SPINELLO ARETINO
Pittore originario di Arezzo, attivo in Toscana tra la fine del Trecento e il primo decennio del secolo successivo.Numerosi documenti soccorrono nella ricostruzione della biografia dell'artista, che discendeva da una famiglia di orafi aretini, quali erano il nonno Spinello e il padre Luca. Suo fratello Niccolò scultore partecipò al celebre concorso del 1401 per la porta del battistero fiorentino, mentre il figlio di S., Parri, proseguì con discreto successo l'attività del padre.Diverse interpretazioni di documenti (Pasqui, 1917; Procacci, 1927-1928) riconducono la data di nascita di S. agli anni tra il 1346/1347 e il 1350/1352. Un atto di acquisto del 1373, stipulato ad Arezzo, attesta per la prima volta Spinello pictore, mentre due anni dopo un secondo atto documenta la commissione della locale Confraternita di s. Maria per la decorazione di una cappella per la pieve omonima, opera oggi perduta (Gamurrini, 1917). Una precoce attività fuori del territorio aretino è documentata da un'allogazione del 1384, rogata a Lucca (Procacci, 1928-1929), nella quale il priore olivetano del monastero di S. Maria Nova di Roma commissionava a S., insieme a Simone intagliatore e a Gabriello doratore, un trittico uguale a quello già realizzato dagli stessi artefici per la locale chiesa abbaziale di S. Ponziano. L'esistenza di quest'ultima opera e un passo dello stesso documento che ricorda i tre come habitatores civitatis Lucane fanno ipotizzare il trasferimento in questa città del pittore - dove quindi realizzò almeno due polittici - negli anni 1383-1385.Nel 1386 S. risulta iscritto all'Arte dei medici e speziali di Firenze (Frey, 1885, p. 324), seppure un atto notarile aretino dello stesso anno, in cui è citato come testimone, indichi la sua presenza nella città di origine, con cui dovette mantenere sempre stretti legami. L'intensa attività del pittore nella città fiorentina è documentata, già nel settembre del 1387, con i disegni di due figure di apostoli, realizzati per la decorazione scultorea del duomo (Il duomo di Firenze, 1909, p. 10). I numerosi impegni dovettero trattenere alcuni anni l'artista a Firenze, tuttavia nel febbraio del 1390 egli risulta già al lavoro sui ponteggi del Camposanto pisano, per realizzare la raffigurazione delle Storie dei ss. Efisio e Potito (Tanfani Centofanti, 1897, pp. 461-463).In seguito S. divise la sua sempre più fiorente attività tra Firenze e Arezzo, città quest'ultima dove è nuovamente documentata la sua presenza già nel 1392 (Degli Azzi, 1930, p. 216) e in cui dovette fare ritorno da artista celebre e ricco, come testimoniano i numerosi atti che quasi ininterrottamente lo documentano dal 1395 al 1410 (Pasqui, 1917, pp. 65-66). La prima opera di questo secondo periodo aretino è documentata nel 1395-1396 da alcuni affreschi che decoravano il palazzo della locale Fraternita dei laici (Pasqui, 1917, p. 65), ma la presenza del pittore ad Arezzo non dovette determinare una diminuzione degli impegni con Firenze; infatti, nel 1399, la badessa del monastero fiorentino di S. Felicita commissionava a S. una tavola che sarebbe stata realizzata nel 1401 (Firenze, Gall. dell'Accademia).L'incessante attività della bottega di S., nella quale ormai era anche attivo il figlio Parri, è inoltre attestata agli inizi del nuovo secolo. Oltre a lavorare sull'asse Arezzo-Firenze, S. iniziò nel 1404 una prestigiosa collaborazione con Siena, dapprima per l'Opera del duomo (Milanesi, 1854, pp. 18-19), poi, nel 1407, per il Comune, per la decorazione della sala di Balía del Palazzo Pubblico (Milanesi, 1854, pp. 32-33), e infine nel 1408 con la decorazione della cappella dedicata a s. Ansano, nel duomo. Il 14 marzo 1411 S. veniva sepolto nella distrutta chiesa aretina di S. Marco (Pasqui, 1917, pp. 63-64).La notorietà e l'importanza della figura di S. nella storia della pittura toscana vennero riconosciute fin da Vasari, il quale redasse la vita dell'artista conterraneo (Le Vite, II, 1967, pp. 277-284), così come del figlio Parri (ivi, pp. 285-288), fornendo numerose notizie, seppure con talune inesattezze. La copiosa produzione attribuita da Vasari a S. testimonia come fin dal Cinquecento fosse nota la presenza dell'artista in numerosi centri della Toscana. Tuttavia le ammirate parole del biografo aretino non sortirono nella storiografia moderna un rilevato interesse per l'artista, che venne inizialmente relegato nella pletora degli epigoni fiorentini della lezione orcagnesca (Venturi, 1907), con