SPOLETO (A. T., 24-25-26 bis)
Città dell'Umbria, centro archeologico, storico e artistico assai importante; è situata sulle pendici del M. Luco fra 317 e 453 m. s. m., presso una curva del torrente Tessino, affluente del Maroggia, in posizione assai ridente per la chiostra di montagne verdeggianti che le fanno corona. Di origine antichissima, presenta un aspetto vetusto, con i suoi numerosi edifici medievali e del Rinascimento, le vie strette e tortuose, spesso a cordonata, e i numerosi cavalcavia. Il clima di Spoleto è piuttosio rigido d'inverno, e fresco d'estate (tanto che vi accorrono numerosi villeggianti), con piogge abbondanti (1137 mm. annui). I mesi più piovosi sono quelli autunnali. La città aveva 4050 ab. nel 1701, scesi a 3761 nel 1736. Nel 1881 la popolazione risultò poi di 7696 abit., saliti a 7928 nel 1901, a 9618 nel 1921 e a 11.594 nel 1931.
Spoleto ha un discreto movimento commerciale (specialmente di olio, e poi, a distanza, di cereali, vino e bestiame) e possiede varie industrie (una fabbrica di cemento, un cotonificio, varî stabilimenti tipografici, concerie, fornaci per laterizî, molini, ecc.). La città ha stazione ferroviaria (distanza 1 km.) sulla linea Roma-Ancona ed è capolinea della ferrovia elettrica a scartamento ridotto, lunga 52 km., che va a Norcia (aperta al traffico nel 1926).
Il comune di Spoleto è uno dei più grandi dell'Umbria (342,31 kmq.). Esso comprende un territorio prevalentemente collinoso e montuoso (le quote estreme sono 222 e 1337 m., ma la maggior parte di esso si trova tra 550 e 850 m.), coperto da ampî boschi (42% della superficie). Le colture occupano poco più di un terzo della superficie comunale (32% a seminativi, che per oltre metà sono a cereali, e 4% a colture specializzate di piante legnose, costituite quasi esclusivamente da oliveti). La coltura dell'olivo è la risorsa principale e dà sui 30.000 q. annui di olio rinomatissimo. Si producono poi circa 70.000 q. annui di frumento, 10.000 di mais, 68.000 di patate, 300.000 di foraggi e circa 90.000 ettolitri di vino. L'allevamento del bestiame ha ragguardevole importanza, sopra tutto per i bovini (4642 capi nel 1930) e gli ovini (21.310 capi). I pascoli occupano il 13% della superficie comunale. Presso S. Angelo in Mercole e Morgnano si sfruttano giacimenti di lignite (600 tonn. al giorno).
La popolazione del comune è risultata nel 1931 di 32.595 ab. (95 per kmq.), dei quali il 38% vive in case sparse.
Monumenti. - Del periodo anteriore alla conquista romana Spoleto conserva le tracce, oltre che nei resti di alcuni sepolcreti, probabilmente del sec. VII a. C. che hanno dato caratteristici vasi d'impasto nero, nelle mura poligonali (intorno al sec. V a. C.), restaurate in opera quadrata verso il sec. III a. C. e poi più tardi in età sillana e nel basso impero. Rimane anche una porta architravata della cinta poligonale e un'altra a tutto sesto forse del tempo del restauro in opera quadrata, oltre a tracce di altre due.
Grande fioritura ebbe Spoleto in età augustea: tra gli ultimi decennî del sec. I a. C. e i primi del sec. I d. C. sono compresi: il cosiddetto Ponte Sanguinario, a tre archi (di cui uno ora interrato), conservatissimo; un edificio formato da stanze con muri di opera reticolata e da un portico a pilastri presso la Piazza del Mercato (antico Foro); l'arco dedicato dopo il 23 d. C. dal senato locale in onore di Druso e Germanico; una casa privata di pianta assai regolare, adorna di ricchi pavimenti a musaico che pare sia appartenuta a Vespasia Polla, madre di Vespasiano; il basamento di un tempietto quadrato, ecc. Nel sec. I sono anche da porsi: il tempio di S. Ansano sul cui stilobate intatto poggiano ancora due colonne e parte del muro della cella con la sua trabeazione marmorea in situ; il teatro di cui sono visibili ambulacri e ambienti sostruttivi. Al sec. II appartiene l'anfiteatro che conserva gran parte di un ordine di arcate, alcune delle quali chiuse da rozze murature del tempo di Totila che vi si fortificò nel 546. Al sec. III si può ascrivere un mitreo presso la città. Spoleto ha anche un interessante museo con una ricca collezione epigrafica, di cui il più importante cimelio è la lex Spoletina (fine sec. III a. C.) pervenutaci in due copie: in essa sono fissate le norme per la conservazione di un bosco sacro a Giove.
