SPEZIE
. Premesso che sotto questo termine si debbano intendere, in linea generale, gli aromi (v.), si può dire che di spezie gli uomini fecero uso fino dalla più alta antichità: non soltanto per rendere più gustosi i loro cibi, ma anche per fare più efficaci e gradevoli i loro medicamenti e le molte sostanze destinate all'abbellimento del corpo, e anche per onorare con la grazia del profumo le loro divinità. E così intenso fu sempre tra gli uomini il gusto delle spezie che non ci si contentò di quelle che le rispettive regioni spontaneamente offrivano, ma si desiderò di procurarsi anche quelle di lontane contrade, pure a costo di spese favolose e di rischi senza numero. Di modo che venne ben presto sviluppandosi un commercio di spezie, che assunse in certi periodi proporzioni notevolissime, occupando un ingente numero di carovanieri, naviganti, rivenditori, e attirando su di sé l'attenzione dello stato per l'imposizione di tasse, il regolamento dei prezzi, la sorveglianza.
Antichità. - Per quanto riguarda i popoli classici del Mediterraneo, i Greci e i Latini, le spezie più ambite venivano ad essi dalle regioni lontane dell'Asia, dall'India e perfino dalla Cina, attraverso la mediazione dei Fenici e degli Arabi. Del resto, in tempi molto più antichi, quelle medesime regioni dell'Oriente avevano alimentato il lusso della Babilonia, dell'Assiria e dell'Egitto, sebbene anche queste contrade non fossero prive di sostanze odorose. Grandissima quantità e varietà di spezie, quasi tutte appartenenti al regno vegetale e di origine più o meno peregrina, vennero usate dai cuochi, e soprattutto da quelli dell'età imperiale: anice, coriandoli, comino, pepe, capperi, origano, timo, maggiorana, salvia, zafferano e molte altre, oltre il famoso silfio, prodotto dalla fertile terra di Cirene. E non soltanto i cibi, ma anche le bevande, e fra queste soprattutto il vino, venivano condite dai Greci e dai Latini con l'aggiunta di spezie indigene (mirto, timo, finocchio, ecc.) e anche provenienti dall'Asia lontana (mirra, cassia, zimetto, ecc.). Molte spezie usate nella cucina, entravano anche nella farmacia. Così i ricettarî dei medici antichi ci parlano spesso dell'indico pepe, della mirra, dello zafferano, e altre. Un uso larghissimo, poi, trovarono le spezie nella cosmetica, per la preparazione di unguenti, pomate, lozioni, pastiglie odorose; dal tempo degli antichi Babilonesi ed Egizî fino all'epoca imperiale romana. Infine le spezie furono largamente adoperate nel culto, e non solo in quello degli dei, ma anche in quello dei morti. Così, mentre gli altari degli dei fumavano d'incensi e le vittime bruciavano su fuochi di legna odorose e si effondevano sugli oggetti sacri e sulle stesse statue dei numi olî profumati, anche i morti ricevevano, col doppio scopo di purificazione e di onore, un tributo di aromi: basti ricordare, per gli Egizî, i complicati processi dell'imbalsamazione. Alcune spezie, poi, furono usate per preparare veleni e filtri magici, specialmente amorosi.
Medioevo ed età moderna. - Fino dal sec. VII le spezie figurano, accanto al papiro e ai tessuti di lusso, fra i prodotti che i mercanti orientali, Siriaci ed Ebrei, portavano per mare a Marsiglia e diffondevano di là nel regno dei Merovingi e in altre regioni dell'Europa nordoccidentale. Nello stesso tempo, fra i dazî che i mercanti di Comacchio, risalendo il Po con le loro barche, dovevano pagare in natura ai funzionarî del re longobardo, distribuiti lungo il fiume e i suoi affluenti, nella prossimità dei centri urbani, figurava, oltre al sale, all'olio e a pochi altri prodotti, anche il pepe. I Veneziani, rivali e poi continuatori dei mercanti di Comacchio, dovevano esercitare lo stesso commercio per lo meno dal principio del sec. IX. Il mercato dei pallia e dei pigmenta si teneva nelle vicinanze di Pavia.
