Spettacolo
Il termine spettacolo (dal latino spectaculum, derivato di spectare, "guardare") designa in senso ampio qualsiasi performance artistica che si svolga davanti a un pubblico di spettatori appositamente convenuto. Nelle forme originarie prevale l'azione mimica sulla parola, la gestualità sulla comunicazione orale: al centro è il linguaggio del corpo, nella sua interezza oppure nelle sue manifestazioni più minute.
Questo predominio del corpo nello spazio scenico si ripropone nel Novecento sia con l'avvento del cinema muto sia con esperienze teatrali d'avanguardia, basate non tanto sul dialogo quanto sulla creatività corporea dell'attore, nel ritorno a una drammaturgia al grado zero, non verbale, della fisicità. Il linguaggio del corpo trova la sua massima espressione nella danza, legata a valori ritmici e puramente figurativi, e nelle esibizioni del circo, spettacolo non realista, di livello prenarrativo, capace di inglobare una pluralità di generi (per es., pantomima, farsa, mimodramma ecc.), e soprattutto rappresentazione della metamorfosi o 'snaturamento' del corpo che trascende la normalità sperimentandone i limiti estremi. Il primo linguaggio teatrale è quello del corpo, come accadrà alla fine del 19° secolo anche per l'avvento del cinema. A. Artaud (1938) afferma che il corpo è 'la parola prima della parola'. Il gesto e la mimica sono il primo alfabeto dell'antichità; il linguaggio mimico-gestuale precede nella storia dell'umanità quello orale. R. Paolella (1949), studiando in rapporto al linguaggio cinematografico le origini del linguaggio gestuale (e riprendendo le tesi di M. Jousse, glottologo interessato soprattutto al problema della psicologia linguistica), ha sostenuto che il linguaggio mimico-gestuale è più vicino di quello orale al significato delle cose, del mondo esterno e dei nostri sentimenti (v. gestualità). L'attore giapponese si inginocchia e traccia con un gesto del braccio il suo dolore; quindi narra, facendo un passo indietro, il suo lungo viaggio. E assai più esteso è il Prontuario delle pose sceniche (1854) di A. Morelli, che conta varie centinaia di voci. A conferma del carattere universale del linguaggio mimico-gestuale dell'umanità, un'esperienza condotta all'inizio del 20° secolo a Washington, in cui sette indiani furono posti di fronte ai disabili sordomuti del Collegio nazionale, provò che questi si intendevano perfettamente a gesti. La base fondamentale della recitazione 'muta' è la mimica gestuale. Negli attori dell'Ottocento, testimonia G.G. Belli, essa era fatta di 'torcimenti, visacci e urla'. Nelle prime forme di spettacolo, dove non ci sono né testo né dialogo, la penna di questo linguaggio non può essere che il corpo dell'uomo, il quale si vale di mimica, di gesticolazione, di acrobazia. È l'uomo solo o con altri uomini, accostati talvolta con vari simboli e cose in un solo quadro, come appunto l'ideogramma cinese. La tavola su cui scrive è lo spazio vuoto finché la pellicola, il vetro, non si presterà al suo compito di tela, di carta, di lastra. A partire da T.A. Edison, che nel 1889 ideò e costruì il cinetoscopio, e dai fratelli Lumière, che possono ritenersi i compendiatori di tutti i tentativi già sperimentati di grafica del movimento (per i nomi dei loro anticipatori, v. Sadoul 1946), la 'scrittura' del gesto e della mimica sarà possibile. Il linguaggio del film restituisce all'intelligenza e alla visione dell'uomo il loro posto originario. Possiamo affermare con W. Goethe che l'organo con il quale si capisce meglio è l'occhio, e ricordare a noi stessi che si è nati con un pensiero 'visuale'. Nel circo il linguaggio del corpo è fondamentale. Il giocoliere, l'acrobata, il trapezista, il saltatore, il 'forzuto', l'ammaestratore di animali e l'animale ammaestrato, si esprimono con il corpo. Voci, musiche, costumi, apparati scenici, sono venuti dopo. Gli scherzi dei clown hanno fatto ricorso, dopo il gesto, alla parola, nelle loro 'entrate', dando origine alla commedia. È possibile asserire che lo spettacolo danzato, mimato, acrobatizzato, cantato, recitato, è nato alle origini nel circo tribale, che di conseguenza va considerato culla e madre di tutti gli spettacoli.
