Spintronica
L’elettronica di spin o, con neologismo ormai comunemente accettato, spintronica è un campo in rapida crescita in tutti i Paesi tecnologicamente avanzati, che combina elementi magnetici di piccole dimensioni, a scala nanometrica, con la più convenzionale elettronica a semiconduttore. L’aggiunta di un nuovo grado di libertà, lo spin dell’elettrone, apre infatti la strada alla possibilità di realizzare una nuova classe di dispositivi, con migliori prestazioni o anche del tutto innovativi. In questo tipo di sistemi lo scopo è controllare e manipolare in maniera opportuna lo spin piuttosto che la carica dei portatori, aggiungendo al dualismo convenzionale elettrone-lacuna, che governa i dispositivi a semiconduttore, il dualismo di natura magnetica spin-su spin-giù.
Come campo di attività, la spintronica (includendo anche la magnetoelettronica, termine sostanzialmente equivalente preferito da alcuni autori ma di uso sempre più raro) è molto recente. Infatti, a parte alcuni interessanti e stimolanti lavori pionieristici, i primi studi in questo campo possono essere fatti risalire alla fine degli anni Ottanta del 20° sec., con le proposte dei primi dispositivi spintronici, come i transistori di spin ‘tutto metallo’ (cioè senza semiconduttori) oppure quelli a effetto campo sempre basati sullo spin (SpinFET, Spin Field-Effect Transistor). Sempre in quegli anni si colloca la tappa fondamentale che segna il passaggio dal mondo delle proposte (molto suggestive e innovative, ma pur sempre idee) a quello delle vere e proprie applicazioni. Nel 1988, infatti, venne scoperta la magnetoresistenza gigante (GMR, Giant MagnetoResistance) in multistrati ferro-cromo, fenomeno che trovò applicazione praticamente immediata in testine di lettura magnetiche e sensori di posizione. Questa scoperta è ormai universalmente considerata come evento fondante della spintronica, e il 1988 è stato assunto come data di nascita di questa nuova disciplina. L’importanza di tale evento è stata riconosciuta anche ai massimi livelli, con il conferimento, nel 2007, del premio Nobel per la fisica al francese Albert Fert e al tedesco Peter Grünberg, autori della scoperta.
Come accade sempre più frequentemente nel campo delle tecnologie avanzate, all’origine della fioritura e della rapida espansione della spintronica vi sono la scoperta e lo sviluppo di nuovi materiali. Fondamentali per applicazioni di questo tipo risultano infatti le peculiari proprietà dei materiali magnetici confinati spazialmente su scala nanometrica (ossia dell’ordine di 10−9 m ). In strutture magnetiche a film sottile, multistrati, monostrati o nanoparticelle supportate, la struttura elettronica e di spin è profondamente influenzata da effetti di rottura della simmetria, ridotta coordinazione, formazione di legami chimici e dimensionalità finita. Tutto questo può indurre l’insorgere di fenomeni sconosciuti negli stessi materiali in forma volumetrica, con notevoli potenzialità applicative.
Lo studio delle strutture magnetiche a strati sottili rappresenta uno dei temi attualmente più caldi nel campo della ricerca di base e della tecnologia dei materiali, con applicazioni sempre crescenti, per es. nei settori della sensoristica e dell’immagazzinamento dei dati (dischi rigidi di computer, memorie ad accesso casuale). Un altro aspetto estremamente interessante riguarda la possibilità di integrare fenomeni magnetici legati allo spin con la tecnologia dei semiconduttori, su cui si basa tutta la moderna microelettronica. La realizzazione di interfacce ferromagnete/semiconduttore permette, almeno in linea di principio, di iniettare elettroni con uno stato di spin definito nel semiconduttore e di sfruttare la dipendenza dallo spin dei fenomeni di trasporto. Sempre in quest’ottica si colloca la ricerca di nuovi materiali che siano al contempo ferromagnetici e semiconduttori, cioè sistemi che abbiano unificate le proprietà magnetiche proprie dello spin e quelle semiconduttive che rendono possibile l’elettronica tradizionale.
Da ultimo, si possono citare i cosiddetti half-metals, ossia i metalli a metà, materiali scoperti recentemente che sono metallici per gli elettroni con spin-su e isolanti per quelli con spin-giù (v. oltre Concetti fisici di base). Nel campo della spintronica è, infatti, cruciale la ricerca di materiali, anche costruiti artificialmente, con un alto valore della polarizzazione di spin al livello di Fermi, come sono appunto i metalli a metà. Sono infatti questi gli stati elettronici che intervengono nei processi di trasporto, sulla cui dipendenza dallo spin si basano i dispositivi.
In tutti i casi il funzionamento e l’ottimizzazione dei nuovi dispositivi richiede un approfondito studio di fisica dei solidi e scienza dei materiali, che va dalla crescita di nuovi materiali di alta qualità strutturale e morfologica alla necessità di un accurato controllo delle interfacce delle nuove strutture artificiali a film sottile utilizzate. Questi sistemi innovativi vengono realizzati mediante sofisticate tecniche di deposizione, che utilizzano tecnologie dell’ultra alto vuoto (UHV, Ultra-High Vacuum), con pressioni 10−12 volte minori di quella atmosferica. Tali tecniche, che vanno dalla epitassia da fasci molecolari (MBE, Molecular Beam Epitaxy) alla deposizione indotta da laser impulsato (PLD, Pulsed Laser Deposition), permettono di realizzare interfacce, multistrati, superreticoli e simili strutture a bassa dimensionalità, con controllo a livello subatomico. Ovviamente, una volta che mediante raffinate apparecchiature di ricerca siano stati compresi i meccanismi di base che permettono nuove funzionalità, per poter passare a una fase di realizzazione di dispositivi e alla loro commercializzazione è necessaria un’opportuna ingegnerizzazione dei processi di crescita che utilizzino tecnologie più rapide ed economicamente sostenibili.
