Sport e giochi in Etruria e a Roma
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Alcune continuità caratterizzano le gare sportive dalla Grecia a Roma, attraverso la mediazione etrusca. I contorni di queste competizioni si precisano nell’età repubblicana, quando nel calendario vengono definite le scadenze dei numerosi ludi, dapprima a carattere religioso-rituale, cui si aggiungono nuove occasioni festive promosse in seguito a vittorie militari o eventi o personaggi di particolare rilevanza. Con l’avvento dell’impero sono gli stesso sovrani a istituire nuove celebrazioni a proprio nome, per le quali si realizzano anche imponenti opere architettoniche.
Gli Etruschi sicuramente condividono la passione dei Greci per lo sport e praticano la maggior parte delle attività previste dal programma atletico greco come la corsa, la lotta, il pugilato, il salto con i pesi, il lancio del giavellotto e quello del disco. Ne costituiscono una particolare testimonianza le pitture parietali della tomba di Tarquinia dedicata a questi temi che prende il nome di Tomba delle Olimpiadi. Soggetti relativi allo sport sono rappresentati, sempre a Tarquinia, anche nelle pitture della Tomba degli Auguri, in cui si vedono due lottatori intenti a gareggiare in primo piano, mentre sullo sfondo sono rappresentati tre calderoni che costituiscono il premio per il vincitore. Infine è di particolare interesse la Tomba delle Bighe, sulle cui pareti sono raffigurate non solo scene di competizioni atletiche, ma l’intera serie dei giochi sportivi, con tanto di tribune affollate di spettatori che guardano le gare. In alcune pitture parietali sono raffigurate le corse con i carri ed è ragionevole pensare che queste ultime costituiscano uno degli sport preferiti dagli Etruschi.
Essi, tuttavia, sicuramente si differenziano dai Greci per due aspetti. Il primo concerne il fatto che non insistono sulla necessità per gli atleti di gareggiare nudi: infatti si trovano delle figure dipinte di atleti che indossano un indumento simile a dei pantaloni (Harold Arthur Harris, Sport in Greece and Rome, London, 1972). Il secondo riguarda la presenza nella cultura etrusca di spettacoli gladiatori: difficilmente eventi di questo genere possono essere considerati sportivi, anche se gli Etruschi probabilmente affiancano a essi delle gare atletiche, come faranno i Romani in seguito.
Molti di questi elementi della cultura sportiva etrusca passeranno ai Romani. La tradizione sostiene che i Tarquini, la dinastia etrusca che regna su Roma nell’ultimo periodo monarchico, è responsabile sia di aver progettato il Circo Massimo per la corsa dei carri, sia di aver introdotto in città i primi giochi pubblici (ludi). Sempre dall’Etruria deriverebbe l’abitudine di tenere giochi funebri e, appunto in un contesto di tal genere, sarebbero introdotti i giochi gladiatori (Donald G. Kyle, Sport and spectacle in the ancient world, Malden, MA, 2007).
Se i Romani derivano dagli Etruschi l’idea della festa con una componente di spettacolo (concetto che corrisponde a una possibile definizione della parola ludi), lo sviluppo che essi fanno subire a questa idea diviene un tratto caratteristico della loro civiltà. I giorni festivi sono presenti nel calendario romano in grandissima quantità e ne sono stati calcolati un minimo di 182 nel corso dell’anno (Jérôme Carcopino, La vita quotidiana a Roma, Bari, 1967). Il nome con cui i Romani indicano il giorno festivo è dies ferialis o, al plurale feriae. Il termine dies festi è invece riservato ai giorni in cui si svolgono i giochi pubblici (ludi), che sono stabiliti e sovvenzionati dallo stato.
I ludi, che, come le feriae, vengono registrati nel calendario, hanno generalmente un’origine religiosa e rituale e/o celebrativa: i primi giochi che si registrano a Roma sono dei giochi votivi in onore di Giove Ottimo Massimo, chiamati ludi Romani e vengono istituiti da un generale al suo ritorno da una campagna vittoriosa. Questi giochi cominciano ad assumere una cadenza annuale a partire dal 366 a.C. e rimangono gli unici fino all’istituzione dei ludi Plebei, nel 220 a.C. circa. La serie di istituzioni dei giochi continua tanto nell’epoca repubblicana, che in quella imperiale. Lo spettacolo che viene offerto durante i ludi è costituito innanzitutto da gare di carri che si svolgono nel Circo Massimo (circenses), a cui si aggiungono in seguito gare di caccia di animali (venationes) e spettacoli teatrali (scaenici). Durante la repubblica nei ludi non compaiono competizioni gladiatorie, che esistono, però, come spettacoli privati (munera), soprattutto in occasione di importanti funerali e si tengono spesso nel Foro.
