Sport e letteratura nella storia
Poeti e narratori nel corso dei secoli hanno descritto e illustrato l'esercizio fisico nei rispettivi linguaggi, coltivando diverse concezioni dell'atletismo, descrivendo tecniche e strategie di sfide e combattimenti, plasmando imprese e figure autentiche di campioni o creando eroi del tutto immaginari, investigando aspetti positivi e negativi della passione agonistica. La letteratura legata allo sport subisce nei secoli una costante metamorfosi, si trasforma seguendo i cambiamenti che investono varie attività atletiche, combattive e ludiche, risentendo congiuntamente delle mutazioni dei sistemi e dei modi della comunicazione, a seconda delle epoche e delle civiltà.
Un diverso modo d'intendere l'esercizio fisico e l'agonistica, a partire dalla fine dell'Ottocento e lungo il primo decennio del Novecento, affiora in maniera sparsa, non organizzata e programmata nell'opera di scrittori di varia formazione, lingua e cultura molti dei quali certamente 'non sportivi' ma in qualche modo attratti dalla nuova realtà rappresentata dagli sport moderni. Via via negli anni si elabora il processo di sviluppo del complesso e organizzato sistema dello sport che diviene parte integrante delle diverse sfere della società, sia pure con modalità non omogenee nei diversi contesti nazionali, e crescente appare l'interesse di scrittori e poeti verso il fenomeno sportivo. Il giornalismo sportivo e la stampa specializzata sono ai loro primordi: nuove forme di scrittura e un nuovo linguaggio iniziano ad affermarsi come strumenti di rappresentazione, di racconto e di commento di gare ed eventi sportivi, affiancandosi dunque alla poesia, alla narrativa, alla trattatistica le quali per secoli avevano illustrato caratteri e aspetti delle attività psico-fisiche, dell'educazione del corpo, del combattimento, del loisir.
Il legame stretto tra sport moderno e letteratura ‒ testimoniato dall'estesa produzione internazionale di argomento sportivo, da antologie di scritti in prosa e in poesia, e da numerosi repertori bibliografici ‒ è dunque frutto di un processo evolutivo sviluppatosi soprattutto lungo il Novecento. Oggi si può affermare che non vi siano discipline sportive, né aspetti, risvolti, avvenimenti, contorni e sfondi a esse collegati che non abbiano trovato espressione nella letteratura novecentesca la quale, con diversi gradi di maturità stilistica, ha offerto spazio alla piena complessità delle implicazioni sottese alla realtà e al fenomeno sociale dello sport, nonché alla sua essenza psicologica, emozionale, ideale.
Lo sport ha in effetti prodotto un genere letterario apparentemente classificabile come letteratura sportiva analogamente a quanto si fa per altre forme di produzione letteraria (la letteratura di viaggio, la letteratura fantastica, la letteratura poliziesca). Nel corso del Novecento è fiorita una produzione di studi, e soprattutto di antologie letterarie, entro la quale si è fatto ricorso a questa nozione di letteratura sportiva anche a proposito di opere e testi legati ad attività atletiche, combattive, ricreative e ludiche praticate nell'antichità greca e romana e nei secoli passati, epoca in cui tali attività possedevano caratteri e finalità precipui o erano fenomeni di costume assai diversi rispetto a quelli attuali.
Nel definire il genere della letteratura sportiva occorre dunque preliminarmente sciogliere un interrogativo di fondo sul significato da attribuire al termine sport, significato che non a caso è oggetto di alcuni studi dedicati all'analisi del rapporto tra sport e letteratura (Court 2001). Si tende oggi, per es., a escludere dalla rosa delle attività sportive la caccia e la pesca (Roversi 1998). Ciò estrometterebbe dal genere della letteratura sportiva un fittissimo repertorio letterario antico e moderno, come testimoniano la Bibliografia delle opere italiane latine e greche sulla caccia, la pesca e la cinologia (1969), le antologie I piaceri della pesca (1964) e I piaceri della caccia (1963), curate da G. Cibotto, che raccolgono racconti e frammenti di romanzi di autori italiani di varie epoche, il volume antologico Racconti di caccia (curato da G. Luti nel 1969) che comprende scritti narrativi di autori italiani e stranieri dell'Ottocento e del Novecento. Sempre secondo questa definizione, tra le attività psico-fisiche 'non' sportive per quanto moderne e attuali rientrano anche il body building e il jogging, poiché basate sullo "sviluppo autonomo della corporeità" (Roversi, ibid. p. 304). È aperto il campo delle ipotesi relative all'esclusione dell'alpinismo (che è invece al centro di una folta serie di opere letterarie, in numerosi casi scritte dagli stessi protagonisti di grandi imprese) e di quelle discipline (per es. la ginnastica artistica, i tuffi, il pattinaggio artistico, il dressage e il volteggio a cavallo) certamente aperte alla competizione tra i partecipanti ma il cui esito finale è decretato "su base soggettiva dai giudici" (ibid. p. 304), compresa, secondo quest'ultimo criterio, la boxe, che ha invece fornito innumerevoli spunti a opere letterarie.
Per definire il genere occorre dunque non solo precisare il campo delle attività psico-fisiche da considerare a tutti gli effetti 'sportive', ma anche tener conto della natura delle stesse alla luce del processo di metamorfosi che le ha investite nei secoli, dovuto all'influsso esercitato da fattori e fenomeni extra-sportivi, legati all'ambito storico, sociale e sociologico, ideologico e culturale.
Nell'età carolingia, per es., la cavalleria si consolida come istituzione a carattere universale, in quanto milizia e in quanto costume; il combattimento con la spada o la sciabola si trasmette alla letteratura cavalleresca come elemento costitutivo di un codice ideale e morale. Nell'età rinascimentale, la tecnica e l'arte della scherma raggiungono un notevole sviluppo, sorgono 'scuole' e si codificano tecniche: il Flos duellatorum (1410) è il primo codice schermistico italiano, poi seguito, nei secoli, da un ampio repertorio di trattati. Tra gli scritti più significativi di questo genere vanno menzionati l'Opera nova chiamata duello di Achille Marozzo (1536), il Trattato di scientia d'arme (1553) di Camillo Agrippa, la Scherma illustrata (1670) di Nicoletto Giganti e il Trattato di scherma (1847) di Alberto Marchionni. Nel Medio Evo e nel Rinascimento le giostre, i tornei, le corse, le cacce al toro sono forme di vita sociale e mondana, passatempi giocosi dei nobili o del popolo ricchi anche di elementi pittoreschi, come testimoniano le odierne manifestazioni rievocative del Palio di Siena, della Giostra del Saracino, delle regate di Venezia, del Calcio fiorentino, gioco di squadra diffusosi al tempo dei Medici (Bardi 1580). Ancora sul finire del Cinquecento il culto della spada è di rigore e sono 'spadisti' valenti artisti come Caravaggio, Salvator Rosa, Benvenuto Cellini. L'esercizio fisico non è solo inteso come addestramento alla combattività ma anche come 'arte' ovvero attività umana basata sull'abilità individuale potenziata dallo studio, dall'esperienza e dalle conoscenze tecniche: concezione che si riflette nel trattato di Girolamo Mercuriale De arte gymnastica (1569) o ne L'arte del cavallo (1696) di Nicola e Luigi Santapaulina. Questi concetti si trasmettono alla letteratura e all'arte coeve, con forme e linguaggi diversi e con diverse finalità creative e artistiche.
La struttura e l'organizzazione interne ad alcune raccolte antologiche di scritti in versi e in prosa rispondono evidentemente al tentativo di offrire una visione panoramica degli sviluppi storici relativi al genere della letteratura sportiva. Un esempio ci è offerto da Elogio olimpico. Antologia di poesie sportive da Omero ai nostri giorni, curata dal poeta e studioso di poesia Gian Piero Bona (1960), che accoglie un vasto repertorio di componimenti poetici tratti dalla letteratura greca e latina e da quella italiana, da Dante agli autori del Novecento; terzine estratte dal XVI canto dell'Inferno ("Qual sogliono i campion far nudi e unti, / avvisando lor presa e lor vantaggio, / prima che sian tra lor battuti e punti") si accostano dunque ai versi di Folgore da San Gimignano, di Luigi Pulci (Morgante), Lorenzo de' Medici (Il canottiere), Poliziano (La caccia a cavallo), Lodovico Ariosto (Orlando Furioso), di Torquato Tasso (il duello di scherma fra Tancredi e Argante da La Gerusalemme liberata). Il Canto di giuocatori di palla al maglio di Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, il Canto di giostranti a cavallo (di autore incerto) e il Canto di giuocolatori di schiena (1559) di Giovanbatista dell'Ottonaio testimoniano il carattere popolare e ludico di alcune competizioni. I versi estratti dal Giorno di Giuseppe Parini gettano luce sulla concezione educativa e nello stesso tempo aristocratica dell'addestramento fisico, l'Ode al Signor di Montgolfier di Vincenzo Monti parrebbe segnare l'irruzione della macchina e del volo tra le discipline 'sportive', mentre A un vincitore nel pallone di Giacomo Leopardi consacra autorevolmente l'avvio della fioritura poetica ispirata al gioco del calcio. Il Canto dei ciclisti di Vittorio Betteloni è forse nella cultura letteraria italiana tra i primi componimenti legati a una nuova realtà del costume, la bicicletta, cantata anche da Lorenzo Stecchetti. E via via, dalle parole in libertà di Filippo Tommaso Marinetti (Temperature del corpo del nuotatore) alle poesie di Umberto Saba (Cinque poesie per il gioco del calcio), Eugenio Montale (Buffalo), Sandro Penna, Alfonso Gatto (La partita di calcio), Giorgio Caproni, Vittorio Sereni (Inter-Juve del 1935; Ricordo di un amico calciatore e Mille miglia), Gaio Fratini (Rugby all'Acqua Acetosa e Storia d'un welter), Luciano Erba (Aerostatica), Roberto Roversi (Incontro di pugilato), Giovanni Giudici (La caduta del ciclista) e altri, il florilegio di versi illumina realtà nuove e antiche dell'esercizio fisico quanto l'eterno fascino emanato dalla sfida agonistica.
Anche l'Antologia della letteratura sportiva italiana, apparsa per le cure di Giuseppe Brunamontini nel 1984, ripropone un vasto e poliedrico repertorio di opere in poesia e in prosa dai tempi di Omero agli anni Ottanta del Novecento, includendo anche autori provenienti dal mondo del giornalismo, come Gianni Brera e Indro Montanelli, o scrittori in veste di inviati-speciali o commentatori sportivi, come Orio Vergani, Dino Buzzati, Manlio Cancogni, Italo Calvino. I brani narrativi e i testi poetici sono raccolti e suddivisi per capitoli secondo grandi nuclei tematici (per es. L'atleta, La squadra, L'allenamento, Lo sport nelle giostre storiche e nei giochi popolari, L'umorismo). Ciò determina la compresenza, nella stessa sezione tematica, di scritti (slegati dal contesto storico, culturale, artistico da cui traggono origine e soprattutto non ricondotti al portato creativo individuale) molto eterogenei dal punto di vista non solo formale e stilistico ma anche e soprattutto ispirativo.
Il volume antologico di Brunamontini ricalca l'impostazione di fondo sottesa all'antologia Scrittori sportivi (1955) curata da Gigi Caorsi, che sotto la comune etichetta di 'scrittore sportivo' accostava Omero e Virgilio, Petrarca, Walter Scott e Victor Hugo, Emilio Cecchi e Mario Praz, Ernest Hemingway e Nino Nutrizio, Gino Bartali, Vittorio Pozzo e Leon Battista Alberti.
Senza dubbio più coerente la ricca antologia di sport e letteratura Momenti di gloria, curata da Antonio D'Orrico (1992), che accoglie e ripropone scritti estratti da opere di autori italiani e stranieri dello scorso secolo e contemporanei: il vasto repertorio testuale è ordinato anche in questo caso per temi e motivi (per es. La sfida, Fausto, Finale di partita) e un indice degli sport consente al lettore di rintracciare nell'antologia la rosa degli scritti dedicati a ogni singola disciplina.
Non sono da meno due celebri scrittori di sport, Nick Coleman e Nick Hornby (1996), che interrogandosi sui destini della letteratura sportiva in Gran Bretagna, hanno selezionato brani e scritti (di genere e natura diversi) sulla moderna realtà dello sport, opera di numerosi narratori e giornalisti del 20° secolo di lingua inglese tra i quali spiccano i nomi di Harold Pinter, Vidiadhar Surajprasad Naipaul, Seamus Heaney, Martin Amis, Joyce Carol Oates, Norman Mailer.
Da un primo sondaggio degli scritti ripresi dalle antologie, si può dunque constatare quanto vari e mutevoli siano l'idea di sport coltivata e trasmessa dall'autore, il ruolo e la funzione che l'immaginario o il fatto sportivo svolgono nel testo e soprattutto nel contesto complessivo dell'opera dalla quale è estratto un frammento narrativo o poetico, la natura e la finalità dello scritto stesso.
I tentativi di rigida classificazione del legame stretto tra sport e letteratura, in specie se rapportati alla realtà testuale, come nel caso delle raccolte antologiche, si infrangono di fronte all'obiettiva difficoltà di uniformare e omologare testi dissimili da un punto di vista non solo storico-letterario ma anche tematico. Analogamente a quanto avviene per il termine sport, anche il termine letteratura copre un vasto campo semantico; esso indica una pluralità di generi e di forme, dalla quale tuttavia, in questo caso, occorre escludere quanto prodotto nell'ambito editoriale della manualistica e tecnica sportiva, della letteratura medico-scientifica, della storia e cultura dello sport, del giornalismo sportivo. Si è scritto e si scrive di sport ‒ anche dopo l'avvento del cinema e dei nuovi sistemi di comunicazione radiotelevisivi ‒ sotto la spinta di molteplici motivazioni e finalità, tali da influenzare direttamente la tipologia dello scritto che potrebbe essere idealmente collocato in un particolare sottogenere o filone, dalla cronaca al resoconto e al reportage sportivo, dal racconto 'fantastico' o immaginario di sport alla poesia e narrativa a tema sportivo, alla sceneggiatura filmica, al saggio di critica dello sport, alla letteratura per ragazzi.
In una vasta campionatura di scritti letterari lo sport compie solo una fortuita od occasionale 'incursione' nel tessuto testuale, ma non per questo priva di significato ai fini di una ricostruzione del rapporto tra sport e letteratura lungo il Novecento. Per proporre alcuni esempi, l'episodio della partita di rugby cui partecipa, nel fangoso campo del college irlandese, Stephen Dedalus, in apertura del celebre romanzo di James Joyce Portrait of the artist as a young man (pubblicato nel 1916, ma elaborato tra il 1904 e il 1914), occupa uno spazio minimale nell'economia dell'intero racconto ed è tuttavia di grande importanza. Da un punto di vista storico, esso rivela che il gioco del rugby si praticava nei college già fin dalla metà dell'Ottocento e, ai fini del ritratto (e insieme autoritratto) dell'artista da giovane, riesce a esprimere la percezione da parte del protagonista della personale inadeguatezza rispetto alla combattività dei coetanei. L'episodio è un tassello significativo: la debolezza fisica e agonistica di Dedalus è spia di un carattere precipuo della sua personalità, se pur ancora allo stadio giovanile, segno della sua precoce 'diversità' rispetto ai compagni.
Nel fitto ordito di storie che compongono l'ampio affresco del romanzo di Georges Perec, La vie mode d'emploi (1978), moderna 'commedia umana' sulle vicende degli inquilini di uno stabile di Parigi, il cui arco temporale si estende dal 1833 al 1975, il piccolo tassello dedicato alle vicende sportive di Albert Massy intorno al 1924 entra a far parte dell'intero puzzle costituito da novantanove 'pezzi'. Eppure giova a rievocare, fondendo realtà e invenzione, una certa epoca del ciclismo e insieme uno spaccato di vita della piccola borghesia parigina: Massy, personaggio del tutto immaginario, partecipa al Giro d'Italia e al Tour de France accanto a campioni reali come Alfredo Binda e Ottavio Bottecchia; si dedica poi alle corse di stayers, conquista il record mondiale dell'ora (sia pur non omologato), diviene pacemaker del giovane Margay (altro personaggio di fantasia) che vince nei più importanti velodromi d'Europa sino alla rovinosa caduta al Vigorelli di Milano. Oltre a evocare e rappresentare una particolare stagione delle corse che ebbero in Francia un grande successo di pubblico, la breve storia di Massy ripropone simbolicamente le innumerevoli vicende di tanti campioni e dilettanti di una specialità sportiva, allora particolarmente in voga, che coniugava perfettamente sport e industria (la bicicletta e la moto) e che segnò l'ascesa e la fortuna degli sport più moderni, subito divenuti spettacolo per le folle domenicali di appassionati. E proprio a una gara di stayers al velodromo parigino Buffalo sarà ispirata la poesia di Eugenio Montale Buffalo (1929) nella raccolta Le Occasioni (1939): "…vidi attorno / curve schiene striate mulinanti / nella pista".
Alla luce degli esempi, si comprende che vastissimo è il campo dei riferimenti, delle risultanti, delle testimonianze legate allo sport offerti, anche solo di scorcio, dalla letteratura novecentesca. Si tratta sovente di presenze circoscritte o solo di tracce, non meno interessanti però, ai fini di un'indagine esaustiva, di quelle offerte da opere a esclusivo tema sportivo, nelle quali, seppure apparentemente centrale nell'economia dell'opera, lo sport è comunque il più delle volte un pretesto utile alla costruzione di una trama 'non sportiva'. Ciò accade in alcuni romanzi e racconti d'avventura o a sfondo sentimentale (un esempio celebre è quello offerto dal racconto del 1892 Amore e ginnastica di Edmondo De Amicis) o in altri scritti di effusione o tensione lirica ove la realtà rappresentata dallo sport o dalla prestazione di un atleta svolge un ruolo metaforico della condizione e dei sentimenti umani. E occorre infine ricordare che numerose opere di carattere o di taglio letterario (biografie, autobiografie, racconti, romanzi, poesie) centrate sullo sport lungo il Novecento sono prodotte anche al di fuori dei circuiti letterari e artistici: da giornalisti, da tecnici, da protagonisti o appassionati dello sport.