Concetti fisici di base
Prima di procedere a discutere i principi di funzionamento dei vari dispositivi, è utile puntualizzare alcune nozioni fisiche di base. Innanzitutto bisogna considerare che l’elettrone possiede un momento angolare intrinseco, lo spin, una proprietà puramente quantistica e senza analogo classico. Allo spin è associato un momento di dipolo magnetico: ogni elettrone è come un piccolo ago magnetico che si può orientare in un campo esterno. In questo contesto, di particolare rilievo sono i materiali ferromagnetici (FM), materiali che presentano una magnetizzazione M (definita come il vettore momento di dipolo magnetico per unità di volume, pari al momento di dipolo magnetico medio del singolo atomo per il numero di atomi nell’unità di volume) molto elevata. In tali materiali il vettore M costituisce un asse di quantizzazione intrinseco, e la componente dello spin di ogni elettrone lungo tale asse può assumere solo i due valori +(1/2)ℏ (spin-su) oppure −(1/2)ℏ (spin-giù), dove ℏ è la costante di Planck diviso 2π. La magnetizzazione è data proprio dalla differenza tra il numero di elettroni spin-su e quello di elettroni spin-giù. Questo sbilanciamento, normalizzato al numero totale di elettroni, costituisce la polarizzazione di spin
n↑−n↓
P = ---
n↑+n↓
(nel caso del ferro, P∼40%). Si parla anche di elettroni maggioritari ed elettroni minoritari, rispettivamente con dipolo magnetico parallelo o antiparallelo a M. In una struttura simile la magnetizzazione risulta diversa da zero anche in assenza di campo magnetico applicato dall’esterno (si parla di magnetizzazione a rimanenza), fenomeno che costituisce il tratto distintivo del ferromagnetismo. Le proprietà ferromagnetiche di un materiale cessano bruscamente all’aumentare della temperatura oltre un certo valore critico (temperatura di Curie, TC, pari a 770 °C nel ferro): si ha così una vera e propria transizione di fase tra lo stato ferromagnetico e quello non magnetico.
Di natura squisitamente quantistica è anche l’interazione di scambio, che forza gli spin (e i dipoli magnetici a essi associati) ad assumere una configurazione parallela, dando luogo al ferromagnetismo. Il valore, e persino il segno, dell’interazione di scambio in uno specifico materiale dipende in modo cruciale dalla struttura geometrico-cristallina e da quella elettronica: la notevole ricchezza di possibilità che ne consegue rende conto della varietà di strutture magnetiche ordinate che si riscontrano in natura. Senza entrare nei dettagli, ci limitiamo a citare il caso dell’ordine antiferromagnetico (AFM), che risulta molto importante nelle applicazioni. Mentre in un materiale FM i momenti magnetici elementari sono tutti paralleli tra loro, producendo una magnetizzazione macroscopica di grande intensità, in uno AFM ogni dipolo è allineato in direzione opposta a quelli adiacenti, producendo una struttura ancora altamente ordinata ma con magnetizzazione macroscopica nulla. Anche per questo tipo di ordine esiste una temperatura critica (temperatura di Néel, TN) al di sopra della quale la struttura ordinata non è più stabile e i dipoli sono orientati in maniera casuale (in assenza di campo magnetico esterno).
Un altro concetto fondamentale è quello dei domini magnetici. Tale concetto permette di spiegare alcune importanti caratteristiche del ferromagnetismo, come l’esistenza di cicli di isteresi, oppure il ben noto fenomeno per il quale un generico pezzo di ferro non mostra la proprietà attrattiva delle calamite se prima non è stato posto in prossimità di una di esse. Prima di venire ‘contagiato’ dalla calamita il pezzo di ferro presenta, infatti, una magnetizzazione macroscopica nulla: il materiale risulta suddiviso in più zone, ciascuna con dipoli tutti allineati, ma in direzioni diverse per ogni zona. Ognuna di queste zone costituisce un dominio magnetico; la configurazione con molti domini è energeticamente più stabile ed è quella normalmente assunta dal materiale. Le dimensioni tipiche di un dominio magnetico per un materiale come il ferro sono sulla scala di decine o centinaia di micrometri. In un campione massivo macroscopico non magnetizzato è normalmente presente un grandissimo numero di domini: ciascuno di essi è magnetizzato a rimanenza con intensità prossima al valore di saturazione, ma M ha un un’orientazione variabile in quanto punta in direzioni diverse e la magnetizzazione complessiva del materiale risulta nulla. L’esistenza dei domini è alla base del ciclo di isteresi del materiale, cioè il particolare andamento della magnetizzazione in funzione del campo esterno applicato. Un esempio schematico è mostrato nella figura 1: si distinguono la curva di prima magnetizzazione (tratto AB), la magnetizzazione di saturazione MS (che in questo semplice caso è anche pari alla magnetizzazione a rimanenza), e il campo coercitivo HC, cioè il campo necessario per invertire la magnetizzazione. In pratica i cicli di isteresi non sono quasi mai così squadrati, e la magnetizzazione a rimanenza risulta minore di quella di saturazione. La struttura dei domini e la loro dinamica, che determinano la forma del ciclo, sono in realtà assai complesse e possono dar luogo a cicli molto diversi, alcuni molto stretti con magnetizzazione a rimanenza estremamente piccola (come nei ferromagneti dolci), altri larghi con magnetizzazione a rimanenza e campo coercitivo grandi (come nei ferromagneti duri, quelli costituenti le calamite). Ciò risulta anche utile dal punto di vista tecnico, in quanto cicli di isteresi diversi rispondono a differenti esigenze applicative. L’effettiva struttura a domini di un corpo FM dipende da numerosi fattori, alcuni di tipo microscopico intrinseci al tipo di materiale considerato (intensità dell’interazione di scambio, struttura geometrica e anisotropie cristalline, struttura elettronica e tipo di legame presente nel solido), altri di tipo mesoscopico (presenza e tipo di difetti strutturali e/o disomogeneità), altri infine di tipo macroscopico non dipendenti dalle proprietà del materiale (forma, trattamenti termici e meccanici cui il materiale è stato sottoposto, storia precedente, presenza di campi esterni), il che rende conto della grandissima varietà di situazioni che si presentano in natura nonché della difficoltà di un’adeguata trattazione teorico-modellistica della materia.
Applicazioni e dispositivi
Fenomeni e processi fondamentali
In tutte le tecnologie avanzate di solito il passaggio dalle proprietà fisiche fondamentali alle applicazioni è tutt’altro che immediato. Vi è infatti tutta una fase di ricerca e sviluppo volta alla scoperta e comprensione di molti fenomeni e processi specifici che sono alla base delle varie funzionalità sfruttabili nei dispositivi. Nel campo della spintronica, è essenziale soffermarsi sui vari meccanismi che permettono di manipolare lo spin nei materiali.