Eccezionalmente importanti sono a Spoleto e nei dintorni i segni del sollecito diffondersi del cristianesimo. Alle porte della città la basilica di S. Salvatore, nonostante rovine e rimaneggiamenti, costituisce uno dei più rari esempî d'architettura a un tempo classica e cristiana del sec. IV. L'interno è a tre navate; la facciata, pressoché intatta nella sua struttura, conserva in gran parte l'ornamentazione marmorea nella quale sono riflessi di arte classica orientale. A questo monumento si avvicina, per le sopravvivenze romane nella struttura e per le tendenze orientaleggianti nelle ornamentazioni, il leggiadrissimo tempietto del Clitunno, parimenti dedicato al Salvatore e sorto non oltre il principio del sec. V sopra un più antico sacello pagano.
Della chiesa di S. Marco, eretta primitivamente nel sec. VI e della quale parla S. Gregorio Magno, è superstite qualche tratto della cripta. Ugualmente al sec. VI potrebbe rimontare l'originaria costruzione della chiesa di S. Giuliano, che, rimaneggiata e trasformata più tardi nell'XI, costituisce dal punto di vista artistico e archeologico l'unico ricordo notevole di quella caratteristica comunità eremitica fondata sul Monte Luco nella prima metà del sec. VI da Isacco d'Antiochia e durata sino alla rivoluzione francese.
Nessun resto dell'alto Medioevo è sin qui venuto alla luce che ci testimonî in modo diretto la potenza del ducato longobardo che a Spoleto ha avuto la sua capitale: molto si è discusso, e anche fantasticato, sul palazzo dei duchi, ma sinora ce ne è ignota persino l'ubicazione. Un edifìcio importantissimo, la basilichetia a tre navate con matronei dedicata a S. Eufemia, risale con ogni verosimiglianza alla metà del sec. X, e si viene ora (1936) liberando dalle fabbriche che l'opprimevano. Nella seconda metà del sec. XI ha avuto inizio la costruzione della chiesa di S. Gregorio: nei due monumenti sono già palesi influssi lombardi, tra i più remoti che sia dato riscontrare nell'Umbria.
Interessanti resti di rilievi ornamentali dell'età di mezzo si conservano nel museo civico.
I due più antichi monumenti cristiani sopra ricordati, oltre che notevolissime decorazioni a rilievo, contengono anche i primi saggi di pittura medievale (dal VII al IX secolo) che sin qui si siano ritrovati nell'Umbria. Alla fine del sec. X o al principio dell'XI vanno assegnati gli affreschi, copiosi ma in mediocrissimo stato di conservazione, della cripta dei Ss. Isacco e Marziale sottostante alla chiesa di S. Ansano.
Nel 1155 Federico Barbarossa distrugge la città, destinata a risorgere più bella e più ricca e a trovare in breve nel papa Innocenzo III un valido protettore. Risorge così il duomo col suo bel portale, mentre è scampato alla devastazione il possente campanile, solo di qualche decennio anteriore. Altre chiese si rinnovano verso la fine del secolo e i primi del Duecento. Sorge così S. Pietro sopra una chiesa più antica che pare rimonti originariamente alla metà del sec. V, e dell'edificio duecentesco soprattutto sono da ricordare le sculture della facciata, capolavoro della plastica medievale in Umbria. Di poco anteriori sono le sculture ornamentali dell'elegante facciata di S. Ponziano.
Alberto Sozio firma un Crocifisso dipinto (1187) ora nella cattedrale e già nella chiesina dei Ss. Giovanni e Paolo, dove tuttora sono alcuni affreschi che con certezza devono venir dati al medesimo pittore. Il quale è del tutto legato alla tradizione bizantina non meno di quel Solsterno che nel 1207 firma il bel musaico sulla facciata del duomo. Pure degl'inizî del sec. XIII rimangono affreschi a S. Paolo, sopra la vòlta dell'attuale chiesa: mentre alcune figure di Profeti ricordano modi bizantini, alcune storie della Creazione del mondo sono, benché rozze, nella corrente rinnovatrice che muove da Roma. Qualche influsso della maniera di Cimabue si scorge negli affreschi del monastero "Le Palazze", ora in America nell'Art Museum di Worcester.
