Sport
Malgrado l'attenzione che le scienze sociali hanno dedicato allo sport sia notevolmente cresciuta negli ultimi anni - in particolare a partire dagli anni sessanta - ed esse siano finalmente riuscite a sottrarre questo tema al monopolio dei soli giornali sportivi, è tuttavia ancora oggi abbastanza difficile rintracciare nella ormai copiosa letteratura sociologica, storica, economica e psicologica sull'argomento una esplicita, unitaria e consensuale definizione del termine 'sport'.Essendo le analisi settoriali che riguardano le singole discipline sportive moderne e i molteplici rapporti che esse intrattengono con le altre sfere della vita sociale, economica e culturale delle nostre società molto più numerose delle opere di carattere generale che si interrogano sul significato e la natura dello sport nell'età contemporanea e/o nelle epoche precedenti, non è anzi raro che gli autori manifestino una scarsa propensione a definire, in via prioritaria, l'oggetto di cui stanno parlando. Essi danno semplicemente per scontato che si sappia cosa sono oggi il calcio o il ciclismo o il pugilato, anche se non mancano talvolta di registrare le trasformazioni che questi sport hanno subito nel corso del tempo. È un atteggiamento dovuto probabilmente alla grande familiarità degli odierni eventi sportivi, al loro essere cioè fenomeni sociali a tal punto comuni e diffusi nelle moderne società industriali da far ritenere che il loro significato risulti immediatamente ovvio per tutti.
È pertanto arduo proporre una definizione che possa riassumere in maniera sintetica e accettabile ciò che oggi gli scienziati sociali intendono correntemente quando parlano di sport. Limitarsi ad affermare, infatti, in modo onnicomprensivo quanto generico, che lo sport dev'essere inteso come un insieme di attività fisiche di tipo agonistico è una strada che lascia insoluti numerosi problemi. In primo luogo problemi di tipo classificatorio. Per fare un esempio: da questo punto di vista gli scacchi, che sono di certo competizioni, sono classificabili come sport? E lo sono le gare automobilistiche o le corse di cavalli - qualcuno si è chiesto provocatoriamente se in questo caso a competere siano i cavalli o i fantini - oppure la ginnastica artistica, che pure è una disciplina olimpica? E la caccia e la pesca sono anch'esse sport? In secondo luogo problemi di tipo storico. Vi è una sostanziale continuità tra le competizioni fisiche dell'età greco-romana, i folk games dell'epoca medievale, i passatempi e le pratiche di loisir del periodo vittoriano e gli sport moderni, una continuità interrotta solo da intervalli più o meno lunghi di eclisse, oppure lo sport moderno ha un'origine più recente? E nel corso di questo lungo processo evolutivo che ha portato sino alle odierne ed elaborate competizioni sportive muta soltanto il quadro sociale in cui le pratiche fisiche sono inscritte - le classi sociali che vi si dedicano, l'ethos agonistico che vi pongono, il significato culturale e simbolico che vi attribuiscono - oppure sono state esse stesse oggetto di profonde trasformazioni che ne hanno cambiato in modo radicale sia la forma che il contenuto?
L'ostacolo può essere in parte superato se si accetta una definizione più restrittiva e si considera lo sport moderno come l'insieme di tutti quei giochi che: 1) sono organizzati secondo un sistema di regole che ne stabilisce precisamente le modalità di svolgimento; 2) prevedono l'impiego di abilità o competenze di tipo sia fisico che intellettuale; 3) hanno un carattere competitivo, dal momento che devono necessariamente concludersi con la vittoria o la sconfitta di alcuni dei contendenti. Questa definizione presenta quantomeno il vantaggio di separare in modo netto l'ambito dello sport dalla sfera dei giochi puramente 'ludici' che, pur basandosi anch'essi su un'attività fisica e intellettuale, hanno tuttavia un carattere non utilitaristico e sono perseguiti come fini a se stessi - sono 'autotelici', in quanto il loro scopo consiste nel fare, non in ciò che è stato fatto, e nel risultato conseguito-, nonché dalla sfera delle semplici attività motorie basate sullo sviluppo autonomo della corporeità, come il body building, il jogging o il nuoto solitario, che presentano anch'esse, per certi versi, caratteri simili a quelli dei giochi.
