Spettacolo
Il settore dello s. dal vivo, in Italia, è largamente dipendente dal finanziamento pubblico. Musica, lirica, teatro, danza e spettacoli circensi hanno avuto introiti complessivi stimati, per l'anno 2000, in circa 3800 miliardi di lire (Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000, 2004). Di tale cifra, il 72% è stata erogata dal settore pubblico e solo il 28% dai privati, sia sotto forma di spesa degli spettatori sia sotto forma di sponsorizzazioni e di mecenatismo. Da diversi anni il pubblico delle attività di s. ha la tendenza a rimanere stabile o a calare, a fronte di una crescita dell'offerta in termini di rappresentazioni o di posti a disposizione, nel caso del cinema, dove nel quinquennio 2000-2004 i biglietti sono aumentati dell'11%, mentre le giornate di rappresentazione del 37%.
Il finanziamento
In Italia, come in Europa, il settore non è in grado di sopravvivere sul mercato senza il contributo dello Stato centrale, delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Per il cinema, ovvero per lo s. riprodotto - da considerare come un'industria, sia pure di un prodotto atipico come i film, ciascuno dei quali costituisce un prototipo - il contributo pubblico è minoritario rispetto all'investimento dell'industria privata, ma resta decisivo, in molti Paesi europei oltre che in Italia, per realizzare prodotti come le opere prime e seconde o per attrarre produzioni dall'estero; in quest'ultimo caso, per es. in Gran Bretagna, avviene sotto forma d'incentivo fiscale. In Italia non sono mai stati introdotti modelli di tax shelter, vale a dire di detassazione, parziale o totale, dell'investimento nel cinema e nell'audiovisivo dal reddito imponibile. Tra i Paesi che hanno maggiormente utilizzato tali benefici fiscali vi sono quelli di lingua inglese, come Canada e Australia, il cui obiettivo è di far realizzare in loco le grandi produzioni di Hollywood, soprattutto nei momenti in cui il dollaro statunitense risulta sopravvalutato rispetto alle rispettive monete nazionali. Il sostegno diretto dei Paesi europei alla cinematografia, in particolare, è possibile grazie all'eccezione culturale ottenuta dall'Unione Europea, prima tra tutti la Francia, in sede di accordi internazionali sul commercio nell'ambito del WTO (World Trade Organization), a favore di un settore considerato centrale per le identità e le culture nazionali, esentato, quindi, dalle norme sulla libera circolazione delle merci. Se il film in futuro fosse considerato alla stregua di un mero prodotto sul mercato, la politica comunitaria, nazionale e regionale, dei sostegni ne risulterebbe drasticamente ridimensionata.
Vicende istituzionali
Un momento decisivo per la politica di finanziamento del settore dello s. si è avuto il 18 aprile 1993, quando sei milioni d'italiani, nel referendum proposto da alcune Regioni, hanno votato a favore dell'abrogazione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, istituito nel 1959. È così iniziata una controversia tra lo Stato centrale e le stesse Regioni per la gestione dei fondi destinati al settore: in particolare, hanno acuito la situazione di contrasto sia la l. 15 marzo 1997 nr. 59, nota come legge Bassanini, sul decentramento amministrativo, sia la l. cost. 18 ott. 2001 nr. 3, che, con le modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, ha stabilito la competenza concorrente di Stato ed enti locali sullo spettacolo. Tra gli effetti di tale conflitto va citata la mancata approvazione della legge sulle attività teatrali e musicali e la pronuncia della Corte costituzionale, con la sentenza nr. 285 del 2005, sulla riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, varata con il d. legisl. 22 genn. 2004 nr. 28. Tale decisione ha dichiarato incostituzionali, su ricorso delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna, ben 15 commi della normativa che non prevedevano l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni o il suo parere obbligatorio nelle procedure di finanziamento dei film. Con la stessa sentenza è stata anche assegnata alle Regioni la competenza esclusiva per l'apertura delle multisale cinematografiche con più di 1800 posti. La filosofia essenziale della nuova normativa resta quella di assicurare il proseguimento del sostegno pubblico al settore collegando l'erogazione dei contributi non solo alla qualità del prodotto, ma anche alla sua resa sul mercato e alla capacità commerciale dimostrata dal produttore.
