SPOLETO
(lat. Spoletium)
Città dell'Umbria (prov. Perugia) posta sulle pendici del colle di Sant'Elia, prospiciente il Monteluco.
Già importante centro umbro (come attestano le mura poligonali), S. divenne nel 241 a.C. colonia latina e quindi, nel 90 a.C., municipium. Il suo sviluppo si deve all'intensificarsi dei traffici lungo il diverticolo della via Flaminia che da Interamnia (od. Terni) giungeva a Fulginium (od. Foligno), per ricollegarsi poi al tronco principale della strada. S. conobbe un'epoca di fioritura nella Tarda Antichità in virtù della sua posizione strategica, che tuttavia le costò una parte non secondaria al tempo della guerra greco-gotica. Occupata nel 545 da Totila, che trasformò in fortezza l'anfiteatro, essa venne poi riconquistata da Narsete (m. nel 568), che ne restaurò le mura.Il cristianesimo sembra essersi diffuso a S. piuttosto presto, documentato sia dalle citazioni dei vescovi Ceciliano (353-354), Spes (fine del sec. 4°-inizio 5°) e Achilleo, che, in assenza di Bonifacio I, nel 419 fu chiamato a Roma per celebrare i riti della Pasqua (Frutaz, 1966; Ceccaroni, 1979), sia da numerose aree cimiteriali, presso le chiese suburbane di S. Pietro, S. Ponziano, Ss. Apostoli (sepoltura del vescovo Spes; Giuntella, 1983), sia dai sarcofagi tardoantichi conservati al Mus. Civ. (Bovini, 1965).La diocesi di S. ebbe per tutto il Medioevo un'importanza tale da permetterle di incorporare via via le sedi vescovili, resesi vacanti, di Norcia, Spello, Bevagna, Trevi e Terni (Toscano, 1963a; Bognetti, 1967b).Il prestigio della città di S. dal punto di vista religioso fu inoltre legato al vicino Monteluco, i cui insediamenti eremitici, che si erano organizzati secondo il modello orientale delle laure e che facevano capo alla chiesa di S. Giuliano, fondata a sua volta dal monaco siriaco Isacco nel 528, godettero di grande considerazione per tutto il Medioevo (Pani Ermini, 1983).Poco dopo l'ingresso in Italia dei Longobardi si costituì a S., intorno al 576 con Faroaldo I, un vasto ducato, che soltanto Liutprando, nel 729, riuscì a sottomettere. Da questo momento il ducato di S. fu strettamente dipendente da Pavia e dal 751 al 757 il potere vi venne esercitato direttamente dal re Astolfo. Carlo Magno, pur conservando sostanzialmente l'integrità territoriale del ducato, lo affidò al franco Winichis (Conti, 1975; 1982; Gasparri, 1983; 1995). Erano di stirpe franca anche i Guidoni che governarono S. nel sec. 9°, quando Guido II e il figlio Lamberto riuscirono per breve tempo a cingere la corona imperiale (Gasparri, 1995). Dalla morte di Lamberto e per tutto il sec. 10° S. perse inesorabilmente la propria importanza politica. Al centro delle lotte tra papato e impero, nel 1155, essa venne distrutta da Federico Barbarossa. Tra la fine del sec. 11° e l'inizio del successivo va posta la nascita del Comune, citato dalle fonti a partire dal 1173 (Sestan, 1983). Nel 1198 Innocenzo III (1198-1216) affermò la sovranità del papato su S., riconosciuta nel 1213 anche da Federico II. La storia successiva di S. è simile a quella di altri comuni dell'Italia centrale: costretta a uno stato di quasi perenne soggezione a Perugia, che aveva iniziato la costruzione di una fortezza per controllare la città, S. vide con favore, intorno alla metà del sec. 14°, l'intervento di restaurazione del potere papale a opera del cardinale Egidio Albornoz, il quale ne fece in un certo qual modo il centro della riorganizzazione territoriale dello Stato della Chiesa.