Un fenomeno di grande rilievo per le applicazioni, che si verifica in film sottili FM in contatto con un substrato AFM, è quello dell’exchange bias (EB), o anisotropia unidirezionale indotta dallo scambio. Questo effetto, scoperto alla fine degli anni Cinquanta del 20° sec., si manifesta in una rottura della simmetria delle proprietà FM con conseguente traslazione rigida del ciclo di isteresi FM rispetto al campo magnetico applicato. Anche se ancora non del tutto compreso, il fenomeno è sicuramente legato all’interazione di scambio che si genera all’interfaccia tra il materiale FM e quello AFM. La situazione può essere spiegata nel seguente modo schematico (fig. 2). Si consideri un’interfaccia AFM/FM in cui la temperatura critica per l’ordinamento AFM sia inferiore a quella dell’ordinamento FM, cioè TN<TC. Partendo da una temperatura intermedia tra le due e con un campo esterno applicato, si ha una situazione in cui il materiale FM è ordinato, mentre quello AFM no. Raffreddando il sistema al di sotto della temperatura critica del materiale AFM, sempre in presenza di campo esterno, a causa dell’interazione di scambio con gli atomi FM all’interfaccia (che nel caso qui considerato favorisce un allineamento parallelo tra gli spin dei due materiali), gli spin AFM prossimi a quelli FM si allineano parallelamente a questi. Gli altri piani nel materiale AFM seguono l’ordine AFM producendo una magnetizzazione complessiva nulla. A questo punto la struttura AFM si stabilizza e rimane per così dire congelata, non essendo influenzata da variazioni del campo esterno. Quando s’inverte il campo esterno gli spin FM cominciano a ruotare mentre quelli AFM rimangono immutati, e l’interazione all’interfaccia AFM/FM tende a mantenere gli spin FM nella direzione iniziale. Il campo necessario per invertire lo strato FM dovrà essere più grande che in assenza del materiale AFM. Proseguendo lungo il ciclo, quando il campo esterno viene riportato nella direzione originale gli spin FM cominciano a ruotare per campi meno intensi, a causa dell’interazione con gli spin AFM, che questa volta esercitano un’azione nella stessa direzione del campo. Il ciclo di isteresi risulta traslato lungo l’asse del campo con una rottura della simmetria: l’interazione all’interfaccia introduce un’anisotropia unidirezionale, che fa sì che la configurazione FM iniziale sia la sola configurazione stabile. In pratica, il film FM presenta una direzione fissa della magnetizzazione per un ampio intervallo del campo esterno attorno all’origine: l’inversione del campo non provoca alcun cambiamento nel film, almeno finché non si supera un campo notevolmente maggiore del campo coercitivo del materiale FM da solo. La magnetizzazione del film FM rimane quindi bloccata nella direzione in cui è stata preparata all’inizio e risulta insensibile a campi esterni non troppo intensi. Questa proprietà si rivela molto utile, trovando applicazione in numerosi dispositivi.
Il meccanismo EB appena trattato mette in evidenza l’importanza dell’interazione di scambio tra film sottili di vari materiali. Un’altra situazione molto interessante si verifica quando due strati FM sono separati da un sottile strato di materiale non magnetico (paramagnetico oppure AFM), generalmente indicato come NM. L’interazione di scambio tra i due strati FM può essere di vario tipo, favorendo un allineamento parallelo, antiparallelo o persino perpendicolare tra le magnetizzazioni dei due strati, secondo il tipo e lo spessore del film NM interposto. Un tipico esempio è costituito dal sistema Fe/Cr/Fe (fig. 3), in cui due strati di ferro sono separati da un sottile strato di cromo, materiale che di per sé ha caratteristiche antiferromagnetiche. È ben noto che atomi di cromo dispersi in ferro si orientano con spin in direzione antiparallela a quella della matrice ospite, cioè il tipo di accoppiamento tra atomi Cr e atomi Fe è di tipo antiparallelo. Quando si realizza un’interfaccia, pertanto, gli atomi di Cr in contatto con quelli di Fe si dispongono con gli spin tutti paralleli tra loro ma antiparalleli a quelli del substrato. La struttura AFM del Cr si ricostituisce con i successivi piani atomici di Cr che si allineano in modo antiparallelo tra loro, come nel caso trattato precedentemente per il materiale AFM nel processo EB. Proseguendo in tal modo, l’ultimo piano atomico del film di Cr avrà spin paralleli a quelli del substrato Fe se il numero totale di piani di Cr è pari e antiparalleli se è dispari. Se a questo punto si deposita un altro strato di ferro (Fe top), dovendo rispettare la regola per cui gli spin Fe devono disporsi antiparallelamente a quelli Cr, i suoi spin saranno rispettivamente antiparalleli o paralleli a quelli del substrato (Fe sub). Si ha, quindi, un accoppiamento di tipo parallelo o antiparallelo tra i due strati FM secondo il numero di piani dello strato interposto. Questo ovviamente vale solo per film di spessore molto piccolo (nanometrico), altrimenti le interazioni diventano troppo deboli per dare effetti misurabili. Per poter realizzare una situazione con proprietà definite è necessario, quindi, controllare i parametri della struttura a livello atomico o subatomico. La situazione appena descritta corrisponde a una visione semplificata, che si riferisce a una configurazione ideale e non tiene conto delle imperfezioni, dei difetti e di possibili interdiffusioni all’interfaccia, né delle difficoltà pratiche di crescere film ultrasottili con spessore omogeneo a livello atomico su tutta la superficie del campione. La realtà è in effetti notevolmente più complessa, anche se il modello risulta qualitativamente corretto e contiene tutti i fatti essenziali del fenomeno.
La stragrande maggioranza di dispositivi elettronici, sia tradizionali sia innovati, si basa sul passaggio di corrente al proprio interno, cioè sul trasporto di cariche elettriche, in genere costituite da elettroni. Nel caso della spintronica, ovviamente, l’attenzione è rivolta anche allo spin di tali cariche: si parla in tal caso di trasporto spin-polarizzato. Le basi per la comprensione di tali fenomeni furono gettate circa settant’anni fa dal fisico inglese Nevill F. Mott (1905-1996), nel tentativo di spiegare alcuni insoliti andamenti della resistenza elettrica nei materiali ferromagnetici. Com’è noto, la resistenza elettrica in un conduttore metallico è dovuta alla diffusione subita dagli elettroni da parte di difetti e vibrazioni reticolari all’interno del solido, che li deviano dalla direzione di moto imposta dal campo elettrico generato dalla differenza di potenziale applicata ai capi del conduttore. A temperature non troppo elevate, questa diffusione non ha influenza sullo spin, in maniera tale che in un materiale FM gli elettroni maggioritari e minoritari non vengono mescolati dal processo. Pertanto la conducibilità elettrica può essere considerata come dovuta a due canali indipendenti, e di diversa intensità, in parallelo tra loro, uno per ogni direzione dello spin: la corrente in un materiale FM è spin-polarizzata. Questo semplice modello, noto con il nome di modello delle due correnti, in tempi più recenti è stato esteso, raffinato e modificato fino a includere aspetti sempre più complessi, ma continua a fornire la base per la spiegazione dei fenomeni di trasporto spin-polarizzato.
