SPIROCHETOSI itteroemorragica
Malattia infettiva determinata da una speciale spirocheta (Leptospira icterohaemorragiae), che, nei casi tipici, presenta un decorso febbrile ciclico, con epatosplenomegalia, tendenza alle emorragie, ittero, albuminuria e spirocheturia, e, prima della ripresa febbrile, scoloramento delle feci e crisi urinaria. Descritta in Italia fin dal 1730, secondo le ricerche bibliografiche di A. Monti, fu bene studiata e illustrata da Adolf Weil (Deutsch. Arch. klin. Med.; XXXIX, 1886) donde anche il nome di morbo di Weil. È una malattia riscontrabile in Europa, in America e in Asia; la sua frequenza fu spesso segnalata su tutti i settori della guerra mondiale. I Giapponesi R. Inada, Y. Ido, (J. of exper. Med., XXIII, 1916, p. 377), nel 1915 fecero la scoperta dell'agente etiologico, la Leptospira icterohaemorragiae. Questo germe si riscontra nel sangue e nei tessuti dei topi, per i quali il microrganismo si comporta come un semplice saprofita; con le urine e con le deiezioni dei topi la Leptospira inquina non solo le acque di scolo e di fognature, e quindi i porti di mare e i fiumi, ma anche le derrate e i cibi esposti al contatto di questi animali. L'infezione si contrae attraverso lesioni di continuo della cute che viene a contatto con materiale inquinato, o attraverso le mucose boccale e faringea per passaggio di acque o di cibi crudi infestati da spirochete. Il topo, però, può dare l'infezione anche con il semplice morso.
Il più spesso vengono colpiti operai addetti a lavori di fognature, beccai e conciatori di pelli o individui che si bagnano presso lo sbocco delle fogne nei mari e nei fiumi. La malattia è frequente dai 20 ai 30 anni, è rara dopo i quaranta.
Il periodo d'incubazione va da un minimo di tre giorni a un massimo di undici. L'affezione dura circa tre settimane e si può distinguerla nei seguenti periodi: Primo periodo: l'inizio è brusco; preceduta raramente da brividi, la temperatura s'eleva rapidamente a 39°-40° e con la febbre compaiono dolori più o meno intensi ai lombi, alla nuca, alle sure; la lingua diventa impatinata, le urine sono scarse e ricche di albumina, si ha diarrea o stipsi, il fegato è aumentato di volume e dolente, il polso è frequente e spesso aritmico, s'accompagna agitazione, insonnia, delirio. Questo periodo dura da 3 a 5 giorni. Secondo periodo: la febbre va rimettendo insieme con tutti gli altri sintomi, mentre si va accentuando l'ittero che verso il quarto giorno di malattia già aveva cominciato a manifestarsi; il fegato è sempre ingrandito e dolente, la lingua è arida, le feci diventano chiare oppure, a volte, contengono sangue, le urine sono scarsissime con poca quantità di urea e contengono albumina, cilindri e spirochete. Questo periodo dura da 3 a 4 giorni e può terminare nel 20-30% dei casi con la morte per paralisi cardiaca o per uremia. Terzo periodo: quando il malato va a guarigione, all'oliguria segue una poliuria con l'attenuazione progressiva e poi con la scomparsa di tutti i sintomi dianzi accennati. Tale periodo dura dai 4 ai 15 giorni. Quarto periodo: nel 75% dei casi, quando già il malato sembra essere in convalescenza, ritorna la febbre, a tipo continuo o remittente, senza però che essa determini un'influenza sulla regressione dei sintomi. Tale periodo febbrile dura dai 7 ai 9 giorni. Per solito non si hanno in questo periodo complicazioni e l'infermo verso la fine del terzo settenario di malattia entra nella vera convalescenza che suole essere lunga e laboriosa. L'infezione da spirochetosi itteroemorragica può assumere una lunga serie di varietà cliniche, che va dall'ittero grave all'ittero infettivo sopra descritto e da questo alle spirochetosi con sindrome d'ittero catarrale benigno oppure a quello con febbre prolungata con sindrome meningea, nervosa, polmonare, ecc.