l'eccezione di Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1883, II, p. 434ss.). L'unico contributo monografico sul pittore (Gombosi, 1926) non riuscì a recuperare appieno la portata storica della sua attività e soltanto Toesca (1951, pp. 648-653) seppe dare avvio a una coerente analisi sugli aspetti innovativi della produzione pittorica di S., collocando l'artista in una posizione di primo piano nel panorama della pittura fiorentina alle soglie della civiltà tardogotica e come personalità fondamentale della formazione di Lorenzo Monaco.Longhi (1960) individuò nella produzione scultorea di Andrea Pisano uno dei riferimenti maggiori per S., ricordando in un successivo intervento, a maggiore sostegno di questa ipotesi, la discendenza del pittore da una stirpe di orafi (Longhi, 1965, p. 52). In seguito a questa affermazione, che legava strettamente S. alle origini più nobili della cultura artistica fiorentina del secolo, prendeva corpo anche un inedito interesse filologico per la pittura aretina del Trecento, che svelava fatti e personalità, non a caso definiti prespinelleschi, intorno ai quali si consideravano le origini e la formazione possibili del pittore. È stata così individuata e precisata una serie di avvenimenti pittorici riferiti ad Andrea di Nerio e ai due pittori denominati Maestro del Vescovado e Maestro della Pieve di Sietina, che da taluni vengono riuniti come prodotti dell'attività giovanile del primo, mentre da Boskovits (1975, pp. 141-142) separati ma tuttavia costituenti insieme il riferimento formativo per Spinello. Fu attraverso un apprendistato esercitato nella città natale quindi che S. conobbe e approfondì legami con la cultura fiorentina degli anni trenta e in particolare con l'esperienza di Maso di Banco (Volpe, 1979, p. 32).Secondo parte della critica, la prima opera da attribuire al pittore è l'Annunciazione della chiesa dell'Annunziata di Arezzo. L'affresco decorava in origine un piccolo oratorio del 1348 dell'omonima Compagnia, che poi è stato incorporato nell'od. edificio. Tale attribuzione, avanzata per la prima volta da Gombosi (1926), è stata più volte ribadita anche dalla critica recente (Maetzke, 1986), sebbene Boskovits (1975) abbia assegnato l'affresco al Maestro della Pieve di Sietina, nella cui bottega viene contestualmente indicata la formazione di S., e Volpe (1979) lo riferisca ad Andrea di Nerio. Unanimemente attribuiti a S. risultano invece l'affresco realizzato per la sepoltura di Clemente Pucci nella chiesa di S. Agostino (Arezzo, Mus. Diocesano) - che con la data della lapide del 1377 rappresenta il primo riferimento cronologico dell'attività di S. - e altre decorazioni della chiesa di S. Francesco, raffiguranti il Battesimo di Cristo e il Matrimonio mistico di s. Caterina. Intorno al 1380 è possibile annotare una diversa sensibilità cromatica, che, pur assecondando la consistenza dei volumi delle figure, indica una "delle prime manifestazioni di uno svolgimento tardogotico" (Boskovits, 1975, p. 143): così le Storie di s. Cristoforo e l'Annunciazione nella chiesa di S. Domenico e le scene dell'Infanzia di Cristo (Arezzo, Mus. Diocesano), ricordate da Vasari (Donati, 1967), nella chiesa di S. Lorenzo. All'attività giovanile di S. sono anche riferibili una Natività (Bellosi, 1965, p. 23) e le tavolette di un polittico, disperso e parzialmente ricostruito (Londra, Agnew Coll.; New York, Hispanic Society of America; Boskovits, 1966).È ipotizzabile che agli inizi degli anni ottanta S. fosse a Lucca, come indicano i dati documentari relativi a due polittici ivi commissionati e come si evince dalle cronache politiche aretine, che riferiscono di gravi turbolenze e di uno stato di generale abbandono della città, fatto che assai probabilmente determinò nel pittore la necessità di un trasferimento. Già Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 285) dava notizia di un polittico, conservato nel monastero di Monte Oliveto Maggiore, recante la data del 1385, firmato dal pittore. Questo era stato prodotto per volontà del priore dell'abbazia di S. Maria Nova di Roma e doveva costituire una replica rispetto a quello già realizzato per il monastero lucchese di S. Ponziano l'anno precedente. Un lungo e paziente lavoro filologico ha consentito il rinvenimento delle singole parti dei due polittici smembrati e divisi in numerose collezioni. La parte centrale del polittico di S. Ponziano è stata individuata nella Madonna con il Bambino e angeli di Cambridge (MA; Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.; Gonzalez-Palacios, 1965, p. 45), mentre i laterali in due tavole di San Pietroburgo (Ermitage; Bellosi, 1965, p. 25), raffiguranti il santo eponimo e S. Benedetto; in tre scomparti di predella conservati a Parma (Gall. Naz.; Gonzalez-Palacios, 1965, p. 45) sono infine state rinvenute le altre parti dell'opera. Per il polittico di Monte Oliveto Maggiore sono stati ritrovati soltanto i santi laterali con le relative storie delle predelle, divisi tra Budapest (Szépmuvészeti Múz.), Cambridge (MA; Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.), New York (Metropolitan Mus. of Art) e Siena (Pinacoteca Naz.).Ancora al periodo lucchese sono state riferite due coppie di santi, conservate a Parma (Gall. Naz.), e molto probabilmente eseguite per la stessa chiesa lucchese di S. Ponziano (Gonzalez-Palacios, 1965, p. 47). La permanenza a Lucca di S. nel primo lustro del nono decennio del Trecento è così giustificata da tre importanti opere, nelle quali è stata sottolineata la presenza di alcuni caratteri stilistici che avevano fatto ipotizzare una conoscenza dell'importante decorazione del Camposanto pisano prima della documentata attività di S. in quel luogo. Una Madonna in trono con il Bambino, sicuramente attribuita a S. (Stoccarda, coll. privata) - recante iscritta l'indicazione del committente, il capomagistro dell'Opera del duomo di Pisa, Puccio di Landuccio che fu in carica dal 1369 al 1389 -, costituisce la parte centrale di un polittico i cui laterali sono stati riconosciuti in diverse collezioni (Volpe, 1979, p. 29ss.) e consente di avanzare l'ipotesi che anche quest'opera sia stata eseguita a Lucca, essendo anzi probabilmente la prima di questa fase dell'attività del pittore; egli nel ricevimento della commissione dovette presumibilmente recarsi a Pisa e osservare le rilevanti novità da poco espresse sulle pareti del Camposanto pisano, subito riscontrabili nelle opere di questi anni.Concluso il periodo lucchese, S. ebbe modo di stabilirsi a Firenze già prima del 1386. È verosimile che l'importante tramite di questo nuovo trasferimento fosse ancora l'Ordine olivetano. Infatti nella chiesa fiorentina dello stesso Ordine, S. Miniato al Monte, fu deciso di rappresentare il più vasto programma decorativo raffigurante la storia della Vita di s. Benedetto, mai eseguito in Toscana, a cui diede particolare impulso Benedetto degli Alberti, il quale nel luglio del 1387 stabilì, attraverso un codicillo testamentario (Passerini, 1869, II, p. 193), la volontà di completare la decorazione di quell'ambiente in tutte le sue parti. Quest'opera - riconosciuta da tutte le fonti come di S. - fece del pittore una personalità di spicco nell'incerto panorama culturale della pittura fiorentina coeva, dove venne chiamato l'anno successivo a partecipare al cantiere della facciata del duomo. Il ciclo di S. Miniato al Monte è il più importante recupero della cultura pittorica fiorentina degli anni trenta, poiché ogni aspetto figurativo, dalla spartizione spaziale alla consistenza volumetrica fino all'arcaicità del gesto bloccato, è rivolto alle radici della tradizione giottesca, espressa da Maso di Banco e Taddeo Gaddi.Solo di recente è stata riconosciuta di questi anni di attività di S. (ante 1389) la decorazione della cappella Bartolini Salimbeni nella chiesa di Santa Trinita a Firenze (De Benedictis, 1984), ricordata anche da Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 278-279), che venne fatta oggetto di uno dei primi tentativi di distacco, malamente eseguito, intorno ai primi anni del Quattrocento, da Lorenzo Monaco, che poi realizzò intorno al 1422 i nuovi affreschi della cappella. La maggiore impresa di questo periodo è la decorazione del Camposanto pisano, con le Storie dei ss. Efisio e Potito (1391-1392), dove S. studiò ancora una volta le pitture del Trionfo della morte e quelle da poco realizzate da Antonio Veneziano. Mantenendo gli assunti fondamentali della precedente produzione fiorentina, S. trasferì l'energia bloccata delle figure in un'inedita scioltezza sia del gesto sia dell'azione narrativa, anche mediante l'ispirazione dei numerosi esempi dell'Antico presenti in quel luogo (Boskovits, 1975, p. 145). Stilisticamente prossimi a questa esperienza pisana sono gli affreschi dell'oratorio di S. Caterina all'Antella (prov. Firenze), citati dal testamento di Benedetto degli Alberti, con specifica dei soggetti che dovevano essere rappresentati. Il vasto ciclo con