SPONSALI (XXXII, p. 409)
Il nuovo codice civile ha provveduto a colmare notevoli lacune e ad introdurre alcuni perfezionamenti nelle norme destinate a regolare la promessa di matrimonio, solo frammentariamente trattata dal codice del 1865.
Mentre, infatti, è stata nel nuovo codice ribadita la norma per la quale la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento, così che qualsiasi clausola penale fosse stata prevista per l'eventuale inadempimento essa non potrà mai sortire effetti giuridici, risulta ora espressamente sancito che il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto. La domanda di restituzione, tuttavia, non è proponibile dopo un anno dal giorno in cui si è verificato il rifiuto di celebrare il matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti (art. 80). Se, quindi, dal punto di vista personale e familiare nessuna responsabilità può far carico all'inadempiente, tale principio non può più trovare applicazione nel campo delle eventuali conseguenze patrimoniali derivanti dall'inadempimento stesso. Di qui l'ulteriore norma (art. 81) che obbliga il promittente inadempiente a risarcire, entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alle condizioni dei fidanzati, il danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa della promessa, purché: a) la promessa sia stata vicendevole e fatta per iscritto o risultante dalla richiesta di pubblicazione; b) sia stata scambiata da persone maggiori di età o da minori debitamente autorizzati da chi deve dare l'assenso per il matrimonio; c) il rifiuto di adempiere sia carente di giusto motivo; d) la domanda di risarcimento sia proposta entro e non oltre un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio. Lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che abbia per propria colpa dato giusto motivo al rifiuto dell'altro.