La città romana si sovrappose sostanzialmente a quella umbra, attuando una regolarizzazione dell'impianto urbano tramite terrazzamenti che delimitarono delle insulae rettangolari all'interno delle mura poligonali comprendenti l'area della cattedrale e il colle Sant'Elia, dove era l'acropoli.Anche la città medievale rimase entro le mura umbro-romane fino alla fine del sec. 13° - a esclusione dei numerosi edifici cimiteriali di epoca paleocristiana edificati extra moenia (S. Pietro, S. Ponziano, S. Salvatore) -, ricalcando grosso modo la struttura urbanistica romana. Fulcro della città medievale fu infatti la piazza del mercato, corrispondente all'antico foro; restarono in uso i tracciati del cardo (od. via dell'arco di Druso e via dei Duchi) e del decumanus maggiori (od. via del Mercato e via del Municipio). Nel corso dell'Alto Medioevo all'interno delle mura furono costruiti edifici di culto, tra i quali forse anche l'antica chiesa vescovile sul sito dell'attuale.Tra gli interventi urbanistici più importanti della S. medievale del sec. 11° si diede inizio alla trasformazione dell'area vescovile mediante un ampliamento che inglobò il monastero di S. Giovanni/S. Eufemia (il nuovo palazzo Arcivescovile) e si costruì per il nuovo duomo una via d'accesso, la via dell'Arringo, che tagliando obliquamente l'importante insula di S. Eufemia stravolgeva l'impianto romano (Toscano, 1983). Dovette iniziare proprio in questo periodo un processo di espansione intramuranea che determinò l'urbanizzazione delle aree a destra del decumano e a valle della cattedrale, a N, fino ad allora disabitate. I restauri alle mura romane nel corso del Duecento attestano un tentativo di contenere l'espansione dell'abitato entro il circuito antico, al quale si rinunciò soltanto nel 1296 con la costruzione di una nuova cerchia.
Il monumento da cui si deve prendere le mosse per illustrare lo sviluppo artistico della S. medievale è la chiesa di S. Salvatore, o S. Concordio, all'interno del cimitero, poco fuori la città, per la quale si tende ad accettare la datazione tra la fine del sec. 4° e l'inizio del 5° proposta da Salmi (1946-1948; 1951). L'edificio ha un impianto basilicale con navate un tempo divise da colonne scanalate doriche di spoglio sulle quali si appoggiava un'imponente trabeazione, seguita da un secondo livello con riquadri - probabilmente destinati a ospitare una decorazione - spartiti da lesene ioniche in muratura; a un terzo livello si aprivano le ampie finestre ora murate. Ipoteticamente intorno al sec. 8° si diede avvio a una nuova sistemazione della chiesa, con navate articolate da colonne e pilastri, successivamente murati. A quest'epoca è stata fatta risalire l'intitolazione al Salvatore, con la quale la chiesa è comunemente nota, titolo che rimanda a epoca longobarda (Salmi, 1951; Nessi, 1996). Il presbiterio, distinto dal corpo longitudinale, a pianta quadrata, venne realizzato in due fasi cronologicamente non distanti (Ward-Perkins, 1949). La prima versione era a pianta rettangolare chiusa tra l'arco trionfale, i due intercolumni laterali e una terminazione rettilinea. In seguito vennero aggiunti un'abside semicircolare fiancheggiata da due ambienti e, all'incrocio, sostegni angolari sui quali doveva forse appoggiarsi una volta a crociera, poi sostituita da una cupola sei-settecentesca (Ward-Perkins, 1949).La facciata, un tempo rivestita di marmi, è suddivisa in due ordini di cui il primo, quello dei portali con architravi decorati da motivi fitomorfi, presenta il portale centrale ornato da una croce palmata che nasce da un cespo d'acanto (Casartelli Novelli, 1990; 1996) che si pone all'origine della decorazione architettonica di tutta una serie di monumenti spoletini e umbri di epoca romanica. Il secondo ordine è caratterizzato da ampie finestre, le laterali classiche con conclusione a timpano, la mediana ad arco.Per l'edificio vennero utilizzati elementi di spoglio, colonne e capitelli tratti da edifici di epoca flavia e una trabeazione proveniente da un tempio dorico, ma altri furono appositamente prodotti: le cornici della trabeazione, le cornici al di sopra dei sostegni angolari e i dadi rigonfi del presbiterio, nonché, all'esterno, le cornici degli architravi e delle tre finestre, che mostrano una compenetrazione di elementi romani e cristiani occidentali e orientali. Si è parlato per il monumento spoletino di un 'classicismo ellenizzante' che lo porrebbe in relazione con i dittici eburnei dei secc. 4° e 5° (Salmi, 1951). Un'importante testimonianza dell'architettura tardoantica spoletina è il Tempietto del Clitunno, dedicato al Salvatore, non lontano dalla città, la cui decorazione plastica viene dalla critica associata a quella di S. Salvatore, sebbene considerata più tarda. Si tratta di un sacello rettangolare su un podio, cui si accede da due scale laterali, corrispondente al tempio in antis classico, forse realizzato a imitazione dei templi pagani che venivano edificati presso le fonti. Sulla base dei confronti della decorazione plastica dei frontoni con il S. Salvatore (la tipologia della croce, che nel Tempietto nasce da un piede e non dall'acanto, sembra derivata piuttosto dai portali laterali dell'edificio spoletino; Casartelli Novelli, 1990), il Tempietto è stato considerato cronologicamente posteriore rispetto al S. Salvatore: del sec. 5° inoltrato (Salmi, 1951) o posteriore al 600 (Casartelli Novelli, 1990).Buona parte dei monumenti spoletini, anche quelli per cui è possibile ipotizzare un'origine altomedievale, è giunta in una facies romanica, che spesso però conserva, reimpiegandoli come materiale di spoglio, elementi pertinenti a edifici precedenti non altrimenti documentati.