Esercitato dunque attivamente già nell'alto Medioevo da tutte le città d'Italia e della Provenza, che avevano rapporti frequenti col mondo bizantino e arabo, il commercio delle spezie, come tutto il commercio orientale, assunse un'intensità di gran lunga maggiore dopo le prime Crociate e dopo la fondazione delle colonie latine nei paesi di Levante. Se quantitativamente le spezie furono senza dubbio superate da altri prodotti orientali, come lo zucchero o come il cotone e la seta, sia greggi sia lavorati, esse conservarono per lungo tempo il primo posto per il valore e per la possibilità dei più alti profitti.
Fra le varie merci del grande commercio internazionale le spezie presentavano, per il numero relativamente piccolo di mercanti che potevano assicurarsene il rifornimento, il vantaggio di potere contare quasi costantemente sopra una domanda superiore all'offerta e perciò su prezzi, ch'essi non potevano fissare arbitrariamente, ma che erano - in generale - altamente rimunerativi.
La domanda, per i periodi in cui possiamo seguirla un po' da vicino, si presenta non solo molto alta, ma in sensibile aumento. Dati quantitativi precisi, almeno prima del Cinquecento non è possibile offrirne: e quelli che si è tentato di dare sono indubbiamente esagerati. Quando, ad esempio, si è affermato che Venezia, verso la metà del Quattrocento, acquistava dal solo porto di Alessandria 2100 tonnellate di pepe all'anno, si cade in un errore evidente, elevando arbitrariamente il numero delle galere destinate a quel viaggio (che in realtà si limitava a quattro soltanto, a cui nei soli anni di eccezionale abbondanza si aggiungevano alcune navi disarmate e le cosiddette galere del traffico, che toccavano i principali porti di Barberia), e supponendo, contrariamente alla verità, che il carico di ritorno fosse costituito nella quasi totalità dal pepe. Ma se quelle cifre devono essere fortemente ridotte, è certo tuttavia che l'importazione da Alessandria doveva essere molto alta, e che ad essa si devono aggiungere le spezie che in quantità considerevole s'importavano dai porti della Siria, specialmente da Beirut e, prima della conquista turca, dai porti del Mar Nero, in prima linea da Trebisonda e dalla Tana. Vediamo, ad es., che appunto a Trebisonda tutto il carico di spezie portato da una carovana è acquistato, verso la metà del Trecento, da un solo mercante veneziano, in rappresentanza, certamente, degli altri concittadini che frequentavano quel porto. Se calcoliamo, con molta prudenza, che, in valore, una metà del carico portato a Venezia dalle galere, che facevano i viaggi periodici ai porti di Levante, fosse costituito appunto dalle spezie, non andremo molto lontani dal vero supponendo che in media, nei secoli XIV e XV, le somme impiegate in quegli acquisti si avvicinassero al milione di ducati (circa ½ milione di lire sterline-oro). A Venezia si aggiungevano poi, tra gl'intermediarî di questo commercio fra Oriente e Occidente, Genova, Pisa e altri porti minori italiani, i porti della Provenza, della Linguadoca, della Catalogna, e anche alcune città dell'interno, in prima linea Firenze, dove anche prima della conquista di Pisa alcuni fra i maggiori mercanti-banchieri facevano direttamente grossi acquisti di spezie sui mercati di Levante.
La domanda di quei prodotti era allora - relativamente - assai più alta che ai giorni nostri, per il posto straordinariamente importante che era loro assegnato sia in cucina sia nella terapia. I trattati di medicina e i ricettarî di quei tempi dedicano tutti alcune pagine a decantare le "virtù" delle spezie più in uso nella cucina, il modo di prepararle, di usarle, di conservarle. Il pepe e lo zenzero in primissima linea erano raccomandati per il loro alto potere calorifico: e per ciò la loro richiesta cresce rapidamente e in misura altissima a mano a mano che le correnti del commercio internazionale si estendono sempre più nei paesi a nord delle Alpi, nei quali anche l'uso e l'abuso delle bevande alcooliche sono assai più diffusi nelle classi sociali più elevate e determinano una preferenza anche più decisa per i cibi fortemente drogati. A Venezia e a Genova i mercanti tedeschi erano attratti più che tutto dalla certezza di trovarvi in abbondanza questi prodotti tanto ricercati nei loro paesi. Dal secolo XIII in poi i Tedeschi diventano in questo campo i migliori clienti dei grandi mercanti italiani, che sono ormai certi di potere collocare presso di essi più della metà e spesso anzi poco meno della totalità delle spezie importate.
