 2003, non solo una serie di sale cinematografiche europee, tra le quali l’Arcadia di Melzo per l’Italia, ha trasmesso in diretta l’evento musicale, ma gli spettatori di ciascuna sala hanno potuto rivolgere domande al cantante, con un’interattività impensabile nell’era della pellicola. La sala cinematografica si avvia, quindi, a diventare polifunzionale: un contenitore di eventi, dei quali il film rappresenta quello principale, ma non l’unico.
Il pubblico di riferimento, almeno per ora, resta quello giovanile, il più disponibile a vivere un’esperienza collettiva o di gruppo, e a uscire la sera per recarsi presso i grandi complessi multischermo situati nell’hinterland delle grandi città. Le sale dei centri storici sono destinate a una progressiva scomparsa, con un effetto d’impoverimento culturale delle metropoli; ciò relega di conseguenza il pubblico costituito dalle famiglie e dagli individui oltre una certa età al consumo domestico di film e di altri prodotti dello spettacolo. Al pubblico giovanile, del resto, è destinata anche un’altra innovazione permessa dalle sale digitali: il cinema in tre dimensioni stereoscopico, mentre il cinema digitale di cui si è parlato finora è a due dimensioni, come quello su pellicola. Il cinema tridimensionale non è una novità assoluta per il pubblico del grande schermo, ma rispetto agli occhiali colorati con lenti rispettivamente rossa e verde, forniti agli spettatori in occasione dei primi esperimenti nel corso del Novecento, l’effetto ottenuto attualmente è di certo più coinvolgente, tanto che gli occhiali hanno un costo e necessitano di una adeguata manutenzione in termini di pulizia e disinfezione, oltre a essere dotati di un dispositivo antifurto.
Si può parlare, nel complesso, di ‘sala evento’, nella quale si può fruire di un incontro di calcio come di un concerto musicale che si svolgono in qualsiasi parte del mondo. Non più un contenitore ‘chiuso’ per un pubblico limitato, ma un contenitore aperto, che offre la possibilità di mantenere attivo un continuo scambio tra la singola sala e il luogo dell’evento.
Presenze stabili
Rinnovare l’offerta è un’urgenza per il cinema, perché gli ingressi in Italia oscillano sopra ai 100 milioni dall’anno 2000 in avanti, ma la frequenza è in lenta e costante diminuzione rispetto al numero delle rappresentazioni, cioè all’offerta, a causa dell’aumento del numero degli schermi (e dei posti a disposizione, anche se talvolta la trasformazione di una sala tradizionale in una multisala comporta una perdita più che un guadagno di poltrone). Nel 2001, gli schermi presenti sul territorio nazionale erano 2080, di cui 824 erano sale tradizionali, con un solo schermo. La presenza media per schermo era di oltre 40.000 spettatori e di oltre 38.000 per le monosale cittadine. Sei anni dopo, nel 2007, gli schermi sono diventati 3092 (e 3141 nel 2008), ma le sale con un solo schermo sono diminuite a 658 nel 2007 e a 612 nel 2008, mentre la presenza media, su tutte le sale, è diminuita a 33.500 spettatori nel 2007 ed è di poco superiore a 11.000 spettatori nelle monosale cittadine, che hanno perso in sette anni due terzi del pubblico; nei complessi con più di sette schermi, la presenza media è pari a più del doppio rispetto alle monosale cittadine. Tali complessi con più di sette schermi, del resto, rappresentano ormai più della metà degli incassi totali, quando nel 2001 la loro quota risultava pari soltanto al 21% (dati ANEM, Associazione Nazionale Esercenti Multiplex-ANICA, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive, 2008).
Il numero degli spettacoli cinematografici, in termini di giornate di attività, secondo le rilevazioni della SIAE sull’intero mercato, infatti, è salito dai 799.000 del 2000 al milione e 266.000 del 2007, quasi raddoppiando nello stesso periodo. Sono aumentate, quindi, di circa 400.000 unità le proiezioni nelle sale, a fronte di un numero stabile di biglietti venduti, intorno ai 100 milioni annui, con lievi oscillazioni anno dopo anno, come accade ormai dalla seconda metà degli anni Ottanta, mentre negli anni Settanta si era a 500 milioni di ingressi e negli anni Cinquanta si era arrivati oltre quota 800 milioni (1954).
In questo primo decennio del nuovo secolo il progressivo aumento degli schermi e delle giornate di spettacolo non ha provocato un aumento corrispondente della domanda di spettacolo cinematografico. Erano, infatti, 100,9 milioni i biglietti venduti nell’anno 2000 e solo 104,9 milioni nel 2006 e, negli anni intermedi, 110 nel 2001, 111,4 nel 2002, 105 nel 2003, 115 nel 2004, 104,6 nel 2005, per arrivare a 116,4 nel 2007, secondo i dati della SIAE sul totale delle sale. L’unico dato positivo è che, rispetto al decennio precedente, non si è più scesi sotto quota cento milioni. L’Italia, tuttavia, è uno dei Paesi europei con il più basso indice pro capite di frequenze al cinema, davanti alla sola Germania, e di biglietti venduti in cifra assoluta. La Spagna, per es., alla fine del secolo scorso aveva lo stesso numero di biglietti venduti dell’Italia (entrambi i Paesi erano a quota 112 milioni nel 1998); ma nel 2002 è arrivata oltre quota 140 milioni di biglietti venduti, per poi riposizionarsi oltre quota 121 milioni nel 2006. La Germania era a quota 152 milioni di biglietti venduti nell’anno 2000 ed è scesa a 136 milioni nel 2006, restando, però, anche in questo caso, ben al di sopra dei biglietti venduti in Italia pur se la frequenza pro capite, dividendo le presenze per la popolazione residente, è più bassa rispetto all’Italia (dati Media Salles). Per non parlare del caso della Francia: nel 2000 sono stati venduti 166 milioni di biglietti, divenuti addirittura 188 milioni nel 2006. In Gran Bretagna si è partiti dai 142 milioni di biglietti venduti ai botteghini nel 2000 e si è arrivati a quota 162 milioni nel 2007 (dati Media Salles). Nell’anno 2007, tuttavia, i principali mercati europei, tranne l’Italia e, in misura minore, la Gran Bretagna, hanno subito un brusco arretramento nel numero dei biglietti venduti. Nei singoli mercati europei, infatti, è in genere il successo dei film nazionali a determinare il buon andamento del botteghino in una determinata stagione, perché l’incasso dei film statunitensi, maggioritario in tutti i Paesi europei, ha una base stabile e oscillazioni che dipendono dal successo o meno della cinematografia nazionale. In Italia, l’andamento controcorrente rispetto al resto d’Europa degli incassi nel 2007 è stato determinato da una maggiore affermazione del cinema nazionale.