I meccanismi fin qui descritti coinvolgono sempre la magnetizzazione in materiali magnetici, ma processi riguardanti lo spin, di rilievo per le applicazioni in spintronica, avvengono anche in materiali non magnetici. Il fenomeno del pompaggio ottico rientra in tale casistica: scoperto nel 1968 dal francese Georges Lampel nel silicio, tale processo riguarda materiali tipicamente non magnetici come i semiconduttori (SC), di ovvia importanza per tutta l’elettronica. Si tratta fondamentalmente di un trasferimento di momento angolare dalla radiazione alla materia. Infatti, come tutte le particelle elementari, anche il quanto della radiazione elettromagnetica, il fotone, possiede un momento angolare intrinseco di spin; mentre per un elettrone il numero quantico di spin s vale 1/2, per il fotone s=1. Considerando come asse di quantizzazione quello della direzione di propagazione della luce, la componente del momento angolare di spin del fotone può assumere soltanto i valori −1 e +1 (sempre in unità di ℏ), il valore 0 essendo escluso per la natura trasversale delle onde elettromagnetiche. Quando un fotone con spin +1 viene inviato su un materiale non magnetico, contenente lo stesso numero di elettroni con spin-su e spin-giù, esso viene assorbito da un elettrone con spin-giù (−1/2) che passa a uno stato eccitato con spin-su (+1/2): infatti nel processo si deve conservare il momento angolare totale, che prima dell’assorbimento era dato dal valore −1/2 dell’elettrone più 1 del fotone, pari quindi a quello del solo elettrone (+1/2) rimasto dopo l’assorbimento. In questa maniera, considerando una radiazione di una certa intensità contenente un buon numero di fotoni, si crea uno sbilanciamento tra le popolazioni dei due stati di spin nel materiale e quindi una polarizzazione di spin, P. Il processo si mostra molto versatile, infatti il discorso si può ripetere in modo del tutto simile partendo da fotoni con spin −1, e in tal caso si avranno elettroni eccitati con prevalenza di spin-giù.
La situazione reale è ovviamente più complessa della visione schematica qui presentata, perché dipende dalla struttura elettronica specifica del materiale considerato e dalle corrispondenti regole di selezione per le transizioni ottiche determinate dalla simmetria cristallina. In un tipico semiconduttore III-V, come l’arseniuro di gallio (GaAs), dove tale meccanismo trova ampio utilizzo, si riesce a creare una polarizzazione degli elettroni in banda di conduzione teoricamente pari al 50% (su 8 elettroni eccitati in banda di conduzione, 6 sono con lo spin-su e 2 con lo spin-giù). Sfruttando le possibilità fornite dalle moderne tecniche di manipolazione dei materiali a scala nanometrica, è comunque possibile ottenere materiali artificiali in cui si superi il limite del 50% intrinseco dei materiali semiconduttori di volume. Infatti in strutture di dimensionalità ridotta, come quelle a buche o punti quantici – rispettivamente QW (Quantum Wells) e QD (Quantum Dots) – che si riescono a produrre abbastanza facilmente con la tecnica MBE, si trova che la polarizzazione può raggiungere anche il 100%, cioè tutti gli elettroni eccitati in banda di conduzione mediante pompaggio ottico sono del tipo spin-su. È bene tenere presente che, nel caso del fotone, lo spin corrisponde a una ben nota proprietà delle onde elettromagnetiche, la polarizzazione: le componenti di spin −1 e +1 corrispondono rispettivamente a luce polarizzata circolarmente destra e sinistra. Modulando l’elicità della radiazione incidente, passando da polarizzazione circolare destra a sinistra, si può pertanto variare la polarizzazione di spin tra +50% e −50% in un semiconduttore massivo e tra +100% e −100% in una struttura a QW: ciò è di estremo interesse per le applicazioni.
Oltre al pompaggio ottico, sono stati proposti diversi processi per creare in un semiconduttore uno sbilanciamento tra il numero di elettroni con le due componenti di spin, cioè per iniettarvi una corrente spin polarizzata. In un materiale non magnetico, tuttavia, non esiste alcun meccanismo in grado di preservare lo sbilanciamento artificialmente prodotto. Pertanto, una volta creata una certa polarizzazione di spin, questa non si mantiene a lungo: vari processi (urti elastici e anelastici tra elettroni o con le vibrazioni reticolari, presenza di difetti, effetti della struttura a bande, ricombinazione ecc.) tendono a riportare il sistema verso una situazione di equilibrio con polarizzazione di spin nulla. Il tempo impiegato mediamente dal sistema per tornare alla situazione di equilibrio è detto tempo di rilassamento di spin: dopo un tale intervallo l’informazione di spin fornita al materiale viene persa. Questo parametro è di importanza cruciale per le applicazioni: se infatti lo spin venisse rilassato in tempi molto rapidi sarebbe impossibile anche solo pensare alla realizzazione di dispositivi che utilizzino tale proprietà. Si capisce quindi il grande sforzo in corso per comprendere la dinamica dello spin nei semiconduttori. Tali ricerche, condotte utilizzando in maniera estensiva il pompaggio ottico, portano a concludere che in molti semiconduttori il tempo di rilassamento di spin è sufficientemente grande, di modo che prima di perdere l’informazione di spin gli elettroni possono percorrere distanze notevoli, da frazioni a decine e persino a centinaia di micrometri, cioè del tutto compatibili con quelle utilizzate nei moderni dispositivi microelettronici. Questi risultati hanno suscitato un enorme interesse nella comunità tecnico-scientifica, poiché forniscono una base sicura per la possibilità concreta di raggiungere gli scopi per cui la spintronica è nata.
Un esempio notevole: la GMR
La motivazione dell’assegnazione del premio Nobel per la fisica 2007 (la scoperta della GMR) sottolinea le applicazioni di tale fenomeno, evidenziando come grazie a questa scoperta le dimensioni dei computer si siano ridotte notevolmente, così come il loro costo. Si ha qui un esempio lampante di una caratteristica dell’attività scientifica in genere, e di quella in fisica in particolare, per cui i risultati conseguiti nella ricerca di base, su tematiche lontane dalla comune percezione della loro utilità, possano invece, con il passare del tempo, dare luogo a importanti applicazioni che incidono profondamente sulla vita di tutti i giorni. Quando nel 1988 è stata scoperta la GMR, nei laboratori di Fert e di Grünberg (rispettivamente in Francia, a Parigi, e in Germania, a Jülich) si svolgevano ricerche in maniera del tutto indipendente nel campo del magnetismo di film sottili, il cui protagonista principale è proprio lo spin dell’elettrone. Questa importante scoperta di fisica fondamentale sulle proprietà di trasporto di cariche dotate di spin ha trovato un’applicazione tecnologica in tempi veramente molto brevi: basti pensare che i primi dispositivi basati sulla GMR erano in commercio già nel 1997. Il brevissimo intervallo di tempo intercorso tra scoperta e applicazione rappresenta una situazione per nulla comune, dovuta a circostanze particolarmente fortunate che vale la pena di esporre prima di passare alla fisica del problema.