Nella produzione letteraria si trasferisce in effetti una pluralità di concezioni, idee e immagini dello sport. Muta costantemente la fisionomia degli scritti quanto l'essenza stessa di ciò che si intende per sport; mutano il punto di vista di chi scrive e l'orizzonte d'attesa dei lettori; muta infine anche la funzione che l'uno (lo sport) e l'altra (la letteratura) esercitano nel contesto storico, culturale, sociologico nazionale di riferimento.
L'attività fisica e agonistica si consolida, lungo il Novecento, quale tema letterario universale. Come tale possiede certamente radici antiche e resistenti, attraversa la letteratura di tutte le culture e civiltà, ma assume fisionomie sempre mutevoli e instabili, al pari per es. del tema e del genere letterario di viaggio. Infatti nella letteratura a tema di sport si aggrega un'estesa varietà di aspetti legati all'essenza e alla natura tecnica di ogni specifica attività sportiva, varietà pari a quella dell'esperienza emozionale e psicologica sottesa alla realtà dello sport; in essa si assomma inoltre una molteplicità di fattori relativi all'evoluzione della pratica sportiva e della cultura dello sport, al ruolo e alle funzioni che esso esercita nelle sfere del sociale: lo sport è oggi anche un fatto di costume, un evento mediatico, un ingranaggio del mondo produttivo, tecnologico, economico-finanziario. La molteplicità dei valori, dei caratteri, dei fenomeni antichi e moderni sottesi al vasto campo semantico del termine 'sport' si trasmette ai testi letterari e in tal senso ogni presenza del tema o del soggetto sportivo (anche limitata od occasionale) in un testo letterario necessita di essere rapportata al contesto da cui trae origine: alla coscienza creativa individuale e alle relative dinamiche storico-culturali e storico-letterarie di riferimento.
Si potrebbe in effetti concludere ‒ tenendo conto delle più recenti tendenze teoriche relative alla definizione dei generi letterari ‒ che a proposito del genere della letteratura sportiva occorra far riferimento a una nozione di 'genere' come "rete di relazione fra opere e serie di opere, configurantesi come un sistema dinamico, elastico e di carattere evolutivo" (De Caprio 1996, p. 10), parimenti a quanto avviene per il genere letterario di viaggio.
Occorre tuttavia una certa prudenza nei confronti di un fattivo orientamento metodologico, tipico soprattutto dell'area anglo-americana, che tende a identificare come letteratura sportiva la scrittura di sport: i repertori bibliografici più diffusi (anche via Internet), i dizionari biografici degli scrittori sportivi editi in particolare negli Stati Uniti, i soggettari delle biblioteche, le collane editoriali e le antologie di scritti sportivi tendono a inglobare un groviglio di opere e testi, anche del più basso profilo editoriale, nel quale il legame tra sport e letteratura finisce per perdere una precisa identità e gli stessi termini letteratura e sport sono in effetti svuotati di significato. Di fronte a una situazione assai confusa, instabile e in continua evoluzione diventa necessario concentrare l'analisi su una serie di testi esemplari dal punto di vista strettamente artistico e indicativi dei caratteri e dei meccanismi operativi dominanti che regolano la storia e gli sviluppi della poliedrica e duttile letteratura ispirata allo sport.
Caratteri del rapporto tra sport e letteratura
Veniamo ora a esaminare quali siano le problematiche che investono la natura del legame tra sport e letteratura, tenuto conto che gli scritti in prosa a soggetto sportivo ‒ indipendentemente dalla centralità acquisita dal soggetto nella dinamica testuale ‒possono trarre ispirazione da un evento reale o da un'individuale esperienza reale (a prescindere dalla forma che essa assume) o essere del tutto immaginari. Nella prima categoria rientrano scritti che tendono al racconto obiettivo e realistico di un fatto, di un episodio sportivo, o al tratteggio delle emozioni, reazioni e impressioni dello spettatore o dell'atleta. Si potrebbe dunque affermare che il processo di scrittura viene incontro alle esigenze dello sport, tentando di aderire il più possibile alla sua dinamica realtà, di fermare e vincere la fugacità dell'impresa sportiva indipendentemente dall'aspetto formale che essa assume, di investigarne gli aspetti tecnici quanto emozionali, offrendo il resoconto di un episodio, di una gara, illustrando strategie e tattiche, raffigurando le reazioni del pubblico e dell'atleta. In questa categoria rientrano diversi sottogeneri, ognuno dei quali presenta peculiari caratteristiche formali e stilistiche: l'articolo giornalistico scritto 'a caldo', per es., mira a offrire la sintesi più o meno ampia di una sfida o di una competizione agonistica, assumendo le forme del resoconto fitto di dati tecnici, volto a descrivere tattiche di gara o di gioco; il racconto di matrice letteraria è invece frequentemente teso a rievocare (a distanza di tempo più o meno variabile) eventi o figure reali dello sport, lasciando spazio anche al punto di vista, alle emozioni di chi scrive; la biografia di un campione tende a illustrare gli aspetti più nascosti della sua vicenda umana e professionale; l'autobiografia o le memorie scritte da un 'eroe' o protagonista dello sport riflettono inevitabilmente il suo punto di vista: le tappe di una carriera riemergono dai territori della memoria dell'autore.
La pluralità di forme assunte dalla letteratura legata allo sport come esperienza reale è dovuta principalmente al fatto che essa è portatrice di un doppio principio di realtà: la 'realtà dello sport' (indipendentemente dall'aspetto formale e sostanziale che esso assume) e 'lo sport reale', intendendo con quest'ultima definizione non solo il vissuto presente nel ricordo dell'atleta-protagonista o/e in quello del testimone-spettatore, ma anche il vissuto dell'uno e dell'altro come entità comunicabile. Ciò che in effetti viene trasferito negli scritti apparentemente fedeli alla realtà di una sfida sportiva o alla realtà delle imprese di un atleta o di una squadra non è la realtà della competizione ma la competizione reale, ovvero quella interiorizzata dallo scrivente, spettatore o protagonista che sia. Questi (non importa quale sia la sua veste professionale), nel processo di scrittura della cronaca, al termine della gara, per quanto possa avvalersi di appunti e note stesi durante l'incontro, formalizzerà la competizione reale, cioè quella interiorizzata o attiva nella sua memoria.
I dati dell'esperienza, diretta o indiretta, nei racconti e nelle cronache documentarie di sport sono dunque in qualche modo 'falsificati', ovverosia prima sottoposti a un inevitabile processo di selezione e manipolazione più o meno inconscia ‒ come tutti i dati relativi a un'esperienza psicologica ed emozionale complessa ‒ e poi trasmessi al lettore. Ciò determina che di un medesimo episodio sportivo possano essere fornite versioni diverse a seconda del punto di vista e dell'idea di chi scrive, nonché della sua identità: il protagonista, lo spettatore, il giornalista ecc. di quell'evento sportivo forniranno ciascuno una propria, personale versione dei fatti. Non esiste dunque, per es., una versione letteraria 'autentica', cioè obiettiva e fedele, delle imprese di Fausto Coppi, ma l''idea' delle imprese del campione, così come interiorizzata da quanti hanno assistito, non importa in che veste, alla tappa, alla scalata, al taglio del traguardo.
Nel gennaio del 1960 Manlio Cancogni, che seguiva come inviato il Giro d'Italia, rievocò in un articolo l'apparizione di Coppi in una lontana tappa: "Vedendo avanzare quella sagoma potente avevo provato una sensazione di vuoto allo stomaco, e come se una mano estranea avesse sospeso le mie facoltà vitali" (Cancogni in D'Orrico 1992, p. 257). Un'analoga impressione si riscontra nella testimonianza di Alfonso Gatto edita nel 1950 in Giuochi e sports: "Lassù, sul Pordoi, quelli che come me avevano visto Coppi mordere vittorioso la strada inghiaiata e spiccare vivo nel salto per la discesa si sentirono per un attimo sospesi nella vertigine" (Gatto 1950, p. 95). Il resoconto dell'episodio relativo alla tappa di montagna risente sia del riemergere ‒ dal territorio della memoria ‒ dell'emozione un tempo provata dall'autore sia pure, nel caso di Cancogni, dell'emozione destata dalla prematura scomparsa di Coppi. Ma entrambi gli scritti presentano vistosi caratteri stilistici e formali riconducibili al filone dell''epica del ciclismo' che trova le sue origini all'avvio della grande stagione delle competizioni ciclistiche d'inizio secolo: filone caratterizzato dall'incisiva presenza di un autore-narratore teso a celebrare l'individualità dell'eroe, in una prosa carica di pathos lirico o drammatico, e legata ad alcuni momenti cruciali della sua carriera; nuovo surrogato dell'epica classica, moderna chanson de geste ove la verità della storia si fonde all'inventiva dell'autore che dal gesto sportivo, dalla tecnica di gara ricava elementi utili allo scavo psicologico e al tratteggio della personalità del nuovo eroe.
Un esempio di reportage narrativo scritto 'a caldo' è quello dell'incontro tra Joe Frazier e Cassius Clay dell'8 marzo 1971, a opera dello scrittore americano Norman Mailer, una delle figure più rappresentative del vasto repertorio di scrittori di tutto il mondo 'contagiati' dalla boxe. Il reportage di Mailer (pubblicato pochi giorni dopo l'incontro, nella traduzione italiana di Mario Soldati su L'Europeo) si distacca decisamente dalla cronaca di taglio realistico pur illustrando da vicino le fasi dell'incontro, i colpi, le tattiche ("Il suo jab di tanto in tanto atterrava su Frazier e così dei destri-sinistri, ma di scarsa conseguenza"); aspetti reali della sfida interpretati e descritti da Mailer come estensioni ben concrete di un disegno tattico-strategico più profondo, appartenente al campo psichico o psico-fisico dei due pugili così come percepito e immaginato dall'autore stesso: "E poi ci fu un crollo della volontà al di là della nostra conoscenza, quel crollo che sopravviene a un pugile quando si accorge di essere già stanco nei primi round […] e diventa consapevole che il combattimento non è arrivato neppure a un terzo e che ci sono ancora davanti tutti quei round e nuove torture da affrontare, mentre i polmoni urlano nella prigione sotterranea dell'anima, e la gola si riempie di una bolla calda che fino a poco prima era il fegato e le gambe stanno morendo" (Mailer in D'Orrico 1992, p. 437). Nel reportage narrativo di Mailer ‒ ma numerosi altri si propongono come validi esempi ‒ prevale l'intento di disvelare non solo il mistero della boxe da un punto di vista tecnico e psico-fisico, ma anche particolari caratteristiche di natura umana e ideologica relative alla diversa personalità dei due sfidanti. Per Mailer, Frazier era l'emblema del campione di boxe di colore, amato però anche dai bianchi per il suo stile di vita; Cassius Clay rappresentava invece l'incarnazione dello spirito ribelle di Harlem. La sfida sul ring, dunque, non era solo tecnica, ma anche ideologica e ideale, extra-sportiva agli occhi di Mailer.
È, questa, una caratteristica della concezione moderna dello sport che si trasferisce alla letteratura: il campione, l'idolo, o la squadra divengono lungo il Novecento simboli, di volta in volta diversi, di valori, idealità, ideologie, identità, vizi e virtù locali o nazionali e persino razziali. Il giornalismo e la letteratura contribuiscono a far gravitare sullo sport una messe di significati extra-sportivi: per Gianni Brera, per es., "Faustin inventa il ciclismo moderno e Bartali è l'epigono più glorioso dell'antico", ma Bartali è anche un "semplice paladino di Santa Madre Chiesa" e Coppi "non è abbastanza abile da incoraggiare tutti i laici a fare il tifo per lui" (Brera 1982, p. 68). La realtà dello sport è dunque plasmata dalla scrittura letteraria in modo sempre variabile e instabile in quanto essa stessa comunica all'autore un insieme di valori, idealità, sentimenti, stati d'animo, pulsioni, emozioni e reazioni, che hanno poi una inevitabile ricaduta sul testo.
A proposito della seconda grande categoria di scritti si potrebbe invece affermare che siano l'inventiva e la creatività artistica a prevalere sulla realtà dello sport, plasmando l'immaginario sportivo, dando vita a campioni, 'eroi' o eventi sportivi di pura finzione: campo dell'immaginario che riflette anche la personale concezione o 'idea' di uno sport coltivata dall'autore, il quale offre dunque un'interpretazione soggettiva del fenomeno sportivo come attività individuale o di squadra.
In questo caso, caratteri, aspetti e persino dettagli riconducibili alla realtà della pratica e della tecnica di una disciplina sportiva si trasferiscono allo scritto rendendolo in qualche modo realistico e credibile: l'autore è mosso a evocare e rappresentare il contenuto dei momenti che caratterizzano la performance sportiva; la realtà dello sport si fonde dunque all'immaginazione, il linguaggio tecnico-sportivo è innestato e intrecciato a quello più propriamente letterario, teso a esprimere l'alternanza delle percezioni passive e delle riflessioni d'ordine tecnico così come si susseguono nella mente del narratore-testimone. Da un brano del racconto di Francis Scott Fitzgerald, The Bowl, trapela, per es., la personale esperienza dello scrittore americano come giocatore di football negli anni della sua formazione universitaria: "Risultò subito che sapevano fare parecchio. Servendosi di efficaci zig-zag e di passaggi corti al centro, portarono il pallone per cinquantaquattro yard fino alla linea delle sei yard di Princeton, ove lo perdettero con un fumble ricoperto da Red Hopman" (Fitzgerald in D'Orrico 1992, p. 60).
L'intento di sceverare l'essenza insieme tecnica e psicologico-emozionale della prestazione di un atleta spinge in molti casi l'autore a calarsi il più possibile nella mente del protagonista del racconto come testimonia, fra i tanti possibili esempi, un brano legato alle fasi del lancio del giavellotto estratto da Cerchi dello scrittore e giornalista Franco Ciampitti: "L'attrezzo era partito come se si fosse staccato dalla carne […] E l'atleta lo seguiva cogli occhi, lo spingeva nel volo con la esasperazione della sua ansia, col suo sguardo, con la sua volontà, tratteneva il respiro quasi che così avesse potuto ritardare la caduta, restava proteso con tutto l'essere suo, non vedeva più nulla, non sentiva più nulla" (Ciampitti 1935, p. 113). In una cospicua serie di scritti di pura fiction, lo sport diviene un tema portatore di messaggi e idealità 'extra-sportive': è il caso dei racconti di boxe, The night-born and other stories, di Jack London (1913), che pur legati alle imprese di un pugile del tutto immaginario, il messicano Rivera, sono fitti di dati tecnici oggettivi e descrivono realisticamente 'colpi', 'mosse', fasi dell'incontro, reazioni del pubblico; trasmettono dunque al lettore un'idea o un'immagine della boxe credibile e aderente al reale. L'intento dello scrittore era tuttavia quello di costruire con tocchi realistici la leggenda, il mito dell'uomo appartenente alle classi sociali più disagiate, per il quale la boxe è un mezzo di lotta politica e di riscatto sociale. Il tema pugilistico è funzionale a far filtrare nei racconti un ben preciso contenuto e messaggio ideologico, in questo caso extra-sportivo, come del resto è caratteristico di tutta l'opera letteraria di London. L'insistenza su certi aspetti violenti e brutali degli incontri di boxe (pur aderenti alla realtà delle sfide pugilistiche di un tempo) risponde innanzi tutto a un istinto narrativo volto a rappresentare la violenza e la brutalità della lotta per la vita, ma condiziona l'immagine o l'idea della boxe trasmessa al lettore.
Avendo già visto come spesso racconti e reportage che traggono spunto dalla realtà, veicolano contenuti e messaggi extra-sportivi o colgono e descrivono in modo del tutto soggettivo aspetti emozionali legati a imprese sportive, si può concludere che le due grandi categorie di testi narrativi entrano fra loro in relazione, interagendo, contaminandosi reciprocamente e svolgendo pariteticamente un'analoga funzione, quella appunto di 'scrivere lo sport' sia pur scegliendo due indirizzi ispirativi, strutturali, formali diversi.
Più complessa appare l'analisi del legame simbiotico stretto tra poesia e sport lungo il Novecento e non solo per l'ampiezza quantitativa della produzione in versi, del resto comparabile a quella della produzione in prosa; il tema sportivo è plasmato dalla poesia attraverso una pluralità di accenti, stili e linguaggi che riflette innanzi tutto la varietà delle occasioni ispirative scaturite o provocate dalla poliedrica natura dello sport, che si offre dunque anche quale metafora della condizione umana con il suo carico di vittorie e sconfitte, gioie e amarezze, tensioni e delusioni. È un tema che sin dall'antichità ha sempre esercitato una forte suggestione sull'immaginario poetico in quanto portatore di valori, idealità e di sentimenti e proiezione di molteplici esigenze e istanze appartenenti all'ambito della soggettività.
Lo sport, intersecando le più diverse sfere della vita umana, assomma in sé una pluralità di caratteri, finalità, motivazioni tale da essere difficilmente riconducibile a un'unità stabile e univoca dal punto di vista letterario e soprattutto poetico: anche perché lo sport è lo "specchio della vita psicologica" del Novecento ‒ come ebbe a definirlo Jean Cocteau ‒ e del nostro tempo.
La letteratura novecentesca coglie appieno questa realtà e la traduce, attraverso una ricca varietà di stili e di linguaggi, in una complessiva esperienza letteraria che merita di essere valutata sia per il suo valore testimoniale sia in quanto elaborazione artistica che trasmette una rappresentazione pluralistica e pluridimensionale dello sport.
Tra i caratteri degli sport moderni riflessi e attestati dalla letteratura contemporanea, quello relativo al processo di 'secolarizzazione' che investe il sistema dello sport è il primo che occorre mettere in luce, anche perché, implicitamente, consente di ritornare alle origini delle funzioni svolte dalla scrittura letteraria nel suo legame con l'attività atletica e agonistica.