Tuttavia, nonostante la presenza abbastanza antica dei ludi nella cultura romana, i primi giochi di stile greco registrati a Roma, che comprendono, cioè, gare atletiche complete, sono quelli del 186 a.C., promossi da M. Fulvio Nobiliore dopo la guerra etolica. Questi giochi presentano lo stesso tipo di spettacolarità che caratterizzava i giochi etruschi; gli atleti vengono fatti venire dalla Grecia e, al fine di procurare uno spettacolo più eccitante, vengono anche importati dall’Africa leoni e pantere. La data di celebrazione di questi giochi è singolare, poiché si colloca esattamente dieci anni dopo che Flaminino aveva proclamato, durante i giochi istmici del 196 a.C., l’indipendenza della Grecia.
A questi primi giochi ne seguono altri: i ludi victoriae Syllanae, istituiti nell’81 a.C. da Silla e che continuano per 200 anni dopo la sua morte, svolgendosi dal 27 ottobre al primo novembre; quelli di Emilio Scauro, nel 58 a.C.; quelli di Pompeo, nel 55 a.C.; quelli di C. Curione, nel 53 a.C.; i ludi victoriae Caesaris, nel 46 a.C.
La tradizione non ci fornisce molte notizie intorno a questi giochi. Probabilmente gli atleti professionisti greci devono essere stati attirati con lo stesso espediente che aveva usato Erode il Grande quando aveva inaugurato i giochi a Cesarea e a Gerusalemme, cioè l’offerta di buoni secondi e terzi premi, mentre i giochi greci prevedevano solo la presenza del primo premio. È probabile che il programma di quei giochi sia lo stesso delle gare olimpiche. Tuttavia, nonostante le iniziative per familiarizzare il mondo romano con la cultura sportiva greca, i Romani dell’epoca repubblicana tendono a preferire gli spettacoli gladiatori e le corse con i cavalli, mentre i Greci rimangono fedeli alla loro atletica.
Qualche elemento nuovo si riscontra all’epoca di Augusto, che, nell’occasione della fondazione della città di Nicopoli per celebrare la sua vittoria ad Azio, reinaugura una preesistente festa atletica e la definisce Actia. Questa festa, come i giochi Olimpici e Nemei, si tiene ogni quattro anni e immediatamente assume un’importanza pari alle altre feste del "circuito" nel mondo dell’atletica greca. Contemporaneamente Augusto istituisce a Roma una festa dallo stesso nome e promuove anche un altro tipo di giochi, gli Augustalia Sebasta, iniziati nel 2 a.C. a Napoli, che in seguito prenderanno il nome di Italica Romaia Sebasta Isolympia e finiscono per costituire le vere e proprie Olimpiadi romane. Queste ultime all’inizio comprendono solo gare ginniche, a cui, in seguito, vengono aggiunte anche gare musicali, sull’esempio delle Pitiche e delle Nemee.
Tra gli imperatori che continuano la politica di incoraggiamento dell’atletica si ricordano sia Caligola, che fa includere nei giochi gladiatori anche competizioni pugilistiche (come ci ricorda Svetonio, Vite dei Cesari, I, IV, 18 e 20), sia soprattutto Nerone. Quest’ultimo nel 60, per celebrare il primo quinquennio del suo regno, inaugura a Roma i Neronia, una festa di tipo greco che comprende gare di diverso genere: atletiche ed equestri innanzitutto, ma anche musicali, retoriche e drammatiche.
Dopo Nerone è Domiziano che istituisce, nell’86, una nuova festa di tipo greco, i Capitolia, in onore di Giove Capitolino, nella quale i vincitori sono premiati con una corona fatta di fronde di quercia, la pianta sacra a Giove. Per un certo periodo di tempo questi giochi acquisiscono un grande prestigio e vengono a far parte di un "circuito" allargato comprendente sette giochi (quelli del "circuito" classico, gli Actia e i nuovi giochi greci in onore di Hera ad Argo). Domiziano fa costruire anche uno stadio permanente, di cui ancora oggi è visibile la caratteristica forma a U nello spazio occupato da Piazza Navona.