Il linguaggio del corpo trova la sua più compiuta espressione nella danza, che è legata a valori ritmici e puramente figurativi, in contrapposizione a ciò che ha valore preponderante ed esclusivo di espressione mimica. Manifestazione fondamentale nella vita dei primitivi e di folclore, parte essenziale del culto e del cerimoniale, forma di comunicazione che travalica le barriere linguistiche, la danza è diventata una forma d'arte capace di alti significati in un'armonia dinamica del corpo che P. Valery ha definito atto puro della metamorfosi. Per una serie di principi elaborati da una tradizione didattica, è stata classificata come danza accademica, con una nomenclatura di movimenti e pose. Le manifestazioni della danza d'arte hanno assunto, all'inizio del 20° secolo, la denominazione di danza libera, considerata da un punto di vista essenzialmente dinamico, in una dialettica di forze risultanti dalla messa in valore delle energie naturali del corpo umano. La danza accademica aspira a una pura delineazione di disegni spaziali-temporali, mirando a trascendere la naturalità del corpo e, quasi, a privarlo del suo peso. I movimenti e atteggiamenti obbediscono a un codice prestabilito e tramandato. La danza libera non accetta un linguaggio predeterminato come avviene in quella accademica: concepisce il corpo umano come un tutto omogeneo, dominato da un centro motore interno che lo sospinge in qualunque direzione e squilibrio; ma nessun movimento è esteticamente legittimo se non è motivato in senso espressivo. La danza teatrale ha raggiunto nei secoli una propria autonomia. Il teorico e ballerino J.-G. Noverre ha identificato danza e pantomima. Azioni drammatiche complete, dopo una complessa maturazione storica, hanno preso il nome di balletto d'azione. La mimica gestuale - desunta da circo, pantomima, danza - va presa come base della recitazione nella cinematografia muta. Allo stesso modo come, nei primitivi, non esiste che il 'linguaggio d'azione', così anche il cinema primitivo può essere considerato 'cinema d'azione'. In G. Fano (1962) troviamo queste affermazioni: i gesti delle nostre plebi sono un residuo del più vivace gestire degli antichi; nel teatro greco, più si risale nel tempo e più domina la mimica della parola; nelle pratiche magiche (altro residuo dell'antico) si usa il gesto come una lingua arcaica. Anche da vari episodi della Bibbia risulta che linguaggio parlato e linguaggio d'azione si fondevano in un'unica espressione. Fano riporta una numerosa e indicativa serie di esempi. Il profeta Sedecia si applica sulla fronte corna di ferro per convincere i Re di Giuda e Israele che è giunta l'ora di aggredire la Siria. Geremia si fa consegnare dai sacerdoti un orciolo di terracotta e lo spezza davanti alla folla per rappresentare l'atteso sfacelo della città nemica. La stessa cosa può dirsi dei gesti di certi popoli orientali, studiati nelle scuole arabe, come parti integranti del discorso. Il filologo al-Gàhir (9° secolo) tratta del linguaggio mimico come uno dei quattro modi principali di esprimere il pensiero. Per rendere la parola gestire, far gesti, gli arabi usano l'espressione 'parlare con le dita', quasi allo stesso modo dei greci, e i latini vantavano le loquacissimae manus e i linguosi digiti dei loro pantomimi. Il latino dicere e digitus hanno, come in greco, lo stesso etimo. Nel dramma classico la parola prevale sul gesto, nei mimiambi più antichi dialogo e azione mimica si bilanciano, ma nelle primitive rappresentazioni sacre, dalle quali trae origine il teatro greco, prevale di gran lunga l'azione mimica sulla parola.