Com’è noto, un modo particolarmente efficace di immagazzinare informazioni comporta l’uso di un supporto magnetico (disco) in cui piccole zone (domini) sono magnetizzate lungo una direzione del piano con due possibili versi opposti. L’informazione è codificata in maniera binaria: la magnetizzazione in un verso corrisponde allo stato 0 e quella nel verso opposto a 1. Per leggere i bit è quindi necessario un dispositivo che reagisca in modo noto quando si passa da un dominio all’altro. Ciò può essere fatto mediante testine di lettura magnetoresistive, cioè basate sull’effetto di magnetoresistenza, già noto ai fisici dell’Ottocento, che consiste nella variazione della resistenza elettrica di un filo percorso da corrente indotta dall’applicazione di un campo magnetico. Gli elettroni in moto nel conduttore, responsabili del passaggio di corrente, vengono deflessi dalla forza di Lorentz, cui sono soggetti in presenza di un campo magnetico. Da ciò risultano traiettorie modificate, con una più lunga distanza da percorrere per andare da un capo all’altro del conduttore e quindi un aumento della resistenza elettrica. Come si può immaginare, l’effetto è abbastanza piccolo: nei normali conduttori, come il rame, si osserva una magnetoresistenza che vale al più qualche valore percentuale. Nonostante questi piccoli valori, tali variazioni possono tuttavia essere misurate e utilizzate appunto per la lettura dei bit codificati su un disco magnetico. Il funzionamento di una testina di lettura a magnetoresistenza è mostrato nella figura 4. Le aree in giallo chiaro e quelle in giallo scuro rappresentano i diversi domini con magnetizzazione nel piano, rispettivamente in un verso (per es., destra) e nel verso opposto (sinistra). I domini non generano alcun campo magnetico perpendicolare al piano del disco e pertanto la testina passando sopra di loro non registra alcun segnale. La situazione cambia al passaggio tra una zona e l’altra: la magnetizzazione infatti non varia bruscamente, ma con continuità. La sottile frontiera tra le due zone costituisce una parete tra domini, in cui la magnetizzazione, dovendo cambiare direzione gradualmente, si trova a puntare fuori dal piano del disco, generando così un campo magnetico perpendicolare al piano del disco stesso: questo campo fa variare la resistenza del circuito e la testina registra un segnale che permette la lettura dei bit magnetici. Le prime testine magnetoresistive sono entrate in commercio negli anni Sessanta del 20° sec. e hanno trovato ampia diffusione a partire dai primi anni Settanta. In questo quadro si inserisce la scoperta della GMR, che porta a variazioni di resistenza superiori al 100%, cioè oltre 100 volte maggiori rispetto alla magnetoresistenza tradizionale. Questo fa sì che si possano rivelare segnali estremamente più piccoli, con conseguente possibilità di riduzione delle dimensioni dei domini magnetici e delle testine di lettura. L’effetto GMR ha trovato dunque un terreno estremamente fertile, con una tecnologia già affermata, e la sua applicazione è stata quasi immediata, portando alla rivoluzione cui abbiamo accennato.
Si giunge ora all’altro aspetto, forse anche più interessante: qual è l’origine fisica della GMR? Secondo il modello delle due correnti, in un materiale ferromagnetico la corrente che scorre si può considerare composta da due canali indipendenti in parallelo, corrispondenti agli elettroni maggioritari e a quelli minoritari. Nel loro moto all’interno del ferromagnete, gli elettroni maggioritari sperimentano una resistenza minore dei minoritari. In un materiale massivo ciò non ha alcuna conseguenza misurabile. La situazione cambia quando si considerano materiali nanostrutturati a film sottile. Come illustrato poco sopra (v. Fenomeni e processi fondamentali) in una struttura ordinata in cui due strati FM sono separati da un sottilissimo strato NM, l’interazione di scambio mediata dallo strato interposto può dare luogo a una situazione in cui la magnetizzazione dei due strati FM punta in versi opposti. Per quanto riguarda la corrente che scorre nella struttura, in assenza di campo esterno, gli elettroni che sono maggioritari nel primo strato FM si trovano a essere minoritari nel secondo, magnetizzato in verso opposto. Attraversando il tristrato essi sperimentano quindi una resistenza piccola r (primo strato) in serie con una grande R (secondo strato): la resistenza totale per questo canale vale r+R∼R. Per il canale con spin opposto il ruolo dei due strati si inverte, ma la resistenza è ancora grande, ∼R. Il risultato complessivo dei due canali in parallelo fornisce una resistenza ancora relativamente grande. Se ora si applica un campo magnetico esterno, questo forza il secondo strato ad allinearsi con il primo, con il risultato che gli elettroni sono o sempre maggioritari e vedono sempre una resistenza piccola r, oppure sempre minoritari e vedono sempre una resistenza grande R. Il parallelo dei due canali questa volta dà una resistenza piccola. L’applicazione del campo provoca quindi una notevole variazione di resistenza. L’effetto può essere amplificato realizzando multistrati, strutture in cui il tristrato è replicato molte volte, arrivando a variazioni di resistenza anche superiori al 100%, cioè proprio l’effetto GMR. Le sue importantissime applicazioni si fondano quindi sulle proprietà della corrente polarizzata in spin in multistrati magnetici a film sottile. L’effetto fu scoperto da Fert e Grünberg proprio in multistrati Fe-Cr.
Dispositivi
A testimonianza dell’ampio ventaglio di possibili applicazioni della spintronica, si presenteranno qui, a titolo di esempio, altri dispositivi utilizzabili in contesti differenti. Alcuni sono del tutto funzionanti e hanno già trovato un uso anche commerciale, altri invece necessitano ancora di una fase di ricerca e sviluppo, oltre che di messa a punto e ottimizzazione. La situazione comunque è in rapida evoluzione, per cui è possibile che si passi dalla seconda categoria alla prima in tempi anche molto rapidi.
