SPLENDOR
È la più recente "invenzione" di cui si abbia notizia da Plinio, nel breve disegno storico della pittura greca, dopo quella del chiaroscuro: adiectus est splendor, alius hic quam lumen (Plin., Nat. hist., xxxv, 29).
L'esplicita distinzione dal lumen (v.) che era già una conquista della fine del V sec. a. C., permette di datare sommariamente al IV sec. l'introduzione dello s., ma questa è anche la sola indicazione che ci venga dalle fonti antiche. Incerta infatti è da considerare la corrispondenza col greco λαμπότης (Ferri) che si identifica meglio col latino claritas, nei significati di candore luminoso, aspetto brillante, ecc.; e d'altra parte sappiamo che claritas in senso tecnico ha significati diversi da s., sia quando è sinonimo di lumen (claritatis colorem album, Plin., Nar. hist., xxxv, 97), sia quando indica il riflesso fastidioso delle vernici (ne claritas colorum aciem offenderet, loc. cit.).
Si dovrà semmai pensare alla traduzione del greco αὐγή, che indica la luce lampeggiante del sole e del fuoco, e soprattutto il riflesso brillante di oggetti metallici o stoffe alla luce viva (Il., xiii, 341; Pind., Nem., iv, 83; Eur., Med., 983, ecc.): nella prima accezione, lo s. indicherebbe l'introduzione della fonte luminosa visibile nel dipinto, come nello Zeus Alèxandros di Apelle (v.), con il fulmine nella mano, o nell'interno di Antiphilos con il ragazzo che soffia sul fuoco (domo splendescente, Plin., Nat. hist., xxxv, 138), ma è probabile che significasse comunemente la presenza del riflesso di luce. In questo senso, S. era già stato tradotto con Reflexion (Blümner), ma il concetto va necessariamente integrato con quello della brillantezza del materiale, glow (Sellers) e Glanzlicht (Pfuhl): è stato infine osservato che il fenomeno non può coesistere con la luce diffusa, ed esige un raggio di luce incidente che si rifletta su di una superficie liscia tornando all'occhio bianco, indipendentemente dal colore dell'oggetto (Ferri). Si direbbe che lo s. consista in generale nello studio delle figure alla luce viva del sole o di una sorgente artificiale, con le relative conseguenze: chiaroscuro accentuato, effetti di riflessione, ombra portata (v.), ecc.
L'esperienza ottica del raggio incidente e riflesso appare già scontata alla fine del V sec., per esempio, nella pelìke del Pittore di Tarporley (v.) dove Atena mostra a Perseo la testa della Gorgone riflessa nello scudo, secondo una corretta angolazione. Successivamente, la ceramica attica ed àpula rivela il gusto di segnare in bianco e giallo alcuni particolari luminosi, ed ancor prima della metà del IV sec. il Pittore della Ilioupersis (v.), (v. oreste, tav. a colori), rileva il riflesso di qualche oggetto metallico. Nella figura umana il fenomeno appare più tardi, a cominciare dai defunti eroizzati del Pittore A degli Heroa (B. M. Scarfì, in Arch. Class., xi, 1959, p. 179 ss.), dove il personaggio è assimilato ad una statua dorata: una convenzione che aveva già suggerito sorprendenti effetti lumimistici allo scorcio del V sec. nella figura di Talos (v. talos, pittore di, inoltre: S. Aurigemma, La Necropoli di Spina in Valle Trebba, i, Roma 1960, p. 117 ss., tav. 138, a, b, c). L'uso del "lume" bianco su figure colorate compare attorno al 320 a. C nell'hydria alessandrina con i centauri (v. hadra fig. 1381; inoltre L. Guerrini, La ceramica di Hadra, Roma 1965, p. 12), ma la più matura esperienza è nelle coppe del Pittore di Hesse (v. pocola), verso la fine del secolo, dove si conserva il tratteggio per la stesura delle ombre, mentre le parti luminose sono francamente rilevate a macchia.
Nella grande pittura, il fenomeno è ancora ignorato attorno al 340-330 a. C dal pittore della caccia alla cerva, riprodotta nel più tardo mosaico di Pella (v.): si tratta di un originale della scuola di Sicione, dove pure potevano essere maturate le premesse teoriche per lo studio della riflessione della luce; ma l'applicazione del bianco a macchia era naturalmente legata anche ad una tecnica pittorica più avanzata che forse è stata prerogativa della scuola attica (v. pittura). Qui in particolare la pittura di Nikias può già far pensare ad un chiaroscuro molto intenso e a qualche effetto di rilievo affidato alla luce viva (lumen et umbras custodiit atque ut eminerent e tabulis picturae maxime curavit, Plin., Nat. hist., xxxv, 131); ad Euphranor risale forse l'epifania del defunto a guisa di simulacro aureo, con le notazioni luministiche echeggiate dalla ceramica àpula (hic primus videtur expressisse dignitates heroum, Plin., Nat. hist., xxxv, 128), e infine a Philoxenos (v.), che perfezionava le esperienze del maestro Nikomachos, si deve alla fine del secolo la completa realizzazione dello s. nella Battaglia di Alessandro, dove si ha per la prima volta la prova che la fonte luminosa è stata pensata all' esterno del quadro, nell'unica maniera che consenta di valorizzarne il riflesso verso lo spettatore.
Bibl.: H. Blümner, Archaeologische Studien zu Lukian, Lipsia 1867, p. 16; E. Sellers, The Elder Pliny's chapters on the History of Art, Londra 1896; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, II, pp. 622, 629 s., III, p. 948; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, pp. 104, 134 s., 190; R. Bianchi Bandinelli, Il problema della pittura antica, Firenze 1953, p. 102 ss.; A. Rumpf, in Handb. d. Arch., IV, i, Monaco 1953, p. 145.