SPINOLA DI LERMA, Ippolito Nicolò
– Nacque a Genova il 5 febbraio 1778, terzo figlio del marchese Giovan Andrea (1748-1794) e della sua prima moglie Maria Teresa Grimaldi, sposata nel 1773.
Troppo giovane per partecipare alla vita politica della Repubblica, negli anni francesi Ippolito Nicolò preferì restare in disparte. «Non fu mai impiegato né prima né dopo la rivoluzione» (Vitale, 1933, p. 438), scrisse nel 1815 un informatore della polizia sabauda. In quegli anni si diede agli studi di pittura: «artista distinto per li diligenti studi da lui fatti in corso regolare in rinomatissima scuola e per le belle prove del suo genio», lo definì molti anni dopo Vittorio Angius (Gazzetta piemontese, 28 aprile 1845). Il 24 febbraio 1803 si sposò con la lombarda Giulia Bossi (morta il 21 maggio 1807), figlia del marchese comasco Benigno Bossi (1731-1815) e della sua domestica Antonia Moneta. Dopo la prematura scomparsa della moglie, si risposò nel 1808 con Girolama (Momina) Carrega, figlia del marchese Giovanni Battista Domenico (1760/1765-1827), scegliendo questa volta la propria compagna all’interno di una delle famiglie più importanti del patriziato genovese. Nell’aprile del 1814, alla caduta di Napoleone, lord William Bentinck, governatore inglese della città, lo nominò fra i deputati ai restaurati Consigli Minore e Maggiore. Come gran parte della nobiltà ligure allora egli era «propenso per l’antica repubblica» (Vitale, 1933, p. 438). Tuttavia, quando Genova fu assegnata al Regno di Sardegna dal Congresso di Vienna, si adattò senza difficoltà alla nuova situazione. In virtù del legame con il suocero Carrega, amico di Vittorio Emanuele I e nel 1815 cavaliere dell’Annunziata, entrò, anzi, a far parte delle guardie del corpo del re.
Le guardie del corpo del re erano state organizzate fino al 1798 in tre compagnie, ognuna delle quali composta da ufficiali e soldati provenienti dalle tre principali parti degli Stati: Savoia, Piemonte, Sardegna. Nel 1815 Vittorio Emanuele I ne istituì una quarta, destinata a Genova e alla Liguria. A suo capo pose don Agostino Fieschi (1760-1829).
Spinola ne divenne ‘cornetta’ nel 1815, luogotenente nel 1825 e ne assunse infine il comando nel gennaio del 1831. In tale occasione, Carlo Felice gli conferì anche la Gran croce dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Carlo Alberto unì le quattro compagnie in una sola e nominò Spinola suo capitano.
Nel corso degli anni Trenta, il sovrano sabaudo gli affidò compiti a mano a mano di maggior importanza. Il 7 gennaio 1832 gli concesse il Gran cordone dell’Ordine mauriziano, il 12 marzo 1835 lo promosse luogotenente generale e lo inviò a Vienna per portare i suoi complimenti al nuovo imperatore Ferdinando I. Dalla missione Spinola riportò la nomina a cavaliere dell’Ordine della corona ferrea. Poi, nel dicembre del 1840, il re gli conferì la carica di gran ciambellano. Per la prima volta un genovese era chiamato a ricoprire una delle tre principali cariche di corte. Banco di prova – peraltro ben superato – fu l’organizzazione delle feste per le nozze degli allora principi ereditari Vittorio Emanuele e Maria Adelaide d’Asburgo tenutesi il 12 aprile 1842. Carlo Alberto gli conferì allora, il 27 marzo 1842, l’Ordine dell’Annunziata.
La carica di gran ciambellano era fra quelle che avevano una maggior proiezione esterna alla corte. Chi la ricopriva, infatti, era chiamato a gestire gli acquisti di opere d’arte sia per i palazzi reali, sia per la Galleria sabauda. Inoltre era anche «capo e primario direttore» dell’Accademia reale di belle arti e si occupava della direzione del Teatro Regio. Fu nell’esercizio di tali funzioni che Spinola promulgò il Regolamento per l’esatto servizio del Regio Teatro e per il buon ordine delle prove e delle rappresentazioni (Torino 1842) e nel 1847 le Discipline interne dell’Accademia Albertina.