In questo modo il campo semantico del termine sport si riduce notevolmente e sembrano in parte risolti alcuni problemi relativi alla classificazione delle discipline sportive, anche se permangono ancora alcune ambiguità e dei casi limite. Per restare agli esempi prima proposti, gli scacchi, come tutti i giochi di scacchiera e di carte, sono certamente una forma di competizione, ma non sono uno sport. Se le gare automobilistiche e tutti i cosiddetti 'sport su motori' siano sufficientemente fisici da meritare il nome di sport risulta abbastanza discutibile e incerto. Allo stesso modo, la ginnastica artistica, le gare di tuffi o il pattinaggio su ghiaccio, in cui non vi è una competizione diretta tra i partecipanti e il punteggio per l'esibizione è assegnato su base soggettiva dai giudici, presentano alcuni elementi propri dello sport, ma si tratta di elementi marginali. Del tutto esclusi sono, ovviamente, gli 'sport di sangue' come la caccia e la pesca.
Fatta questa prima precisazione, rimane però aperto il problema di una definizione ancora troppo generale che non consente di cogliere appieno gli elementi di diversità e specificità che contraddistinguono gli sport moderni. Definito in quei termini, infatti, lo sport - e lo dimostrano numerosi studi storici (v. Diem, 1971) - risulta essere una manifestazione dell'attività umana presente in tutte le società finora conosciute, ed è pertanto possibile affermare che tracce di pratiche sportive con le caratteristiche suddette sono evidenti, come costante storica, in ogni stadio dello sviluppo umano. In particolare, e senza andare troppo indietro nel tempo, risulta ancora difficile cogliere i fattori di diversità che distinguono gli sport moderni dai passatempi e dalle attività di loisir molto in voga in numerosi paesi europei nel corso del Settecento e dell'Ottocento. Sappiamo, ad esempio, che nei colleges inglesi venivano praticati diversi giochi con la palla assai simili all'odierno gioco del calcio, così come in Francia era molto diffuso il jeu de paume, una sorta di antesignano del tennis contemporaneo.
Poiché l'obiettivo è di fornire una definizione dello sport che, pur a un alto livello di generalizzazione, permetta di cogliere i tratti principali della sua modernità, occorre porre un'ulteriore condizione restrittiva che consenta di focalizzare con maggior precisione la sua odierna particolarità storica. A questo fine è necessario aggiungere, a quelle sopra elencate, una quarta caratteristica, ovvero il fatto che gli sport moderni costituiscono delle competizioni formali istituzionalizzate. Questa espressione sta a significare che essi si inseriscono in un quadro organizzativo molto elaborato che vede la presenza di un insieme di federazioni riconosciute, di istanze dirigenti, di regolamenti legittimi, di competizioni regolari, di dispositivi statutari, di calendari, di ricompense e di sanzioni. Questa istituzionalizzazione delle moderne pratiche sportive implica sovente anche conseguenze di tipo sociale ed economico nient'affatto irrilevanti dal punto di vista dell'analisi sociale - e lo vedremo più avanti - come pubblicità, sovvenzioni, resoconti giornalistici, alone di prestigio per praticanti e dirigenti.
Per riassumere dunque in una definizione con un alto grado di generalizzazione il significato del termine sport nella sua accezione moderna, possiamo dire che esso sta a indicare l'insieme delle attività fisico-motorie che: 1) per essere svolte, richiedono un livello minimo di abilità o competenza intellettuale, quale si manifesta nella conoscenza e nell'assimilazione delle relative tecniche di gioco; 2) hanno modalità di esecuzione che non dipendono dal volere dei partecipanti e non possono quindi essere modificate a piacere, ma al contrario si iscrivono in un reticolo di regole; 3) hanno il loro scopo in un esito finale di carattere formale: vittoria o sconfitta; 4) sono parte integrante di apposite istituzioni sociali che le hanno inserite nelle loro strutture di produzione e consumo.Trattandosi di una definizione concettuale è evidente che queste quattro caratteristiche riassumono in un modello euristico soltanto i primi e più essenziali prerequisiti che permettono di assegnare legittimamente il titolo di sport a una attività fisica piuttosto che a un'altra, ma esse non esauriscono naturalmente i molteplici tratti con cui gli sport si presentano sulla scena sociale contemporanea e acquistano un significato culturalmente diverso da quelli praticati nelle epoche precedenti. A questo punto è necessario compiere un ulteriore passo e spostarsi da un livello sintetico a un livello più analitico.