Il linguaggio cinematografico ha percorso lo stesso cammino degli altri linguaggi (v. anche il capitolo L'immagine del corpo nei nuovi media, Il cinema). Fu dapprima comica slapstick (ossia lo schiaffo-bastone), pantomima storica (La presa di Roma di F. Alberini, Caius Julius Caesar di E. Guazzoni, Spartaco ovvero il gladiatore della Tracia di E.M. Pasquali, nei primi decenni del 20° secolo), di tipo avventuroso e film western, cioè film d'azione. Soltanto più tardi diventò mezzo di riflessione, di ragionamento, perfino di deformazione: si vedano, in epoca espressionista, i film degli anni Venti del Novecento come Das Kabinett des Dr. Caligari (1920; Il gabinetto del dottor Caligari) di R. Wiene, Der Golem (1920; Il Golem) di P. Wegener, Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (1922; Nosferatu il vampiro) di F.W. Murnau. Divenne poi mezzo di ricerca interiore, film dell'anima, come è possibile a un linguaggio evoluto, complesso, articolato, pressoché capace di esprimere tutto. Si può dire, con Vico, che pure nel caso del cinema vi fu prima un linguaggio 'geroglifico' (in Baignade en mer, 1895, di L. Lumière, o in Facial expressions, 1902, di R.W. Paul, o ancora nei film del principio del secolo della cosiddetta Scuola di Brighton), poi 'simbolico' (l'uccello liberato di Histoire d'un Pierrot di B. Negroni, 1913), poi 'epistolare', e qui si possono citare tutti i film dapprima didascalizzati e successivamente parlati, con esempio principe The great dictator (1940; Il grande dittatore) dell'ex nemico del 'sonoro', Ch. Chaplin. Che il linguaggio iniziale del cinema silenzioso debba considerarsi mimico-pittografico come quello dei primitivi è provato da un altro fatto: che si è valso, agli albori, della pantomima. È possibile trarre esempi non soltanto dalla storia del cinema, ma anche dalla sua stessa preistoria. Si veda La grande mode des pantomimes à Paris vers 1740 et les spectacles d'optique de Servandoni (1960) di G.M. Bergman, dove il rapporto pantomima-cinema viene documentato in maniera inoppugnabile. Alcune delle pantomime presentate nelle fiere, nelle piazze e nei teatri dei mimi, verranno trasferite per intero dal 'teatro ottico' al cinema, che tali spettacoli poteva fermare nella pellicola. Le pantomime preesistenti, settecentesche, di G.N. Servandoni, Ero e Leandro, oppure La presa di Troia, si costituiscono in oggetto davanti alla macchina da presa, e mediante la ripresa diventano immagine dinamica, film, testo riprodotto. Nella drammaturgia dei secoli più recenti il teatro, a parere dei teorici moderni, è stato sopraffatto dalla parola e il corpo, con il suo linguaggio proprio, ha perduto l'efficacia gestuale primitiva. Si è auspicato un ritorno al teatro puro, che non sia soltanto dialogato, ma sia destinato ai sensi e anche indipendente dalla parola, creato da musica, danza, pantomima, scenografia, linguaggio dei segni. L'attore, dice B. Brecht, deve esteriorizzare tutto ciò che attiene al sentimento, sviluppandolo nel gesto; non curarsi di rappresentare il personaggio ma i gesti. Artaud rammenta che nel teatro orientale i gesti hanno valore quanto le parole. Ci si può riferire al significato dell''inchino', che diviene uno scambio, tra due personaggi, sempre più profondo. D'altronde, nell'educazione dei bambini giapponesi viene insegnato fin dall'infanzia all'allievo a stare più in basso del maestro. Le realizzazioni pratiche di Artaud, come peraltro avvenne anche nel teatro futurista, hanno lasciato labili tracce, ma le sue teorie hanno assunto un ruolo capitale nello sviluppo del teatro contemporaneo. Artaud ha predicato il 'teatro della crudeltà', che non deve essere inteso della violenza, della sofferenza o del raccapriccio, né imitativo; bensì un teatro di necessità, di rigore, determinato e cosciente: la 'vita stessa' com'è, anche in ciò che ha di irrappresentabile. Crudele perché difficile e spietato verso lo stesso attore, cui impone sacrifici, sicché anche un gesto minimo è compiuto con il massimo sforzo. Qui il linguaggio delle parole non deve prevalere sugli altri elementi, né essere 'seduzione' attraverso gli attori dialoganti: deve