Nelle sue attestazioni letterarie più antiche ‒ a partire dalla letteratura omerica ‒ l'atletismo si era caratterizzato come esperienza umana riconducibile al divino. La letteratura greca antica, dall'Iliade e dall'Odissea alle Odi di Pindaro, agli Epinici di Bacchilide, agli Idilli di Teocrito, alle liriche raccolte nell'Antologia Palatina, offre un mosaico di risultanti di elevato spessore artistico e creativo, legate a diverse discipline atletiche allora praticate, testimonianze del carattere religioso e sacrale che la pratica dell'atletismo ‒ i Giochi Olimpici quanto gli Ateniesi, gli Istmici, i Nemei ‒ e la figura stessa dell'atleta possedevano nel contesto culturale e ideologico della civiltà dell'antica Grecia: risultanti che, ai giorni nostri, gettano luce anche sugli aspetti 'tecnici' delle discipline allora praticate e sulla lenta pervasività dell'attività atletica nella vita quotidiana del mondo antico, sul fascino attrattivo che giochi e agoni, prima come feste sacre poi gradatamente anche come eventi ludici, esercitavano sulla folla.
Lo stesso può dirsi per la letteratura latina di epoca romana dalla quale si può estrarre un vasto repertorio di opere poetiche (dalla corsa di Eurialo e Niso e la gara al tiro con gli archi dell'Eneide, ai versi di Orazio, Tibullo, Properzio per es.) o in prosa le quali, tra l'altro, riflettono la metamorfosi subita dalla concezione dell'attività atletica nella società romana, con l'affermazione del culto salutistico del corpo e di discipline atte a potenziare la combattività del soggetto (la lotta, il pugilato, il pancrazio) sino alla progressiva secolarizzazione della prestazione atletica. Occorre mettere in particolare evidenza alcuni fra i caratteri e gli aspetti predominanti dello sport così come trasferiti alla scrittura letteraria della civiltà greca antica e romana. Nel sistema ideologico e culturale della Grecia antica, come noto, eroi e semidei erano plasmati come modelli di perfezione corporea ma anche ideale, morale. L'esito della gara e la qualità della performance dell'atleta erano determinati dal diretto intervento delle divinità, come testimonia, fra i tanti esempi possibili, l'episodio della corsa con i carri per i giochi funebri in onore di Patroclo nel Libro XXIII dell'Iliade, che disvela il carattere sacrale dell'agonismo nella società tardo achea. L'atleta, nello svolgimen-to delle sue prestazioni fisiche, si rifaceva dunque a una serie di modelli anche 'tecnici' dell'atletismo codificati dalla tradizione mitica; ne è testimonianza il combattimento pugilistico descritto da Teocrito nell'Idillio XXII che vede impegnati nell'agone il dioscuro Polluce (figlio di Giove) e il gigante Amico; il poeta rappresenta un celebre episodio mitico ma con vivaci tocchi realistici, quasi da moderno reportage di boxe: "E, finti colpi, poi, d'ogni parte lanciando, Polluce / lo sconcertò; poi, quando lo vide smarrito, di sopra / il pugno spinse, sotto le ciglia, nel mezzo del naso, / e tutta gli scoprì, sino all'osso, la fronte…[…] e il capo ferì del gigante col pugno, / sotto la tempia sinistra, gravando la spalla sul colpo: / livido il sangue tosto sgorgò dalla tempia squarciata".
Negli epinici, i componimenti volti a celebrare una vittoria nelle gare e nei giochi, il poeta immortalava le gesta dell'atleta, elevava lodi alla sua città, invocava la divinità protettrice e soprattutto narrava un mito. La poesia vinceva dunque la fugacità dell'impresa agonistica legando l'esperienza reale alla mitologia.
Aristagora di Tenedo pritane, Diagora di Rodi, Gerone siracusano cantati da Pindaro, il pugile Pitagora di Samo celebrato da Teeteto, il lottatore spartano lodato da Damageto e altre figure di campioni ormai lontanissime nel tempo erano atleti reali immortalati dai poeti e divenuti nell'immaginario collettivo, grazie alla poesia, eroi e semidei al pari di quelli della tradizione mitica. E infatti tra le funzioni svolte dalla letteratura per così dire 'a vantaggio' dello sport, importante è quella di immortalare nei secoli volti, figure e prestazioni dell'atleta, trasformando la realtà in 'mito' se pur progressivamente svuotato nel corso dei secoli di ogni tensione al trascendente.
Il processo di secolarizzazione che investe l'attività atletica già nella società romana trova testimonianza nella scrittura letteraria. Di particolare interesse ai nostri giorni appare il repertorio di scritti che documentano i fenomeni legati agli aspetti rituali e spettacolari dell'atletismo. Opere di Seneca e di Plinio, il celebre passo delle Satire di Giovenale "duas tantum res optat: panem et circenses" chiariscono la funzione esercitata dai ludi nelle consuetudini del popolo romano, l'uso strumentale di gare e combattimenti messo in pratica dai vertici del potere politico, la faziosità del pubblico (Plinio, Familiari, IX, 6), i disordini violenti scoppiati dentro e fuori le arene, la degenerazione dei combattimenti nei ludi circensi (Saletta 1999). È insomma il pubblico (e la sua passione agonistica) ad affiancarsi come protagonista al personaggio principale della sfida, l'atleta.
Altra funzione dunque svolta sin dall'antichità dalla scrittura letteraria rispetto allo sport è quella di offrire risalto agli aspetti positivi e negativi dell'evento agonistico individuale o collettivo, di registrare le articolazioni emozionali (e spesso irrazionali) della passione sportiva. Si potrebbero in tal senso citare passi di scrittori antichi e moderni per cogliere sorprendenti analogie che testimoniano come la passione del parteggiare non conosca confini temporali: Giovenale (nelle Satire, XI, 196-98) commenta: "Un fragore mi colpisce l'orecchio; questo fragore mi fa capire che i verdi hanno vinto. Infatti, se questa vittoria venisse a mancare, tu vedresti questa città mesta e abbattuta come quando furono vinti i consoli alla battaglia di Canne". E Massimo Bontempelli, in un'antologia di scritti sportivi, ricorda la morte di tre tifosi del Napoli sugli spalti del Campo Ascarelli "per la gran passione alla fine della partita": uno, in particolare, prima di spirare "ebbe la forza di mormorare: Portatemi Attila", ovvero il centrattacco Attila Sallustro, "e alla vista di Attila Sallustro, che chiamato accorse, con raggio di gioia negli occhi dolcemente spirava" (Bontempelli 1935, p.75).
La letteratura di sport è dunque sin dalle origini ancorata al momento pratico dell'esperienza umana: sport significa qualcosa di specifico in un tempo, in un luogo, in una società, in una cultura particolari. Ma sono certamente la gara, la sfida individuale o di squadra e la figura dell'atleta a occupare una posizione centrale nella letteratura antica e moderna, fungendo da filo conduttore interno a una vastissima pluralità di testi.
Se si passa a esaminare la produzione più recente legata allo sport si può notare che, nonostante e forse a causa della centralità acquisita dalla televisione quale strumento immediato, istantaneo di comunicazione e trasmissione del momento pratico dell'esperienza agonistica, la scrittura di sport sembra voler ritornare alle origini delle sue funzioni, recuperando modelli fissati dalla tradizione più antica: fioriscono nuovi canzonieri, come il fortunato La solitudine dell'ala destra di Fernando Acitelli (1998), ben 185 componimenti in versi dedicati ad altrettanti campioni (italiani e stranieri) di uno sport anzi, di un gioco, il calcio che per alcuni è una 'scienza da amare', come recita il titolo di un'altra raccolta di scritti e commenti di autori e intellettuali italiani Il calcio è una scienza da amare. Trentotto dichiarazioni d'amore al gioco più bello del mondo, curata da Walter Veltroni (1982).
La scrittura non viene meno alla sua tradizionale funzione di immortalare le gesta dell'eroe, di creare un moderno repertorio mitologico di semidei sportivi: istanza che si infrange contro la realtà del calcio ormai trasformato in prodotto economico, di consumo e di mercato. I nuovi epinici ispirati ai campioni del pallone non fanno altro che legittimare, con pretese artistiche, lo star-system, i divi del calcio: i manifesti pubblicitari degli sponsor, gli striscioni delle tifoserie inneggiano alla nuova 'religione' del calcio del tutto secolarizzata. Si tratta dunque di componimenti che in qualche modo tentano di mantenere intatta una funzione della scrittura letteraria ormai messa fortemente in crisi dalla civiltà dell'immagine (anche pubblicitaria) da un lato e dalla pervasività della critica giornalistica dall'altro. Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa in un articolo nota: "È un fatto che oggi numerosi linguaggi critici hanno la funzione di creare mitologie, inserire l'irreale nella realtà quotidiana, dare una dimensione immaginaria e fantastica dell'esperienza umana. […] Anche la critica del calcio è una formidabile macchina creatrice di miti, una favolosa fonte di irrealtà per la sete di fantasie che hanno le grandi folle" (Vargas Llosa 1982, p. 25). Secondo questa prospettiva, in tempi a noi vicini né il calcio (o altri sport) né tanto meno la scrittura letteraria producono in effetti miti; è piuttosto l'efficiente sistema del giornalismo specializzato, aperto al contributo di critici e opinionisti dello sport provenienti anche dal mondo intellettuale e artistico, a creare il mito sportivo la cui essenza è spesso irreale o comunque frutto di un processo di manipolazione della realtà che in qualche modo o amplifica a dismisura il fenomeno e il fatto sportivo o coglie in essi significati, ideali e valori che vanno ben al di là della mera realtà tecnico-agonistica.
La progressiva centralità acquisita dal calcio nel panorama mondiale delle discipline sportive lungo lo scorso secolo è testimoniata da una consistente produzione letteraria in prosa e in poesia; tra le risultanti più significative di respiro internazionale meritano di essere segnalate: La Oda a Platko, celebre portiere del Barcellona, di Rafael Alberti (1928), Oda a Ricardo Zamora, altro celebre portiere, di Pedro Montón Puerto, Futbol del poeta sovietico Nikolaj Zabolockij (1926) e, in tempi più recenti per quanto attiene l'area europea, il racconto umoristico dal suggestivo titolo Futbolǎt e v krǎvta ni, "Il calcio è nel nostro sangue" (1951) dello scrittore e poeta bulgaro Vladimir Bašev, Pan y fútbol (1961) di Angel Zúñiga, Undici racconti sul calcio (1963) del Premio Nobel per la letteratura Camilo José Cela, Il centravanti è stato assassinato verso sera (1991), Calcio, una religione alla ricerca del suo Dio (1998) di Manuel Vásquez Montalbán, Putting the boot in (1985), romanzo giallo ambientato nel mondo della terza divisione calcistica inglese, di Julian Barnes (ma con lo pseudonimo di Dan Kavanagh), Febbre a 90° di Nick Hornby (1992) e l'intenso componimento Football at slack (in Remains of elmet del 1993) del poeta Ted Hughes, e ancora La solitudine del portiere. Prima del calcio di rigore (1982) dello scrittore austriaco Peter Hanke, La vita è un pallone rotondo (2000) dello slavo Vladimir Dimitrijevic. Particolarmente nutrito il drappello di scrittori sudamericani, tra i quali l'argentino Osvaldo Soriano (Fútbol. Storie di calcio, 1998 e Pensare con i piedi, 1995), l'uruguayano Eduardo Galeano (Splendori e miserie del gioco del calcio, 1997), il brasiliano Jorge Amado (La palla innamorata, 1999), il cileno Antonio Skármeta (Sognai che la neve bruciava, 1976) e il peruviano Mario Vargas Llosa (in un capitolo di La zia Giulia e lo scribacchino, 1977).
Si tratta solo di qualche segnalazione, in quanto la produzione in poesia e in prosa è certamente molto estesa, e tra queste non va omesso l'intenso racconto lungo Porgess (1991) dello scrittore ceco Arnošt Lustig, legato alla drammatica realtà dei campi di concentramento, in cui si palesa una squadra di calcio certamente particolare, quella messa insieme dagli internati. In Italia, di recente, spiccano interventi concentrati sulla letteratura di argomento calcistico promossi da scrittori, critici e poeti o che investigano il rapporto tra calcio e letteratura: il saggio di Valerio Piccioni, Quando giocava Pasolini (1996), il numero monografico e antologico Calcio della rivista quadrimestrale Panta (1998), il capitolo Letteratura (con i contributi di Daniele Barbieri e Riccardo Mancini, Poeti e narratori italiani e di Nicola Bottiglieri, Gli eroi non invecchiano mai) del Dizionario del calcio italiano curato da Marco Sappino (2000) e infine Calcio e letteratura di Paolo Collo e Darwin Pastorin (2002), e la recente antologia curata da Jorge Valdano Cuentos de fútbol (2002). È di interesse anche l'apparato dedicato al calcio della bibliografia curata da Riccardo Trani, Lo sport nella cultura letteraria italiana del secondo Novecento (in Sport e Letteratura 2003).
Analizzando da vicino alcuni testi emerge chiaramente come il soggetto calcistico si imponga di volta in volta nel tessuto testuale riflettendo le diverse funzioni che esso è chiamato a svolgere nel contesto della complessiva dinamica ispirativa e creativa. La poesia di Rafael Alberti, per es., ispirata alla finale del Campionato di calcio spagnolo del 1928, mirava da una parte a immortalare le prodezze del portiere ungherese Platko che, pur ferito al capo e caduto davanti alla propria porta, parava un tiro avversario, e dall'altra disvelava la passione sportiva del poeta. Da un episodio reale Alberti traeva spunto creativo per affermare nuovi aspetti e caratteri della poesia spagnola d'avanguardia e cantava il guardameta Platko quale moderno eroe che soppianta protagonisti e modelli tradizionali della lirica spagnola (la donna amata, gli eroi mitologici) "per necessità, per effusione lirica", come spiega Antonio Gallego Morell, ma anche "perché, non appena finita la partita", alla quale il poeta ha assistito da spettatore, ma immedesimandosi al punto da aspirare a essere lui stesso il protagonista, seppur in un altro campo, quello artistico, "i versi incominciano ad uscire spontanei" (Gallego Morell 1994, p. 95). L'episodio calcistico trasposto in poesia funge, in questo caso, da occasione per affermare un nuovo codice poetico e, insieme, un nuovo ritratto d'artista proiettato in ogni ambito del vivere moderno.
"Assistere? Non assisto. Sto giocando" è un verso di O momento feliz di Carlos Drummond de Andrade, poesia ispirata alle imprese della Seleçao brasiliana che disvela il processo di immedesimazione del poeta nell'arte del gioco calcistico definita "Una geometria scaltra/ aerea, musicale, di corpi sapienti […] membra polifoniche […] di un unico corpo, bello e sudato". Il componimento è teso a rilevare come la vittoria della Seleçao sia "un momento puro di grandezza / e affermazione nello sport" per un'intera nazione che ha dunque scambiato "la morte / l'odio, la povertà, la malattia, la triste arretratezza" per "qualche minuto di felicità". Il poeta mette dunque in luce un aspetto non secondario del fenomeno calcistico o più in generale dello sport: il suo divenire nella società contemporanea e soprattutto nei paesi più travagliati, da un punto di vista economico-sociale, un surrogato fattore di coesione dello spirito nazionale: "D'improvviso il Brasile si è ritrovato unito / contento di esistere" e Pelé, "eterno re repubblicano / il popolo divenuto atleta nella poesia / del gioco magico", incarna un moderno idolo di massa.
Lo sport diviene così elemento costitutivo di un'identità nazionale e come tale è anche indagato (Marchesini 1998): il fenomeno si trasmette alla produzione letteraria che in alcune nazioni si concentra maggiormente sullo sport più popolare. Così l'alto numero di scritti legati al baseball prodotti negli Stati Uniti è spia della centralità occupata da questo sport nella società americana: Fielder's choice: An anthology of baseball fiction, 1979, curato da J. Holtzman; On the diamond: A treasury of baseball stories, 1987, curato da M.H. Greenberg; Taking the field: The best of baseball fiction, 1990, di G. Bowering; Baseball's best short stories, 1995, di P. D. Staudohar, e Baseball short stories: From Lardener to Asinof to Kinsella, nella rivista Culture, Sport, Society, 2, 2002; The writers' game: baseball writing in America, 1996, di R. Orodenker. Nick Molise, per es., personaggio del racconto Was a bad year (1933) di John Fante, aspira a divenire campione di baseball al fine di acquisire una piena identità americana e cancellare le sue origini italiane.
In Canada, lo sport nazionale è l'hockey che alimenta una folta serie di scritti (J.P. April, Sport-fiction: le hockey et la science-fiction québécoise, 1996), ma l'hockey è popolare anche nel mondo ceco e slovacco ed è al centro dei racconti dello scrittore ceco Ota Pavel, Dukla mezi mrakodrapy, "Il Dukla tra i grattacieli" (1964) e Pluá bedua Šampanskélio, "Una cassa piena di champagne" (1967). In Italia si registra un romanzo ispirato a questo sport, Stecca d'oro di M. Corazza (1994).
Uno dei più noti scrittori giapponesi, Yukio Mishima, in Vivere lo sport (testimonianza edita a più riprese nel quotidiano nipponico Jomiuri Shinbun nel 1964), pochi anni prima del suo clamoroso suicidio (avvenuto nel novembre 1970), racconta la propria graduale dedizione al body building, alla boxe e infine, al compimento dei trent'anni, al kendō: "Da ragazzino ‒ ricorda Mishima ‒ detestavo soprattutto quegli urli caratteristici del kendō". Urli "indicibilmente volgari, selvaggi, minacciosi, impudichi, profondamente fisici, incivili e incolti, irrazionali, animaleschi". A distanza di anni, e praticando questa disciplina, "quell'urlo, sia mio o di un altro, mi dà piacere" perché si è trasformato nell'urlo del Giappone, latente "nella profondità del mio spirito". È dunque interpretato da Mishima come l'urlo "degli strati profondi della coscienza di un popolo, che scorrono segretamente anche nel fondo della superficiale civiltà moderna. Quel mostruoso Giappone, oggi incatenato, privo di nutrimento, si è indebolito e geme, ma nelle palestre del kendō, può ancora urlare per mezzo delle nostre bocche" (Mishima 1983, p. 131).