L'arte gotica apparisce nella chiesa di S. Domenico, e in quella di S. Nicolò oggi semidistrutta, con portale del 1402. Grandioso monumento, ammirevole anche nell'avvilente destinazione odierna a penitenziario, è la rocca iniziata nel 1362 da Matteo Gattapone per il cardinale Albornoz, e trasformata in qualche parte nel Quattrocento con la supposta collaborazione di Bernardo Rossellino. Del Gattapone, il grande architetto di Gubbio, è con probabilità anche l'incompiuta costruzione prossima al duomo conosciuta col nome di Palazzo della Signoria, nonché il colossale Ponte delle Torri che serve da viadotto e da acquedotto, probabilmente non anteriore alla costruzione della rocca, anche se è stato utilizzato qualche manufatto anteriore di proporzioni assai più modeste.
L'arte del Rinascimento ha lasciato a Spoleto orme gloriose. Soprattutto sono da ricordare nel duomo gli affreschi di Filippo Lippi, in collaborazione principalmente di Fra Diamante e di Pier Matteo d'Amelia, nell'abside, e quelli del Pinturicchio (1497) nella cappella Eroli.
Il pittore del Cinquecento che ha lasciato un'impronta più larga è stato Giovanni Spagna, autore - per non ricordar che le cose più notevoli - degli affreschi della Rocca, che ora distaccati si conservano nella pinacoteca, e degli affreschi della chiesa di S. Giacomo nella frazione omonima. Suo genero, Iacopo Siculo, ha decorato a fresco la cappella dell'atrio del duomo, e a lui viene attribuito il bel graffito sulla facciata del Palazzo Arroni, che potrebbe anche essere stato condotto sopra un cartone dello Spagna.
L'architettura del Rinascimento ha improntato - oltre le già ricordate trasformazioni della Rocca - il portico della cattedrale (1491), opera di Ambrogio da Milano e Pippo da Firenze, la chiesa della Manna d'Oro eretta per voto in seguito al sacco di Roma (1527) con reminiscenze bramantesche, la chiesa della Madonna di Loreto (II metà del sec. XVI), eseguita da Annibale Lippi figlio di Nanni di Baccio Bigio. Per la scuuura conviene citare soprattutto nel duomo il monumento di Filippo Lippi, condotto sopra un disegno del figlio Filippino, e il monumento degli Orsini, opera in parte del già ricordato Ambrogio da Milano, e infine il ciborio della chiesa di S. Gregorio.
Dei tempi più recenti, Spoleto ha tra altro opere di Annibale Carracci, del Lanfranco, del Guercino, di Sebastiano Conca, in Duomo, alla Manna d'oro, a S. Filippo, a S. Gregorio. Quanto all'architettura vanno ricordate la trasformazione del duomo nel secondo quarto del Seicento, che la tradizione locale attribuisce al Bernini, e il grandioso edificio seicentesco della chiesa di S. Filippo. Per ultimo non è da dimenticare che Giuseppe Valadier ha lavorato nel duomo e che, nei dintorni della città, è opera sua la Villa dei Pianciani a Terraia.
V. tavv. LXV e LXVI.
Storia. - Spoleto fu molto probabilmente fino dalle sue origini città degli Umbri, per quanto si sia voluto vedere nel suo nome (etr. spur "città") una primitiva pertinenza agli Etruschi. Dovette venire in potere dei Romani nella III guerra sannitica. Una colonia di diritto latino vi fu dedotta dai Romani nel 241 a. C. e si ritiene che fosse tra le 12 colonie latine che ebbero diritto inferiore alle altre. Durante la II guerra punica la città, a detta di Livio, respinse l'assedio di Annibale e fu questa forse una delle cause morali che persuasero il duce cartaginese a non marciare su Roma. Dopo il rovescio di Canne, Spoleto fu tra le colonie che rassicurarono con ambascerie il senato romano della loro immutata fedeltà e di ciò le furono rese grazie pubblicamente in senato. Per effetto della guerra sociale ebbe la cittadinanza romana e fu municipio iscritto nella tribù orazia. Allora i suoi magistrati supremi, i pretori, furono sostituiti da quattuorviri. Durante le guerre civili Spoleto favorì i democratici dando ricetto a Carinate che vi fu assediato dall'esercito di Silla. In seguito a ciò pare che la città intorno all'80 a. C. sia stata messa a sacco e poco dopo punita con la vendita all'asta dei beni pubblici. Nel 43 a. C. troviamo il giovane Ottaviano che sacrifica con lieti auspici a Spoleto dove dopo la guerra perugina si rifugia il vecchio generale di Cesare Munazio Planco. Poche notizie abbiamo di Spoleto durante l'impero: nel 253 pare che vi sia stato ucciso l'imperatore Emiliano. Abbiamo poi qualche menzione della città in età costantiniana e sotto Teodorico che restaurò le terme e bonificò il territorio.