In tutti i mercati, inoltre, gli incassi tendono sempre più a concentrarsi su pochi titoli. Ancora in riferimento al 2007 in Italia il 3,4% dei titoli in circolazione, pari a trenta film, ha ottenuto il 54,2% degli introiti al botteghino, mentre i primi cinque titoli hanno raccolto quasi il 27% degli spettatori e poco meno del 30% degli incassi complessivi (dati Cinetel). Si registra, anche, una crescita costante della quota d’incassi che si concentra in un numero abbastanza ristretto di grandi complessi multischermo rispetto alle monosale e alle piccole multisale da 4-5 schermi. Tale percentuale risulta ormai superiore al 50% degli incassi complessivi e tende a crescere nel corso degli anni (dati ANEM-ANICA).
Ormai, un incremento annuo significativo è possibile solo in due casi: se arriva sul mercato un film di successo come Titanic (1997) di James Cameron, che da solo vale tale incremento, o se la cinematografia nazionale conosce una stagione particolarmente fortunata presso il proprio pubblico. L’incremento del 12% annuo del mercato italiano nel 2007, infatti, è dovuto in particolare a un aumento del 43,5% degli spettatori dei film di nazionalità italiana e delle coproduzioni con l’Italia. Nei primi mesi del 2008, tuttavia, vi è stata una flessione dei biglietti venduti sul mercato italiano. L’altalena dei risultati anno per anno dimostra come il cinema in sala deve cercare di mantenere il proprio pubblico a fronte della crescente disponibilità di film su altri canali distribuitivi, dall’home video, rappresentato in questi anni dai DVD digitali rispetto alle videocassette dei decenni precedenti, sino alle piattaforme digitali televisive e alla possibilità di memorizzare un intero film sul proprio computer con un collegamento in banda larga.
Anche per il cinema, però, vale, almeno in parte, quanto detto per la musica. I giovani non si accontentano di un consumo individuale e domestico ma cercano esperienze di gruppo o collettive, come la visione su grande schermo di un film o il concerto dal vivo. Secondo la ricerca della Doxa del 2008 sui giovani e il cinema, l’86% dei giovani italiani compresi nella fascia tra gli 11 e i 25 anni possiede in casa un lettore DVD, l’80,4% un videoregistratore e il 72% il computer. Ciononostante, il 73% dei giovani tra gli 11 e i 25 anni si è recato al cinema almeno una volta nel corso degli ultimi sei mesi e tale percentuale aumenta all’88,4% nelle grandi città con oltre 250.000 abitanti anche per la maggior disponibilità di sale.
Secondo alcuni studiosi del settore, inoltre, l’avvento della televisione prima e dei nuovi canali digitali poi ha comportato una riduzione della varietà dei film, in particolare di quelli nazionali, con la scomparsa, o quasi, di alcuni generi sul fronte dell’offerta (si pensi al western all’italiana degli anni Settanta) e di tipi particolari di sale (come i cineclub) nel corso di questo decennio. Secondo questa tesi, l’avvento della televisione e del digitale non ha fatto sopravvivere un cinema di nicchia, colto e raffinato, quanto piuttosto uno spazio di mercato sempre più riservato a proposte commerciali. Questo fenomeno non ha condizionato invece il teatro in quanto, in questi anni, il palcoscenico ha saputo vivere e svilupparsi con un ricco ventaglio di opere e con un pubblico più specifico anche se meno vasto dei decenni precedenti.
La trasformazione progressiva dei film nel formato digitale può consolidare una tendenza alla crescita degli spettatori in sala, anche se non si tratta o non si tratterà più di un’offerta esclusivamente cinematografica ma polifunzionale, comprendente altre forme di spettacolo. La sala avrà, in altri termini, un palinsesto quotidiano, proprio mentre la televisione digitale propone il superamento del palinsesto a favore di un’offerta più personalizzata. Le due esperienze, quella domestica e quella della visione collettiva davanti a un grande schermo, restano tuttavia incomparabili, nonostante i continui progressi realizzati nella qualità dell’immagine in ambito domestico, grazie all’avvento dell’alta definizione e degli schermi al plasma e a cristalli liquidi. Tale sostituzione degli apparecchi domestici determinerà l’aumento della domanda di film, spettacolari e ad alta qualità visiva, e di prodotti come i documentari o i cartoni animati.
Bibliografia
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SIAE, Annuario dello spettacolo 2006, Roma 2007.
ANICA, Il cinema italiano in numeri. Anno solare 2008, Roma 2008.
M. Scaglioni, A. Sfardini, Multi TV. L’esperienza televisiva nell’età della convergenza, Roma 2008.
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