D'altra parte il pericolo che l'aumento della domanda potesse provocare un più rapido e intenso incremento dell'offerta, era escluso dalla natura stessa di questo commercio: in primo luogo dalla limitazione e dalla grande distanza dei centri di produzione, situati quasi esclusivamente nelle Indie, nell'arcipelago malese, nella Cina meridionale, in località in cui solo eccezionalmente si spingevano dall'Occidente i missionarî e qualche mercante più audace, e sempre per via di terra. Di regola le spezie erano portate da mercanti malesi e arabi per via di mare ai porti del Golfo Persico o del Mar Rosso, e da questi da carovane, anch'esse di Arabi, ad Alessandria o ai porti della Siria e dell'Asia Minore, oppure per via di terra attraverso la Persia e il Turkestān ai porti del Mar Nero e ai mercati russi. Le differenze spesso assai forti delle spese di trasporto tra l'una e l'altra via, erano molte volte compensate dalla maggiore elevatezza dei dazî, con cui il sovrano del luogo cercava di trar profitto del vantaggio naturale, come avveniva, ad es., per la via di Alessandria che era di gran lunga la più favorevole.
Non manca tuttavia l'elemento aleatorio, determinato dall'esito dei raccolti e dalla situazione politica nel retroterra dei porti di Levante, da cui derivavano variazioni molto sensibili nella frequenza e nell'intensità del commercio carovaniero, come pure, d'altro lato, dalla concorrenza maggiore o minore che le grandi città mercantili d'Italia e del Mediterraneo occidentale si facevano fra loro. Perciò non mancano le oscillazioni dei prezzi a cui i grandi mercanti prestano un'attenzione vivissima, indice anch'essa dell'importanza che si assegnava a questo commercio. Non vi è si può dire lettera commerciale indirizzata nel Trecento o Quattrocento alla casa madre da fattori o soci residenti in qualche città del Levante, la quale non si chiuda con un listino dei prezzi correnti e questo listino si limita quasi esclusivamente alle varietà più diffuse di spezie. A queste informazioni private, di provenienza orientale, fa riscontro l'uso introdotto, per lo meno a Venezia nel Quattrocento, di diffondere ogni giorno in molte copie delle piccole cedole, contenenti i prezzi medî delle spezie sul mercato di Rialto.
D'altra parte, l'importanza di questo commercio è dimostrata dal fatto che esso non era esercitato, se non in via del tutto eccezionale, dagli speziali, ma era riservato ai grandi mercanti-banchieri, specializzati nel commercio d'importazione e di esportazione; che le spezie, anche in tempi relativamente vicini, seguitarono talvolta ad essere usate come mezzo di pagamento; e che per il loro commercio di piazza all'ingrosso vigevano norme speciali, che dovevano garantire una più sincera formazione dei prezzi: vigeva cioè il sistema dell'incanto, che troveremo ancora ad Amsterdam nel sec. XVII, e che a Rialto si effettuava nella forma di offerte segrete sussurrate all'orecchio di una categoria apposita di sensali, i cosiddetti messeti del pepe, di nomina statale.
Questo commercio così ricco e ambito, che aveva costituito nel sec. XV lo stimolo più forte alla ricerca della via marittima per le Indie, subì una trasformazione profonda, se non ancora completa, in seguito al viaggio di Vasco da Gama e alla fondazione delle colonie portoghesi sulle coste dell'India. Una delle prime cure del fortunato esploratore era stata, infatti, quella di stipulare con i sultani di Cochin e Cananor un trattato, che assicurava ai mercanti portoghesi il carico di ritorno nelle varietà più pregiate di spezie, ne fissava i prezzi di acquisto e il modo di pagamento (¾ in contanti e ¼ in merci), stabilendo anche i prezzi, molto vantaggiosi, a cui le poche merci europee (rame, mercurio, piombo, coralli) sarebbero state conteggiate negli scambî. Dalle notizie preziose che, fino dal 1506, l'ambasciatore veneto Querini forniva nella sua relazione al senato, si rivela il profondo distacco tra i prezzi di acquisto nell'India e i prezzi di vendita a Lisbona, che per il pepe sarebbe stato nel rapporto di 3 : 22; per lo zenzero di ¾ :19; per la cannella 3½ : 25; per i chiodi di garofano 7½ : 60; per le noci moscate 4 : 300; per la canfora 2¾ : 100. Calcolato che il carico medio delle navi destinate al trasporto delle sole spezie variava in quegli anni, sempre secondo il Querini, da 25.000 a 30.000 cantari (da 1300 a 1800 tonnellate), e che di esso due terzi era costituito da pepe, si arriva alla conclusione che tutte le spezie acquistate nell'India per meno di 100.000 ducati fossero rivendute a Lisbona per poco meno di 1 milione.