Molte specialità sportive (si può dire la maggior parte, se si eccettuano gli spettacoli gladiatori, che, però, non possono essere considerati manifestazioni sportive in senso stretto) sono comuni ai Greci, agli Etruschi e ai Romani. Una delle manifestazioni che nell’ambito della cultura romana riscuote un grandissimo successo per la sua spettacolarità sono le gare con i cavalli e in particolare le gare delle quadrighe che si svolgono in una struttura (il "circo"), che presso i Romani subisce particolari modifiche rispetto all’ippodromo greco. Accanto a queste manifestazioni, a Roma hanno particolare successo – rispetto alle gare atletiche, predilette dai greci – gli sport "corpo a corpo".
Nel mondo greco-romano si disputano vari tipi di competizione con i cavalli. La più spettacolare è la corsa delle quadrighe, seguita da quella delle bighe e del cavallo montato a pelo (keles). Le ultime due sono più tipiche del mondo greco, insieme ad altre competizioni minori, come la corsa dei carri trainati da muli (apene), la gara a dorso di giumenta (kalpe), la corsa con le torce (aphippolampas), una sorta di staffetta a cavallo con passaggio di fiaccola dall’uno all’altro cavaliere. La corsa con le quadrighe prevede vari giri di pista (fino a 12, per un percorso di circa nove chilometri). Il momento più pericoloso della corsa è quello in cui le quadrighe girano intorno alla meta, operazione che si ripete più volte durante la gara.
Un particolare interessante è costituito dal fatto che nelle gare ippiche la vittoria viene assegnata al proprietario dei cavalli e non agli aurighi o al fantino. Del resto, le gare con i carri in particolare mantengono sempre un carattere aristocratico, dato che solo i nobili possono permettersi le spese dell’allevamento dei cavalli, del mantenimento delle scuderie, dello stipendio dei fantini.
Lo spazio in cui si disputano le gare equestri alle origini è un nudo tratto di terreno, diviso in due corsie e delimitato da una "meta" (nyssa o kampter), nome con cui viene designato il punto intorno al quale i cavalli girano di 180°. Il percorso è segnato da due punti di virata (le "mete") che dividono idealmente le due corsie, non separate da nessun ostacolo.
La distanza tra le due mete è di 400 metri circa, mentre la linea di partenza ha un’ampiezza superiore a 250 metri. Una struttura di questo genere presenta un problema, in quanto i concorrenti che si trovano ai lati estremi sono svantaggiati rispetto a quelli posti al centro. Per ovviare a questo inconveniente si idea un dispositivo, chiamato aphesis, che consiste in un complesso sistema di postazioni disposte sui due lati di un triangolo isoscele, con delle corde che vengono fatte cadere in sequenza, in modo che partano prima i concorrenti posti alle estremità.
Il circo romano costituisce uno sviluppo nel senso della spettacolarizzazione dell’ippodromo greco: infatti comprende innanzitutto delle strutture architettoniche che permettono agli spettatori di sedere ai lati. Inoltre è presente una bassa parete divisoria delle due corsie, la spina, variamente elaborata, che può anche essere abbellita da obelischi (come il Circo Massimo a Roma). Sulla spina trovano posto anche degli oggetti che hanno il compito di segnalare, in maniera scenografica, i giri, come dei larghi dischi ovali, chiamati "uova", che vengono abbassati in sequenza. Nel 33 a.C. vengono aggiunti anche dei delfini di bronzo che sono fatti cadere uno dopo l’altro da una torre. Anche il sistema di partenza viene modificato rispetto all’ippodromo greco, escogitando un sistema di cancelli (carceres) che fanno partire i carri disposti su una linea ad arco e li fanno convergere su un’altra linea, chiamata "linea di Cassiodoro", una striscia bianca tracciata sul terreno, fino al raggiungimento della quale i carri devono mantenere la corsia di partenza.