Seguendo le indicazioni dell'importante lavoro di Allen Guttmann (v., 1978) è possibile sostenere che le caratteristiche che contraddistinguono gli sport moderni rispetto a quelli delle epoche precedenti sono principalmente sette. Al pari di altri fattori culturali, è probabile che esse possano apparire del tutto scontate e autoevidenti nel quadro delle odierne società industriali, ma non lo sono affatto per coloro che vi si accostano dall'esterno. Enunciate nella loro forma più astratta al fine di indicare una prima direzione di analisi, queste caratteristiche sono le seguenti: 1) secolarismo; 2) uguaglianza nelle opportunità di gareggiare e nelle condizioni della competizione; 3) specializzazione dei ruoli; 4) razionalizzazione; 5) organizzazione burocratica; 6) quantificazione; 7) ricerca del record. Vediamo di analizzare queste caratteristiche singolarmente e più in dettaglio.Il termine 'secolarismo' fa ovviamente riferimento al più generale processo di secolarizzazione del mondo occidentale ampiamente analizzato da Max Weber, ovvero alla progressiva perdita di importanza dei sistemi e delle credenze religiose nell'interpretazione della realtà e di conseguenza nella guida delle azioni degli uomini. In questa chiave la ricerca storico-antropologica ha mostrato come molti sport praticati nell'antichità - soprattutto nell'antica Grecia - e in numerose società primitive avessero sovente un carattere cultuale e fossero parte importante delle attività religiose praticate da quei popoli. I giochi olimpici, ad esempio, come i Pizii, gli Istmici, i Nemei e gli Ateniesi, erano feste sacre e aspetti integranti della vita religiosa degli antichi Elleni. Secondo uno studioso (v. Drees, 1968, p. 24) erano giochi sacri che si svolgevano in un luogo sacro e nel corso di una festa sacra; erano un atto religioso in onore della divinità: coloro che vi prendevano parte lo facevano allo scopo di servire la divinità e i trofei che essi vincevano provenivano dalla divinità. Ciò non vuol dire, tuttavia, che il significato cultuale dello sport avesse un carattere onnipervasivo, dal momento che si può intravvedere già tra i Greci emergere lo sport anche come fenomeno più o meno profano. In questa società, infatti, gli sport rimasero per lungo tempo uno strumento di culto, ma al contempo divennero gradualmente parte della vita ordinaria della polis. I cittadini comuni emulavano le prestazioni atletiche dei grandi eroi sportivi della tradizione ellenica, e non vi era città che non avesse impianti di atletica.
La società romana continuò e accelerò questa tendenza alla secolarizzazione. I Romani non si dedicavano infatti né alle competizioni né alle feste di atletica: essi credevano nella buona forma fisica, ma solo come un mezzo in vista dell'addestramento alla guerra. Gli unici avvenimenti atletici che li interessavano veramente erano i combattimenti dei gladiatori, la lotta, il pugilato e il pancration, e qualsiasi significato religioso collegato a questi spettacoli circensi passava in secondo piano agli occhi della folla tumultuante abituata al panem et circenses e al sangue.li sport moderni, nel loro secolarismo, sono molto più vicini al modello romano che a quello greco (su questo punto esprime però un giudizio critico Porro: v., 1989). Anche se sono in grado, e talora più di un tempo, di suscitare accese passioni, di dar luogo a rituali di massa capaci di coinvolgere sterminate folle di spettatori e persino di produrre identità collettive al punto da poter essere considerati - quantomeno alcuni di essi (v. Giulianotti e Williams, 1994) - come elementi di una religione secolare, il contrasto fondamentale tra gli sport moderni e gli sport dell'antichità rimane. Il legame tra il secolare e il sacro è stato spezzato, l'attaccamento al regno del trascendente è stato reciso.La prima caratteristica che distingue gli sport moderni è, dunque, il fatto che essi sono molto più secolari degli sport primitivi e dell'antichità. La seconda caratteristica consiste invece nell'eguaglianza, nel duplice significato che tutti, in via di principio, debbono avere l'opportunità di competere, e che le condizioni della competizione devono essere le medesime per tutti i contendenti. Per quanto riguarda il primo punto, si può fare riferimento alla classica formulazione di Talcott Parsons che distingue tra 'ascrizione' e 'prestazione'. Non è necessario ricorrere all'esempio delle società primitive per illustrare questo aspetto: in molte di quelle società le possibilità di competere erano determinate da necessità religiose e non dal possesso di particolari abilità fisiche. Allo stesso modo, non era necessario rendere uguali le condizioni della competizione poiché anche il risultato era ritenuto determinato dalla volontà degli dei piuttosto che dalla bravura dei partecipanti. Anche nella società medievale la partecipazione a giostre e tornei era vincolata al principio di ascrizione. Essi erano infatti limitati alla sola nobiltà ed escludevano in modo categorico il resto della popolazione, che poteva dedicarsi solo a sport più 'plebei'. Si tratta di un principio di ineguaglianza che si trascina, in realtà, sino alla fine dell'Ottocento e oltre, ed è ben simbolizzato dalla filosofia che è originariamente alla base dello stesso movimento olimpico moderno fondato dal barone de Coubertin. In questa filosofia, infatti, a onta del conclamato universalismo, si riflette ancora una cultura tardo-aristocratica che è anche un principio di stratificazione sociale. In essa trovano espressione una discriminazione antifemminile, superata solo negli anni trenta, ma che per altro permane tuttora con l'esclusione delle donne da alcuni sport - un esempio paradossale: la boxe moderna -; il rifiuto del professionismo in nome di una purezza e un disinteresse che potevano essere salvaguardati solo da sportivi gentiluomini e benestanti; l'antipatia per i giochi di squadra, associati - con poche eccezioni come il cricket e il rugby - a passatempi volgari, tipici delle classi subalterne.