Quale elemento precipuo della società, lo sport diviene anche strumento di mobilitazione politica delle masse, come del resto testimoniano scritti a tema sportivo prodotti negli anni del fascismo o all'interno dei vari regimi totalitari. In altre aree del mondo, per es. in Sudafrica, la straordinaria "popolarità del calcio nella popolazione nera, maggioritaria, fece del football un terreno chiave nella lotta politica contro l'apartheid" (Alegi 2003, p. 317). Fenomeno, quest'ultimo, che si riflette, sia pur di scorcio, nel contesto del romanzo della scrittrice sudafricana Nadine Gordimer, Nobel per la letteratura nel 1991, Burger's daughter, ambientato nel clima di aspra lotta politica degli anni Settanta anche sulle ambivalenti problematiche insite nel rapporto tra sport e razzismo. "La questione è: tattica contro il razzismo nello sport o lo sport come tattica contro il razzismo?" (Gordimer 1995, p. 149). Scelta strategica sulla quale pesa un'amara realtà: "E se l'anno prossimo o quello dopo, le squadre di calcio bianche giocheranno contro quelle nere o assumeranno giocatori neri, i calciatori grideranno che non c'è più razzismo nello sport. Ma in ogni altro settore del paese un nero sarà sempre un nero. Qualunque altra cosa faccia, avrà lavori da nero, istruzione da nero, casa da nero" (ibid. p. 149).
Il calcio brasiliano visto invece come follia collettiva, droga per il popolo di un paese in perenne e profonda crisi politica ed economica emerge quale specchio di un'intera società nei racconti di Edilberto Coutinho, Maracaná, adeus: onze histórias de futebol (1980), che tratteggiano un quadro a tutto tondo del mondo del football nell'America Latina, dal fanatismo che infiamma gli stadi alla solitudine e all'oblio (e spesso alla nuova povertà) che avvolgono gli eroi al termine della loro carriera.
Anche Futbol di Nikolaj Zabolockij ‒ poeta a lungo perseguitato dal regime sovietico ‒ ha come protagonista un calciatore che, nel ruolo di attaccante, "tende al massimo le proprie forze, esulta, sembra avere in mano la vittoria", ma, secondo l'interpretazione di Efim Etkind, vorrebbe in realtà rappresentare Vladimir I. Lenin. Gli ultimi versi del componimento sono dedicati alla morte del giocatore sul campo; un "semplice pallone di cuoio si trasforma nella sfera terrestre"; l'attaccante (in inglese forward significa "avanti") "che sogna di determinarne il corso, cade vittima dell'inevitabile" (Etkind 1990, p. 833). In questo caso il soggetto calcistico è utilizzato quale strumento di contestazione dell'illusorio e utopico romanticismo rivoluzionario, diviene amara parodia della retorica di propaganda sbandierata, nel 1926, dal regime sovietico.
La letteratura che trae ispirazione dalla realtà del calcio tenta anche strade differenziate rispetto a quelle battute da altri mezzi di comunicazione che, dietro apparentemente innocenti documentari e cronache fedeli alla realtà, propagandano in effetti la nuova natura commerciale e la nuova etica mercantile del calcio, la sua spettacolarizzazione che placa la sete non solo di fantasia ma di protagonismo della folla. È quanto può evincersi da un frammento estratto da Undici racconti sul calcio (1963) di Camilo José Cela, legato al fascino esercitato sui tifosi spagnoli dalla stampa specializzata che dal lunedì, riportando cronache e risultati delle partite di campionato, diviene "il pasto spirituale che servirà loro da sostentamento per tutta la settimana". Se in apparenza il brano illustra il carattere trainante del giornalismo sportivo, è invece da leggersi come ulteriore tassello della graffiante deformazione grottesca e sarcastica cui Cela sottopone ogni elemento dell'esistenza e del vivere quotidiano. Il processo di mobilitazione delle masse attorno allo spettacolo e all'evento calcistico, favorito anche dalla pervasività del giornalismo sportivo, che colma vuoti di tutt'altra natura, è in realtà per Cela un'ulteriore controprova della farsa che è il vivere della società contemporanea: migliaia di lettori-tifosi "custodiscono il proprio cuore avvolto per tutta la vita" nel quotidiano sportivo (Cela in D'Orrico 1992, p. 388). La funzione svolta dalla letteratura nel suo rapporto con uno degli sport più popolari nel mondo può dunque essere anche quella di rilevare, in modo disincantato e scettico, le caratteristiche negative o deteriori del fenomeno della sua diffusione o di mettere criticamente a nudo alcuni fenomeni di corruzione come nel romanzo di M. Ferreira Neves, Golpe de estádio: o romance da corrupção no futebol portugês (1996).
Di fronte al successo editoriale mondiale raggiunto dal romanzo di Nick Hornby Febbre a 90°, si è lamentata l'assenza in Italia di un analogo best-seller addebitandola alla persistenza di una "frattura mai colmata" tra calcio e mondo letterario italiano, afflitto, quest'ultimo, da una sorta di "incurabile impotenza", come si legge nell'intervento di S. Ferrio, Il calcio sullo scaffale (Dizionario del calcio italiano, p. 2001). Diagnosi eccessivamente critica ma che in fondo trova la sua spiegazione nelle stesse prospettive che la sorreggono: è senz'altro vero "che milioni di italiani tuffano quotidianamente i loro occhi in pagine di giornali grondanti di gol, esoneri, contratti e veleni", come afferma Ferrio, e che nell'arco di un anno "un'infima percentuale di questa massa acquista almeno un romanzo, un saggio o un poemetto riguardante il gioco del pallone". Ma a questo punto verrebbe da chiedersi se il tifoso-lettore di narrativa o di poesia in Italia non sia evidentemente affetto da una inconscia saturazione nei confronti del calcio 'parlato', saggiato, analizzato, discusso e infine rappresentato dai media.
L'aspetto autenticamente ludico dell'attività sportiva e in particolare del ciclismo e del calcio non è invece sfuggito all'attenzione di uno tra i più noti scrittori comici del Novecento italiano: Achille Campanile. La letteratura a soggetto sportivo di Campanile (Giovanotti, non esageriamo, 1929; Battista al Giro d'Italia, 1932; Campionato di calcio ovvero far l'amore non è peccato, 1972) imprime entro la produzione italiana tra le due guerre il segno e il senso degli elementi comici (se non grotteschi) racchiusi nei grandi miti dello sport; tendenza aperta alla satira e all'ironia destinata a essere una rarità in quegli anni per quanto attiene l'ambito letterario, trovando invece largo spazio nel cinema, a cominciare dai film di Charlie Chaplin (Charlot e Fatty boxeurs del 1914; The champion del 1915), di Max Linder o di Buster Keaton (Io e la boxe, 1926; College, 1927; Il cameraman, 1928). Si ride o si sorride di sport nella letteratura per l'infanzia o per ragazzi, come per es. nelle novelle sportive di Niccolò De Bellis, Voglio fare il boxeur! (1930), o in una delle poesie per bambini di Alfonso Gatto, La partita di calcio (Il sigaro di fuoco, 1946) ove lo sprovveduto Boccaccio "Il gran portiere giallo / della squadra di quartiere. Stava all'erta come un gallo" e, dopo aver preso quindici gol, finisce a fare il guardiaportone "col berretto e col gallone / mani pronte e spazzolone". Più recenti sono i racconti sportivi per ragazzi di Gianni Rodari, L'arbitro Giustino (Il libro degli errori 1964) e I Maghi allo stadio (Novelle fatte a macchina 1973).
Sarà invece il tifo calcistico degli ultrà, sulla scia del rovesciamento in chiave comica e grottesca del mito del pallone praticato da alcune trasmissioni televisive, a offrire spunti umoristici a Stefano Benni in Bar Sport (1976) e in Bar Sport Duemila (1997).
Una verve comico-parodistica di altra natura può esser colta in Dov'è la vittoria di Vittorio Sermonti (1983) che ricostruisce gli eventi della nazionale di calcio italiana nei Mondiali di Spagna del 1982 attraverso un collage dei titoli, sottotitoli, brani e passaggi estratti dalle cronache e dai commenti dei quotidiani sportivi italiani: ne risulta un pastiche linguistico ed espressivo da testo dell'avanguardia Dada, infittito dagli artifici retorici, dai neologismi, dagli stratagemmi tipici del linguaggio giornalistico sportivo.
La letteratura recepisce, interpreta e plasma la poliedrica essenza del fenomeno sportivo, che a sua volta svolge una serie di funzioni nel suo incontro con la cultura letteraria. Lo sviluppo del sistema dello sport nella società moderna comporta di conseguenza, come vedremo, un ampliamento del campo dell'immaginario letterario, delle occasioni e istanze poetiche che traggono ispirazione dalla realtà umana e sociale, del repertorio di scorci, sfondi, ambienti relativo alla rappresentazione dello spazio in opere in prosa e in versi: lo sport diviene elemento di produzione di racconti, romanzi, poesie e saggi.
L'attuale pervasività dello sport nella società, nel mondo dell'informazione e della cultura, come si è già sottolineato, è frutto di un processo legato alla progressiva (non certo istantanea) affermazione degli sport e della pratica sportiva dalla seconda metà dell'Ottocento e lungo il Novecento. Aprirsi allo sport significava effettuare una netta inversione di tendenza da parte del ceto intellettuale europeo: innanzi tutto rappresentava una decisa valorizzazione del corpo, della fisicità rispetto al campo dell'interiorità, dei sentimenti e della psiche (Braustein-Pépin 1999); significava interessarsi a innovative tecniche competitive (si pensi solo alla realtà degli sport più moderni quali il ciclismo, l'automobilismo, il volo) e soprattutto a giochi, passatempi, sfide e competizioni non più praticate esclusivamente dall'aristocrazia o dall'élite ma ove si affermavano uomini comuni, anche in larga parte provenienti dal ceto popolare.
Negli Stati Uniti, invece, lo sport è entrato a far parte della società molto più rapidamente: fenomeno che ha trovato riflesso nella letteratura americana ove il tema dell'eroismo sportivo o la figura dell'eroe sportivo si sono diffusi già a partire dalla prima metà dell'Ottocento (Messenger 1981).
Benedetto Croce sottolineava, non senza polemica, come dopo il 1870 fosse scemata in Europa la meditazione "attiva delle cose morali e politiche"; la società europea era pervasa dalla "infaticabile attività di imprese industriali e commerciali, di scoperte tecniche, di macchine sempre più potenti, di esplorazioni geografiche, di colonizzamenti e sfruttamenti economici"; ma soprattutto era pervasa dalla tendenza all''avviamento' e all''ampliamento' conferiti "alle stesse ricreazioni e giuochi sociali, a quel che si chiamò lo sport, dalle biciclette alle automobili, dai canotti e dai yachts alle aeronavi, dalla boxe al foot-ball e allo sky, che tutti in vario modo cospirarono a dare troppo larga parte nel costume e nell'interessamento al rigoglio e alla destrezza corporale, scapitandone al confronto le parti dell'intelligenza e del sentimento" (Croce 1932, pp. 339-40). Molte cose ‒ aggiungeva Croce ‒ "si scrissero contro la furia dell'istintivo e dell'animalesco, contro il correre diventato per sé una passione", contro quel processo di despiritualizzazione o di Entseelung, "contro lo sport che distruggeva ogni fine cultura [...] Ma il vento soffiava per quel verso" (ibid. p. 345).
La crescente affermazione dello sport incontrò diffidenze se non ostracismi da parte della cultura letteraria europea, soprattutto negli anni in cui essa affermava dapprima il ritratto dell'artista decadente, solo nel suo distacco dalla società, artista che si abbandona alla droga, all'alcool, alla malattia, al suicidio per combattere il male oscuro che lo devasta; poi il personaggio anti-eroe del romanzo novecentesco, incapace di affermare compiutamente la propria identità, generalmente tormentato, malato, o caratterizzato dall'imbruttimento fisionomico, inetto a vivere o 'uomo senza qualità'. Al mal du siècle, male di fede non solo religiosa, ma terrena, di fede in sé stessi, al male di vivere che permea tanta parte della letteratura primo-novecentesca si opponeva la realtà fattiva, dinamica, competitiva ma anche del tutto ludica dello sport. Fenomeno che dunque investe l'élite intellettuale sotto le oppositive spoglie di un marcato interessamento al 'rigoglio fisico', alla 'destrezza corporale', come esperienza umana che 'distrugge' ogni 'fine cultura', come culto del corpo contrastante il culto dello spirito.
Lo sport è stato dunque oggetto di una certa discriminazione nei primi decenni del Novecento da parte della cultura letteraria, fondata sul pregiudizio "che contrappone il serio al ludico, l'attività produttiva all'attività evasiva o di divertimento" (Sirri 1986, p. 118). Un pregiudizio combattuto da scrittori e artisti, appassionati cultori dello sport. Gli interventi di Miguel de Unamuno investigati da Ivana Rota in Il dibattito tra sport e cultura nel primo novecento spagnolo (1994, pp. 36-41) rivelano come egli, proteso a segnalare che l'eccessiva rivalità e l'irruenza campanilistica fomentate dalle discussioni in merito agli incontri calcistici allontanassero le giovani generazioni dalle preoccupazioni dello spirito, criticasse tuttavia non la sana pratica sportiva ma lo sport 'contemplativo', vissuto come puro spettacolo: fenomeno che finisce per alimentare, a giudizio di Unamuno, la 'grottesca vanità' del professionista di sport. Secondo Massimo Bontempelli, invece, il pregiudizio era indice della sopravvivenza di una vecchia mentalità per cui "leggere un libro e andare ad assistere a una partita di calcio…" sono cose incompatibili, e l'uomo di studio è "un animale speciale, dalle spalle arcuate, freddoloso […] un incapace fisicamente". (Bontempelli 1935, p. 77). Antonio Baldini, nel 1950, in Giuochi e sports, sottolineava che non sempre gli uomini di cultura hanno in sprezzo le attività sportive e ciò che a esse si connette. Yukio Mishima affronta il tema nel già citato articolo Vivere lo sport del 1964: "A un artista non sarà necessario un corpo sano per conservare con tenacia e profondità uno spirito malato, essenziale per la creazione artistica? Per scavare un pozzo sempre più profondo nell'umanità così esecrabile, non saranno forse indispensabili durissime pareti di marmo?".
Ancor più resistente il preconcetto che investe l'intellettuale che si interessa a giochi di squadra praticati o amati dalle classi subalterne: Nick Coleman e Nick Hornby, nell'introduzione a The Picador book of sportswriting (1996) lamentano il perdurare di pregiudizi nei confronti dello scrittore sportivo che in Inghilterra ‒ patria degli sport moderni ‒ si interessa di calcio e rugby, tradizionalmente amati dalla classe media e popolare. In Italia, come abbiamo sottolineato, il fenomeno ai nostri giorni appare rovesciato e intellettuali, politici, scrittori e artisti non celano la propria passione per club o campioni calcistici. Nel Dizionario del calcio italiano (2000) si ritrovano le testimonianze rilasciate da Giulio Andreotti (Roma, 1942), Fausto Bertinotti (Nordahl), Armando Cossutta (Meazza), Sergio Cofferati (Cremonese. Il tifo? Pacatezza e ironia), Franco Loi (Milan anni 40), Nando Dalla Chiesa (Inter anni 60), Walter Veltroni (Tardelli), Giorgio van Straten (Platini), le interviste ad Antonio Bassolino (Napoli. Un Davide contro tanti Golia), Franco Zeffirelli (Fiorentina 1956), Giuliano Montaldo (Genoa), Roberto Roversi (Bologna).
Coleman e Horbny rovesciano il detto che lo sport è una metafora della vita reale e concludono affermando che si scrive, si legge e si pratica lo sport affinché il resto della vita sia illuminato dal suo particolare linguaggio allegorico, in quanto lo sport ha qualcosa da comunicare esattamente come l'arte ed esiste non per essere esaltato ma per essere praticato (Coleman, Hornby 1996, p. 3).
Una sensibile propensione verso lo sport sostiene e caratterizza opere prodotte da scrittori 'sportivi', ovvero praticanti lo sport anche solo a livello del tutto dilettantistico o amatoriale. Il caso più celebre è forse quello di Ernest Hemingway, dilettante di boxe, appassionato di caccia, di pesca e di corride, di corse ai cavalli e di baseball; passione che si riverbera in numerose sue opere nelle quali tuttavia il mondo sportivo appare dominato "dall'inganno e dalla truffa" (Briasco 2003, p. 151), affollato dalla figura dell'anti-eroe sportivo la quale "non fa che riproporre il patrimonio di conflitti, di violenze e di egoismi che è cresciuto come un'escrescenza sul sogno americano fino al punto di trasformarlo in incubo" (ibid. p. 158). A un'attenta lettura, le pagine narrative di argomento sportivo di Hemingway rivelano come esse tendano in realtà a sottolineare l'assenza del "carattere collettivo del mito sportivo" in un'America interpretata dallo scrittore come nazione "dell'individualismo e del conflitto" (ibid. p. 156). Operazione di disvelamento effettuata da un profondo conoscitore e appassionato di sport: "Alcuni dei racconti ‒ afferma la voce narrante di Lo strano paese ‒ si riferivano al pugilato, altri al baseball e altri ancora alle corse di cavalli. Erano le cose che avevo conosciuto meglio e alle quali mi sentivo più vicino […] Scrivendoli avevo provato tutta l'emozione che potevo provare per quelle cose e l'avevo immessa tutta nei racconti insieme a tutto ciò che conoscevo di quelle cose e che ero capace di esprimere e li avevo scritti e riscritti finché tutto era entrato in essi e uscito da me" (Hemingway 1988, p. 381).