Data la forte posizione della città, Vitige non poté prenderla che con l'inganno; Narsete vi tenne una guarnigione. Dopo l'invasione longobarda, le vicende di Spoleto si accompagnano a quelle del ducato. Federico I la incendia e la distrugge nel luglio del 11558, sdegnato per avergli gli Spoletini pagato il tributo in moneta falsa, ma soprattutto per sfogare la sua irritazione per l'esito non troppo lusinghiero dell'andata a Roma. Molti danni vi fa, poco appresso, anche l'arcivescovo Cristiano di Magonza. Riconquistato il ducato alla Chiesa, Gregorio IX inaugura la serie dei papi che vi fanno dimora; nel 1232 vi canonizza S. Antonio da Padova; nel 1234 vi bandisce la crociata, alla presenza di Federico II e di Corrado suo figlio. La successiva storia di Spoleto si differenzia assai poco da quella delle altre città soggette alla Chiesa, salvo che fu una delle più costanti nella sua soggezione. La insanguinano, favorite sottomano dai Montefeltro, le lotte di parte durante il sec. XIV, specie nel 1312, 1319 e nel 1324, quando Perugia interviene a favore dei guelfi, caccia i ghibellini, impone però a Spoleto un podestà e vi costruisce una sua rocca. Spoleto deve pagare anche un simbolico tributo. Ma le capitolazioni fatte con i Perugini furono annullate dal cardinale Albornoz, che vi fece stanza e vi costruì il maestoso e forte castello. La città prese poi parte alla generale rivolta dell'anno 1375 (guerra degli Otto Santi); nel corso dello scisma cadde sotto la dominazione di Gian Galeazzo Visconti (1400), venne assediata inutilmente da Ladislao, ma non poté sottrarsi alla signoria di Braccio da Montone e poi dell'abate di Montecassino, Pirro Tomacelli, che nel 1440 fu arrestato e decapitato dal card. Vitelleschi. Ribellatasi nel 1474 con Todi al dominio papale, fu ridotta a obbedienza dal card. Giuliano della Rovere; nel 1499 ebbe per reggente Lucrezia Borgia. Notiamo ancora una guerricciola fra Spoleto e Terni a causa di Cesi (1494-96); anche le contigue terre Arnolfe furono cagione di continui attriti fra la città e la Chiesa. Spoleto venne nel 1809 dichiarata capoluogo del dipartimento del Trasimeno, ritornando nel 1816 ad essere sede di delegazione apostolica (dal 1827 al 1831 ebbe aggregata Rieti). Il Sercognani tentò invano d'impadronirsene nel 1831. Il 17 settembre 1860 la città fu presa dalle truppe italiane.
Il ducato di Spoleto.
Il periodo più interessante della storia del ducato di Spoleto comincia con la conquista longobarda e va fino al definitivo inglobamento del territorio nello stato della Chiesa.
Quando nel 571 l'invasione longobarda spinge una sua cospicua ondata verso il Mezzogiorno, e si costituisce il ducato beneventano, è probabile che sia sorto anche il ducato di Spoleto. Ambedue questi dominî erano destinati a sopravvivere alle fortune del loro popolo, grazie ad alcune condizioni particolarmente favorevoli: l'ottima posizione geografica e di facile difesa, tra le montagne dell'Appennino; il fatto che erano circondati da territorî debolmente presidiati dai Greci, e quindi potevano espandersi senza incontrare eccessive resistenze; la grande lontananza dal potere centrale, senz'altro assai poco efficiente. La loro sorte è però disuguale; il ducato spoletino ha minore durata del beneventano, terminando di esistere come territorio autonomo poco dopo la conquista franca; tuttavia non prima del sec. XIII la Chiesa se lo annetterà in modo definitivo. Per essa i rapporti col ducato ebbero sempre una particolare importanza, in qu̇anto Spoleto dominava la Via Flaminia, e quindi le comunicazioni fra Roma e l'Adriatico, cioè fra il ducato romano e l'esarcato di Ravenna, la Pentapoli: notiamo che una catena di città fortificate fedeli a Bisanzio (Bomarzo, Orte, Ameria, Narni, Terni, Perugia) si stendeva lungo la Flaminia o accanto ad essa, ed anche se i Longobardi di Spoleto non riuscirono mai a conquistarle (eccetto Narni), tuttavia ricavarono indirettamente un vantaggio dalla loro presenza, perché esse li separavano dagli altri ducati longobardi e favorivano la loro autonomia.