Le lesioni anatomopatologiche sono più degenerative che infiammatorie e riguardano soprattutto il fegato e il rene. Il fegato è aumentato di volume e il suo aumento è in dipendenza di una stasi venosa e biliare e di fatti d'iperplasia delle cellule del parenchima e d'infiltrazione parvicellulare degli spazî periportali; qua e là s'incontrano focolai necrotici, circondati da cellule in cariocinesi atipica. I reni appaiono congesti, ingrossati, con macchie ecchimotiche; nei canalicoli si trovano cilindri d'ogni specie coperti da leucociti ed emazie; è raro riscontrare le note di una glomerulonefrite. Negli altri organi s'osservano note di congestione, sulle mucose gastrica e intestinale punti ecchimotici ed emorragici.
Per la diagnosi va tenuto presente che i fenomeni generali dell'inizio non hanno nulla di caratteristico, perciò la diagnosi differenziale tra i varî itteri infettivi e altre infezioni non è possibile che nella fase itterica: l'apparizione dell'ittero, l'evoluzione del morbo, la crisi che precede la ripresa febbrile, la ricaduta della febbre chiariranno succesivamente la situazione. La diagnosi parassitaria s'ottiene nel secondo periodo della malattia con la ricerca delle spirochete nel liquor e nelle urine. La prognosi è piuttosto grave e sempre riservata nei casi tipici.
Come terapia è bene dare dapprima un purgante salino; l'iperpiressia si combatterà con spugnature e clisteri di acqua a temperatura di stanza e con bagni tiepidi (33°-35°); la diuresi sarà facilitata con ipodermoclisi o con rettoclisi, preferibilmente glucosate e isotoniche, con teobromina e con purganti; l'aritmia si combatte con la sparteina; le emorragie con sali di calcio e con adrenalina. Come dieta si somministrerà latte e abbondanti bevande alcaline. Utile può essere anche il siero di cavalli immunizzati con le spirochete: esso viene somministrato a dose di 50-100 cmc. il primo giorno e di 20-60 nei giorni successivi. Il salvarsan e i preparati affini sono inutili e dannosi. Quanto alla profilassi, gl'infermi devono essere isolati e le loro urine disinfettate per 9 settimane dall'inizio dell'attacco. Bisogna, inoltre, evitare di bagnarsi nei porti e in vicinanza degli sbocchi delle fogne, allontanare le persone dai luoghi infestati e procedere allo sterminio dei topi con i mezzi più adatti.
Spirochetosi negli animali.
Ricordiamo le forme più importanti:
Spirochetosi aviare. - È una malattia dei polli, delle oche, delle anitre, a carattere setticemico, causata dalla Spirochaeta anserina o S. gallinarum. L'infezione è diffusa specialmente nell'Europa sud-orientale, nelle colonie italiane, e in generale nelle regioni tropicali e subtropicali degli altri continenti. Nei polli si diffonde in modo rapido e in forma gravissima durante la stagione calda, mentre nelle oche e anitre si rileva in forma sporadica. La malattia è trasmessa da alcune zecche (l'Argas persicus, miniatus e reflexus e l'Ornithodorus moubata); le spirochete che vengono succhiate col sangue di polli infetti passano dall'intestino alle ghiandole salivari delle zecche. Queste, con successive punture, possono trasmettere la malattia in tutti gli stadî della stessa evoluzione vitale, come in quelli della generazione successiva, perché la spirocheta può passare dalla zecca sessualmente matura alle uova e agli esseri che da esse si schiudono. La propagazione della malattia a pollai indenni avviene per l'introduzione di polli ammalati o più comunemente per l'introduzione di polli guariti portanti sul corpo zecche. Le lesioni anatomopatologiche sono specialmente caratterizzate da splenomegalia, da degenerazione grassa del fegato con focolai di necrosi, da miocardite e