Non sempre, tuttavia, la personale pratica dello sport funge da dote indispensabile all'elaborazione di un testo letterario che renda appieno, e artisticamente, l'idea dello sport o le emozioni che esso genera: come sosteneva Paolo Monelli "Ci sono molti sportivi che scrivono ma non sono sportivi. Vi sono molti scrittori che si sono occupati molto o poco di sport e hanno scritto pagine bellissime. […] Due cose sono certe: che non basta a far lo scrittore sportivo l'allineare resoconti descrittivi di gare di calcio o di corsa con pretese di competenza e di esattezza tecnica; e che molti buoni scrittori, se si mettono a descrivere il mondo sportivo, gli casca l'asino" (in Prima antologia degli scrittori sportivi 1935, p. X).
Di fronte all'attuale realtà dello sport, pur non priva di zone d'ombra, è di qualche interesse ripercorrere alcune tappe significative del rapporto tra sport e letteratura, e focalizzare l'attenzione su quelli che appaiono come i principali snodi del rapporto da un punto di vista sia della storia dello sport sia della cultura letteraria, privilegiando l'ambito italiano ma con opportune integrazioni relative alle culture letterarie straniere.
In linea generale, si possono individuare alcune grandi fasi che contraddistinguono il rapporto tra sport e letteratura lungo il Novecento: la prima, che coincide con il primo ventennio del secolo, è caratterizzata, per quanto attiene all'ambito culturale e della comunicazione, dal fiorire del giornalismo sportivo e del cinema e dalla nascita dell'avanguardia futurista che propaga l'idea del dinamismo, della velocità, del record, plasmando un nuovo linguaggio delle arti e riflettendo, al tempo stesso, l'affermazione della moderna concezione competitiva dello sport. La seconda si può far coincidere con gli anni tra le due guerre che segnano una crescente espansione dello sport nelle sfere del sociale, non esente, è il caso dell'Italia, da una caratterizzazione in senso politico e ideologico. La terza, segnata dalla ripresa delle Olimpiadi dopo la Seconda guerra mondiale (1948), coincide con l'età del progressivo radicamento dello sport nel costume sociale, del coinvolgimento sempre maggiore della massa nell'attività sportiva, del nuovo legame tra sport ed economia, della diffusione del mezzo televisivo; si affacciano alla ribalta del mondo letterario internazionale autentici scrittori ormai avvezzi alle attività sportive, come semplici praticanti, dilettanti e persino come professionisti, o come intenditori e tifosi. Infine, nella fase più recente, l'universalità sportiva risente fortemente dell'incisiva influenza dei sistemi mediatici (Bonetta 2000).
I primi venti anni del secolo. - Il primo decennio del 20° secolo non è certo caratterizzato dal predominio dei mass-media: manca la televisione, la radio è ai suoi albori; nascono tuttavia nei quotidiani pagine sportive e i primi periodici sportivi; il cinema muto proietta immagini di acrobati, forzuti e boxeur, delle prime competizioni di automobili da corsa. I ritratti dei campioni filtrati dalla stampa e dalle foto d'epoca sono quelli di uomini comuni sfigurati dalla fatica, come Dorando Petri nella maratona delle Olimpiadi di Londra del 1908, sporchi di fango e di polvere, come i ciclisti Petit Breton e Luigi Ganna o l'ex meccanico della Fiat Felice Nazzaro. Sono figure che tuttavia non offrono consistenti spunti ispirativi in Europa alla letteratura del tempo.
Nel campo culturale, due sono i fattori che contribuiscono alla crescente fortuna e diffusione dello sport moderno: la nascita del giornalismo specializzato, fenomeno destinato a una crescente espansione, e l'avvento del cinema. Relativamente al primo vanno ricordate alcune date significative: nel 1856 Le Figaro inizia per es. la pubblicazione di una rubrica sportiva; nel 1863 nasce a Torino il Club alpino italiano, fondato da Quintino Sella, ed è del CAI di Torino, nel 1865, il primo bollettino 'sportivo' italiano. Nel 1890 esce il supplemento settimanale del quotidiano romano La Tribuna ovvero La Tribuna illustrata diretta da Gabriele D'Annunzio, Giulio Aristide Sartorio e Domenico Morelli con articoli dedicati allo sport. Nel 1892 (sull'onda del successo popolare subito conquistato dal ciclismo anche grazie all'organizzazione curata dal Corriere della Sera del primo giro Torino-Milano) nasce il settimanale sportivo Il Ciclo che nei due anni di attività vedrà tra i suoi collaboratori anche Giovanni Pascoli e Olindo Guerrini. Nel 1907 il Corriere della Sera invia Luigi Barzini al seguito del raid automobilistico Pechino-Parigi, organizzato dal quotidiano francese Le Matin, testata che nel 1908 organizza in collaborazione con il Times il raid New York-Parigi: come inviato di quotidiani italiani (La Stampa, Il Mattino) e stranieri (Daily Mail e New York Times) partecipa alla competizione lo scrittore Edoardo Scarfoglio.
Per quanto riguarda l'avvento del cinema, il match fra Jack Cushing e Mike Leonard (1894) appare in effetti la prima embrionale fiction legata alla boxe girata nel teatro di prosa newyorkese della Edison, nucleo originario di un vero e proprio filone del cinema sportivo, quello pugilistico; il film muto si avvale della presenza di vari atleti provenienti dal mondo del circo e di boxeur e lottatori che sono in realtà self-made men, appartenenti alle classi popolari e 'prestati' al cinema.
In Italia, Ginnasti della Società Mediolanum di Italo Pacchioni, documentario girato nel 1896, rappresenta un incunabolo di filmografia sportiva. Al fantasioso Le voyage Automobile Paris-Monte Carlo di George Méliès (1905), ricco di trovate comiche e spettacolari, si accostano in Italia, la ripresa filmica nel 1904 del raid Susa-Moncenisio e in seguito il reportage in pellicola di Luca Comerio dell'edizione inaugurale della Targa Florio (1907).
L'affermazione dello sport come attività competitiva ‒ sono gli anni in cui, dopo la ripresa delle Olimpiadi nel 1896, si diffondono in modo crescente gare, campionati ed eventi agonistici in varie discipline sportive a cominciare dal ciclismo e dall'automobilismo ‒ funge da traino all'espansione della pratica sportiva, ma anche da fenomeno che condiziona dapprima il rapporto tra sport e giornalismo e poi quello tra sport e letteratura. La nascita dell'epopea del ciclismo, per es., si deve alle cronache veementi di entusiasmo dei primi Tour de France o Giri d'Italia edite nella Gazzetta dello Sport da Emilio Colombo più che alle 'passeggiate' in bicicletta descritte da Alfredo Oriani (La bicicletta, 1902) o da Alfredo Panzini (La lanterna di Diogene, 1907). Quelle cronache assunsero subito la forma del racconto legato al duello tra due campioni (Luigi Ganna e Lucien Petit-Breton; poi Alfredo Binda e Costante Girardengo e in anni a venire Fausto Coppi e Gino Bartali), creando un'epopea assai più affascinante per le giovani generazioni rispetto alle imprese degli eroi dell'epica classica. Come ricordava Curzio Malaparte: "Quando ero un ragazzo, gli exploit di Gerbi, di Petit-Breton, di Ganna non mi lasciavano dormire. La prima epopea della bicicletta fu la mia Iliade" (Malaparte 1967).
La pioneristica antologia Ciclismo e letteratura curata da Carlo Weidlich (1932) accoglieva un ricco repertorio di scritti di letterati italiani (Stecchetti, Betteloni, Oriani, Tozzi, Cicognani, Panzini, Linati, Soffici, Borgese, Moretti): repertorio che testimonia in effetti il carattere sempre più popolare acquisito dalla bicicletta come mezzo per trascorrere il tempo libero o come strumento di semplice trasporto. La realtà competitiva del ciclismo era invece esclusivamente rappresentata dai brani autobiografici di Girardengo (Come divenni Gira) e Binda (Le mie vittorie, le mie sconfitte). Le imprese legate all'annuale odissea del Tour de France (apertasi nel 1903) o del Giro d'Italia (inaugurato nel 1909) non sollecitano in quegli anni l'intervento dei nostri letterati. La fondazione dei primi club di football attorno al 1890 a Genova, Torino e Milano rappresenta in Italia l'embrionale avvio dell'organizzazione calcistica: una eco significativa del carattere popolare del gioco del calcio sul finire dell'Ottocento può cogliersi in Gli azzurri e i rossi di Edmondo De Amicis (1897).
Il mondo letterario italiano negli anni precedenti la Prima guerra mondiale resta in qualche modo appartato rispetto allo sport. Come ricordava Orio Vergani nel 1929 (nell'introduzione ai racconti di Emilio De Martino, Vita al sole, 1929, p. XII) "per i nostri padri, o per i fratelli maggiori […] lo sport era una cosa da matti […] il caro popolo romano che passava le giornate aspettando la 'quarta' dei giornali per leggere le ultime della crisi ministeriale, aveva preso l'uso di chiamare i podisti col nome odoroso di puzzapiedi". Ma, secondo Vergani, grazie al giornalismo di sport la generazione dell'ultimo decennio dell'Ottocento aveva potuto accostare alle imprese di fantasia degli eroi dei romanzi di Emilio Salgari o di Jules Verne quelle compiute da protagonisti reali, da campioni autentici: gli eroi dello sport. "In effetti in Italia, rispetto a tutti gli altri paesi europei, gli sport arrivarono con qualche decennio di ritardo e si allocarono in luoghi sociali diversi. Ritenuti ad alto potenziale di democraticità, contro il potere inibitorio e moralmente formativo delle attività ginniche, gli sport furono osteggiati dalle classi governative: ad essi fu preclusa la scuola ed ogni altro luogo pubblico" (Bonetta 2000, p. 35).
La cultura letteraria europea, appena uscita dalla grande stagione del decadentismo, incline alle esperienze rare, sottili, artificiose, al dandysmo, al gusto per l'esoterico, l'occulto e l'ascesi mistica, è scossa, tra i fermenti mondani della Belle Époque, dall'avanguardia futurista. Il carattere e il fenomeno competitivo degli sport moderni si riflettono infatti emblematicamente nelle teoriche e nella produttività artistica futurista: il movimento di Filippo Tommaso Martinetti è riuscito a stabilire un'incisiva connessione tra il campo delle arti e quello dello sport, rifiutando l'autonomia e la separatezza del fatto artistico dalla società moderna che, come affermava Marinetti in Immaginazione senza fili e le parole in libertà del 1913, grazie alle grandi scoperte scientifiche, tecnologiche e industriali aveva una rinnovata 'sensibilità umana'. Marinetti individuava nelle trasformazioni avvenute nel campo delle "diverse forme di comunicazione, di trasporto e d'informazione" l'acme dell'influenza esercitata dalla scienza e dalla tecnologia sulla 'psiche' umana e in questo processo di modernizzazione rientrava decisamente anche lo sport. "Passione, arte e idealismo dello Sport. Concezione e amore del record" dichiarava Marinetti in un punto programmatico del manifesto, che svela come il futurismo abbia centrato un concetto totalmente moderno dello sport: il 'record', inteso quale superamento di un limite già fissato, ansia di vittoria, come affermazione del primato, e legato all'idea del progresso della società e delle arti, ma anche come continua competizione con sé stessi o come sport 'estremo', diremmo oggi, e non a torto se il futurismo celebra la competizione individuale con l'auto da corsa o l'aeroplano e se negli anni Trenta in Futurismo si sviluppa una serie di articoli consacrati alle gare di 'carro-vela', al 'volo a vela', al paracadutismo.
Alla miscela di aggressività e dinamicità con la quale nel 1909 era confezionato l'ordigno lanciato contro la tradizione e il passatismo artistico nel manifesto di fondazione del movimento, Marinetti farà ricorso nell'ottobre del 1913, stendendo il programma politico del futurismo edito in occasione delle elezioni di quell'anno. Tra i punti programmatici il manifesto prevede: "Culto del progresso e della velocità, dello sport, della forza fisica, del coraggio temerario e del pericolo contro l'ossessione della cultura, l'insegnamento classico, il museo, la biblioteca e i ruderi".
Lo sport è dunque inteso da Marinetti come uno degli elementi primari del culto del progresso e della forza fisica in antagonismo alla sfera della cultura classica e tradizionalista. Tale antitesi era stata riscontrata da Marinetti, acutissimo ricettore dei processi di metamorfosi allora in atto nella società europea del primo Novecento, e subito enfatizzata e utilizzata come strumento di affermazione di una nuova teorica del teatro, rivolta al reale destinatario del prodotto artistico della società moderna: un nuovo pubblico, allargato, di massa, per il quale sono necessarie nuove forme di intrattenimento. Il manifesto del Teatro di varietà, edito nell'ottobre 1913, testimonia come Marinetti punti a stringere sempre più il legame tra performance atletica e spettacolo: il circo, le fiere di paese, il teatro classico o piccolo borghese sono destinati a sparire, nelle intenzioni marinettiane, per far posto al cinema e al teatro di varietà, ricco, quest'ultimo, di eclettiche o comiche sorprese che coinvolgono lo spettatore: l'acrobatismo, il salto della morte, il record atletico, il looping the loop ("fare il giro della morte") in bicicletta, in automobile, a cavallo. Del resto Marinetti è consapevole, nel 1913, del fatto che i nuovi mezzi di comunicazione ‒ i quali hanno 'rimpicciolito' la terra ‒ consentono anche all'uomo comune, all'abitante "pusillanime e sedentario di una qualsiasi città di provincia" di concedersi "l'ebrietà del pericolo seguendo in uno spettacolo di cinematografo, una caccia grossa nel Congo. Può ammirare atleti giapponesi, boxeurs negri, eccentrici americani inesauribili, parigine elegantissime, spendendo un franco al teatro di varietà". Il connubio tra sport e spettacolo acquisiva una valenza significativa nella sceneggiatura di Vita futurista (1916), incunabolo del cinema futurista (non restano tuttavia copie della pellicola). Scritta da Marinetti, Ginna, Settimelli, Corra e Balla, prevedeva una ripresa di "Ginnastica mattutina ‒ Scherma e boxe ‒ Assalto futurista alla spada fra Marinetti e Remo Chiti ‒ Discussione coi guantoni fra Marinetti e Ungari" e una 'Marcia futurista' scandita sul ritmo del 'passo interventista' interpretata da Marinetti, Balla e altri artisti. Gli artisti diventano i protagonisti della performance sportiva e dello spettacolo filmico.
Lo sport è interpretato dal futurismo marinettiano non solo come elemento che sta entrando a far parte, a vario livello, dei costumi di vita della società contemporanea, quale specchio della tensione verso la dinamicità, l'accelerazione, l'aggressività interna al mondo moderno, come emblema del legame tra arte e scienza (l'estetica della macchina), come strumento di affermazione delle qualità e delle forze psico-fisiche dell'io, ma anche quale mezzo di intrattenimento e spettacolo. Il futurismo, già nel primo manifesto del 1909, plasma e afferma un nuovo ritratto d'artista intrepido, dotato d'energia fisica e creativa, in grado di padroneggiare il moderno mezzo meccanico (salvo finire nel fossato per l'imprevisto arrivo lungo la strada di due titubanti ciclisti emblemi del passatismo) e di amare e praticare lo sport: ritratto che si diffonderà nei circuiti dell'avanguardia artistica a livello internazionale. Nella poesia spagnola, per es., "il tema sportivo nasce nella letteratura del ventesimo secolo con la tendenza futurista" (Gallego Morell 1994, p. 92).
Nella produzione artistica futurista appare quasi scontato il diffondersi di opere letterarie e figurative che trovano radici nell'estetica della macchina, con la conseguente esaltazione della velocità, del dinamismo, dell'automobile da corsa: l'immaginario futurista recepisce i primi segnali dell'avvento della civiltà dell'auto e delle relative competizioni automobilistiche, ma non rinuncia a porre in evidenza gli aspetti tecnici e scientifici, di contrasto e compenetrazione di forze legate all'atto sportivo, come dimostrano, per es., alcune opere figurative quali Dinamismo di un foot-baller e Dinamica di un ciclista (1913) di Umberto Boccioni e Centri di forza di un boxeur (1913) di Carlo Carrà.
Lo sport penetra negli anni a venire anche nella produzione futurista legata alla danza, ovvero nelle Danze sportive messe in scena dal Teatro della Pantomima Futurista a Torino nel giugno 1928, in Football (su musiche di F.M. Hardil), con i costumi disegnati da Enrico Prampolini al quale si devono anche i costumi per la Danza della boxe e la Danza del tennis di Silvio Mix.
Ancora nel 1933 il legame tra arte e sport resta al centro degli interessi del movimento: la rivista Futurismo lancia quell'anno un concorso per il teatro sportivo, apre un dibattito sul tema arte e sport; precedentemente, nel maggio 1930, Oggi e domani pubblicava una serie di interventi sul tema: Simultaneità nello sport di Marinetti, Una partita di boxe di Virgilio Marchi e, nel dicembre, gli articoli di Ugo Bernasconi, Gli intellettuali e lo sport.
Fra le due guerre. - Nel corso degli anni Venti, lo sport irrompe entro gli studi di letterati e artisti; scrittori e poeti con sempre maggiore assiduità affollano le tribune degli stadi o dei campetti di periferia, sono sotto le corde del ring (già Gabriele D'Annunzio nei taccuini aveva riversato, per frammenti quasi di 'diretta', le fasi salienti del celebre incontro di boxe fra Georges Carpentier e Joe Jeannette, a Parigi il 21 marzo 1914), seguono il Tour de France e il Giro d'Italia, si affiancano ai giornalisti sportivi e agli stessi campioni per commentare o raccontare eventi, partite, sfide.