La serie dei duchi ha inizio con Faroaldo (571-591 circa) che sembra abbia conquistato Classe (584?) e tenuto questo porto per qualche tempo; ma i Longobardi non seppero valersi del possesso di questa importantissima base marittima, che avrebbe potuto dar loro il dominio dell'Adriatico e permettere di tagliare l'esarcato da Bisanzio. Sembra che il duca abbia conquistato anche Fermo e Amiterno (S. Vittorino presso Aquila). Succede Ariulfo (591 circa-601) sotto il quale il ducato raggiunge la sua massima estensione; difatti il duca si spinge sino a Fano (e quindi ai confini della Pentapoli) e conquista anche Osimo, restituita però nel 598 ai Greci. Così il ducato venne a comprendere quasi tutta la parte montuosa dell'Italia centrale. I confini tra il ducato spoletano, il ducato romano e le terre bizantine del litorale adriatico sono molto approssimativi, perché solo in parte sono documentabili; d'altro lato essi dovettero effettivamente essere soggetti a modificazioni, a seconda della fortuna delle armi, mentre verso i ducati longobardi restarono quasi immutati. Date le tendenze espansionistiche di Ariulfo, è comprensibile che egli tentasse anche il colpo più grosso, la conquista di Roma; e infatti egli è causa di preoccupazioni assai vive per Gregorio Magno, aiutato insufficientemente dall'esarca ed assai meglio dalla propria autorità e abilità diplomatica. Morto Ariulfo, i due figli di Faroaldo, che alla morte del padre non avevano potuto succedergli a causa della minore età, ambiscono alla successione e contrastano fra loro: vince Teodelapio (601-653) il cui lungo dominio coincide in gran parte con quello del beneventano Arichi; poiché proprio allora la monarchia longobarda attraversa una crisi di debolezza, i due potenti duchi si trovano ad essere praticamente del tutto indipendenti. Anzi - com'è noto - un altro duca di Benevento, Grimoaldo, riuscirà poi a conquistare anche la corona regale. Morto il duca spoletino Attone (successo a Teodelapio) re Grimoaldo, riaffermando l'antico diritto dei re del suo popolo, nomina egli stesso il nuovo duca di Spoleto, nella persona di un suo fedelissimo, Transamondo conte di Capua e suo genero. In tal modo egli riusciva ad attirare nell'orbita regia ambedue i più potenti principati longobardi (infatti a Benevento risiedeva suo figlio Romoaldo). Ma breve tempo durò questo stato di cose, ché poco tempo dopo il re periva, e i due ducati riprendevano la loro autonomia. Transamondo regge Spoleto dal 663 al 703; pare che per un certo tempo egli si sia associato nel dominio il fratello Wachilapus. Gli succede il figlio Faroaldo Il (703-720) che, come il suo omonimo, sembra che abbia conquistato nuovamente e per poco tempo Classe; egli nel 712 acquista anche il comitato di Sabina (a sud di Rieti, nella quale città era sempre stato un gastaldo spoletino) che solo nel 742 verrà restituito al papa. Appunto nella Sabina egli toglie a proteggere l'abbazia di Farfa, che restaura e arricchisce con donazioni. In data incerta (fra il 718 e il 720) egli viene deposto - e forse ucciso - dal figlio Transamondo II, avventuroso e turbolento in sommo grado, che è in continua lotta con l'energico re Liutprando, il quale vuole affermare l'autorità regia sui due ducati meridionali e vi riesce anche. Nel 726 Transamondo interviene nella lotta iconoclastica, a favore del papa, e naturalmente anche a vantaggio proprio, ché si appropria di Narni, che terrà fino al 742. Però nel 729 Liutprando riesce a imporsi: presa Spoleto senza lotta, si fa giurare piena fedeltà dal duca, al quale lascia tuttavia la dignità e in sostanza l'autonomia. Ma dieci anni dopo, deciso, evidentemente, a ridurre il duca a dovere in modo definitivo, si ripresenta in forze davanti a Spoleto: Transamondo fugge a Roma e viene sostituito nel ducato da Ilderico. Il re chiede al papa la consegna del duca ribelle, ma inutilmente, ché il papa aveva tutto l'interesse di giocare l'uno contro l'altro, e, se mai, di restare in buon accordo con il suo potente vicino, come lo era con il duca di Benevento. Sappiamo che Liutprando non osò procedere fino in fondo con il papa; si limitò a prendergli le quattro città di Polimarzio, Bleda, Ameria, Orte, poi dovette ritornare