È il caso del duomo, che si caratterizza per la posizione relativamente decentrata, a ridosso della cinta urbica, e per il carattere fortificato dell'area in cui si trova, su una spianata artificiale risalente a epoca romana, in corrispondenza di un ripidissimo pendio, sito che costituì per tutto il Medioevo un luogo di difesa (Toscano, 1969; 1974).Nonostante le fonti (prima citazione del 956) e le indagini archeologiche non permettano di risalire oltre il sec. 9°, elementi di decorazione plastica murali sotto il portico rimandano a un'epoca che oscilla tra il sec. 7° e l'8° (pluteo, risalente al sec. 7°-8°; frammento di pluteo con pavone, a esso collegato, frammenti di pilastrino con girali vitinei di ascendenza paleocristiana, forse del sec. 8°-9°; pluteo a intreccio vimineo sulla facciata anteriore del campanile, datato al sec. 8° o al 9°; Serra, 1951).Come hanno attestato le indagini topografiche e archeologiche, accanto alla chiesa di S. Maria del Vescovato si trovavano, nel 956, a formare un unico complesso, una chiesa-martyrium, la c.d. tribuna di s. Primiano - ciò che attualmente si conserva è una cripta semianulare che confronti tipologici con esempi romani e l'analisi della decorazione pittorica permettono di datare al sec. 9° -, trasversale rispetto all'edificio attuale, e il battistero di S. Angelo, nonché una domus episcopi. Nel 1067 il vescovo Andrea vi istituì un Capitolo cui assegnò dei beni. In quest'epoca si ipotizza una riedificazione della chiesa vescovile, ben presto però considerata insufficiente, dato che nella seconda metà del sec. 12° iniziò la ricostruzione dell'edificio, consacrato nel 1198, forse ancora incompleto, da Innocenzo III, nelle dimensioni in cui esso è attualmente conservato. Ciò determinò la soppressione dei preesistenti edifici annessi alla chiesa vescovile e l'apertura di un accesso viario verso la facciata. Quell'edificio, a tre navate (la centrale doppia rispetto alle laterali), transetto non emergente (poi prolungato nel Trecento) e probabilmente un'unica abside semicircolare, fu completamente trasformato all'interno nel sec. 17°; si conserva la facciata, realizzata in più fasi tra la fine del 12° e il 13° secolo. Un progetto iniziale, con portale architravato e portico con rosone centrale al di sopra di una galleria cieca, venne abbandonato, come testimoniano gli elementi verticali che si interrompono in maniera incongrua, per fare posto alle grandi cornici archiacute e a un coronamento superiore a gattoni di epoca ormai gotica (Righetti Tosti-Croce, 1983). Al di sotto dell'attuale portico cinquecentesco il portale costituisce un importante esempio della decorazione architettonica romanica in Umbria e nella croce che nasce dal cespo d'acanto denota la propria derivazione dal S. Salvatore.S. Pietro extra moenia, fondata nel sec. 5° dal vescovo Achilleo su una delle più importanti aree cimiteriali di S. e luogo di sepoltura dei vescovi spoletini, fu, per tutto il Medioevo, seconda per importanza soltanto alla cattedrale. Ricostruita nel sec. 12° essa subì, nel 17° un totale rifacimento al quale si sottrasse soltanto la facciata, comunque privata del timpano e di due formelle. Questa, pur facendo parte di una tipologia diffusa in Umbria, nella quale rientrano quella dello stesso duomo di S. e la facciata del duomo di Assisi, si distingue però per la straordinaria ricchezza della decorazione. Se da un lato infatti risponde alla tradizione del Romanico spoletino-umbro di ascendenza tardoantica (la decorazione a secchi girali originati dalla croce, cui si ricollegano le figurazioni adiacenti al portale, pavoni, cervi e buoi), essa presenta però in aggiunta una serie di figurazioni, che, se non di altissima qualità, sono però ordinate secondo un elaborato programma iconografico; all'interno di riquadri originati dall'intersecarsi di elementi verticali e orizzontali si ritrovano scene della Vita di s. Pietro, ma anche personaggi delle favole medievali (il lupo presuntuoso, la volpe che si finge morta), e altre scene di insegnamento morale. A una prima fase decorativa appartengono i rilievi più lontani dal portale, al sec. 13° inoltrato quelli immediatamente adiacenti agli stipiti (Esch, 1975; 1981; Dalli Regoli, 1983).La terza chiesa per importanza era quella di S. Gregorio Maggiore, costruita a partire dal 1076 ca., data di fondazione, al 1146 ca., anno di consacrazione (Antonelli, 1957), sul luogo di un antichissimo cimitero cristiano sorto, secondo la tradizione, intorno alla sepoltura del martire spoletino Gregorio, con testimonianze di epoche precedenti (il noto pluteo al di sotto del portico attribuito al sec. 8°; frammenti di pilastrini e capitelli datati dal sec. 6° al 9°; Serra, 1959b, pp. 65-70).