liberarsi dal testo e dal dio-autore. Quel che conta è lo spettacolo. La parola è presente ma non deve dominare la scena, perché più importante è il gesto, ossia la parola che viene prima della parola. In ciò Artaud si rifà all'idea fisica e non verbale del teatro di Bali. È un teatro della fisicità, che va dallo spazio astratto alle più minute manifestazioni corporee dell'attore. Tramite il corpo l'attore diventa 'un atleta delle emozioni'. Le teorie di Artaud hanno avuto forte eco nel 'teatro povero' del polacco J. Grotowski, nonché nel suo allievo italiano E. Barba (di Gallipoli), che operava nei paesi nordici. Grotowski teorizza il 'teatro-laboratorio' come luogo di addestramento e di educazione permanente dell'attore, che deve tendere a una espressività totale. L'accento è posto in primo luogo sul corpo e poi sulla parola, che non deve prevalere perché, a suo dire, tende piuttosto a nascondere, a mascherare più che a svelare. La parola nasce dal corpo e senza un'adeguata preparazione fisica neppure la voce potrà essere usata correttamente al di là dello sterile cliché naturalistico-declamatorio, da lui considerato riduttivo e sterile. Cerca nuovi ideogrammi gesticolari, attraverso la maschera facciale, l'attività vocale, la respirazione. L'attore di tradizione era di 'testa' e di 'voce', ma senza 'corpo': ecco il nuovo valore, dunque, conferito al 'corpo'. La scena stessa deve prolungare il corpo del personaggio, descrivere, ove ci sia, la follia dei personaggi, riflettere la loro idea fissa, che sia disordine, desiderio di grandezza, proiezione di fobie e angosce. Il personaggio si cerca nel corpo, ma anche nello spazio scenico che lo ospita. Le parole non sono che la 'sommità delle azioni fisiche' (e questo si riscontra anche nelle recite, nei concerti vocali di C. Bene). Insomma, è un transitare dalla drammaturgia fondata esclusivamente sul testo al teatro dell'azione fisica, diretta, sulla scena e nella sala. Questo passaggio è sostenuto e praticato da Artaud, J. Beck (con J. Malina) e il suo Living Theatre, fondato nel 1947. Al centro del teatro c'è l'attore con la sua creazione corporea.
Tipico esempio ne è Mysteries (1967), con i movimenti del corpo, collettivi, cioè dell'intero complesso del Living, e le iterazioni vocali: "Stop the wars!", "Liberty now!" ecc. Barba ha applicato gli stessi principi di Grotowski nel suo Laboratorio interscandinavo dell'attore (Odin Teatret), che fondò a Oslo nel 1964 e trasferì quindi a Holstebro nel 1966. Anche il suo lavoro teatrale è basato essenzialmente sull'espressività fisica dell'attore: tende a un teatro gestuale, a uno spettacolo come opera collettiva e rito che coinvolge lo spettatore. Per loro conto, anche taluni attori italiani hanno puntato per necessità intima, cultura o personale capacità inventiva, sulla supremazia del corpo. Il napoletano Totò (A. De Curtis), che viene dallo spettacolo popolare, con le sue imitazioni di gallinaceo, di marionetta dinoccolata e disarticolata, di direttore d'orchestra-artificiere di fuochi e di girandole, con le sue mimiche facciali, è supremamente comunicativo mediante il corpo, giungendovi però da un'espressività derivata dalla commedia dell'arte. Il corpo di Totò, come pure avviene in Chaplin, è estremamente più espressivo delle battute, anche le più irresistibili. In B. Keaton, invece, il corpo può 'agire' anche attraverso l'immobilità (del volto). G. Strehler, nella sua regia (1947) del goldoniano Arlecchino servitore di due padroni, sfruttava al massimo la gesticolazione dei suoi attori. Con D. Fo tornano in scena la cultura e la tradizione dei giullari, filtrate attraverso un sentimento moderno, nelle nuove situazioni offerte dalla società. Il suo fare teatro ha una cultura popolare di fondo: il suo 'gestire' - così l'ha teorizzato - si trasforma in 'gestuare', che non è descrittivo ma costruttivo; e la 'cultura' delle maschere è a fondamento della sua ricerca e della sua creatività. Il suo linguaggio verbale può diventare una lingua inventata che fa tutt'uno con il suo corpo, e che chiama grammelot, termine di origine francese. È - dice Fo - un 'papocchio di suoni' che