nel nord, mentre Transamondo riprendeva Spoleto (740), per tenerla fino al 742. In quell'anno la sorte gli è nuovamente avversa, e il papa lo abbandona questa volta alle vendette di Liutprando. Il ducato spoletino perde tutte le terre tolte al ducato romano; Transamondo deve cedere la dignità ducale a un nipote del re, Agiprando duca di Chiusi. Ancora una volta, alla morte del re, egli tenterà la fortuna, riprendendo - a quel che pare - una parte del ducato. Comunque, dal 745-6 al 751 compare come duca Lupone, che gode di una quasi indipendenza di fronte al re Rachi, ma viene poi deposto da Astolfo, il quale regge egli stesso il ducato fino alla morte (756). Tra il 757 e il 758 è duca Alboino, che giura fedeltà al papa e al re dei Franchi: il fatto nuovo dimostra che Spoleto si sente sempre più staccata dal regno di Pavia e attratta invece dal suo centro naturale, Roma. Ma dimostra anche che si prevedeva quale dovesse essere a non lungo andare la sorte del re longobardo. Per il momento la sorte è favorevole a Desiderio, che riconquista Spoleto (e Benevento) e vi insedia una sua creatura, Gisulfo, nell'aprile del 759. Per tutto il ventennio successivo il ducato appare strettamente unito col regno: sui documenti (che egli intesta col nome del re, come di solito non avevano fatto i suoi predecessori), Gisulfo compare fino al luglio del 761; poi sembra che per due anni Spoleto fosse senza duca; dal 763 all'ottobre del 773 è duca Teodicio, del tutto devoto al re, per il quale si crede che sia caduto, combattendo alle Chiuse contro i Franchi. Quando giunge a Spoleto la notizia della disfatta di Desiderio, la sorte di Spoleto è decisa: gli abitanti fanno atto formale di sottomissione al papa, si lasciano radere la testa al modo dei Romani, accettano dal papa il nuovo duca, Ildebrando. Questi non resta che poco tempo sottomesso a Roma: dal 776 i documenti spoletini sono datati secondo gli anni di Carlo, e successivamente la dipendenza di Ildebrando dal re franco si accentua anche di più. È finita con l'autonomia di Spoleto; i duchi divengono semplici funzionarî e rappresentanti del potere centrale. Morto verso il 789 Ildebrando, gli succede il nobile iranco Guinigiso, che ha occasione di distinguersi salvando Leone III dalla congiura di Pasquale e di Campulo, e accompagnandolo a Paderborn presso Carlomagno (799). Poco dopo l'incoronazione di Carlo, sembra che il ducato si sia accresciuto del gastaldato Teatense (Chieti) e sia giunto fino a Ortona (presa nell'802); successivamente pare che il territorio di Camerino e di Fermo raggiungesse una certa autonomia (comitato o marca di Camerino). Guinigiso, essendo mosso in guerra con Pipino contro il duca di Benevento, viene preso prigioniero, ma poi rilasciato e può continuare a reggere il ducato (a quanto sembra, insieme con un suo figlio) fino all'822, quando si ritira in un convento. Segue un periodo sul quale siamo poco informati, fino a che, nell'842, non compare un nuovo duca, Guido, d'origine franca, che quattro anni dopo pare che contribuisca a salvare Roma da un attacco saraceno. Qualche tempo appresso interviene nel territorio beneventano: aiuta Adenolfo di Salerno a reprimere la rivolta di Landolfo e Landenolfo di Capua, e acquista così al proprio dominio le località di Sora, Arpino, Vicalvo, Atina. Sembra che egli si associasse al dominio i figli Guido e Lamberto, assegnando a quello Camerino, a questo Spoleto; ma l'estrema penuria di notizie attendibili non permette di assicurarlo. Così non sappiamo in quale anno (tra l'859 e l'866) gli sia succeduto nella dignità ducale il figlio Lamberto, il quale l'anno 867 saccheggia Roma. Ludovico II lo depone, ma Carlo il Calvo lo reintegra in Spoleto, anzi gli affida la difesa di Roma contro i Saraceni. Ma Lamberto, uomo senza scrupoli, si collega proprio con essi, e assedia il papa in S. Pietro, costringendolo poi a fuggire da Roma. Gli succedono, a quanto pare, il figlio Guido e poi il fratello Guido (tale omonimia rende impossibile tenerli distinti), il quale ultimo si ribella contro il debole Carlo il Grosso e si pone alla testa delle rapaci bande saracene. Questo avventuriero riuscirà poi a conquistare la corona d'Italia (v. guido imperatore).