Caratterizzata da un impianto basilicale a tre navate, con presbiterio sopraelevato e cripta sottostante, e frutto di una sostanziale unità costruttiva, S. Gregorio fa parte di un nutrito gruppo di chiese a S. e nell'area circostante che comprende, tra le altre, S. Giuliano, S. Felice di Giano, S. Pietro a Bovara e le chiese di Bevagna (Martelli, 1957). La facciata, che nelle sue forme attuali, con il livello superiore occupato da tre archi rincassati, i laterali acuti, quello centrale a tutto sesto, corrisponde a un restauro trecentesco - a parte il portico del Cinquecento -, doveva essere in origine sopraelevata in corrispondenza della navata centrale. L'edificio si caratterizza per una struttura complessa, con un blocco orientale intenzionalmente distinto dal resto della chiesa sia per la sopraelevazione sia per l'inquadramento tramite un arco a cui si accompagnano soluzioni raffinate nelle volte, nelle modanature e nei capitelli (Peroni, 1983).S. Eufemia, all'interno dell'insula in cui tradizionalmente si localizzava il palazzo ducale, venne fondata, secondo una tradizione, da Teodelapio (601-653), anche se la prima notizia certa che la riguarda è riferita alla fondazione ab imo a opera di Gunderada (sec. 10°). Sebbene l'od. edificio risalga interamente al sec. 12°, gli elementi di spoglio reimpiegati sembrerebbero far propendere per una datazione piuttosto precoce (Toscano, 1983, p. 535). Tra questi va innanzitutto citato il pilastro con decorazione su tre facce - di qualità elevata per la perfezione del disegno, l'accuratezza dell'esecuzione, l'ordine e la simmetria -, espressione di una cultura bizantineggiante che, pur riprendendo le cornici classiche a foglia e controfoglia del S. Salvatore, mostra un generale appiattimento del motivo mediante il gusto per un intaglio minuzioso e inciso. Controverse sono sia la datazione, dal sec. 7° al 9°, sia la provenienza (Serra, 1951, pp. 61-65).S. Eufemia ha un posto singolare nell'architettura spoletina per il suo sistema alternato e per i matronei, inediti per il Romanico centroitaliano, considerata una diretta derivazione dall'architettura dell'Italia settentrionale, da S. Lorenzo di Verona in particolare (Salmi, 1954). Tuttavia le differenze indubbie rispetto all'architettura romanica più esplicitamente spoletina quale quella del S. Gregorio (oltre ai matronei e al sistema alternato, l'assenza dello schema presbiterio sopraelevato-cripta, nonché la presenza di bacini ceramici a ulteriore riprova dell'inflessione settentrionale) non impediscono di individuare nei due edifici analogie in particolare nel trattamento degli spessori (Peroni, 1983).A queste chiese più note si aggiunge all'interno di S., nei dintorni e nell'area della vasta diocesi, una serie di monumenti frutto dell'attività costruttiva che si ebbe a partire dal sec. 11° e che dovette essere avviata dall'ipotetica ricostruzione del duomo.Tra questi edifici va ricordato S. Ponziano, dedicato al patrono della città. La chiesa attuale, rinnovata da Giuseppe Valadier, risale al sec. 12° e fu edificata sulla catacomba di S. Sincleta, dove, secondo la tradizione, nel 175 era stato sepolto il martire. L'origine romanica è chiaramente attestata dalla facciata (che segue una tipologia derivata dal S. Salvatore e diffusasi tra la fine del sec. 12° e l'inizio del 13°, con due ordini separati da forti cornici e un coronamento a timpano forse più tardo) e dalla cripta - costituita da tre ambienti, il centrale a tre navatelle e tre absidi - realizzata con abbondante uso di materiale di spoglio.Romanica è la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, che consiste in due edifici: il più antico, l'attuale cripta, è l'adattamento di una costruzione romana, avvenuto forse nel sec. 11°; al di sopra di questa è un edificio