È stato rilevato da molti studiosi e addetti ai lavori come gli enti locali abbiano permesso ai finanziamenti pubblici di crescere in termini reali, negli anni Novanta, a fronte del progressivo disimpegno dello Stato, senza alcuna trasparenza o controllo esterno, però, sulla destinazione dei relativi fondi. La legge impone, invece, al Ministero per i Beni e le Attività culturali di presentare al Parlamento ogni anno una relazione, anche se quest'ultima non è mai stata adeguatamente analizzata e valorizzata e di frequente non è stata neanche presa in considerazione da deputati e senatori. Per il cinema persistono ancora meccanismi repressivi della libertà di espressione, come la censura preventiva, sia pure rivista e aggiornata negli anni Novanta, o il riconoscimento di rilevanti poteri all'autorità di pubblica sicurezza. Nel 1998 la censura preventiva è stata abolita invece per il teatro.
Il disimpegno statale
Lo s., in seguito al referendum che ha abolito il Ministero del Turismo e dello Spettacolo, è stato inserito, dopo una fase transitoria di attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri, tra le competenze del Ministero per i Beni culturali e ambientali, istituito nel dicembre 1974. L'ipotesi, avanzata da molti operatori del settore, di creare un Ministero della Cultura cui affidare anche le competenze sulla televisione assegnate al Ministero delle Comunicazioni e quelle sull'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, non ha trovato seguito nella classe dirigente nazionale. Il compito principale dei ministeri che si sono succeduti nelle competenze, per quanto riguarda lo s., è stato quello di assegnare e ripartire il Fondo unico per lo spettacolo (FUS), creato dalla l. 163 (30 apr. 1985). La ripartizione che doveva essere determinata dalla legge è stata invece affidata, nel tempo, alla discrezionalità del ministro dei Beni culturali. Tale normativa contiene anche una forma di detassazione degli utili reinvestiti nel settore (fino al 70% del loro importo), circoscritta alle sole imprese che vi operano all'interno. Il FUS, secondo la l. 163, avrebbe dovuto essere rifinanziato ogni triennio in sede di legge finanziaria. Nella realtà il finanziamento è diventato annuale, eludendo la logica della sua definizione pluriennale, che era quella della rivalutazione dell'importo totale al tasso d'inflazione. Il Fondo, nei suoi primi 18 anni di vita, ha così perso il 30% del suo valore: volendo esemplificare, se nel 1985 lo Stato aveva assegnato risorse all'intero sistema dello s. per 100 lire, nel 2002 le lire assegnate risultavano essere 70, cioè 0,70 euro nel 2002 rispetto a 1 euro del 1985 (ISICULT 2002). In lire costanti riferite all'anno 2000, il monte delle risorse statali per lo s. è sceso dai 1346 miliardi di lire del 1985 ai 941 miliardi del 2002. Dal 2001 al 2005 il FUS ha perso 115 milioni di euro in valori correnti. Lo Stato italiano, del resto, dedica alle attività culturali lo 0,33% del PIL, mentre in Germania, Francia e Spagna si oscilla tra l'1,4 e l'1,5%. In Francia, gli investimenti pubblici nel cinema sono superiori, da soli, all'importo dell'intero FUS italiano destinato a tutte le attività di s., compresi i circhi equestri.
In questo scenario istituzionale, nel corso del decennio 1990-2000 lo Stato centrale ha ridotto il proprio contributo allo s. dal vivo del 28,6%, mentre sono cresciuti i contributi degli enti locali, in particolare quelli dei Comuni (+73%). Nell'anno 2000 i Comuni hanno investito nello s. una somma superiore a quella dello Stato, pari a oltre 1100 miliardi di lire, secondo stime prudenziali, con un incremento del 73% nell'intero decennio a cifre costanti.