È da credere che Guido lasciasse allora l'effettivo governo del ducato in altre mani, e precisamente del marchese Guido (forse di altro ramo della famiglia) che troviamo duca di Spoleto dopo la morte dell'imperatore (894) e durante le vicende di Lamberto e della madre Ageltrude. Nell'895, invitato dal proprio genero Guaimario di Salerno, toglie Benevento ai Greci e la tiene per circa due anni. Perisce nell'897 per mano di Alberico, che in quell'anno figura già marchese di Camerino. Questi partecipa con truppe spoletine alla battaglia del Garigliano (915) e probabilmente domina in Spoleto fino alla morte (924).
Nel sec. X la storia dei duchi di Spoleto, oltre a divenire singolarmente confusa per la scarsezza delle fonti, offre poco interesse. Mancano personalità da paragonarsi a quelle dei secoli precedenti; nessun duca riesce a reggersi per un tempo sufficientemente lungo e a formare una dinastia, e ciò perché le travagliate vicende della storia del regno d'Italia si ripercuotono anche in Spoleto, dove i duchi si succedono a brevi intervalli, a seconda della fortuna dei loro protettori che si contendono la corona italiana. Di tali duchi conosciamo a malapena i nomi, e nemmeno di tutti, e qualche data isolata del loro dominio. Inutile riportarli qui tutti; per la notorietà conseguita sotto altri riguardi, rammentiamo soltanto Pandolfo Capo di Ferro (967-81), eletto duca da Ottone I, e seguito dal figlio Landolfo; poi Ugo marchese di Toscana (menzionato 989-995). Nel corso del sec. XI il ducato viene conferito più volte dagl'imperatori ai loro grandi vassalli tedeschi. Troviamo duca di Spoleto perfino un papa, il tedesco Vittore II (1056), al quale, fino al 1070, pare che sia succeduto Goffredo il Barbuto duca di Lorena; meno certo è il dominio, su Spoleto e Camerino, di Goffredo il Gobbo e della moglie, la grande contessa Matilde, la quale possedeva peraltro delle terre nello Spoletano e nella marca di Camerino. Enrico IV concede Spoleto (1094) a Guarnieri, figlio dell'omonimo signore della marca anconetana; il figlio, un altro Guarnieri, gli succede nel 1130 e cade nel 1158 avanti a Crema assediata. Ma non è detto che fosse ancora duca di Spoleto, ché nel 1136 sembrerebbe investito di questo feudo Enrico il Superbo di Baviera, e nel 1155 Spoleto è certamente ribelle all'imperatore, perché viene da lui incendiata. Ad ogni modo è certo che nel 1158 Federico Barbarossa concede Spoleto allo zio Guelfo VI di Baviera, il quale pare che nel 1168 circa restituisse all'imperatore il ducato, che fu poi conferito ad altri fidi del Barbarossa: a tale Bidelulfo, poi a Corrado d'Urslingen, che è menzionato nel 1185 e non deve esser durato nel dominio oltre la morte di Enrico VI. Egli è l'ultimo vero duca di Spoleto, perché la Chiesa rivendica ora i proprî diritti.