le Storie di s. Caterina denuncia una considerevole evoluzione stilistica, colorandosi anche di una raffinata cortesia tardogotica e di una variata ricchezza espressiva che giunge alle annotazioni psicologiche.Di seguito a questi, e tutti collocabili nel primo lustro dell'ultimo decennio del Trecento, sono l'affresco della sagrestia di Santa Croce (Cristo condotto al Calvario) e la perduta decorazione della cappella dedicata a s. Giovanni nella chiesa del Carmine, distrutta dall'incendio del 1771 e conosciuta solo attraverso ricostruzioni grafiche e pochi frammenti divisi in collezioni diverse (Procacci, 1932). Di questi anni sono anche due trittici - l'uno eseguito per la chiesa lucchese di S. Andrea, datato 1391 (Firenze, Gall. dell'Accademia), l'altro, datato 1393, ancora oggi conservato nella chiesa di S. Maria a Quinto presso Firenze - e un polittico, riconosciuto da Boskovits (1975, pp. 145, 249) di probabile committenza di un altro degli Alberti, Antonio di Niccolò.L'attestato ritorno ad Arezzo nel 1395 vede S. incaricato per l'esecuzione della Pietà che originariamente decorava la lunetta del portale del palazzo della Fraternita dei laici (Arezzo, Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna), nonché impegnato per la realizzazione di uno stendardo processionale per la Confraternita dei Flagellanti del Santo Sepolcro di Gubbio (New York, Metropolitan Mus. of Art), di cui un frammento è stato riconosciuto a Roma (Camposanto teutonico; Zeri, 1958), e di una pala d'altare, di cui è conservato soltanto un elemento (Conferma della Regola a s. Francesco; Chicago, Art Inst.), proveniente da Città di Castello.L'ultimo periodo dell'attività fiorentina del pittore viene solitamente circoscritto al citato monumentale polittico, datato 1401 e commissionato due anni prima (Firenze, Gall. dell'Accademia), eseguito con la collaborazione di Niccolò di Pietro Gerini e di Lorenzo di Niccolò. La tavola centrale, unanimemente attribuita a S., presenta nel particolare degli angeli musicanti ai piedi dell'Incoronazione della Vergine una sconosciuta concitazione espressiva che si configura come una delle maggiori originalità figurative consegnate dall'artista alla riflessione dei costituenti esordi della civiltà pittorica fiorentina del Quattrocento. Contemporanei a quest'opera sono, a Firenze, il ciclo delle Storie dei ss. Bartolomeo e Zanobi della cappella Cortigiani nella chiesa di S. Michele Visdomini, anch'esso frutto del sodalizio tra S. e Lorenzo di Niccolò (Tartuferi, 1983), e un frammento raffigurante due teste di santi, unico lacerto della decorazione absidale della chiesa dei Ss. Apostoli: qui Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 279) riconobbe di S. anche la pala dell'altare maggiore, raffigurante la Pentecoste, di cui è stato individuato un frammento in una tavola tagliata di Allentown (Art Mus.; Gonzalez-Palacios, 1965).Il primo decennio del Quattrocento segna l'ultima fase dell'attività del pittore. Perduta la produzione commissionata dall'Opera del duomo di Siena, resta integra la decorazione della sala di Balía nel Palazzo Pubblico (1407-1408), celebrazione del papa senese Alessandro III con sedici episodi della sua vita, dove, pure conservando il vigore narrativo e una robusta plasticità, lo stile sembra segnato da una maggiore corsività, imputata a una larga presenza del figlio Parri.Numerose opere nelle maggiori chiese di Arezzo furono attribuite da Vasari a S., al quale viene di fatto ricondotta tutta la produzione pittorica tardomedievale della città. Nella eterogenea mole di riferimenti del biografo aretino è possibile ricondurre almeno alla bottega di S. il frammentario affresco con le Storie dei ss. Lorenzo e Caterina, datato 1408 (Donati, 1966a), sulla parete della navata destra della chiesa di S. Domenico; sulla parete opposta è una serie di decorazioni ancora da riferire all'ambito spinellesco. Così nell'altra grande fabbrica medievale della città, rappresentata dalla chiesa di S. Francesco, numerosi affreschi sono assegnati al pittore, tra i quali va ricordata una Pentecoste, originariamente nell'ospedale di Santo Spirito, dove la vide Vasari, e una Crocifissione datata 1408 (Donati, 1966a). Anche nel Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna di Arezzo sono conservati affreschi staccati riferiti all'ultimo periodo dell'attività di S., provenienti da diverse chiese aretine (Boskovits, 1975, p. 433).
Bibl.:
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