Tale atteggiamento dello Stato si è mantenuto anche nei primi cinque anni del nuovo secolo. Al Teatro alla Scala di Milano, la più importante delle istituzioni liriche nazionali, dal 1999 al 2005 il contributo statale è sceso dal 53% al 41% del bilancio, per un corrispettivo di 44 milioni di euro per il 2004: l'Opéra national de Paris ha ricevuto, nello stesso anno, 94 milioni. Gli stanziamenti del FUS contenuti nelle leggi finanziarie approvate anno per anno dal Parlamento, in definitiva, hanno progressivamente ridotto l'impegno dell'amministrazione centrale nello s., sotto l'incalzare della necessità di ridurre la spesa pubblica. Va tenuto presente, inoltre, che le 13 fondazioni liriche operanti in Italia hanno assorbito il 48% dell'intero FUS nell'anno 2000. Negli anni Novanta queste fondazioni, attraverso lo strumento dei decreti legislativi (in particolare, il nr. 367 del 29 giugno 1996 e il nr. 134 del 23 apr. 1998), sono state trasformate da enti lirici (o assimilabili) in fondazioni di diritto privato. I soci privati possono avere un rappresentante nei consigli di amministrazione delle fondazioni se il loro apporto annuo, nel primo triennio, non risulta inferiore al 12% dei finanziamenti totali necessari alla gestione della fondazione; tuttavia, in particolare nelle Regioni centrali e meridionali, l'apporto dei privati è rimasto ben al di sotto di tale percentuale. Le Regioni e i Comuni hanno spesso dovuto farsi carico, quindi, non solo del ridotto apporto dello Stato centrale, ma anche di quello dei privati. Nel 1998 anche l'ente pubblico La Biennale di Venezia, dal quale dipende tra l'altro la Mostra del cinema, è divenuta per legge personalità giuridica di diritto privato.
La legge di Baumol e i privati
La lirica è una tra le manifestazioni della cosiddetta sindrome o legge di Baumol, secondo la quale, poiché gli incrementi di produttività sono impossibili e l'attività si compone quasi esclusivamente di lavoro, i costi aumentano in progressione. L'ascolto dal vivo di un quartetto di Mozart richiede ancora la presenza di quattro musicisti, quattro strumenti musicali uguali a quelli originari e una sala di dimensioni analoghe a quella del tempo, se si vuole garantire una buona acustica (Rapporto sull'economia delle arti e dello spettacolo in Italia, 1992). Del resto, non vi è Paese occidentale che non sostenga massicciamente il settore, a parte gli Stati Uniti, dove le fondazioni private elargiscono i maggiori finanziamenti.
Il 65% degli importi versati dalle aziende private, perlopiù fondazioni bancarie, va allo s., il resto ai beni culturali. Le fondazioni liriche sono le maggiori beneficiarie di tale importo defiscalizzato: dal Teatro alla Scala all'Arena di Verona, dall'Accademia nazionale di Santa Cecilia al Teatro La Fenice di Venezia. Tali contributi privati, però, non hanno superato, nel 2004, i 19 milioni di euro. La privatizzazione degli enti lirici, a fronte di un sovvenzionamento pubblico che resta maggioritario e decisivo, si traduce più che altro nell'applicazione della disciplina civilistica prevista per i soggetti privati ai teatri, che dovrebbe concretizzarsi in una gestione più efficiente degli stessi. Nonostante tali accorgimenti, dal 1999 al 2004, il Teatro alla Scala ha accumulato perdite per un totale di 41,5 milioni di euro e il Teatro del Maggio musicale fiorentino per 20,2 milioni di euro.
Quanto alla ripartizione dei fondi del FUS, il teatro e la danza - che dal 1997 ha acquisito dignità autonoma rispetto alle altre attività musicali - sono penalizzati rispetto alla musica, così come il cinema, al quale, secondo la legge del 1995, spetterebbe il 25% del FUS, percentuale scesa però al di sotto del 20% all'inizio del 21° secolo. Nella ripartizione della spesa statale vi è, inoltre, un forte squilibrio territoriale a favore del Centro-Nord e a scapito del Mezzogiorno; nel Sud, dove risiede il 35% della popolazione, lo Stato investe il 22% del FUS. Lo squilibrio si ritrova nella collocazione geografica dei luoghi di s.: il 52% dei teatri, per es., si trova nell'Italia settentrionale.