Ma, se per i privati che nei primi tempi partecipavano liberamente a questo commercio, assegnando soltanto alla corona una quota assai alta (il 30%) del carico di ritorno, i profitti poterono essere altissimi, arrivando in alcuni casi al 250% del capitale impiegato, sullo stato gravavano invece le spese fortissime di carattere politico e militare e i rischi di guerra, per cui assai presto la corona finì per riservarsi il monopolio dapprima del pepe, e poi di tutte le spezie, creando per lo smercio di una gran parte di esse una propria fattoria, importantissima, ad Anversa. Ma se in tal modo il grande porto della Schelda divenne il massimo mercato europeo delle spezie, il regime di monopolio e gli alti prezzi che ne derivarono permisero ai porti del Mediterianeo, e in particolare a Venezia, di non interrompere completamente una corrente di traffici che era stata per tanto tempo la massima attrattiva dei loro mercati.
Le carovane, che dal Mar Rosso o dal Golfo Persico, arrivavano al Cairo, ad Alessandria, a Damasco, continuarono, almeno in alcuni periodi del Cinquecento, a trasportare carichi abbastanza ricchi di spezie, e i mercanti occidentali ebbero, se non sempre, in molte occasioni la convenienza di acquistarli. Ma lo stato di lotta ancor più frequente e più grave nei mari di Levante e la conquista turca dell'Egitto resero quel commercio sempre più difficile, e in casi frequenti impossibile; finché l'affermazione della grande potenza marittima degli Olandesi, le loro conquiste coloniali nell'Arcipelago Malese e la loro penetrazione nel Mediterraneo, finirono per dare il colpo di grazia alla vecchia corrente dei traffici fra Oriente e Occidente. Quando le prime navi olandesi portano a Venezia le spezie delle Molucche, di Ceylan e dell'India; quando questi prodotti sono classificati dalle dogane veneziane fra le provenienze di Ponente, risulta evidente che la situazione si è ormai letteralmente capovolta. Batavia e Amsterdam diventano i due mercati estremi della nuova corrente del traffico delle spezie; e gli Olandesi godono non solo del vantaggio enorme dell'esclusivo dominio sull'uno e sull'altro, ma di esercitare la sovranità incontrastata su molti dei territorî che producono alcune delle qualità più apprezzate e di poterne così regolare la produzione a seconda della richiesta.
Ma in quello stesso sec. XVII che vede gli Europei in veste di dominatori nei centri di produzione delle spezie, queste cominciano a poco a poco a perdere, in senso relativo e forse anche assoluto, quella posizione di predominio che avevano avuto nel grande traffico internazionale fra paesi tropicali e temperati. L'ascesa continua e rapidissima nella produzione e nel consumo dello zucchero, e dietro ad essa - sebbene a grande distanza - quella del cacao, del caffè, delle materie tintorie, e finalmente delle materie tessili e dei legni preziosi, finisce per assegnare alle spezie una posizione sempre più secondaria nello stesso commercio coloniale. Finalmente, la trasformazione che all'avvicinarsi dell'età contemporanea si viene compiendo nella cucina e nei metodi terapeutici, diminuisce probabilmente, anche in cifre assolute, la richiesta di questi prodotti stimolanti e irritanti.
Bibl.: Per l'antichità fonti principali sono Dioscuride e Plinio; v. inoltre: H. Blümmer, Die römischen Privataltertümer, Monaco 1911, pag. 168 segg.; A. Schmidt, Drogen und Drogenhandel im Altertum, Lipsia 1924. Per il Medioevo e l'età moderna, v.: G. Heyd, Storia del commercio di Levante (in Bibl. dell'Economista, serie 5ª, X); A. Schaube, Storia del commercio dei paesi latini del Mediterraneo fino alle Crociate (ibid., s. 5ª, XI); R. Ciasca, L'arte dei medici e speziali nella storia e nel commercio fiorentino, Firenze 1927; H. Pirenne, Les villes du moyen âge, Bruxelles 1927; G. Luzzatto, Storia economica dell'età moderna e contemporanea, parte 1ª, Padova 1922.