Il salto di qualità nelle funzioni svolte dalla letteratura nel suo legame con lo sport coincide con la progressiva espansione della stampa specializzata che vede lavorare fianco a fianco professionisti del giornalismo e scrittori, poeti, artisti in veste di cronisti o commentatori di sport, o personalità a proposito delle quali è difficile individuare una linea di demarcazione netta tra letteratura e giornalismo. La rapida affermazione del baseball negli Stati Uniti, per es., è efficacemente testimoniata da You know me, Al: A busher's letters (1916), raccolta di racconti che segna l'esordio letterario di Ring Lardner, giornalista sportivo e narratore, poeta e scrittore teatrale americano, come Damon Runyon che iniziò la sua carriera come giornalista sportivo e autore di bozzetti e cronache edite dal Saturday Evening Post nella raccolta Guys and dolls (1932), che hanno come protagonisti anche giocatori di baseball sullo sfondo di sale scommesse e bookmakers di New York.
Nell'area italiana, per es., il giornalista sportivo Emilio De Martino è stato anche autore di una vasta serie di racconti e bozzetti ispirati a diverse discipline (Vita al sole, 1929; Fuori gioco: tre tempi di calci comico-sentimentali, 1930; La freccia nel piede, 1934) e dei romanzi Il cuore in pugno (1930) e La danza delle lancette (1935) da cui nel 1936 trarrà spunto il film omonimo con la sceneggiatura di Ivo Perilli e Cesare Zavattini, la regia di Mario Baffico e Alberto Lattuada come aiuto regista. Lo scrittore Orio Vergani è stato inviato speciale del Corriere della Sera e autore di reportage narrativi di viaggio, ma anche corrispondente al seguito di grandi eventi sportivi e autore del romanzo Io, povero negro (1929), ispirato alla vita del pugilatore senegalese Battling Siki e di raccolte di novelle e 'bozzetti' sportivi (L'acqua alla gola, 1920; Fantocci del carosello immobile, 1926; Asso piglia tutto, 1927; Soste del capogiro, 1926; Festa di maggio, 1940). Collaboratore del Messaggero Verde, il supplemento letterario del quotidiano romano, accanto ai suoi maestri Luigi Pirandello e Federigo Tozzi, Vergani apriva la sua attività di inviato della terza pagina al Corriere della Sera scegliendo di seguire l'incontro di boxe svoltosi a Barcellona tra Erminio Spalla e Paolino Uzcudum.
Gli anni tra le due guerre vedono svilupparsi in Europa un ampio dibattito relativo alla concezione dello sport e dunque anche al rapporto tra sport e letteratura: assumendo a campione d'indagine significativo l'ambito letterario francese, si può notare come l'edizione delle Olimpiadi di Parigi del 1924 ‒ già al momento delle sue fasi preparatorie ‒ susciti un intenso dibattito che trova spazio soprattutto nel periodico Nouvelles Littéraires. Pierre Drieu La Rochelle, Benjamin Crémieux, Henri de Montherlant, Jean de Pierrefeu mettono a punto varie definizioni dello sport che rispecchiano punti di vista e concezioni diverse: al centro del dibattito è la gamma dei valori da attribuire allo sport. Drieu la Rochelle guarda allo sport in senso individualista e morale, coltivando una concezione dello sport al tempo stesso sociale ed estetica, quale reazione legittima a ogni eccesso dell'intellettualismo, come presa di possesso delle risorse proprie del corpo da parte dello spirito, da parte della facoltà immanente dello spirito che è la volontà. Montherlant vede nello sport uno strumento indispensabile all'educazione del senso sociale, di rispetto per la gerarchia: l'ideale atletico sostiene dunque un ideale tradizionalista, prolunga un sentimento bellicista. Paul Morand, nella risposta a un'inchiesta su sport e letteratura promossa da Le Gaulois nell'aprile-maggio 1924, afferma che praticare lo sport è una necessità come bere e mangiare e che gli sport più belli, a suo giudizio, sono i più semplici: la corsa, la lotta, il nuoto, la boxe e conclude affermando che lo sport è il grande piacere della vita. Passione che il narratore trasmette al personaggio del suo racconto Lewis et Irène (1924). Per Benjamin Crémieux resta impossibile rintracciare nello sport una morale o una regola di vita: esso si presta a servire una dottrina di pace quanto una dottrina di guerra, a giocare un ruolo di regolatore quanto d'eccitatore degli spiriti. Ci si interroga, dunque, anche in Francia sulla missione sociale e nazionale dello sport: è quanto per es. trapela da un passaggio del reportage di viaggio in Inghilterra di Pierre Mac Orlan Images sur la Tamise (1925), legato alla tappa effettuata a Oxford, lungo la quale lo scrittore nota quanto diffusa sia la pratica sportiva tra i giovani universitari, pratica che esige sacrifici e sottomissioni. Mac Orlan sottolinea al tempo stesso che l'Inghilterra è l'unica nazione europea a manifestare un sano ideale patriottico, nella quale è assai vivo il sentimento nazionale: i valori dello sport si irradiano alla coscienza nazionale. A giudizio di Pierrefeu le aspirazioni democratiche si conciliano perfettamente con lo spirito sportivo che non ammette differenze di classe tra gli individui, se non quelle dettate dalla 'classe' sportiva.
Narratori, critici e poeti francesi analizzano da diverse angolazioni le implicazioni ideologiche connesse al fenomeno sportivo: Jean Giraudoux in Le sport (1928) coglie nei gesti rituali eseguiti dai giocatori di rugby o di football a ogni punto segnato lungo la partita le movenze di una danza propiziatoria salutare alla nazione (Pierron 1999, pp. 72-74). Il dibattito apertosi in quegli anni all'interno del mondo letterario francese testimonia come in effetti si guardasse allora allo sport in modo problematico, ovvero quale realtà non secondaria che manifesta un complesso processo di modificazione degli interessi e degli ideali all'interno della società moderna (Wahl 1989). Lo sport e il gioco sono esaminati quali elementi precipui dei cambiamenti che investono la mentalità collettiva del 20° secolo: a tal riguardo Luis de Llera (1994, pp. 22-27) analizza 'un testo chiave' di José Ortega y Gasset sullo sport e il gioco, El tema de nuestro tiempo (1923).
Come sottolinea Gaetano Bonetta si vanno in quegli anni caratterizzando "dal punto di vista geo-culturale" due aree sociali dello sport: una, comprendente il mondo del nord-America e dell'Inghilterra, di stampo socioeconomico, caratterizzata dal professionismo sportivo e dal professionismo dei media legati allo sport, dunque fortemente connotata, soprattutto nel Nord America, da un'enfatizzazione dei risvolti economici sottesi alla realtà sociologica, ideologica e psicologica dell'evento sportivo; l'altra, che comprende il bacino dell'Europa centrale e mediterranea, all'interno della quale lo sport finisce anche per possedere spinte e motivazioni di natura ideologica, nazionalista e in alcune nazioni ortodossa rispetto alle ideologie diffuse dai regimi totalitari. Le Olimpiadi di Berlino del 1936, da un lato, e la particolare accezione assunta dallo sport nel regime sovietico, dall'altro, ne sono un esempio (Bonetta 2000, pp. 75-79).
L'edizione francese dei Giochi Olimpici determinò indubbiamente un'espansione della produzione letteraria sportiva centrata sul tema della rinascita dello spirito olimpico e del mito dell'atletismo così come trasmesso alla letteratura classica, con la conseguente fioritura di romanzi, racconti e poesie ispirati alla civiltà dell'ellenismo, carichi di evocazioni degli antichi costumi e ideali sportivi come Eutymos, vainquer olympique (1924) di Maurice Genevoix, romanzo in cui l'azione è ambientata nel 5° secolo a.C., o come i componimenti di Albert Erlande (Ode au pugiliste vainquer e Ode à l'Athlète poi in Festival, 1924) costruiti sul ricalco delle odi di Pindaro.
Di ben altro calibro letterario l'opera di Henry de Montherlant Les Olympiques (1926) che raccoglieva, tra gli altri, Le Paradis à l'ombre des épées e Les Onze devant la Porte dorée (1924): quest'ultimo celebre componimento (edito nella prestigiosa Nouvelle Revue Française), legato al calcio e nato dalla personale esperienza di gioco nei campi di periferia, in squadre domenicali improvvisate, avanza l'idea dello sport di squadra come scuola di abnegazione, di accettazione delle regole, delle condizioni di gioco, degli errori dei compagni e della personale insufficienza fisica e agonistica. Ma dall'armonia tattica del collettivo nasce un equilibrio superiore, ricco di implicazioni ideali: la passionalità nel gioco, la tensione e lo sforzo costante, la messa in campo di tutte le energie fisiche e psicologiche. Nel 1924, tuttavia, Montherlant avanza anche l'interrogativo che il movimento verso lo sport non sia che una forma di scetticismo, di stanchezza, di diserzione in massa rispetto alla pesantezza, alla severità della vita umana (Pierron 1999, pp.70-74). Nella prefazione all'edizione del 1938 di Les Olympiques il dubbio tende ad accentuarsi; l'etica dello sport professata dallo scrittore lungo gli anni Venti si trasforma in estetica: "Spesso io penso che se tutto il bene che abbiamo veduto nello sport non è stato che una pura illusione, se fosse vero, come alcuni affermano, che rovina il corpo, diseduca il carattere, non ravvicina le classi, pure vi è nello sport qualcosa di dimostrato che nessuno può smentire: le sue ore di poesia vissute nella grazia, nella bellezza, talvolta, dei visi e dei corpi della giovinezza, nella natura e nella simpatia". E conclude: "La poesia, è forse qui il residuo dello sport".
Salutato da Ernst-Robert Curtius come l'autore che, con Les Olympiques, aveva simbolicamente spalancato le finestre della camera ove spirava Proust, Montherlant apriva energicamente all'interno della cultura letteraria francese una serie di questioni legate al significato e al ruolo dello sport nella società del tempo: una prospettiva che sorregge il saggio di Jean Prévost Plaisirs des sports. Essais sur le corps humain (1925). Scrittore ‒ al pari di Montherlant ‒ effettivamente sportivo, praticante di rugby, nuoto e boxe, Prévost guarda allo sport come mezzo di conoscenza di sé, del proprio capitale di forze e risorse interiori e alla boxe quale sport che lascia spazio al genio, al talento: ogni errore può essere fatale per il risultato della competizione e l'improvvisazione dell'atleta è costantemente sollecitata, al contrario di quanto accade nei giochi di squadra ove l'équipe è interpretata da Prévost come cellula della società umana regolata sull'azione comune e sull'amicizia. Lo sport è dunque per Prévost un'attività fisica integrata a un sistema di vita sempre mutabile ma nato dal perfetto equilibrio tra spirito e corpo. Appaiono allora in Francia i primi studi sul rapporto tra sport e letteratura contemporanea (Souchon-May 1924), raccolte di storie e aneddoti sul mondo del ciclismo (Bauge 1925), racconti che daranno spunti al cinema, come Le roi de la pédale (1925) di Henri Decoin e Paul Cartoux, da cui sarà tratto il film, con la regia di Decoin, di impianto comico e popolare incentrato sul ciclismo e sul Tour de France.
I caratteri e i risvolti più moderni del legame fra sport e letteratura non investono del tutto la produzione fiorita in occasione dei Giochi Olimpici di Parigi del 1924, ammantata, come abbiamo visto, dalla retorica dell'olimpismo e da un ideale universalismo sportivo che in realtà era destinato a infrangersi contro le concrete tensioni nazionaliste che attraversano l'Europa negli anni tra le due guerre.
L'espansione della produzione letteraria e artistica legata alle Olimpiadi era del resto favorita dall'iniziativa mirata a potenziare il legame tra arte e sport, assunta già in occasione dell'edizione di Stoccolma del 1912, ovvero dai concorsi nelle discipline delle arti indetti per la celebrazione dei Giochi. Il primo premio nella Letteratura fu allora assegnato a Ode allo sport di G. Hohrod e M. Eschbach, in realtà pseudonimo di Pierre de Coubertin. Alle Olimpiadi di Anversa (1920) la palma d'oro spettò a un italiano, Raniero Nicolai, con Italian rhythms (poi in Elogio della vita, 1920; Nicolai, negli anni a venire, sarà anche autore di studi sulle Olimpiadi: Storia delle Olimpiadi moderne, 1942 e Palingenesi di Olimpia, 1944). La giuria del concorso indetto per i Giochi di Parigi era composta, tra gli altri, da poeti di rilievo internazionale: Paul Valéry, Jean de Pierrefeu e Anna de Noailles. Il primo premio fu assegnato a Jeux Olympiques di Géo Charles. In occasione delle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 risulterà vincitore il poeta, narratore e saggista polacco (dal 1939 emigrato all'estero) Kazimierz Wierzyński con la raccolta Laur olimpijski (tradotto anche in Italia, Lauro olimpico, 1929), il quale, tra il 1931 e il 1932, dirigerà il periodico sportivo Przegląd Sportowy ("La Rassegna sportiva").
Oltre la retorica olimpica iniziano ad affermarsi, in Francia e in altre nazioni europee, alcuni caratteri dominanti della letteratura ispirata allo sport. Il primo prende corpo dalla presenza dello sport come elemento del racconto e del romanzo d'avventura, filone letterario particolarmente amato dal pubblico delle classi medie e soprattutto giovanile come nel romanzo di Pierre Giffard Microbe, champion des sports (1925): l'eroe, tradizionalmente al centro della narrazione con caratteri mutuati dal registro epico, romantico e avventuroso, è sostituito dal personaggio-eroe dello sport, come in Le champion des deux mondes (1925) di Gabriel Bernard. La trama dei romanzi nasce dall'intreccio di episodi sportivi e sentimentali ‒ come in Blaise Putois, boxeur di Jacques Mortane (1924) ‒ animati da personaggi per i quali la virtù sportiva è un dono naturale o diviene strumento di elevazione sociale, racconti in cui lo sport è in effetti un pretesto nell'architettura complessiva della narrazione.
Il secondo carattere dominante si costruisce assumendo la forma del racconto o romanzo di costume: lo sport è divenuto parte integrante della società e come tale è indagato e descritto. Ai tradizionali sfondi della narrativa naturalista e di analisi della realtà sociale si sostituiscono lo stadio, lo spogliatoio, il circuito ciclistico, il ring e il milieu dello sport, come in Le vainqueur di Robert Dieudonné (1922) che sottopone ad analisi il mondo del ciclismo, mettendo a nudo le rivalità tra corridori, ponendo al centro del romanzo un protagonista, Marcel Galland, che abbandona le competizioni a causa della slealtà di alcuni concorrenti, disgustato anche dal mutevole atteggiamento del pubblico nei confronti delle alterne vicende che contraddistinguono l'esperienza sportiva del campione.
Il terzo è invece teso all'introspezione psicologica, a rendere le reazioni vitali e le emozioni più profonde dell'atleta: in '5000'. Récit sportif (1924), Dominique Braga, attraverso l'uso del monologo interiore, ricostruisce momento dopo momento le percezioni, le impressioni che si alternano nella mente e nella psiche del corridore, espediente al centro anche del racconto di Louis-Henry Destel 10.000 mètres (1924). Lo scrittore tenta dunque di investigare e descrivere la sfera psicologico-emotiva della pratica e della tecnica sportiva, utilizza nuove strutture narrative per affermarsi non già come spettatore passivo ma come agente attivo nell'interpretazione della prestazione sportiva.
Il quarto carattere è quello in cui l'incontro tra sport e letteratura perviene a una misura certamente più coerente, come nel caso dell'opera narrativa (apparsa postuma) di Louis Hémon, scrittore francese emigrato in Canada, Battling-Malone pugiliste (1925). Il racconto ruota intorno alla figura del pugile self-made man dotato di una istintiva e naturale forza fisica e combattiva, semplice e ingenuo anche quando, giunto al successo, entra in contatto con l'aristocratica società londinese appassionata di boxe. Lontano dalla tentazione di rappresentare la fisicità del pugile secondo gli schemi e i modelli della classicità, Hémon preferisce suggerire, piuttosto che analizzare, la vita interiore del personaggio, descrivendo tuttavia con efficace realismo i vari combattimenti che segnano la parabola della carriera del boxeur, dal successo alla caduta (Boinvin 1996). Spia del grande successo di pubblico che circonda la boxe mondiale in quegli anni, il romanzo di Hémon è un esempio significativo della centralità acquisita dal tema pugilistico nella produzione letteraria quanto filmica del Novecento, dai già ricordati racconti di Jack London al saggio Éloge de la boxe di Maurice Maeterlinck (in L'intelligence des fleurs del 1907), al racconto The chink and the child dello scrittore inglese Thomas Burke (dal quale trarrà spunto David Griffith per il suo film del 1919 Giglio infranto) al racconto Fifty Grand (in Men without women, 1927) di Ernest Hemingway, al romanzo di Francisco Ayala El boxeador y un ángel (1929) e, in anni più recenti, alla narrativa di Ignacio Aldecoa (Neutral córner, 1962), di Norman Mailer (The fight, 1975), agli scritti di Hugh McIlvanney (1982), di Julio Cortazar Le noble art (in D'Orrico 1992, p. 392) per citare solo qualcuno tra i più significativi scrittori stranieri diversissimi per indole, formazione, generazione, attratti dal fenomeno della boxe (Besse 1996). In ambito italiano e in tempi recenti si segnalano Franco Cordelli con il romanzo Le forze in campo (1979) e, tra la rosa dei giornalisti-scrittori, Gianni Brera con Naso bugiardo (1977), ancora un romanzo ispirato a un nostrano self-made man del pugilato. La centralità della boxe è determinata da alcuni elementi che contraddistinguono la realtà e la pratica di quello sport e, più in generale degli sport moderni, a livello internazionale: i pugili provengono dal mondo dell'emigrazione e dei ghetti (come nei racconti di London) o dalle classi sociali più povere (come nel caso della narrativa di Hemingway o del pugile protagonista del racconto di Pier Paolo Pasolini Storia burina da Alì dagli occhi azzurri, 1965). Il successo sportivo rappresenta una possibilità di affermazione economica e sociale; la sfida 'uomo contro uomo' si offre quale spunto metaforico della lotta di vita e per la vita, come nell'intensa poesia di Mario Luzi E adesso sul finire del round (in Per il battesimo dei nostri frammenti, 1985) o nei versi di Incontro di pugilato di Roberto Roversi (in La raccolta del fieno, 1960). Il giro di scommesse, la corruzione e le truffe gravitanti attorno al ring, ai campi di corsa dei cavalli ‒ fenomeni che forniscono fruttuosi spunti al cinema americano ‒ si offrono, sul piano letterario, quali concreti simboli della degenerazione apportata dal denaro a ogni 'nobile arte'. In questa prospettiva meritano di essere analizzati due romanzi di boxe apparsi in Italia tra le due guerre: Io, povero negro di Orio Vergani (1929) e Pugilatore di paese di Marcello Gallian, edito nel 1931. Il primo raggiunse una discreta notorietà anche all'estero (fu tradotto negli Stati Uniti, in Brasile e in Gran Bretagna) e ruota intorno alle vicende di un giovane di colore, emigrato per miseria in Europa, che durante una fase di crisi sentimentale, quando è ormai fuori dal giro degli incontri, ma ancora forte e prestante, è contattato da manager senza scrupoli che lo fanno salire sul ring per ingaggiare combattimenti truccati. Il desiderio di riscatto lo spinge a vincere l'ultima sfida ribaltando un pronostico scontato; ma la ribelle uscita dalla corruzione che circonda il mondo della boxe condurrà il pugilatore alla pazzia. L'esperienza del giornalista sportivo si trasmette al tessuto narrativo: senza concessioni al sentimentale, Vergani costruisce un romanzo aderente alla realtà agonistica della boxe e alla storia di innumerevoli suoi protagonisti.