riescono egualmente a dare il senso del discorso; 'gioco onomatopeico', 'articolato arbitrariamente', ma in grado di trasmettere, con l'apporto di gesti, ritmi e sonorità particolari, un intero discorso compiuto. Il corpo come strumento di comunicazione teatrale non deve far dimenticare le 'parti' del corpo, che possono fare anch'esse spettacolo. Viene da pensare all''ombromane', sorta di prestigiatore-giocoliere, che specie nell'Ottocento, si esibiva nel teatro d'ombre, con le mani che imitavano minipersone, teste, uccelli o altro. Nel Teatro sintetico futurista (1915) si trovano brevi atti unici di F.T. Marinetti (e B. Corra) in cui agiscono, come in un teatrino di marionette, le sole Mani, in un atto-attimo, appunto dello stesso titolo; oppure i 'piedi', nell'atto Le basi, recitato sulla scena, a metà sipario abbassato, dalle sole gambe. C'è anche un film del comico M. Fabre, detto Robinet, dell'epoca futurista (1916), che si chiama appunto Amor pedestre, e che è una breve commedia 'da vedere', tutta giocata con i piedi. L. Buñuel, in un suo 'dramma sintetico', Hamlet (1927), fa innamorare il principe danese della 'parte superiore' di Letitia e Agrifonte della 'parte inferiore' del corpo. Il ruolo del corpo nell'evoluzione dello spettacolo è sottolineato da Marinetti nel Manifesto del teatro di varietà (1913), dove la 'fisicofollia' acquista valore in contrapposizione alla condannata 'psicologia'.
Le idee di Marinetti hanno influenzato anche il 'Laboratorio' della FEKS (Fabrika eksčentričeskogo aktëra, Fabbrica dell'attore eccentrico), nata a S. Pietroburgo nel 1921 per iniziativa di G.M. Kozincev, L.Z. Trauberg, S.I. Jutkevic e G. Kryzitskij, che sottolinea l'apporto nuovo che possono dare alla recitazione il circo, la danza, lo sport, il jazz. L'attore, 'movimento meccanizzato' - dice il loro manifesto-almanacco Ekstzentrism - non ha 'coturni' ma 'rotelle', non una 'maschera' ma un 'naso che si accende'. Nel cinema, specialmente in quello 'muto', il corpo era tutto, o quasi tutto, per l'assenza della parola, eventualmente sostituita dalla didascalia. Si può dire, anzi, che era la 'sola parola'. Ma nel cinema la 'parte per il tutto' ha preso anche maggiore impiego con il 'primissimo piano' (o close up), il 'primo piano' e il 'dettaglio' (per es. la mano del sacerdote in Cabiria di G. Pastrone, 1914). Si può citare ancora l'occhio tagliato di Un chien andalou di Buñuel (1929; Un cane andaluso), o il soggetto surrealista dello stesso Buñuel Allucinazioni attorno a una mano morta scritto nel 1944 per R. Florey (e P. Lorre), che poi Florey realizzò in Messico nel 1946 con il titolo The beast with five fingers (Il mistero delle cinque dita), dove un uomo è perseguitato dalla sua mano sinistra, mutilata, una mano-doppio, una mano-volto, il cui indice è il naso e la conca della palma è una mandibola senza denti. Minacciato dalla mano-doppio, atterrito, l'uomo la colpisce, accorgendosi di avere accoltellato la propria mano. Più significativo esempio è nella Passion de Jeanne d'Arc (1928; La passione di Giovanna d'Arco) di C.Th. Dreyer con i 'primi piani' dei giudici che conducono il processo e della Pulzella d'Orléans accusata di stregoneria. Più di recente, film significativi in questo senso sono: Nama-ye nazdik (1990; distribuito in Italia con il titolo Close up) dell'iraniano A. Kiarostami, in cui è rappresentato, ancora, un processo, con la 'camera' che inquadra costantemente i volti dei protagonisti, e Yon hua hao hao shuo (1997; distribuito in Italia con il titolo Keep cool) del cinese Z. Yimou. La ripetizione del corpo, intero, ma anche dei suoi frammenti, nel cinema (e poi nella televisione), il corpo dello stesso attore o attrice, assunto a star, anche con l'insistenza del 'bel volto' o del volto singolare, 'unico', crea, più che in ogni area di spettacolo, una forma costantemente ripresentata, che diventa mitica. Il corpo si è caricato di una forza magica particolare, diviene polo di attrazione di un campo magnetico, punto di arrivo di una rete di rapporti invisibili: e anche da qui nasce il fenomeno del 'divismo'.
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