A livello di gestione regionale, le cinque Regioni a statuto speciale risultano essere quelle che investono maggiori risorse nello s.: la Sicilia, da sola, copre il 27% dei finanziamenti regionali complessivi. Tuttavia, tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec., la spesa delle Regioni ordinarie ha avuto un incremento (+54%) superiore a quello (+4%) delle Regioni a statuto speciale (Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000, 2004). Per contrastare parzialmente il disimpegno del contributo statale diretto, sono stati creati nuovi strumenti finanziari al di fuori del FUS, come, per es., i proventi dal Gioco del lotto e la riserva alla cultura del 5% degli investimenti nelle grandi infrastrutture, tramite la società ARCUS: in entrambi i casi, però, gran parte dei proventi sono destinati alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio archeologico e culturale più che allo spettacolo.
Un cenno, infine, ai finanziamenti comunitari, in particolare a quelli destinati al cinema: sia a livello dell'Unione Europea sia del Consiglio d'Europa, l'Italia risulta agli ultimi posti per i progetti finanziati, rispetto a Paesi come Francia e Spagna; fanno eccezione alcune coproduzioni bilaterali o multilaterali, appoggiate da più nazioni presso gli organismi comunitari.
Le città spettacolo
In ambito comunale, l'investimento nello s. dal vivo si coniuga a un fenomeno, riscontrabile anche in altri Paesi occidentali, che ha avuto, però, in Italia, con epicentro a Roma, uno sviluppo particolare. La metropoli è diventata il luogo, la piazza dello s., andando oltre i tradizionali luoghi della sua rappresentazione e del suo consumo. L'Estate romana, articolata in una pluralità di eventi, nello specifico è un 'caso' per molti versi ancora da analizzare. Nel suo ambito va ricordato soprattutto quell'evento che ha cambiato le modalità di consumo collettivo del prodotto d'intrattenimento, vale a dire la rassegna cinematografica di Massenzio, nata nell'estate del 1977 e allestita con un grande schermo posto nella navata centrale dell'omonima antica basilica. L'intento - peraltro riuscito - era quello di lanciare presso il grande pubblico cittadino ciò che i piccoli cineclub avevano sperimentato nel corso degli anni Settanta per un pubblico di cinefili e di addetti ai lavori (per es., una 'maratona' notturna dedicata a un singolo autore o a un genere particolare). L'Estate romana è diventata nel corso del tempo un fenomeno sempre più popolare: è passata da 1,2 milioni di spettatori del 1994 ai 5,7 milioni del 1999 (+375% in sei anni). Il suo tratto distintivo si può individuare nell'eliminazione delle barriere tra cultura 'alta' e cultura 'bassa', tra cultura di massa e cultura elitaria, prestando attenzione a tutte le forme espressive, talvolta ribaltando i parametri tradizionali di offerta e di domanda. Anche l'Opera allo Stadio olimpico, per es., ha contribuito ad avvicinare alla lirica un pubblico nuovo: sei rappresentazioni, nel 1998, hanno registrato una media di presenze di oltre 10.000 spettatori (ISICULT 2001). In tale fenomeno culturale e sociale si inscrive anche la 'messa in scena' del patrimonio urbano, per es. attraverso la proiezione di classici del cinema italiano nei luoghi (vie, piazze) dove i film vennero girati, allargando l'intervento al di fuori del centro storico, fino alle periferie.
Inoltre, dal settembre 2003, è stata istituita a Roma la Notte bianca, lanciata sull'esempio di Parigi e ripetuta da altre città italiane, come Napoli, dall'ottobre 2005, sull'onda del successo ottenuto nella capitale. Nel 2004 a Roma l'evento, o meglio il contenitore dei circa 500 eventi della Notte bianca, ha visto l'afflusso di oltre 2 milioni di visitatori, il coinvolgimento nel centro come nella periferia di circa mille artisti, di musei, cinema, teatri, istituti di cultura, gallerie d'arte, librerie, e di molti esercizi commerciali. Uno degli obiettivi della Notte bianca è quello di alimentare il turismo culturale anche nei mesi successivi all'avvenimento specifico, grazie alla sua risonanza attraverso i media, e di fare della città un luogo d'incontro di esperienze e culture diverse.