Il romanzo di Gallian si ispirava sotterraneamente alle sfortunate vicende del campione europeo dei medio massimi (nel 1923), Erminio Spalla, primo italiano a conquistare un titolo europeo, sconfitto nel 1927 da Bertazzolo. Già nel suo saggio del 1928, Arpinati politico e uomo di sport, sulla concezione etica dello sport di chiara matrice fascista (dello stesso anno era il suo volume La storia dello sport italiano) Gallian si era soffermato a lungo su questo episodio pugilistico, interpretato come una vera e propria 'sciagura' per la boxe italiana che "è e dovrà diventare uno sport prettamente fascista" (p. 103), nel quale dunque "il destino non dovrebbe avere ragione mai, sulla rilasciatezza momentanea o su quella presa allo sprovvisto passeggera di un uomo che abbia dato prove grandi del suo valore". La nuova organizzazione atletica e sportiva giovanile promossa dal regime, attraverso metodi di selezione, preparazione e allenamento era tesa, per Gallian, a evitare un combattimento "alla cieca, sanguinario, feroce, ammutinamento della forza e della volontà". Al centro del romanzo è la storia di Tom, pugilatore di paese assetato di vittoria e accecato dalla violenza: la sua forza istintiva non alimentata tecnicamente né moralmente lo condurrà alla morte in combattimento.
Si è già sottolineato come la storia dello sport in una specifica area europea si vada sempre più intrecciando negli anni tra le due guerre alla politica, dunque alla storia sociale: come ricordava Giorgio Bocca nell'articolo Sport e fascismo, edito nel giugno 1983 ne L'Illustrazione dello Sport, "lo sport fascista nasce in un quasi deserto ed è la prima, anche se modesta, esperienza di sport di massa […]. Lo sport di prima del fascismo è schematicamente divisibile fra gli sport popolari che costano niente e gli sport di élite che costano moltissimo e che sono riservati all'alta borghesia e all'aristocrazia" (Provvisionato 1978). La nascita dello sport di massa è incentivata da specifiche iniziative di carattere politico-istituzionale che investono il mondo della formazione scolastica e universitaria, dell'edilizia sportiva, delle organizzazioni giovanili e del dopolavoro ed è supportata da un'intensa opera di propaganda svolta a vario titolo dai media del tempo. Ciò si riflette nella fattiva promozione di un nuovo modo d'intendere il rapporto tra cultura letteraria e fenomeno sportivo svolto, in particolare, dalla rivista 900 diretta da Massimo Bontempelli. 'Stupido e vano' secondo Bontempelli ogni tentativo di chiusura e di ostilità da parte del mondo intellettuale e artistico verso un fenomeno che soprattutto quale spettacolo va sempre più calamitando l'attenzione di grandi masse di pubblico. La 'pessima genia' dei letterati era chiamata, a suo giudizio, a riflettere sulla nuova frontiera rappresentata dallo sport quale strumento di modernizzazione dell'industria culturale: con il primo numero di 900 del dicembre 1928, incaricava Aldo Bizzarri di tenere sulla rivista (aperta alla collaborazione di scrittori e artisti internazionali) una rubrica fissa di sport; le pagine del periodico avrebbero ospitato scritti di pugili (Bosisio e Parboni), calciatori (Bernardini e Baloncieri), campioni dell'automobilismo (Campari).
Per Bontempelli lo scrittore diveniva in quegli anni un produttore di ideologia: nel discorso di inaugurazione dei Littoriali sportivi, Significato dello sport, dichiarava che "Lo spirito sportivo moltiplica e combina e porta alla sua più feconda espressione queste tre forze: disciplina, lealtà, conquista; le tre forze che costituiscono la grandezza morale così degli stati come dei singoli". L'intervento di Bontempelli apparve nel 1935 nella Prima antologia degli scrittori sportivi. Il mosaico di testi raccolti nel volume offre una concreta panoramica delle diverse forme assunte in Italia, tra gli anni Venti e il 1935, dalla scrittura di sport. Il legame tra letteratura, giornalismo e sport si concretizza già a partire dalla proficua collaborazione stretta tra il poeta, critico e saggista Titta Rosa e il giovane Franco Ciampitti, collaboratore del Mezzogiorno Sportivo, membro del Comitato centrale della Federazione di Ginnastica, ispettore della Federazione Giuoco Calcio e autore del romanzo a tema calcistico Novantesimo minuto, vincitore, nel 1932, del primo concorso indetto dalla FIGC per la migliore opera letteraria ispirata al calcio. Aspetto, quest'ultimo, da non sottovalutare, tenendo anche conto di un'altra iniziativa assunta dalla Gazzetta dello Sport che aveva creato una collana editoriale (la Biblioteca della Gazzetta dello Sport) mirata alla pubblicazione di raccolte di cronache sportive quanto di racconti e romanzi liberamente ispirati allo sport.
In Novantesimo minuto Ciampitti utilizzava l'espediente del racconto in prima persona il cui asse temporale era ristretto ai 90 minuti di gioco, fondendo al passo e allo stile tipico della cronaca calcistica ‒ fitta di azioni, rimesse, parate, discese in area di centravanti, falli dei difensori ‒ la descrizione di sentimenti, reazioni e stati d'animo dell'atleta in azione. Il romanzo di Ciampitti appare ai nostri giorni di interesse soprattutto documentale in quanto fa luce su alcuni aspetti (anche tecnici) del calcio dell'epoca, già allora non privo di conflittualità extra-sportive tra club e giocatori, alimentate anche dal mondo della stampa specializzata.
I testi raccolti nella Prima antologia degli scrittori sportivi si estendono dai contributi dei protagonisti di imprese aviatorie (Italo Balbo, Vittorio Beonio Brocchieri, Mario Massai), ai racconti di campioni-scrittori di sport, come Nedo Nadi, autore di Con la maschera e senza (edito dalla Biblioteca della Gazzetta dello Sport nel 1933), di giornalisti sportivi come Adolfo Cotronei (che nel 1931 aveva pubblicato per la stessa collana Atleti ed eroi, ritratti dei più celebri campioni di sport del nostro primo Novecento), di giornalisti ma anche scrittori di sport come Emilio De Martino e Bruno Roghi (autore, nel 1932, del romanzo La palla della principessa e, nel 1933, di Re pallone), di appassionati di sport come Romolo Moizo, magistrato a Piacenza e autore di La disperata: romanzo sportivo (1933) e di Hansa Scrum: le memorie di un pallone di cuoio (1935), e infine di scrittori e poeti intenditori di sport: Massimo Bontempelli, Achille Campanile, Ettore De Zuani (autore di Le Olimpiadi, 1932), Bruno Fattori (del 1933 le sue liriche sportive Linee azzurre), Marcello Gallian, Paolo Monelli, Curio Mortari (autore nel 1916 della lirica La pista scarlatta e nel 1930 del romanzo sportivo La pista del Sud), Raniero Nicolai (Elogio della vita, 1920), Alessandro Pavolini (Giro d'Italia, 1928), Marco Ramperti, Umberto Saba e Orio Vergani.
La compresenza di autori, di testi, di stili e linguaggi estremamente diversificati è spia delle poliedriche modalità attraverso le quali lo sport si trasferisce alla letteratura, della caduta di ogni barriera tra letteratura e giornalismo e tra letteratura sportiva e non sportiva secondo la prospettiva segnata nella prefazione all'antologia: a giudizio di Titta Rosa e Ciampitti, per letteratura sportiva era da intendersi "quella letteratura che dal sentimento, o dai sentimenti sportivi, è riuscita a fare materia d'arte, che ha assunto cotesti sentimenti nella sfera dell'espressione artistica […] E poiché lo scrittore non ha altro compito che quello di portare in luce dei sentimenti, sia in forme strettamente liriche, di canto, o nelle forme narrative […] risulta evidente che lo scrittore cosiddetto sportivo, di fronte alla propria materia, non opera diversamente da ogni altro scrittore" (p. VII). La letteratura di sport coincide dunque, secondo questa prospettiva, con la letteratura dei sentimenti, delle passioni, delle forze di natura sportiva: anche se legata alla realtà, come nel caso dei racconti di taglio autobiografico, sfugge per così dire da ogni intento meramente cronachistico e documentario, per inoltrarsi nelle regioni più recondite dell'atto e del fenomeno sportivo. Alla luce di queste direttive, meglio si comprendono i criteri di selezione degli autori e dei testi: dal mondo del giornalismo, come nel caso di De Martino, sono selezionati brani di pura narrativa; di Bontempelli, per es., è ripubblicato un saggio interessante, Tifo e tifi diversi, di analisi e interpretazione del tifo calcistico nazionale su scala regionale; centrale appare la presenza di Campanile con Il miracolo di San Piè di Leone, spassoso rovesciamento in chiave comica dei 'miracoli' calcistici; fra i testi di Vergani ripresi nell'antologia spicca Sonno del vecchio boxeur (estratto da Fantocci del carosello immobile, 1926). I testi poetici di Saba erano certamente transitati nella Prima antologia per il tramite di Titta Rosa, allora redattore di Lirica alla quale aveva collaborato, nel 1934, il poeta triestino: anticipate tra il novembre 1933 e il marzo 1934 nella Gazzetta del Popolo, poi confluite in Parole (1934), Squadra paesana, Tre momenti, Tredicesima partita, Fanciulli allo stadio e Goal erano, come noto, ispirate al successo della Triestina, alle prodezze dei giocatori rosso-alabardati. Con queste parole i curatori dell'antologia motivavano la presenza delle poesie di Saba: "a qualche lettore di quintessenze letterarie farà stupore; ma stupirà di più la nettezza e freschezza e umanità di certi sentimenti sportivi ch'egli è riuscito a cogliere in queste brevi liriche" (p. XI). Ma i 'sentimenti' lumeggiati dal repertorio antologico non erano del tutto esenti da una concessione alla retorica concezione fascista dello sport allora dominante, come testimonia la presenza sia del discorso per l'inaugurazione dei Littoriali di Massimo Bontempelli sia di Saluto al Duce di Adolfo Cotronei.
Per il fascismo, scriveva Lando Ferretti (1928, p. 47) "la società sportiva è superpolitica, militare quasi, in quanto attraverso la disciplina e la lotta essa vuol fare dei giovani i cittadini e i soldati, capaci di vivere e morire per un ideale". Lo sport consolida la propria presenza nella società italiana, funge da strumento di rappresentazione, anche a livello internazionale, delle conquiste e dei valori dell'Italia fascista: non è un caso che proprio un romanzo dello scrittore sportivo Romolo Moizo, Questi ragazzi, risulti vincitore del 'Concorso per un romanzo del tempo fascista' indetto dalla rivista letteraria Nuova Antologia nel 1936 (la giuria era composta da Antonio Baldini, Silvio Benco e Arnaldo Bocelli). Nel romanzo il giovane Giampiero, campione di sport, incarna la figura simbolo dell'italiano nuovo, rigenerato dal fascismo e dunque in grado di primeggiare in ogni umana competizione. Il libro di Moizo è solo uno degli esempi utili a illustrare come il particolare connubio tra sport e ideologia si rifletta in alcuni scritti prodotti in quegli anni. La stampa specializzata promuove un'intensa opera di propaganda del concetto di sport fascista, anche facendo ricorso al 'mito' del Duce "che nell'esercizio fisico riconosce un mezzo potente per la salute del popolo" essendo "egli stesso uno sportivo appassionato. La scherma, il nuoto, l'ippica ne rivelano quotidianamente la straordinaria possanza fisica" (è la didascalia della foto di copertina che ritrae Mussolini intento a nuotare sul primo numero del 3 dicembre 1936 de L'Illustrazione Sportiva Italiana).
Al tempo stesso si registrano grandi successi sportivi, che negli anni vedono i successi di Ondina Valla, Luigi Beccali, Learco Guerra, Costante Giradengo e Alfredo Binda, Achille Varzi, Nino Farina, Tazio Nuvolari e Primo Carnera, le 37 medaglie conquistate alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932, le vittorie della nazionale di calcio guidata da Vittorio Pozzo ai Campionati del mondo del 1934 e del 1938 e alle Olimpiadi del 1936, le affermazioni anche internazionali di club calcistici come il Bologna. Risultati certo lusinghieri e positivi enfatizzati dalla stampa sportiva del tempo al punto tale da incentivare una vera e propria campagna contro 'l'idolismo', condotta soprattutto da Arpinati come sottolineava Gallian già nel 1928 nel suo saggio di etica sportiva: "La caduta degli idoli, a qualunque campo appartengano, è una vittoria e una speciale funzione nuova del Fascismo" (Gallian 1928, p. 122). La stampa e la letteratura sportiva erano dunque chiamate a reprimere ogni enfasi retorica nel documentare le vittorie degli sportivi italiani. Ma in realtà il fenomeno del divismo sportivo era inarrestabile e di fatto tollerato dallo stesso regime: la vittoria di Primo Carnera su Jack Sharkey il 29 giugno 1929 a Long Island fu salutata dalla Gazzetta dello Sport come "ultima grande conquista dello sport fascista". Il Corriere della Sera celebrava la vittoria del campionato della Juventus con un articolo del 4 giugno 1935 che descrive l'accoglienza riservata alla squadra: "la fanfara dei Giovani Fascisti che intona l'inno Giovinezza mentre al di fuori della stazione la folla impaziente reclama i suoi idoli". Personaggi dello sport di quegli anni divengono attori o sono 'prestati' al cinema italiano: l'ex-centravanti della Juventus, Piero Pastore, effettua la sua prima comparsa sugli schermi in Ragazze non scherzate (1929); poi diviene protagonista, nei panni di un operaio delle acciaierie e dilettante di ciclismo, nel 1933 di Acciaio, uno dei più celebri film dell'epoca prodotto dalla Cines, con soggetto di Luigi Pirandello e sceneggiatura di Emilio Cecchi e Mario Soldati. Uno degli ultimi film muti italiani, Maratona (1929) di Nicola Fausto Neroni, si giovava della partecipazione di atleti dell'epoca: Colella, Mancinelli, Natale e Pagliani. Ancora in Stadio (1934) di Carlo Campogalliani, incentrato sul rugby, anzi sulla 'palla ovale', come allora doveva essere definito in ossequio alla campagna contro l'esterofilia linguistica promossa dal regime, partecipano in qualità di attori l'olimpionico Beccali, il campione di canottaggio Amante, lo sciatore Censi. Anche Carnera, sulla scia di George Carpentier protagonista già nel 1920 di The wonder man di John Adinolfi, diviene, nel 1933, divo di Hollywood partecipando al film di Van Dyke L'idolo delle donne, nel quale il gigante friulano si muove un po' impacciato tra le curve di Myrna Loy.
Negli anni tra le due guerre si va dunque sempre più consolidando in Italia una produzione editoriale legata allo sport dal carattere poliedrico e in linea con le esigenze di un pubblico sempre più ampio che segue con interesse e passione i successi degli idoli dello sport nostrano: dalla memorialistica, in cui rientrano, per es., Los Angeles 1932 di Emilio De Martino (1936) e il volume legato alle imprese della nazionale di calcio guidata da Vittorio Pozzo, Tre volte campione del mondo (1939), ma anche, di Leo Longanesi, Vecchio sport (1935), alla letteratura sportiva per ragazzi, alla narrativa a tema sportivo che vede come autori giornalisti provenienti dalle colonne della stampa specializzata. Si tratta per lo più di una narrativa e di una saggistica che mettono in luce la dimensione popolare raggiunta da alcuni sport e in particolare dal ciclismo e dal calcio: se da un lato Ettore De Zuani, in uno scritto ripreso nella Prima antologia degli scrittori sportivi, sottolinea una particolare accezione del miracolo calcistico ("Soltanto il gioco del calcio è riuscito a vincere la melanconia dei lunghi pomeriggi domenicali"), dall'altro racconti e romanzi fanno luce sulla rapida espansione del calcio giovanile, giocato nei prati e sterrati che limitano le nuove costruzioni cittadine, nelle campagne attorno a paesi di provincia. I bozzetti sportivi legati al Giro d'Italia e al Tour de France di Orio Vergani (poi riediti in Festa di maggio, 1940) tratteggiano il ritratto dei 'girini', corridori nostrani che arrivano al Giro "dal modesto paese della pasta e fagioli" e si alimentano lungo le tappe con le uova fresche, un'ala di pollo, panini alloggiati nelle tasche della maglia. Dai racconti di Vergani prendeva corpo l'immagine reale del pubblico delle corse ciclistiche, con la folla e le scolaresche in attesa dei corridori al traguardo, lungo le strade polverose che si inerpicano entro i passi di montagna: piccoli paesi, frazioni, città di provincia che per qualche ora, grazie al passaggio del Giro, escono dall'anonimato e conquistano spazio nelle colonne dei quotidiani.