pericardite. Il periodo d'incubazione è di 7-9 giorni. Le manifestazioni cliniche sono febbre, sonnolenza, pallore della cresta, anoressia, diarrea, dimagramento e paraplegia. Verso il quinto giorno della malattia si può manifestare una crisi (in cui avviene la rapida scomparsa dei parassiti dal sangue), caratterizzata da discesa della temperatura, da tinta bluastra della cresta. La crisi può essere seguita da morte rapida o tardiva (10-15 giorni), con paralisi estendentesi alle ali, o da guarigione. Per la diagnosi, specie dove la malattia è poco diffusa, si rende necessaria la dimostrazione microscopica del parassita, nel sangue prima della crisi, nel fegato, nel midollo osseo, nelle ovaie dopo avvenuta la crisi. Dànno ottimi risultati terapeutici l'atoxil, l'atoxilato di mercurio, il salvarsan, la soamina. È necessaria la disinfestazione dei polli e dei pollai dalle zecche. I polli guariti conservano una durevole immunità; perciò a scopo profilattico si può ricorrere all'infezione sperimentale dei polli e alla cura con uno dei medicamenti suddetti all'acme della malattia o all'inoculazione simultanea del virus e del preparato terapeutico.
Spirochetosi dei mammiferi. - Nel sangue dei mammiferi viventi nei paesi tropicali e subtropicali furono messe in evidenza spirochete simili a quelle degli uccelli. Il loro potere patogeno però non è stato in ogni caso dimostrato perché, se è ben vero che in certe specie animali, come nel coniglio, nel suino, possono determinare processi morbosi ben definiti, è pure altrettanto sicuro che in altre specie domestiche (bovini, equini, ovini) le spirochete possono dimostrarsi tanto nel sangue di animali sani come in quello di animali ammalati di piroplasmosi, di tripanosomiasi. I tentativi d'inoculazione in queste ultime specie non hanno condotto a risultati definitivi.
Spirochetosi di Theiler o bovina: è stata scoperta da A. Theiler come reperto accidentale in bovini affetti da piroplasmosi e da tripanosomiasi; è stata riscontrata anche in bovini sani da tali infezioni. La maggior parte degli autori ritiene che tale spirocheta non determini nel bovino nessuna manifestazione clinicamente obiettiva. Essa è trasmessa dal Rhipicephalus decoloratus.
Spirochetosi equina: è stata sinora dimostrata solo in Africa. M. Carpano la ritiene capace di una malattia avente sintomi simili a quelli della tripanosomiasi.
Spirochetosi suina: è determinata dalla S. suilla ed è caratterizzata dalla comparsa di ascessi cutanei, di ulcere cutanee estese a tutto il corpo, da dimagramento progressivo e da morte abbastanza frequente. La malattia è assai diffusa nell'Africa meridionale ma è stata osservata e studiata anche in Italia da L. Rossi. Dànno buoni risultati i preparati arsenicali per applicazione locale.
Spirochetosi del coniglio (sifilide del coniglio): è determinata dalla S. cuniculi ed è caratterizzata dall'insorgenza di noduli cutanei, della grandezza media di una lenticchia, e da ulceri cutanee circondate da una tumefazione edematosa. Tali lesioni s'iniziano al prepuzio e alla vulva, si diffondono poi alla regione perianale e nei casi più gravi alla faccia. Rispondono efficacemente agli effetti terapeutici i derivati arsenobenzolici e specialmente l'argento salvarsanico di soda.
Nel tifo canino o ittero infettivo o morbo di Stoccarda è spesso segnalato il reperto di spirochete nel sangue, fegato, milza, reni, ecc. Dal punto di vista sperimentale non si è però potuto ancora stabilire il valore etiologico e l'importanza patogena del parassita nel decorso della malattia. È stata avanzata l'ipotesi che il cane, come forse il ratto, rappresenti una sorgente del morbo di Weil o ittero infettivo dell'uomo.