Sensore di posizione. È un dispositivo basato sull’effetto magnetoresistivo in strutture a multistrati descritto in precedenza, ed è utilizzato per il controllo di oggetti rotanti. L’orientamento dell’oggetto è determinato dalle variazioni di resistenza della struttura a multistrato, schematicamente costituita da un substrato di materiale AFM sul quale sono deposti un primo strato FM, un sottile strato metallico NM, e infine un secondo strato FM. Entrambi gli strati FM sono magnetizzati in rimanenza, ma mentre nel primo, in contatto con il substrato, la magnetizzazione è bloccata per effetto dell’interazione di scambio all’interfaccia con il materiale AFM (si tratta del fenomeno EB), nel secondo la magnetizzazione è invece libera di ruotare nel piano del dispositivo. Sospeso sopra il multistrato si trova un magnete permanente rigidamente collegato con l’oggetto del quale si vuole determinare la posizione e che ruota in modo solidale con esso, causando la rotazione della magnetizzazione del sottostante strato FM libero. Il segnale di uscita del sensore è la resistenza elettrica della struttura che, per via dell’effetto GMR, varia con l’angolo tra la magnetizzazione dello strato magnetico libero e quella dello strato magnetico bloccato. Dispositivi di questo tipo sono già ampiamente utilizzati in vari settori, per es. nel trasporto ferroviario e aereo, e nell’industria aerospaziale in genere. Tale dispositivo, oltre a essere uno dei più ampiamente commercializzati, mette in luce una situazione abbastanza comune: infatti, in molte applicazioni della spintronica, se non in tutte, risulta necessario poter variare la direzione della magnetizzazione di una parte del dispositivo senza cambiare quella di un’altra parte dello stesso. Come nell’esempio appena descritto, ciò è reso possibile dal fenomeno EB per cui l’interazione di scambio all’interfaccia con il materiale AFM blocca la magnetizzazione dello strato FM adiacente, che risulta pertanto insensibile a campi applicati esterni, che invece agiscono efficacemente sullo strato FM lontano da quello AFM.
SpinFET. È il primo dispositivo spintronico a essere stato ideato e analizzato in dettaglio. Per un transistore a effetto di campo tradizionale, in una struttura a semiconduttore si viene a formare un sottile canale tra due elettrodi, detti sorgente (source) e collettore (drain), in cui scorre corrente. Quando si applica una tensione a un terzo elettrodo posto sopra al canale (elettrodo di porta, gate), il campo elettrico risultante spinge gli elettroni fuori dal canale, trasformando il sistema in un isolante (secondo una descrizione semplificata).
Lo SpinFET si basa sul trasporto spin-polarizzato: gli elettrodi sorgente e collettore sono metalli FM con magnetizzazioni parallele che agiscono come iniettore e rivelatore dello spin elettronico. L’elettrodo sorgente inietta nel semiconduttore elettroni polarizzati con spin parallelo alla direzione di moto, gli elettroni sono trasportati balisticamente nel canale e quando arrivano al collettore il loro spin viene rivelato. Se lo spin punta nella stessa direzione di quella degli elettroni maggioritari del collettore, gli elettroni riescono a entrarvi e nel circuito scorre corrente (configurazione on), altrimenti vengono diffusi via e non vi è corrente (configurazione off). Quando si applica una tensione all’elettrodo di porta, nel sistema di riferimento degli elettroni (in moto nel canale) si genera un campo magnetico, il cui valore dipende dalla struttura e dalle proprietà fisiche del canale. Questo campo magnetico efficace risulta ortogonale alla direzione di moto, che è anche quella dello spin. La dinamica di un dipolo magnetico associato a un momento angolare in un campo magnetico ricalca quella del moto giroscopico, caratterizzata dal fenomeno della precessione: in pratica, lo spin comincia a ruotare attorno al campo magnetico con una velocità dipendente dall’intensità del campo (fig. 5). Variando la tensione di porta si cambia il valore del campo magnetico, in modo che la precessione possa portare a una situazione di parallelismo oppure di antiparallelismo (o qualunque cosa intermedia) tra lo spin degli elettroni e quello del collettore, controllando così molto efficacemente la corrente. Rispetto a un FET convenzionale un simile dispositivo presenta diversi vantaggi. Innanzitutto far ruotare lo spin dell’elettrone richiede molta meno energia e può essere fatto molto più velocemente che non spingere l’elettrone fuori dal canale: in tal modo si avrebbe una drastica riduzione delle perdite e del carico termico accompagnata da aumento della velocità di risposta, cioè della possibile frequenza limite di utilizzo. Inoltre, si può anche immaginare di cambiare l’orientamento della sorgente o del collettore con un campo magnetico esterno (sfruttando il fenomeno EB per non influire sull’altro elettrodo), introducendo un addizionale tipo di controllo rispetto ai FET standard, e quindi di realizzare porte logiche con nuove funzionalità.
Nonostante le ottime premesse, a quasi vent’anni di distanza dalla proposta iniziale, non si è ancora riusciti a realizzare un prototipo funzionante di tale dispositivo. Il problema che si è dimostrato finora insuperabile è quello dell’iniezione di corrente spin-polarizzata nei semiconduttori, processo che nei fatti si è rivelato molto poco efficiente. Numerosi studi sono stati e sono tuttora condotti nel campo delle interfacce tra metalli FM e diversi materiali semiconduttori per comprendere tale comportamento e cercare un modo per porvi rimedio. Sembra ormai assodato che alla base della bassa efficacia di iniezione vi sia la grande differenza di conducibilità tra i due tipi di materiali. Per questo la ricerca si sta orientando verso l’abbandono del semplice schema che utilizza elettrodi metallici a favore di nuovi materiali non convenzionali, come i semiconduttori magnetici. Strutture artificiali basate su semiconduttori III-V contenenti impurezze magnetiche, denominate DMS (Diluted Magnetic Semiconductors), il cui prototipo è il sistema Ga1−xMnxAs (cioè GaAs drogato con manganese), sembrano essere le più adatte a tale scopo, e hanno già fornito risultati decisamente incoraggianti.
Sorgenti di elettroni polarizzati. Sono dispositivi spintronici ormai del tutto ottimizzati e ampiamente utilizzati, anche se in contesti prettamente di ricerca. È ben noto in fisica l’uso di fasci elettronici: nelle fisica delle particelle elementari e delle alte energie, per es., elettroni prodotti nelle grandi macchine acceleratrici vengono fatti collidere contro vari bersagli (altri elettroni, protoni, antiparticelle ecc.) per studiarne i meccanismi di interazione ed evidenziare così aspetti fondamentali delle interazioni. Nella fisica della materia, vengono invece inviati su vari campioni, per es. superfici cristalline, per metterne in luce la struttura geometrica, elettronica o altre interessanti proprietà.