La nomina di Spinola alla carica di gran ciambellano era stata accolta con forti perplessità dall’aristocrazia subalpina, soprattutto dai suoi settori più liberali. Costanza d’Azeglio, per esempio, scrisse il 19 dicembre 1840: «tout le monde se scandalise et on en dit des horreurs» (C. d’Azeglio, Lettere al figlio (1829-1862), a cura di D. Maldini Chiarito, Roma 1996, p. 278). Il giudizio della marchesa poteva però essere influenzato dai non buoni rapporti che con Spinola ebbero i suoi figli Roberto e Massimo. Essi, infatti, ebbero spesso a che fare con Spinola, e quasi mai positivamente: alle lamentele di Roberto per la ristrettezza dei fondi stanziati che non gli consentivano di acquistare le opere dei maestri italiani necessarie alle collezioni, facevano da contrappunto, infatti, quelle di Massimo per i ritardi nel pagamento delle opere realizzate per il re.
Chiusa il 3 marzo 1849 la corte di antico regime, la carica di gran ciambellano fu abolita. Ormai settantenne e poco incline alla nuova politica, Spinola si ritirò a vita privata. Fu nominato allora presidente emerito dell’Accademia Albertina. Morì a Torino il 19 luglio 1856.
Dai suoi studi giovanili, Spinola aveva ricavato una mai esaurita passione per la pittura. Stando a quanto racconta Marcello Staglieno nelle sue Genealogie, egli «si dilettava di dipingere e fare molti ritratti a parenti e amici». Nel 1843, partecipò alla Seconda esposizione di belle arti a Torino, con il dipinto Raffaello mentre esegue il ritratto di Giulio III (Il liceo. Giornale di scienze e di letteratura, d’arti, di teatri e di mode, 10 giugno 1843). Lo stesso anno fu chiamato a far parte dell’Accademia di S. Luca, a Roma. Un suo autoritratto si conserva ancora oggi all’Accademia Albertina. Un ritratto, opera di Angelo Capisani, è nella galleria dei cavalieri dell’Annunziata del Castello d’Agliè.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca civica Berio, Sezione di conservazione, m.r. VIII.3.20: M. Staglieno, Genealogie di famiglie patrizie genovesi (mss. secc. XIX-XX), VII, cc. 146r-147r. Inoltre: M. Sartorio, Sul cartone di Leonardo da Vinci rappresentante Sant’Anna, la Vergine Madre e il pargoletto Gesù, in Giornale dell’emporio di belle arti, I (1847), pp. 27-29; C. Solaro della Margarita, Memorandum storico politico, Torino 1851, p. 56; C.F. Biscarra, Relazione storica interno alla Reale Accademia Albertina di belle arti in Torino, Torino 1873, p. 22; M. degli Alberti, La politica estera del Piemonte sotto Carlo Alberto secondo il carteggio diplomatico del conte Vittorio Amedeo Balbo Bertone di Sambuy, I, Torino, 1913, pp. 11, 17, 22, 238, 362, 393, 535, 541; I. Jori, La «casa militare» alla corte dei Savoia. Notizie storico-organiche (1554-1927), Roma 1928, pp. 411, 414-417; L.C. Bollea, Una donazione del re Carlo Alberto alla Regia Accademia Albertina, in Bollettino storico-bibliografico subalpino , 1932, vol. 34, pp. 494, 501; N. Gabrielli, Inventario oggetti d’arte nella Regia Accademia Albertina di belle arti in Torino, ibid., 1933, vol. 35, pp. 173, 184; V. Vitale, Informazioni di polizia sull’ambiente ligure (1814-1816), in Atti della Società ligure di storia patria, 1933, vol. 61, p. 438; N. Nada, Roberto d’Azeglio, Roma 1965, pp. 174, 186; C. Sertorio, Il patriziato genovese. Discendenza degli ascritti al Libro d’oro nel 1797, Genova 1967, pp. 334 s.; A. Basso, Il teatro della città dal 1788 al 1936, Torino 1976, pp. 242, 244, 246 s., 678 s., 680-690; F. Dalmasso - P. Gaglia - F. Poli, L’Accademia Albertina di Torino, Torino 1982, pp. 38, 133; M. d’Azeglio, Epistolario (1819-1866), a cura di G. Virlogeux, II, Torino 1989, pp. 77, 86 s., 125; C.I. Petitti di Roreto, Lettere a Luigi Nomis di Cossilla ed a Karl Mittermaier, a cura di P. Casana Testore, Torino 1989, pp. 98 s.; P. Gentile, Alla corte di Carlo Alberto. Personaggi, cariche e vita a palazzo nel Piemonte risorgimentale, Torino 2013, pp. 56-57; A. Merlotti, Nobiltà e corte nella Genova della Restaurazione, in Genova-Torino 1815-2015, a cura di G. Assereto - C. Bitossi - P. Merlin, Genova 2015, pp. 459 s.