Poteva vantare tali suoi diritti sul ducato fin dalla dedizione del duca Ildebrando, nel lontano sec. VIII, tanto più che Carlomagno aveva donato ad essa "cunctum ducatum Spoletanum seu Beneventanum". Ma nel privilegio di Ludovico il Pio dell'817 è riconosciuto sì alla Chiesa il possesso effettivo del comitato di Sabina (che sarà sempre alle dipendenza dirette del papa), ma oltre a questo si accordavano ad essa soltanto "i donativi che annualmente erano soliti esser portati al palazzo dei re longobardi, sia dalla Tuscia longobarda, sia dal ducato spoletano... in modo che ogni anno si paghi alla Chiesa di S. Pietro il predetto censo, salva in tutto la nostra dominazione sui medesimi ducati". Questa riserva vediamo riapparire nei successivi privilegi, fino a quello di Enrico II. Solo Ottone IV nella capitolazione di Neuss (1201) farà completa e definitiva rinuncia al ducato. Ma già nel 1198 Innocenzo III, attuando il suo programma di rivendicazione territoriale dello stato della Chiesa, afferma il suo dominio su Spoleto come sulle altre città dell'Umbria. Il vecchio conte Corrado deve abbandonare Spoleto al nuovo rettore, il card. Gregorio Crescenzi. Poco stabile fu però dapprincipio il dominio della Chiesa su Spoleto: Ottone IV riprese il ducato nel 1210 collocandovi certo Diopoldo e poi tale Ranieri. Sedici anni più tardi, Federico II lasciò che Rinaldo, figlio del conte Corrado, s'intitolasse duca di Spoleto; ma di fronte alle rimostranze e al risoluto contegno di Gregorio IX finì con lo sconfessarlo (1231). Da allora in poi (e particolarmente dopo la fine degli Svevi) il "ducatus Spoletanus", ridotto nell'estensione, non fu più che una delle suddivisioni territoriali dello Stato della Chiesa, sotto il governo di rettori pontifici.
Bibl.: B. Francolini, L'irrigazione della Valle Spoletina, in L'Italia agricola, 1925; G. Angelini-Rota, Spoleto e il suo territorio nell'economia, nella storia, nell'arte, Spoleto 1929; R. Riccardi, Ricerche sull'insediamento umano nell'Umbria, Roma 1931. - Per la città antica, v. E. H. Bunbury in W. Smith, Dict. of greek and roman geogr., s. v. Spoletium, Londra 1878, II; A. Sansi, Degli edifici di Spoleto, Foligno 1869 (che riassume tutti gli scritti anteriori); Corpus Inscr. Lat., XI, p. 698-727 (E. Bormann) e Supplem., pp. 1374-1380 (E. Bormann); G. Angelini-Rota, Guida di Spoleto e territorio, Spoleto 1920; Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III A, col. 1842 segg. - Per le mura: cfr. oltre al Sansi, op. cit., pp. 46-100, G. Sordini, in Not. scavi, 1903, pp. 186-198; per il teatro: id., ibid., 1891, pp. 50-55; per la casa romana: id., ibid., 1886 e 1913; E. Bormann, in Archäol.-epigr.-Mitt., Vienna 1892, pp. 33-37; per il ponte "Sanguinario": G. Sordini, in Nuova Umbria, 1881, nn. 33 e 35; 1884, nn. 2 e 3; per il Mitreo: F. Cumont, in Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, II, Parigi 1899; per il museo civico: G. Angelini-Rota, Il museo civico di Spoleto, Spoleto 1928.
Per il periodo seguente e per il ducato, v.: Th. Hodgkin, Italy and her invaders, Oxford 1829-99, V-VI; G. C. Fatteschi, Memorie istorico-diplomatiche riguardanti la serie dei duchi e la topografia de' tempi di mezzo del ducato di Spoleto, Camerino 1801; A. Sansi, I duchi di Spoleto, Foligno 1870; id., Storia del comune di Spoleto dal sec. XII al XVII seguito da alcune mem. dei tempi posteriori (fino al 1831), Foligno 1879; Wüstenfeld, Über die Herzöge von Spoleto aus dem Hause der Guidonen, in Forschungen zur deutschen Geschichte, Gottinga 1863; L. Schirmeyer, Kaiser Lambert, Gottinga 1900; A. Hofmeister, Markgrafen und Markgrafschaften im italien. Königreich in der Zeit von Karl dem Grossen bis auf Otto dem Grossen (774-962), in Mitteilungen des österr. Instit. für Geschichtsforschung, Supplem. VII, Innsbruck 1906; I. Ludovisi, Memorie critico-storiche intorno al duca di Spoleto, in Boll. stor. A. Lud. Antinori, VI (1894).
Monumenti medievali e moderni: C. Bandini, Spoleto, Bergamo 1921; id., Monte Luco, Spoleto 1922; id., La Rocca di Spoleto, ivi 1934; U. Gnoli, Pittori e miniatori dell'Umbria, ivi 1923; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Il Medioevo, Torino 1927; F. Filippini, Matteo Gattaponi da Gubbio, in Boll. d'Arte, n. s., 1922-23, pp. 77-93; M. Salmi, La basilica di San Salvatore presso Spoleto, in Dedalo, II (1921-22), pp. 628-45; A. Bertini Calosso, La pittura medievale in Umbria, in Letture Orvietane (in corso di pubbl.).