È evidente in tutti questi studi l’impegno volto ad aggiungere il nuovo grado di libertà costituito dallo spin: in particolare, nella scienza dei materiali le spettroscopie elettroniche con elettroni polarizzati rappresentano alcune delle tecniche più versatili ed efficaci per fornire informazioni di varia natura, specie su sistemi magnetici. Un modo particolarmente diretto e concettualmente semplice per ottenere l’informazione di spin consiste nel sostituire la convenzionale sorgente di elettroni con una che produca elettroni polarizzati in spin. Sorgenti di tale tipo sono rese possibili dal fenomeno del pompaggio ottico. Come già sottolineato, illuminando un cristallo semiconduttore, come il GaAs, con luce polarizzata circolarmente si producono elettroni in banda di conduzione con una polarizzazione che può raggiungere il 50%. Elettroni sul fondo della banda di conduzione in condizioni normali rimangono confinati nel solido, in quanto il livello di vuoto, cioè l’energia corrispondente a un elettrone che ne è fuoriuscito, è molto più in alto in energia. La distanza tra il livello di vuoto e il fondo della banda di conduzione definisce l’affinità elettronica del semiconduttore. È tuttavia possibile, con opportuni trattamenti della superficie, ottenere una cosiddetta situazione di affinità elettronica negativa (NEA, Negative Electron Affinity), in cui la banda di conduzione viene a trovarsi al di sotto del livello di vuoto. In questo caso, gli elettroni eccitati dalla luce, che provoca anche uno sbilanciamento dello spin, riescono a uscire dal cristallo, e si ha il processo di fotoemissione di elettroni polarizzati. La possibilità di realizzare una sorgente di elettroni polarizzati dipende quindi dalla concomitanza dei due fenomeni, il pompaggio ottico e la situazione NEA. Molto utile per versatilità della sorgente risulta inoltre la possibilità di controllare la direzione dello spin del fascio semplicemente modulando l’elicità della luce incidente. Sorgenti basate sulla fotoemissione da fotocatodi NEA di GaAs sono state utilizzate, a partire dagli anni Ottanta, in molti laboratori per esperimenti di fisica delle alte energie e per lo studio del magnetismo di superficie e di film sottili. Più recentemente sono stati utilizzati sistemi semiconduttori artificiali più complessi, come nanostrutture a QW e superreticoli, oppure film ultrasottili cresciuti su substrati con diverso parametro reticolare (e quindi soggetti a sforzo tensile). In questi casi la ridotta dimensionalità rimuove il limite teorico del 50% della polarizzazione che si può ottenere nei materiali semiconduttori di volume, permettendo (almeno teoricamente) una polarizzazione completa, con grande miglioramento delle prestazioni. Tale strumento rappresenta un dispositivo alquanto sofisticato e di non facile realizzazione, che richiede competenze di fisica delle superfici per l’accurata fase di preparazione e operazione in UHV, di fisica dei laser per la produzione del fascio di luce incidente con l’opportuna elicità, intensità e struttura temporale, di ottica elettronica per la raccolta e focalizzazione degli elettroni fotoemessi. Risulta pertanto evidente come il suo uso, per quanto appetibile, sia ancora limitato ai laboratori di ricerca.
SpinLED. Si tratta di un diodo che emette luce a base spin. Lo SpinLED (Spin Light Emitting Diode) è un dispositivo da cui ci si aspetta una diffusione molto più estesa, soprattutto nel campo delle telecomunicazioni e quindi di potenziale interesse anche per usi, per così dire, domestici. Anche in questo caso, il meccanismo fondamentale è quello del pompaggio ottico, usato però in maniera speculare. Infatti, invece di inviare luce polarizzata circolarmente e ottenere elettroni spin-polarizzati, si iniettano elettroni polarizzati nella banda di conduzione di un materiale semiconduttore, tipicamente una struttura a QW, in modo che gli elettroni vi rimangano confinati con il loro spin e possano diseccitarsi in un processo di ricombinazione radiativa con l’emissione di luce polarizzata circolarmente (fig. 6). L’iniezione avviene tramite un elettrodo FM. Una volta realizzato, questo dispositivo potrà trovare uso come sorgente di segnali per le telecomunicazioni. Al posto della solita codifica binaria dei bit con LED convenzionali (luce sì, 1; luce no, 0) si potrà avere una logica a 3 livelli agendo sulla magnetizzazione del ferromagnete: nessuna emissione, emissione polarizzata circolarmente destra ed emissione polarizzata circolarmente sinistra. In questo modo si aumentano notevolmente le possibilità di trasferire il segnale e le architetture conseguenti. Anche per questo dispositivo il collo di bottiglia è attualmente rappresentato dalla difficoltà di iniettare efficacemente elettroni polarizzati nel semiconduttore. Per ovviare a tale problema, in effetti, già nella proposta originale (il brevetto è del 1999) si è pensato di usare semiconduttori ferromagnetici. Future applicazioni sono pertanto anche in questo caso legate allo sviluppo della scienza dei materiali in tale settore.
Dispositivi a giunzione magnetica a effetto tunnel. Su tali dispositivi è concentrata la massima attenzione della comunità scientifica, con applicazioni già commerciali e di grande rilievo. In un MTJ (Magnetic Tunnel Junction) la struttura è simile al tristrato della GMR, ma in questo caso il materiale NM che separa i due strati FM è costituito da un sottilissimo strato isolante. Il dispositivo si basa su un tipico fenomeno quantistico, l’effetto tunnel, che permette agli elettroni di passare da uno strato FM all’altro attraverso la barriera costituita dall’isolante, anche se la loro presenza all’interno dell’isolante stesso è proibita. Il processo conserva lo spin e quindi avviene con efficacia solo se le magnetizzazioni dei due strati FM sono parallele. Variandone una delle due si cambia la resistenza elettrica del circuito, come nei dispositivi a GMR, dando luogo alla TMR (Tunneling MagnetoResistance). Il valore che si può ottenere per tale parametro dipende dalla polarizzazione di spin degli elettroni nei due materiali FM, per cui già dall’inizio la ricerca si è concentrata su nuovi materiali con elevata polarizzazione: perfetti in questo senso gli half-metals. Rientrano in questa casistica alcuni composti contenenti manganese, le manganiti, per es. La1−xSrxMnO3 (convenzionalmente indicato come LSMO). MTJ realizzate con elettrodi LSMO separati da un sottile strato di ossido isolante, cresciuti con la tecnica PLD, hanno dato luogo a TMR anche superiori al 1800%, un valore talmente grande da potersi prestare a numerose applicazioni. Tali risultati sono stati ottenuti però a temperature molto basse: verso temperatura ambiente i valori si riducono drasticamente. Si ritiene in generale che in tali materiali gli effetti di superficie e interfaccia siano molto rilevanti, e ciò fa sì che le prestazioni a temperatura ambiente, almeno allo stato attuale delle tecnologie di sintesi, siano molto ridotte.