Il pubblico
La SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori), oltre alla sua funzione istituzionale di tutela del diritto d'autore, può assumere compiti specifici per conto dello Stato. Dopo l'abolizione dell'imposta sullo s., dal 1° gennaio 2000, il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha stipulato una nuova convenzione con la SIAE, affidandole compiti di vigilanza e di controllo sulle attività di s. e d'intrattenimento. In precedenza la spesa del pubblico e le statistiche relative erano calcolate solo sulle somme versate per assistere agli spettacoli, accertate sulle risultanze della relativa imposta. Per effetto della nuova normativa fiscale, dal 2000 le elaborazioni statistiche hanno subito alcune modifiche che comportano la loro non confrontabilità con gli anni precedenti.
Una delle principali caratteristiche dello s. italiano, dagli anni Settanta, sembra essere quella di una domanda che non riesce a crescere in misura uguale all'offerta, talvolta sovradimensionata dalle sovvenzioni pubbliche, con la sola eccezione della danza nella seconda metà degli anni Novanta, unico caso nel quale gli spettatori sono cresciuti in misura lievemente superiore alle rappresentazioni (Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000, 2004). La risposta degli operatori alla decurtazione del FUS, inoltre, è stata quella dell'aumento dei prezzi in misura superiore all'indice inflattivo, in particolare per l'opera lirica. Questa operazione, legittima a fronte del calo della domanda, non ha però contribuito a invertire tale tendenza. Nella seconda metà degli anni Novanta l'andamento degli introiti da biglietti venduti risultava stagnante (+5%), solo parzialmente compensato dall'aumento delle sponsorizzazioni private, in particolare per l'ingresso delle fondazioni bancarie, con un apporto, tuttavia, molto concentrato nelle regioni settentrionali. Il fenomeno, del resto, s'intreccia a quello della mancanza delle strutture destinate allo s., dal vivo o riprodotto, al Sud, anche in termini di sale inattive.
Così, dal 2000 al 2004, secondo i dati elaborati dalla SIAE, vi è stato un progressivo, leggero calo degli spettatori del teatro di prosa, a fronte di circa 10.000 rappresentazioni realizzate in più nel quinquennio. Nell'insieme delle attività teatrali e musicali, nello stesso periodo, si è assistito a un fenomeno analogo: è cresciuta l'offerta di spettacoli, ma si è ridotto il numero complessivo degli spettatori. In Italia il consumo del teatro e dei concerti di musica classica resta fortemente elitario, coinvolgendo, nel secondo caso, solo otto cittadini su cento secondo un'indagine dell'ISTAT compiuta nel 2002.
Dopo il grande e progressivo calo di pubblico verificatosi a partire dagli anni Settanta, con l'avvento della televisione commerciale e di altre forme d'intrattenimento domestico e non, il cinema si è stabilizzato intorno ai 100 milioni di biglietti venduti all'anno, mentre nel 1982 si era vicini ai 200 (195,3 milioni di biglietti venduti); tra i 100 film circa prodotti ogni anno, tuttavia, molti non riescono a trovare, per una serie di fattori, accesso al pubblico attraverso le sale cinematografiche, e restano quindi esclusi anche dalle altre modalità distributive, come l'home video e la pay-TV. Rispetto allo s. dal vivo, le dinamiche del rapporto tra domanda e offerta nel cinema risultano fortemente influenzate da due fattori.
Il primo è rappresentato dall'innovazione tecnologica, che ha moltiplicato le forme di consumo, legali e illegali, del film, dal DVD alla circolazione in Internet, che consente di memorizzarlo e archiviarlo, nonché, attraverso la rete telefonica collegata ai computer, scambiarlo in tutto il mondo. Il secondo fattore è costituito dalla profonda ristrutturazione dei luoghi del consumo collettivo, le sale, con l'avvento dei complessi multischermo, dei multiplex. Tendono progressivamente a scomparire quelle sale a un solo schermo, spesso collocate nei centri delle città, che sono stati i luoghi rituali del consumo cinematografico dal dopoguerra agli anni Ottanta, sostituite da grandi complessi collocati ai margini delle città e integrati in centri commerciali. L'aumento delle sale richiede la moltiplicazione delle copie necessarie a un film per raggiungere il pubblico cinematografico, a scapito, per ovvie ragioni di costi, dei piccoli e medi distributori. Le sale cittadine, per contrastare tale fenomeno, tendono a specializzarsi, privilegiando il prodotto d'autore e quello di cinematografie emergenti come la cinese e l'indiana. I film di Hollywood, che raccolgono la maggioranza del pubblico in tutti i mercati occidentali, a loro volta, diventano sempre più appannaggio dei multiplex.
