splendere [partic. pres. splendiente]
Ricorre solo nel Convivio e nella Commedia. Per quanto D. definisca lo splendore (v.) come un lume... in altra parte alluminata ripercosso (Cv III XIV 5), s. indica anche l'emissione e la diffusione di una luminosità particolarmente viva, anzi per alludere al fenomeno della riflessione il verbo più frequentemente usato è ‛ risplendere ' (v.).
Un esempio di s. con il significato di " riflettere ", " riverberare ", si avrebbe in Pg XXIX 67 qualora venisse adottata la lezione L'acqua splendea dal sinistro fianco, presente nella '21 e in tutte le edizioni moderne, in quanto il passo descrive la superficie del Lete resa luminosa dalle luci dei sette candelabri rispecchiate dall'acqua del fiumicello; questa occorrenza è però venuta meno nell'edizione del Petrocchi (v. ad l. e Introduzione 217), il quale è tornato a lezione di codici antichi, di più ampia attestazione e di più sicura genuinità, imprendea, " idest recipiebat " (Benvenuto).
Del resto, in Pg XXIX 20 e quel, durando, più e più splendeva, s. ricorre proprio in riferimento al fatto che la luce che all'improvviso aveva illuminato la foresta " s'avvivava sempre più " (Casini-Barbi), con un'accezione cioè diversa da quella che dovrebb'essere attribuita al verbo, qualora si tenesse presente la definizione che D. dà di ‛ splendore '. Considerazioni analoghe sono suggerite dalla didascalia che introduce la domanda rivolta da s. Pietro a D. (Pd XXIV 89 Appresso uscì de la luce profonda / che lì splendeva), dall'accenno all'intensa luminosità degli occhi di Venere (Pg XXVIII 64 Non credo che splendesse tanto lume / sotto le ciglia a Venere) e dalla balenante visione della bellezza di Beatrice nel cielo di Saturno, una bellezza che se, non si temperasse, tanto splende, che il mortal podere di D., al suo fulgore, / sarebbe fronda che trono scoscende (Pd XXI 10): passi tutti che, per il fatto stesso di appartenere agli ultimi canti del Purgatorio e al Paradiso, attestano come s., nella sua accezione propria o in quelle immediatamente estensive, ricorra sempre in rapporto con il tema della luce che si avviva e diventa più abbagliante a mano a mano che D. sale verso l'Empireo.
A tutt'altro ambito concettuale appartengono le occorrenze dell'Inferno e del Convivio, nelle quali s. è sempre usato in senso figurato, ma in accezioni che in qualche modo si collegano al fenomeno della riflessione.
Esponendo la dottrina intorno alla Fortuna, Virgilio ricorda che Dio fece li cieli e diè lor chi conduce / sì, ch'ogne parte ad ogne parte splende, / distribuendo igualmente la luce (If VII 75), accenna cioè alla creazione dei cieli e dei motori celesti per opera di Dio, il quale fece sì che ciascuno dei nove cori celesti " riflettesse " sul cielo assegnatogli la luce intellettuale di cui è dotato. L'uso di s. ha qui una duplice motivazione: da un lato, collega questo passo a Cv III XIV 4 Dio, pinge la sua virtù in cose per modo di diritto raggio, e in cose per modo di splendore reverberato; onde ne le Intelligenze raggia la divina luce sanza mezzo, ne l'altre si ripercuote da queste Intelligenze prima illuminate (e cfr. anche Pd XXVIII 64-78); dall'altro contrappone alle intelligenze angeliche e alle sfere celesti, al cui moto esse presiedono, gli splendor mondani (If VII 77), delle cui trasmutazioni è ministra e duce (v. 78) la Fortuna.
Questo accenno alla creazione come irradiazione dell' ‛ ardore ' di Dio (cfr. Pd VII 65 e 74), chiarisce anche il valore dottrinario con il quale s. ricorre in If X 102 Noi veggiam, come quei c'ha mala luce, / le cose... che ne son lontano; / cotanto ancor ne splende il sommo duce, " cioè presta di luce... Idio, senza la grazia del quale alcuna cosa non si può fare " (Boccaccio).
Un valore pregnante, allusivo a tutte e due le accezioni finora illustrate, s. ha in Cv III XIV 7 quinci nasce che là dovunque questo amore splende, tutti li altri amori si fanno oscuri e quasi spenti. Il verbo infatti contrappone la vivezza splendente dell'amore per la Sapienza all'oscura opacità degli amori terreni (e in questo senso si accosta al significato di " diffondere una luminosità viva " con la quale ricorre nel Purgatorio e nel Paradiso).
Al tema della Sapienza (v.) come luce divina partecipata, è legata la traduzione del passo di Prov. 4, 18 " iustorum... semita quasi lux splendens, / procedit et crescit usque ad perfectam diem ", tradotto o rielaborato due volte (Cv III XV 18, IV VII 9; in entrambi i casi " lux splendens " è reso luce splendiente).
Un ulteriore sviluppo semantico, allusivo all'idea della larghezza nel donare e nel ricompensare, si ha in Cv IV XIII 14 larghezza... è vertude ne la quale è perfetto bene e la quale fa li uomini splendienti e amati; si noti però come anche qui il vocabolo ricorra in connessione con il richiamo a un bene perfetto. V. anche SPLENDIDO.