La lotta (pale) costituisce una delle più antiche pratiche sportive e dà il nome alla stessa palestra, che indica appunto il luogo in cui si pratica questo sport. Insieme al pugilato e al pancrazio fa parte degli sport considerati "pesanti", ma a differenza degli altri due, essa entra a far parte del pentathlon, in base ad un suo carattere di completezza. Nel mondo antico non c’è una distinzione per categorie di peso, ma solo per classi di età (paides e andres). La "lotta in piedi" (orthè pale), distinta dalla "lotta a terra" (alindesis o kylisis, termini indicanti il "rotolarsi"), che non è una disciplina sportiva autonoma, ma una fase possibile del pancrazio, viene praticata su un terreno sabbioso, preliminarmente dissodato e livellato, che prende il nome di skamma. Gli atleti si ungono preliminarmente e poi si cospargono di polvere, per permettere di effettuare le "prese"; alla fine dell’incontro si detergono dal sudore, dall’olio e dalla polvere con un apposito strumento di bronzo chiamato strigile.
Il pugilato è attestato con continuità dai poemi omerici fino alla tarda età romana. L’attrezzatura fondamentale del pugilato (costituita dagli equivalenti dei moderni guantoni da boxe) ha subito notevoli evoluzioni attraverso il tempo. Si possono sostanzialmente individuare quattro fasi. Nella prima i guanti sono costituiti da fasce di cuoio, chiamate himates, che vengono legate intorno alle quattro dita lasciando libero il pollice e che non costringono la mano nella posizione del pugno. La cinghia di cuoio passa diagonalmente sul palmo e sul dorso della mano, creando un incrocio, per essere infine fissata con una serie di giri intorno al polso.
Nella seconda fase (prima metà del IV secolo ca.), il primo tipo di fasciatura cede il posto a un secondo tipo: quello che va a comporre le cosiddette sphairai. La novità, rispetto alla fase precedente, consiste nella presenza di una specie di guanto, fatto di materiale soffice, che ricopre quasi interamente l’avambraccio dell’atleta: su di esso viene legata la consueta cinghia di cuoio rigido, fissata alle quattro dita, che risultano unite come in un pugno, assumendo una forma sferica.
Nella terza fase viene adottato l’himas oxys, cioè la "cinghia di cuoio penetrante", in uso in età ellenistica. Questo tipo di strumento è visibile nella statua bronzea del pugile a riposo, conservata nel museo di Palazzo Massimo a Roma. Esso consta di due parti: 1) un guanto, che lascia scoperte le punte delle dita e arriva fin quasi al gomito, terminando con una spessa striscia di pelliccia di pecora, avente la funzione di riparare il braccio dalle possibili fratture; 2) una sorta di anello di cuoio rigido, che il pugile infila intorno alle dita e che ha una potente forza contundente.
Nella quarta fase, quella specificamente romana, è documentata l’adozione del caestus, che ben difficilmente si può definire strumento sportivo, in quanto è dotato di punte metalliche, con l’evidente scopo di aumentare il potere contundente. Il braccio, poi, è coperto da una pesante manica di pelle imbottita o di pelliccia di pecora, che arriva quasi fino alla spalla ed è tenuta ferma da cinghie di cuoio. Con il caestus romano, ideato per esigenze spettacolari, il pugilato assume un carattere cruento che la specialità sportiva greca non aveva mai conosciuto (Roberto Patrucco, Lo sport nella Grecia antica, Firenze, 1972).
Il pancrazio è il terzo tipo di sport "corpo a corpo" e consiste in una combinazione di lotta e pugilato. Gli antichi lo ritenevano meno pericoloso del pugilato e, in ogni caso, era lo sport che riceveva il maggior favore popolare dovuto alla sua spettacolarità, possedendo una straordinaria varietà di mosse che lo avvicinano molto ai moderni judo e catch. La regola fondamentale del pancrazio è quella di cercare di costringere l’avversario a riconoscere la sconfitta, fatto che viene segnalato, come nel pugilato, alzando una mano, oppure il dito indice, gesto che viene denominato apagoreuein. Ogni sorta di colpi è consentita, anche se non è probabilmente permesso di portarli alle estreme conseguenze: infatti, l’incontro si svolge sotto la sorveglianza dei giudici che, muniti del tipico bastone biforcuto, sono pronti a intervenire per interrompere l’incontro quando si dimostri eccessivamente duro. Una delle fasi del pancrazio, chiamata alindesis o kulisis, si svolge a terra e in essa i due lottatori si rotolano su un terreno reso fangoso, che annulla il potere della polvere di cui si cospargono dopo l’unzione: così le prese divengono meno sicure e viene accresciuto il carattere spettacolare della gara.