Rispetto all'Italia, la Francia, all'interno della sua vigorosa politica in difesa dell'identità nazionale, riesce a mantenere un livello di frequenza nelle sale maggiore di quello italiano e ad avere una quota di mercato rilevante per i film nazionali. Nel mercato italiano, del resto, l'avvento dei multiplex è avvenuto in ritardo rispetto a Francia e Gran Bretagna e con un'eccessiva concentrazione intorno alle maggiori metropoli, lasciando senza cinema diversi centri medio-piccoli. Dall'inizio degli anni Novanta si è parlato di 'desertificazione' di alcune città per l'assenza di cinema. Nel 1992 Isernia e Caserta, per es., non avevano spettatori. In alcuni casi i multiplex hanno riportato il cinema in luoghi dai quali era scomparso da anni. Secondo i dati della SIAE, il numero di rappresentazioni di ciascun film è aumentato dalle 799.000 nel 2000 a più di un milione nel 2003. Nel 2000 sono stati venduti 100 milioni di biglietti, 105 milioni nel 2003: si è quindi ridotta la redditività di ciascuna rappresentazione e dei posti disponibili.
L'evoluzione digitale
Lo s. è entrato nell'era della sua riproducibilità tecnica digitale. L'evoluzione contemporanea delle reti di comunicazione, degli apparati di ripresa e riproduzione delle immagini e dei modelli di business hanno avuto un notevole impatto sull'intero settore, soprattutto sul cinema, ma anche, per es., sui concerti dal vivo e la musica registrata. Appare opportuno ricordare che nel 1997 è stato introdotto il principio dell'equo compenso a favore degli autori di opere cinematografiche per ogni loro utilizzazione via etere, cavo o satellite. Si moltiplica la possibilità, che viene offerta già dalla diffusione dei videoregistratori, di accedere a distanza a un evento, abbattendo le barriere spazio-temporali, consumandolo a casa e cedendolo ad altre persone. Tale opportunità di aumentare il pubblico e i relativi introiti s'intreccia al rischio, ancor più elevato e incombente, di una riproduzione e di un consumo illegale dell'opera, sottraendo risorse allo Stato, alle imprese e agli autori. La pirateria, tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec., ha assunto in tutto il mondo una dimensione economica e organizzativa che richiede sempre maggiori investimenti, anche in termini di cooperazione internazionale, agli Stati e agli organismi incaricati di tutelare i diritti di autori e produttori. In Italia sono state approvate normative più severe sia verso chi acquista materiale illecito - e non solo verso chi lo vende -, sia verso chi riproduce le opere in modo illegale attraverso il proprio computer collegato a Internet. Il danno che la pirateria infligge agli introiti del cinema americano, nel mondo, è stato stimato nel 2005 tra i 4 e i 5 miliardi di dollari.
La sala cinematografica, in ogni caso, rimane il luogo deputato a stabilire il successo o meno di un prodotto e a determinare, di conseguenza, il suo valore e il suo prezzo nei canali distributivi a valle dell'esercizio, dalla televisione a pagamento al DVD.
bibliografia
Rapporto sull'economia delle arti e dello spettacolo in Italia, a cura di G. Brosio, W. Santagata, Torino 1992.
ISICULT (Istituto Italiano per l'Industria Culturale), Oltre l'estate romana, Roma 2001.
ISICULT, Primo rapporto annuale sulla cultura in Italia, Roma 2002; SIAE, Il quaderno dello spettacolo in Italia. Statistiche 2000 e 2001, Roma 2002.
Rapporto sull'economia della cultura in Italia 1990-2000, a cura di C. Bodo, C. Spada, Bologna 2004.