A partire dal secondo dopoguerra la produzione letteraria italiana e straniera cresce in modo consistente; gli scrittori escono sempre più allo scoperto, rivelando passioni sportive giovanili a lungo sottaciute: Vittorio Sereni, per es., affida Inter-Juve (risalente al 1935 e allora inedita) all'antologia poetica curata nel 1960 da Gian Piero Bona Elogio Olimpico; Vasco Pratolini ritorna, nel 1950, a una domenica fiorentina "della tarda adolescenza" passata sul tetto in un capannone industriale per ammirare i goal di Meazza in "una delle sue prime partite da nerazzurro titolare": testimonianza raccolta nel volume Giuochi e sports (p. 120), illustrato da sei disegni originali di Mino Maccari e comprendente riflessioni e racconti di personali esperienze sportive di numerosi autori italiani, da Baldini a Buzzati, Gadda, Savinio e Stuparich. Giansiro Ferrata consegna all'ultimo numero del 1959 della rivista L'Approdo letterario, Uno scrittore allo stadio, testimonianza, anche, della sua passione per il Milan.
Si consolida sempre più, a partire dal secondo dopoguerra, il drappello di scrittori 'prestati' al giornalismo sportivo: Vasco Pratolini nel 1947 (poi ancora nel 1955) segue come inviato del Nuovo Corriere di Firenze il Giro d'Italia (le corrispondenze sono riunite nel volume Cronache del Giro d'Italia (maggio-giugno 1947), 1995). Gli è accanto Alfonso Gatto, inviato de L'Unità e successivamente del Giornale del Mattino di Firenze al Giro e al Tour de France del 1958 e del Giro d'Italia l'anno seguente (le cronache sono raccolte in Sognando di volare. Alfonso Gatto al Giro e al Tour di L. Giordano, 1984). Dino Buzzati segue il Giro d'Italia del 1949 per il Corriere della Sera (Dino Buzzati al Giro d'Italia, curato da C. Marabini, 1981); ma di Buzzati sono stati ripubblicati anche gli scritti legati all'alpinismo apparsi tra il 1932 e il 1971 nel volume dal titolo Le montagne di vetro (curato da E. Camanni, 1969). Italo Calvino è inviato dell'Unità ai Giochi Olimpici di Helsinki del 1952. Gli articoli anche sportivi di Luciano Bianciardi editi tra il 1952 e il 1971 per varie testate sono raccolti in Chiese escatollo e nessuno raddoppiò. Diario in pubblico 1952-1971 (1995). Il fenomeno è destinato a intensificarsi negli anni a venire: Giovanni Arpino segue per La Stampa i Mondiali di calcio di Germania del 1974: dall'occasione trae spunto Azzurro tenebra (1977); Mario Soldati è inviato del Corriere della Sera a quelli di Spagna (Ah! Il Mundial, 1986). Lungo gli anni Novanta è Alessandro Baricco, per La Stampa, a consegnare, tra gli altri, anche articoli legati allo sport poi raccolti in Barnum. Cronache dal Grande Show (1995) e Barnum 2. Altre cronache dal Grande Show (1998). Sul terreno della produzione in versi apparsa in Italia si segnalano Zona Cesarini di Giovanni Raboni (da Nel grave sogno, 1982), e'82. Scirea di Roberto Mussapi (da La polvere e il fuoco, 1997): un folto repertorio anche di testi inediti è raccolto nel numero del giugno 1999 della rivista di cultura poetica Poesia, curata da Franco Buffoni e Giuliano Donati. Alla pattuglia di narratori e poeti si affianca quella dei giornalisti-scrittori: Gianni Clerici esordisce come narratore con il romanzo Fuori rosa (1966) analogamente a Antonio Ghirelli (Gianni mezz'ala, 1974) e a Gianni Brera (Addio bicicletta, 1964) e Aldo Biscardi, con il romanzo calcistico Il gioco delle ombre (1977).
La funzione svolta dalla letteratura di raccontare e interpretare la vita, la condizione umana e la realtà trova nello sport un punto di passaggio quasi obbligato. In ambito italiano Pier Paolo Pasolini in Ragazzi di vita e Una vita violenta descrive le partite giocate dai ragazzi nei campetti dell'estrema periferia romana. Il mondo del sottoproletariato della periferia industriale di Milano dei racconti di Giovanni Testori è animato dalla presenza di umili dilettanti locali, il pugile Cornelio o il ciclista di Roserio (Il dio di Roserio, 1954). Nel 1963 Luigi Meneghello, nel romanzo ricco di spunti autobiografici Libera nos a Malo offre spazio al calcio giocato in un piccolo paese di provincia. Giorgio Saviane con Le due folle (1957) esordisce come narratore sbozzando la storia di un giovane calciatore che soffre di fobia per la folla. Anche in Sei stato felice, Giovanni, romanzo d'esordio di Giovanni Arpino, filtra la sua passione per lo sport attraverso la descrizione di una corsa ciclistica. Manlio Cancogni consacra a un cavallo da corsa il suo romanzo La carriera di Pimlico (1956) e nel 2000 ritorna al calcio amatoriale degli anni del fascismo con Il Mister. La partita a tennis scandisce e suggella la dolorosa storia de Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani. Mario Tobino in Le tre giornate (nella raccolta Sulla spiaggia e al di là dal molo, 1966) descrive l'agonismo campanilistico di un lontano calcio di provincia giocato tra la squadra della Lucchese e quella del Viareggio.
Fuori d'Italia, il romanzo d'esordio dello scrittore americano d'origini ebree Bernard Malamud, The Natural (1952) ruota sulle vicende umane e sportive del battitore di baseball Roy Hobbs, figura che inaugura il repertorio dei personaggi 'sofferenti', uomini e donne di modesta condizione economica e sociale, dolorosamente soccombenti che affolleranno negli anni la sua produzione narrativa. David Malcom Storey, romanziere e drammaturgo britannico, mette a frutto la sua esperienza sportiva come professionista nel Leeds Rugby League Club in This sporting life (1960), il romanzo d'esordio concentrato anche in questo caso sulle inquiete vicende sportive ed esistenziali di un giocatore di rugby. Alan Sillitoe affronta il tema della lotta di classe e del mondo operaio inglese già al centro del suo primo romanzo (Saturday night and Sunday morning del 1958) in The loneliness of the long-distance runner (1959) che dà il titolo alla raccolta di novelle, ponendo al centro del racconto un adolescente proveniente dal sottoproletariato e rinchiuso in un carcere correttivo che dimostra una forte integrità morale rifiutandosi di vincere una gara di corsa in cambio di un trattamento di favore. Un forte accento di critica sociale permea Brot und Spiele ("Pane e giochi"), il romanzo sportivo pubblicato nel 1959 dallo scrittore tedesco Siegfried Lenz.
Con sempre maggiore intensità il campo dell'immaginario sportivo diviene frammento integrato all'ossatura di romanzi caratterizzati da una dinamica complessità dell'orchestrazione narrativa: nel romanzo di Robert Coover, The universal baseball association. Inc. J. Henry Waugh Proprietor (1968) il baseball entra a far parte di una trama dall'originale architettura: è sulle regole e tattiche di questo sport che si basa il gioco tipo 'Monopoli' che diviene unica ragione di vita del protagonista, mondo artificiale del tutto privato, sintomatico simbolo dell'alienazione insita nella società contemporanea. Nell'intreccio di storie che compongono la fitta trama del romanzo La zia Giulia e lo scribacchino (1977), di Mario Vargas Llosa, il sedicesimo capitolo si concentra sulla micro-storia di Joaquín Hinostroza Bellmont, arbitro di calcio per vocazione sin dall'infanzia e alcolizzato, stroncato sul campo alla vista del corpo della sua amata uccisa dalla polizia durante i disordini scoppiati nello stadio di Lima in occasione della finale del Campionato sudamericano. Il calcio come dato della realtà entra a far parte della dimensione fantastica venata anche d'ironia e di umorismo. Mentre quasi di fantascienza appare lo scenario in cui è ambientato il recente mega-romanzo (1400 pagine) di David F. Wallace, Infinite jest (1999), la cui storia si dipana in un'accademia di tennis del futuro.
Non sfugge, soprattutto alla sensibilità dei poeti, la nuova realtà rappresentata dallo sport mediatico, lo sport trasmesso dallo schermo, sezionato e manipolato dalla moviola, osservato dall'occhio delle telecamere: nella poesia Calcio nel vuoto di Valentino Zeichen (in Poesia e sport: antologia, 1999) appare un diretto riferimento alle 'partite alla TV'. L'intenso componimento del poeta portoghese Carlos de Oliveira Salto em altura (in Entre duas memórias, 1971) si costruisce in fotogrammi successivi del film che "analizza, / al rallentatore, ciascuno dei suoi salti", metafora del "sogno che si scompone; /si riproduce". Il poeta Valerio Magrelli, in un articolo del 1994 poi ripreso nel numero monografico Calcio (1998, p. 491) di Panta, riflette sulle conseguenze del processo di 'visualizzazione' del calcio.
Un altro fenomeno prende consistentemente corpo: la letteratura di argomento o a tema sportivo, spesso considerata un genere 'minore', è raccolta in antologie e insieme analizzata dal punto di vista critico-letterario, diviene oggetto di studio al pari di altri generi letterari e soprattutto è indagata sul piano scientifico al fine di porre in luce sviluppi, aspetti e caratteri della cultura e civiltà dello sport in singole aree nazionali.
Oltre a opere già segnalate, per quanto attiene l'ambito italiano, sono importanti le antologie di narrativa di autori italiani curate da Giuseppe Brunamontini: Racconti dello sport (1972), Racconti del calcio (1975), Racconti di ciclismo (1977), Racconti fantastici di sport (1980), La vita è una gara (1982). Aperta anche a scritti in prosa di autori stranieri è la raccolta curata da G. Goggioli e B. Pegolotti, Racconti dello sport (1960). Del 1979 è il volume Le parole e lo sport; letteratura sportiva del novecento, curato da U. Colombo. Un ricco repertorio di poesie e prose di argomento sportivo di autori italiani contemporanei è presentato in Letteratura e sport. Il Novecento, a cura di Marziano Guglielminetti e Attilio Dughera (1985). Accuratissima la recente bibliografia curata da R. Trani Lo sport nella cultura letteraria italiana del secondo Novecento (2003).
Non sono mancati in Italia convegni scientifici che hanno affrontato il tema del legame tra sport e letteratura da diverse angolazioni, come Letteratura e sport. Atti del Convegno di Foggia, 22-23 maggio 1985 (a cura di C. Di Donna Prencipe, Bologna, 1986). Il Convegno internazionale sul tema Sport e letteratura promosso e organizzato nell'aprile 2001 dall'Istituto Universitario di Scienze Motorie di Roma in collaborazione con le Università del Lazio ha inteso far luce, grazie agli interventi di scrittori, poeti, giornalisti e studiosi italiani e stranieri, su un fenomeno o legame simbiotico che ha caratterizzato la storia e l'evoluzione dello sport quanto la storia e l'evoluzione della letteratura. Gli atti del Convegno (2003), curati da Nicola Bottiglieri, autore di una interessante introduzione, si articolano in tre sezioni che individuano altrettante prospettive di analisi del rapporto tra sport e letteratura. All'interno della prima sezione, Scrittori che scrivono di sport, si segnalano i contributi di Franco Buffoni sulla poesia italiana contemporanea a tema sportivo; quelli di Antonio Franchini (Acqua, sudore, ghiaccio. Alcune ragioni contemporanee per raccontare lo sport), di Thomas Le Clair (Two on one: The universal basketball zone), attento indagatore del romanzo di Robert Coover e di End Zone (1986) di Don De Lillo; seguono i contributi di Darwin Pastorin (Premi Nobel e calcio) e di Gian Paolo Porreca (Il ciclismo come metafora sottilissima della vita). La seconda sezione, Sport e letteratura, accoglie una nutrita serie di saggi, alcuni inerenti l'ambito italiano: alla documentata analisi di Giorgio Bárberi Squarotti incentrata su scritti prevalentemente poetici di autori italiani di diverse generazioni e correnti (Marinetti, Saba, Sereni, Montale, Maurizio Cucchi, Sanguineti, Caproni, Giudici, Loi per citare i più noti) fa seguito La performance sportiva nella narrativa italiana tra Ottocento e Novecento di Lia Fava Guzzetta; completano la rosa degli studi relativi alla cultura letteraria italiana Lo sport nel romanzo italiano contemporaneo: cinque modelli di Gian Carlo Ferretti; e Atleti ed eroi nel cinema e nella letteratura sportiva in Italia (1900-1935) di Francesca Petrocchi. Ampia è la rosa di interventi di respiro internazionale: il saggio di Cristina Giorcelli William Carlos Williams: At the Ball Game indaga entro un testo poetico consacrato al baseball ma di alta valenza metaforica; Soriano 4 di Vanni Blengino si concentra sulla narrativa calcistica del noto scrittore argentino; chiudono la sezione Winner takes nothing: Ernest Hemingway e lo sport di Luca Briasco e il contributo Sport, structure and the narrative di William Brown. La terza sezione, infine, Miti rituali e linguaggi sportivi, accoglie, tra l'altro, l'originale analisi di Christian Bromberger Les rituales du sport, volta a sondare il rapporto tra le grandi manifestazioni sportive e i rituali religiosi e Ayrton Senna ovvero l'Achille Australe di Claudio Rolle, dedicato al vero e proprio 'mito' di Senna in Brasile. L'articolo di Gianni Spallone (Calcio e causeries: la Babele dei linguaggi) fa luce sull'universo linguistico legato al commento parlato e scritto sul calcio, mentre Giorgio Triani ha inteso investigare un aspetto centrale degli spettacoli agonistici, Lo stadio luogo di identità della città. Tra realtà e scenari televisivi.
In ambito francese sono da segnalare il volume Anthologie des textes sportifs de la littérature, curato da G. Prouteau (1948); gli studi raccolti in Regards neufs sur le sport (1950); il numero 80 del maggio 1986 della rivista Autrement dal titolo L'amour foot con i contributi di J. Baudrillard, C. Klotz e M. Samson; Allez! (1986) che raccoglie racconti e testimonianze sullo sport di scrittori francesi contemporanei; Realités sportives, fictions romanesques: bibliographie 1870-1989, ricchissimo repertorio bibliografico edito nel 1989 e curato da J.C. Lyeire e H. Le Targat, che include anche titoli di antologie di letteratura sportiva e a tema sportivo, di saggi e studi sui rapporti tra letteratura e sport editi in Francia. Ma di interesse sono anche Le sport dans la littérature et au cinéma di J. Sagnes (in Le sport dans la France contemporaine, 1996, pp.105-19); Le sport dans la littérature de jeunesse di A. Rabany, E. Boutoute, J. Perrot (in Revue lire et savoir, 1996, 3, pp. 74-80); l'ampio studio di S. Laget, Sport et littérature (1998).
Imponente il repertorio di antologie, bibliografie, saggi e studi apparsi negli Stati Uniti: di M. Oriard, Dreaming of heroes: American sports fiction (1982); di G. Burns, The sports pages: a critical bibliography of twentieth-century American novels and stories (1987); di Christian K. Messenger Sport and the spirit of play in American fiction (1981) e il successivo studio Sport and the spirit of play in contemporary American fiction (1990). Utili documentazioni sugli scrittori sportivi americani possono essere estratte dai dizionari curati da R. Orodenker Twentieth-century American sportswriters (1996) e American sportswriters and writers on sport (2001). Raccoglie testi legati alla boxe l'antologia curata da Bill Hughes e Patrick King, Come out writing: a boxing anthology (1991).
Per quanto attiene l'ambito della Spagna, di grande rilievo il volume di A. Gallego Morell, Literatura de tema deportivo (1969) e gli studi di Jesús Castañón Rodríguez, Creación literaria y fútbol (1991) e di P. Checa Fajardo, P. Merino Díaz, Deporte y literatura (1993). Per il Portogallo si segnalano il volume di José do Carmo Francisco completato da una ricca antologia di testi O desporto na poesia portuguesa (1989) e la recente antologia Contos de futebol (2002) e per la Germania, Kinderund Jugendliteratur zu Sport und Spiel: eine kommentierte Bibliographie (1995) di Rolf Gessmann, che accoglie anche la bibliografia relativa alle sole opere a tema sportivo e ludico per ragazzi edite tra il 1800 ed il 1994. Nel 1986 ha visto la luce Sport und Literatur di Nanda Fischer, seguito da Sport, Literatur und Theater di Edith Hall (1998). Ma interessante anche il volume che accoglie gli atti del Convegno tenutosi a Berlino nel maggio 1998 dal titolo Öffentlicher Sport: die Darstellung des Sports in Kunst, Medien und Literatur (1999); altrettanto esaustivi sono i volumi curati rispettivamente da Mario Leis, Sport in der Literatur: Einblicke in das 20. Jahrhundert (2000) e da Jürgen Court, Was ist Sport?: Sportarten in der Literatur (2001).
Un vasto movimento di studi, indagini e riflessioni scientifiche coinvolge dunque ai nostri giorni il connubio sport e letteratura, al punto tale da far sorgere l'ipotesi che il legame simbiotico abbia perduto smalto, energia e linfa vitale e che quindi necessiti di un'efficace terapia utile a corroborare da un lato l'essenza stessa della letteratura, ben distinta da quella propria di altri mezzi di comunicazione, dall'altro quella dello sport, ben distinta dalla finzione spettacolare trasmessa dagli schermi televisivi e dei video-game.
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