Più recentemente sono state realizzate MTJ basate su materiali FM più comuni (Fe, Co), separate da un sottile strato di ossido di magnesio cristallino. Grandi sforzi dal punto di vista sia teorico sia sperimentale sono dedicati a comprendere il fenomeno tunnel in tali strutture, in cui la simmetria gioca un ruolo essenziale. Questi studi stanno portando a MTJ sempre più efficienti, e si assiste a un continuo succedersi di nuovi valori record: l’ultimo è di una TMR pari al 500% a temperatura ambiente. Il campo principale in cui strutture MTJ sono già applicate e in cui si prevede una rapidissima diffusione è quello delle memorie ad accesso casuale (RAM, Random Access Memory). Le comuni RAM inserite, per es., nei personal computer usano la presenza o l’assenza di carica elettrica per immagazzinare dati all’interno di milioni di microcondensatori su un chip: la lettura dei dati è molto rapida, ma la memoria svanisce quando il sistema viene spento e non più alimentato. Per contro, la tecnologia dei dischi rigidi è basata sulla magnetizzazione di piccoli domini sulla superficie del disco: in questo caso una gran quantità di dati rimane memorizzata anche in assenza di alimentazione, ma la velocità di lettura è limitata dalla velocità di rotazione del disco. Le nuove RAM magnetiche (MRAM, Magnetic RAM), pur conservando la caratteristica di non volatilità dei dischi rigidi, fanno a meno della rotazione del disco. L’informazione binaria è immagazzinata in elementi MTJ, in cui al solito uno dei due strati FM è bloccato mediante una configurazione EB, mentre l’altro è libero di orientarsi in un campo esterno: si hanno gli stati 0 o 1 a seconda che i due strati FM siano paralleli (alta conducibilità) o antiparalleli (bassa conducibilità). L’architettura base di una MRAM è formata da due serie ortogonali di linee conduttrici parallele (fig. 7) connesse da celle MTJ a ogni intersezione tra le linee. In fase di scrittura, si manda un impulso di corrente lungo una linea di ciascuna serie: solo al punto di incrocio tra le linee il campo B risultante è abbastanza grande da orientare la magnetizzazione dello strato FM libero. Per leggere, si misura la resistenza tra le due linee connesse dalla cella indirizzata.
Combinando le prestazioni delle attuali memorie magnetiche con quelle delle RAM a semiconduttore, come la non volatilità (un perdurare per tempi pressoché infiniti dell’informazione) e una grande rapidità di accesso, le MRAM si pongono come candidate favorite per quelle ‘memorie universali’, che costituiscono una delle mete più ambiziose della nanoelettronica. I primi prodotti basati su architetture MRAM di questo tipo, ma con strutture MTJ meno innovative di quelle qui descritte, sono stati commercializzati nel 2006.
Conclusioni e prospettive
L’attuale forte spinta verso la spintronica è sicuramente motivata dalle prospettive di applicazioni tecnologiche, anche se la sottostante fisica fondamentale dello spin è molto interessante e meritevole di essere studiata di per sé. Pur se molti schemi di dispositivi spintronici potranno rivelarsi alla fine di uso non pratico, la loro importanza risiede anche nello stimolare interessanti ricerche sia sperimentali sia teoriche.
Molte sono le sfide e le domande ancora aperte cui la ricerca deve dare risposte, prima tra tutte quella di una buona efficacia di iniezione di spin nei semiconduttori in genere e in particolare nel silicio. È comunque del tutto evidente che i progressi futuri saranno legati agli sviluppi nella scienza dei materiali: dalla sintesi di semiconduttori magnetici o di metalli a metà con alta temperatura di Curie e alta mobilità, allo sviluppo di semplici metodi di fabbricazione di interfacce di alta qualità. Quest’ultimo punto rappresenta senz’altro un limite delle attuali conoscenze, nel senso che al presente manca ancora una comprensione sistematica degli effetti delle interfacce magnetiche e delle disomogeneità sul trasporto spin-polarizzato.
Per quanto riguarda le prospettive future, un argomento di grande attualità, ancora lontano dalle applicazioni, ma che rappresenta una delle frontiere della ricerca in fisica e su cui sono riposte molte aspettative della spintronica, è la costruzione di un computer quantistico. L’idea, con potenzialità davvero rivoluzionarie, è quella di usare la natura a due livelli dello spin elettronico. L’unità base in un tale sistema è il bit quantistico (quantum bit, o qubit), l’analogo quantistico del bit binario dei classici computer digitali. Un qubit è in sostanza un sistema quantistico a due livelli controllabile: mentre però il bit classico assume solo uno dei due possibili valori, un qubit può trovarsi in una sovrapposizione quantistica delle due possibilità (ossia una loro combinazione lineare qualsiasi). Due qubit possono trovarsi in una sovrapposizione quantistica di 4 stati e tre qubit in una di 8. In generale, un computer quantistico con N qubit può trovarsi simultaneamente in 2N stati, da confrontarsi con il fatto che un normale computer può trovarsi solo in uno dei 2N stati alla volta. In linea di principio, quindi, questi nuovi computer potrebbero effettuare molte operazioni di computazione classica in parallelo, con una velocità di calcolo incredibilmente alta. Sono stati proposti e studiati diversi schemi di computer quantistici basati sullo spin, con l’idea di poter manipolare la dinamica di uno, o pochi, spin elettronici in nanostrutture a semiconduttore (per es., in QD soggetti a pompaggio ottico) e la speranza che il comportamento previsto si possa estendere a sistemi con molti spin, requisito fondamentale per una concreta funzionalità computazionale quantistica. Il controllo della dinamica di spin e del connesso fenomeno dell’entanglement (correlazione quantistica) è un compito estremamente difficile, ciononostante in questo campo si stanno facendo progressi notevoli. L’interesse per i computer quantistici basati sullo spin è destinato a crescere anche e soprattutto in base a una migliore comprensione dei processi fondamentali dello spin, derivanti da altri studi di spintronica.
Considerata la novità di queste tematiche e la rapidità con cui si susseguono le scoperte di nuovi materiali e fenomeni nel campo della spintronica, è molto probabile che nell’immediato futuro si assista a un proliferare di nuove applicazioni e dispositivi, anche in aree al momento del tutto inattese.
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