consacrato nel 1172.Hanno origine romanica ancora la ex chiesa di S. Agata, nell'area del teatro romano (i restauri hanno messo in luce una chiesa a navata unica con abside di epoca romanica, preceduta da un portico che per il tipo dei capitelli può essere datato al sec. 11°), e quella della Santa Trinità, che, riedificata nel sec. 17°, conserva tuttavia un tratto del muro esterno con porta architravata, lunetta e due monofore, che rimandano al sec. 12° (Toscano, 1983, p. 515).Va inoltre menzionata - al di sotto della chiesa di S. Ansano e un tempo a essa collegata - la cripta di S. Isacco, probabilmente dei secc. 11° e 12°, a tre navate divise da colonne di spoglio sormontate da capitelli dei secc. 8° e 9° (Pietrangeli, 1940; Serra, 1951), provenienti probabilmente da un edificio precedente.Romanica è anche l'od. S. Giuliano (sec. 12°), sulla via che conduce al Monteluco, che sostituì una chiesa dalla stessa intitolazione, legata a un monastero, poi diventato benedettino. Si tratta di una basilica a tre navate e tre absidi su colonne di conci nella cui cripta si conserva un frammento di architrave decorato da tre formelle rettangolari (sec. 6°), per il quale si è parlato di cultura figurativa orientale, associata a reminiscenze classicheggianti. Sono invece databili al sec. 9° due capitelli a stampella e altri frammenti erratici (Serra, 1951, pp. 86-95).Fuori S., su un'antica area cimiteriale, in prossimità del diverticolo della via Flaminia, è anche la chiesa di S. Sabino, riedificata, con abbondante uso di materiale di spoglio, in epoca romanica, con una zona absidale che è stata fatta risalire al sec. 11° e un interno a tre navate con presbiterio sopraelevato e cripta a oratorio per cui è stato invece ipotizzato il sec. 12° avanzato.Di poco più tarda è la chiesa di S. Paolo inter vineas, nel suo complesso risalente alla fine del sec. 12°-inizio 13°, con abside di epoca anteriore. L'edificio, consacrato da Gregorio IX nel 1234, è a tre navate di sei campate, divise da arcate su colonne sormontate da capitelli corinzi. All'esterno la divisione in tre navate è marcata da lesene, mentre robuste cornici ad archetti ripartiscono il prospetto in più livelli. Il semplice portale a incassi è sormontato da un prezioso rosone frammentario (Toscano, 1957). Del monastero annesso si conserva un lato del chiostro con ampie arcate su colonne alternate a pilastri (capitelli e colonne risalgono al sec. 10°, epoca della fondazione del monastero).Va infine ricordata per l'epoca romanica la chiesa di S. Biagio, che mostra ormai soltanto in facciata, al di sotto di radicali trasformazioni, tracce della primitiva struttura. È da questo edificio che proviene con molta probabilità il rilievo con il Martirio di s. Biagio conservato attualmente al Mus. Civ., un raro esempio di scultura figurativa in Umbria. Stilisticamente lontana dai rilievi della facciata di S. Pietro, l'opera viene considerata espressione della diffusione nella regione del gusto antelamico, mediato dalla Toscana, ed è ascritta a un periodo che oscilla tra la fine del sec. 12° e l'inizio del 13° (Fratini, 1984).Se il Romanico aveva ridisegnato con i suoi edifici la fisionomia della S. all'interno della cinta antica, l'età gotica vide l'esplosione della città verso l'esterno, con conseguente accettazione della cessata utilità difensiva di quelle mura che l'avevano contenuta fin da epoca preromana e il loro recupero come muri di nuovi edifici. La città gotica non nasce da una trasformazione di quella romanica, ma si sviluppa in un'area nuova, tra la vecchia e la nuova cinta edificata a partire dal 1296.Ebbero un ruolo determinante in questo processo di espansione gli Ordini mendicanti, in primis i Francescani, ma anche i Domenicani e gli Agostiniani, i cui edifici si protendono oltre la cinta antica.Un insediamento dei Francescani all'interno della città è attestato già dal 1213 nella chiesa di S. Apollinare, dalla quale i frati si trasferirono nella chiesa di S. Elia, sul colle della Rocca, per fondare infine il convento dei Ss. Simone e Giuda. Una prima fase di lavori determinò la costruzione di una chiesa a navata unica con coro rettilineo, che doveva essere unita a un convento altrettanto modesto. Fu in epoca successiva che la chiesa ebbe uno sviluppo a tre navate e devono comunque essere successive al 1296 le tre absidi poligonali che oltrepassano la cinta antica (Romanini, 1983).Resta invece all'interno delle mura antiche, seppure nelle loro immediate vicinanze, la chiesa dei Domenicani, che si insediarono in un edificio più antico dedicato al Salvatore (od. S. Domenico). La chiesa mendicante, oggetto di un restauro di ripristino dopo le trasformazioni dei secc. 16° e 17°, costruita tra la fine del sec. 13° e l'inizio del 14°, è caratterizzata da un paramento murario bicromo, come si ritrova in altre città dell'Umbria, ed è a navata unica con abside rettilinea (Romanini, 1983; Toscano, 1983). Sempre a navata unica, ma con abside poligonale, è anche la ex chiesa di S. Nicolò costruita su un edificio di minori dimensioni, del quale si conservano dei resti, a partire dal 1304. Anche il suo coro, come quello dei Ss. Simone e Giuda, scavalca con l'abside la cinta antica (Toscano, 1983; Romanini, 1983).Al sec. 13° risalgono le parti più antiche del palazzo del Comune, peraltro non più leggibile nella sua struttura originaria a causa di una successiva ricostruzione, e, con molta probabilità, anche il c.d. ponte delle torri, emblema della città gotica, un acquedotto su nove altissimi pilastri, legati tra loro da archi acuti, che doveva portare in città le acque delle sorgenti di Cortaccione e delle Valli e che venne edificato probabilmente sul luogo di un'analoga struttura precedente. La fama che questa straordinaria realizzazione aveva raggiunto già alla metà del Trecento sembra escludere una datazione del ponte all'epoca della costruzione della Rocca. Questa costituisce l'ultimo grande monumento medievale di S. e allo stesso tempo può essere considerata come anticipazione del Rinascimento.Fatta edificare dal cardinale Albornoz come roccaforte papale, in sostituzione di quella che i perugini avevano iniziato a mezza costa del colle Sant'Elia, la Rocca, concludendo l'inquieta epoca comunale di S., domina la cittadina dall'alto del colle, nel luogo in cui era anticamente l'acropoli. Nel 1362 Matteo di Giovannello, detto il Gattapone, venne nominato dal cardinale officialem et superstantem e già nel 1367 avvenne la consegna del cassero. L'edificio, largo m 33 per una lunghezza di m 132, è costituito dalla giustapposizione di due parti distinte, la fortezza vera e propria e la residenza, due parallelepipedi affiancati e delimitati da torri, una delle quali, la Spiritata, posta tra i due corpi di fabbrica sul lato della città, con funzioni di donjon. Quale che sia stato il ruolo di Gattapone in questo progetto, le analogie tra la corte d'onore della Rocca - con la sua alternanza di pietra e laterizio, i suoi pilastri poligonali e gli archi ribassati - e il collegio di Spagna di Bologna appaiono innegabili (De Angelis d'Ossat, 1983). Si tratta di soluzioni che trovarono un'eco a S., come attesta il lato meridionale del chiostro del monastero della Stella, i cui archi ribassati in cotto, su pilastri poligonali, pure in cotto, appaiono una copia più 'gotica' - per le cornici ad archetti acuti - di quelli della Rocca.È da alcuni ascritto a Gattapone, ma forse sorto tra il 1327 e il 1347, il palazzo della Signoria, non lontano dal duomo, che si caratterizza per le alte arcate sul lato della valle e che ospita il Mus. Civico.
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Salvo gli ampi brani di un mosaico pavimentale rinvenuto tra i ruderi del monastero urbano di S. Marco (Spoleto, Mus. Diocesano), coevo alla fondazione dell'edificio, nella prima metà del sec. 6°, nulla resta a S. di precedente alla fondazione del ducato longobardo (576).Convertiti al cattolicesimo, i duchi longobardi fondarono abbazie, come S. Pietro in Valle presso Ferentillo, e commissionarono immagini sacre. Il cronista Severo Minervio nel 1529 (Sansi, 1879, p. 24) racconta come nel 601 il duca Ariulfo invocasse in suo soccorso il santo martire Sabino, facendone dipingere un ritratto nella basilica extraurbana a lui intitolata. Testimonia lo stile figurativo di questa epoca quel che resta della primitiva decorazione del S. Salvatore di S. - una croce gemmata entro una nicchia, nell'abside - e del celebre Tempietto a Campello sul Clitunno, presso S., che consiste in un busto del Redentore tra i ss. Pietro e Paolo in sembianze di finte icone e angeli clipeati con, tra loro, una croce. Queste pitture murali - per le quali è stata proposta una verosimile datazione all'inizio del sec. 8°, fondata sul confronto con dipinti in S. Maria Antiqua a Roma, eseguiti al tempo di Giovanni VII (705-707) - offrono un'importante testimonianza della conoscenza di icone greche nelle aree centrali della penisola.I legami politici di S. con Roma furono intensificati dalla sconfitta dei Longobardi per mano di Carlo Magno e dalla trasformazione dei duchi in funzionari imperiali, ma lasciarono labili tracce nelle arti figurative, salvo i malconci affreschi nella cripta dedicata a s. Primiano, sotto il duomo, del 9° secolo. È solo con il volgere del primo millennio che è possibile seguire con continuità l'evolversi di una linea artistica locale, per l'accresciuta importanza del ruolo dei vescovi all'interno della vasta diocesi spoletina e con l'intensa attività edificativa che ne seguì. Una Bibbia, proveniente dal monastero di S. Ponziano di S. e datata da Berg (1965) a poco prima del 1078 (San Daniele del Friuli, Civ. Bibl. Guarneriana, 1-2), riconduce S. all'area di diffusione delle bibbie atlantiche umbro-romane; ma già Toesca (1929), che per primo aveva studiato il fenomeno, evidenziò le affinità tra la decorazione di alcune bibbie di formato monumentale, provenienti da Roma - la Bibbia di S. Cecilia in Trastevere (Roma, BAV, Barb. lat. 587) e la Bibbia del Pantheon (Roma, BAV, Vat. lat. 12958) - o dall'Umbria - la Bibbia di Todi (Roma, BAV, Vat. lat. 10405) e la Bibbia di S. Valentino in Piano, presso Amelia (Parma, Bibl. Palatina, 386) -, con gli affreschi di S. Paolo inter vineas a S. e con dipinti romani dell'11° e 12° secolo.Tra i vari cicli pittorici di età romanica esistenti a S., più o meno lacunosi per i vistosi rifacimenti barocchi dei monumenti medievali e in gran parte rimessi in luce nel rinnovato interesse verso l'arte dei Primitivi nella prima metà del Novecento, la palma della primogenitura è generalmente assegnata alle Storie monastiche e a quelle della Passione di Cristo che rivestono la cripta intitolata ai ss. Isacco e Marziale nella chiesa urbana di S. Ansano, datate, per induzione stilistica, alla prima metà dell'11° secolo. Alla prima metà del sec. 12° risalgono i busti di santi nell'abside e i brani di storie della Passione nella parete di facciata del S. Gregorio Maggiore, collegati alla data di consacrazione dell'edificio (1146). Della seconda metà del sec. 12° sono invece le storie della Genesi, i patriarchi e i profeti che ornavano i bracci del transetto di S. Paolo inter vineas, precedenti il rinnovamento della navata della chiesa, riconsacrata nel 1234. L'opera maggiore del gruppo è rappresentata dagli affreschi dell'abbazia di S. Pietro in Valle presso Ferentillo, disposti su tre registri sovrapposti con Storie vetero e neotestamentarie, eseguiti a più mani sullo scorcio del sec. 12° da una maestranza collegata a prototipi romani.All'interno di questa koinè figurativa umbro-romana, una variante spiccatamente spoletina è offerta dalle c.d. croci azzurre, quali i crocifissi di S. (Pinacoteca Com.), di Norcia (Mus. La Castellina), della chiesa di S. Maria, detta anche S. Francesco, a Vallo di Nera, nonché il frammento di Crocifissione, con Vergine dolente, di Baltimora (Walters Art Gall.): essi, nel segno filiforme e nella preferenza per tinte pallide, trovano un preciso termine di confronto in un gruppo di codici miniati provenienti dall'abbazia di Sant'Eutizio, presso Preci, in valle Castoriana (Roma, Vallicell., A. 3/1; C. 6; C. 13), e in un leggendario, datato 1194, proveniente da San Felice di Narco (Spoleto, Arch. Capitolare, I-II). Carte sciolte con decorazioni affini sono riemerse negli archivi di S. e di Norcia, a conferma dell'origine locale di questa produzione.Diretti legami con il mondo bizantino sono ravvisabili in un'icona della Madonna che fu donata nel 1185 dall'imperatore Federico I Barbarossa alla cattedrale in segno di pace e in un Crocifisso triumphans che reca la firma "Alberto Sot [---]", conservato nella cattedrale. Quest'ultimo reca la data 1187, che ne fa il più antico crocifisso della penisola dopo quello di Guglielmo nella cattedrale di Sarzana. Allo stesso Alberto (v.) sono unanimemente assegnati due affreschi nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, dalla quale proviene il crocifisso, raffiguranti il Martirio dei santi titolari e il Martirio di s. Tommaso Becket; il secondo è collegabile alla canonizzazione del vescovo di Canterbury (1173), l'anno prima della consacrazione della chiesa (1174). L'aspra e metallica maniera di Alberto lasciò una profonda eco nell'ambiente artistico umbro: a S. se ne trova una traccia nel Banchetto di Erode ai Ss. Giovanni e Paolo e nella frammentaria decorazione dell'abside di S. Sabino, quest'ultima forse opera dello stesso Alberto; di uno stretto seguace sono gli affreschi della cappella dell'Assunta in S. Maria infraportas a Foligno.Nel 1207 il timpano della cattedrale - riconsacrata da Innocenzo III nel 1198 - fu decorato da un monumentale mosaico raffigurante la Déesis, firmato da un "doctor Solsternus [...] in arte modernus". Benché sia ignota la provenienza del pittore, l'arte di Solsterno rientra nel fenomeno dell'introduzione di iconografie e modelli bizantini nella penisola, dalla Sicilia normanna ai mosaici veneziani. A S. se ne fecero interpreti alcuni pittori di cui si conoscono opere firmate, già messe in rapporto con l'attività ad Assisi di Giunta Pisano, ma da questo indipendenti, o addirittura più antiche, come il crocifisso di S. Salvatore di Campi Vecchio, firmato da un Petrus e datato 1212, che coniuga l'iconografia bizantina del Christus patiens con quella tedesca del Dreinagelcrucifixus. I nomi di Simone et Machilon compaiono in un crocifisso datato 1258, conservato a Roma (Gall. Naz. d'Arte antica, Palazzo Barberini), e in un dossale custodito ad Anversa (Mus. Mayer van den Bergh), ma sembra che i due pittori fossero già attivi nel 1230 in un dipinto della cattedrale di Ancona, rammentato nel 1669 (Garrison, 1949, p. 53). Di Rinaldo di Ranuccio si conoscono due crocifissi firmati, l'uno conservato a Fabriano (Pinacoteca Civ. e Mus. degli Arazzi) e l'altro, datato 1265, custodito a Bologna (Pinacoteca Naz.).In chiese urbane (come per es. S. Gregorio Maggiore, S. Salvatore, S. Domenico, Ss. Giovanni e Paolo, S. Paolo inter vineas) sono ancora oggi conservati numerosi affreschi dei secc. 13° e 14°, soprattutto immagini della Vergine con il Bambino, per i quali non è stato possibile risalire a una paternità artistica.La vicinanza di Assisi e la conquista angioina dell'Italia meridionale lasciarono un segno profondo nei pittori dell'antico ducato spoletino, che nella prima metà del sec. 14° si mantennero incerti tra un 'giottismo' interpretato in chiave fortemente patetica e il confronto con la cultura gotica francese che risaliva dalla capitale del regno di Napoli.L'assenza di opere firmate o documentate non consente di stabilire se gli attori di questa 'scuola del ducato di S.' fossero tutti originari di S. o se venissero dai centri dell'Abruzzo o dell'Appennino centrale. Un Bartolo da S. è documentato tra il 1370 e il 1404, quando a detta di Sansi (1879) affrescò le pareti del duomo, portando a compimento un ciclo di Storie del Vecchio e del Nuovo Testamento iniziato ai tempi del vescovo Galardo (1374-1384), del quale restano due figure angeliche nella rosa della facciata; risulta contemporaneamente attivo a S. tra il 1395 e il 1404 un Domenico da Miranda, il quale nel 1369 aveva collaborato con Giottino nei Palazzi Vaticani a Roma.I dipinti ancora oggi visibili nella cappella dedicata a s. Anna, nel transetto sinistro della cattedrale, risparmiati dal rinnovamento barocco, sono opera di un mediocre pittore, attivo alla fine del Trecento e noto come Maestro dei Calvari, per gli affreschi da lui eseguiti nelle chiese di S. Domenico e S. Silvestro. Maggiore interesse presenta il soggiorno spoletino del Maestro della Dormitio di Terni, che nel 1412 affrescò la lunetta sopra il portale di S. Nicolò e dipinse in S. Gregorio Maggiore.
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