Per quanto riguarda invece l'uguaglianza delle condizioni delle competizioni, con l'età moderna prende avvio un generale processo di standardizzazione, pressoché ignoto nelle epoche precedenti, che coinvolge diversi aspetti delle attività sportive (v. Vigarello, 1988, pp. 173 ss.). Anche qui alcuni esempi: le misure dei campi di gara acquistano dimensioni uguali per tutti gli sport sotto tutte le latitudini; i tempi di durata delle competizioni vengono uniformati e così le attrezzature sportive (il peso e la lunghezza degli attrezzi come il disco, il giavellotto, i guantoni dei pugili vengono resi identici); in alcuni sport, come il pugilato e altri sport di combattimento, sono introdotte le categorie di peso, con il risultato di ottenere una generale riproducibilità e uniformità delle competizioni sportive. Oggi una partita di calcio è, da questo punto di vista, uguale in tutto il mondo, e la stessa cosa vale per una gara di atletica.
La terza caratteristica è rappresentata, come si è detto, dalla specializzazione. Sotto questo profilo va sottolineato che già nell'antichità classica, ad esempio nell'età ellenica, sono presenti alcuni elementi di specializzazione funzionale tra gli atleti. I Greci erano ben consapevoli che alcuni uomini erano fisicamente più dotati per la corsa, altri per la lotta e altri ancora per il lancio del disco. Al contrario, gli sport del periodo medievale e dell'inizio dell'età moderna erano meno specializzati. In quella sorta di precursore del calcio moderno che è il football medievale vi era posto per tutti e nessuno aveva un ruolo definito. Il gioco era praticato dall'intero villaggio o, in altri casi, da un villaggio contro un altro villaggio. È un tratto che si ritrova in molti folk games medievali (v. Elias e Dunning, 1986, pp. 175-191), caratterizzati da una marcata assenza di specializzazione principalmente sotto tre aspetti: 1) alcuni elementi di quelli che più tardi diverranno giochi altamente specializzati, come il rugby, il calcio, la boxe e il polo, erano spesso contenuti in un solo gioco; 2) vi era una scarsa divisione di compiti tra i giocatori; 3) non vi era una netta e precisa distinzione tra i ruoli di giocatori e spettatori. Ben diversamente vanno le cose negli sport contemporanei, in cui il livello di specializzazione dei ruoli atletici è alto, e non solo negli sport di squadra come, ad esempio, il calcio, con i giocatori che ricoprono ruoli ben definiti, ma anche nelle discipline individuali, dove difficilmente un atleta compete in più di una specialità. Inoltre, alla specializzazione dello sport moderno fa da contorno un complesso sistema di personale di supporto anch'esso fortemente specializzato, come allenatori, preparatori atletici, medici sportivi, giudici, arbitri di gara, direttori sportivi. Ed è proprio questa logica interna degli sport moderni che sembra spingere verso la loro sempre più accentuata professionalizzazione.
Ma veniamo ora alla razionalizzazione, un ulteriore tratto che distingue gli sport moderni da quelli antichi e si manifesta in diverse direzioni. Abbiamo già accennato alla standardizzazione che si accompagna alla crescente uniformità delle condizioni di partecipazione alle gare sportive. Ma non basta. La razionalizzazione dello sport si manifesta anche nello studio sempre più scientifico delle tecniche di esecuzione delle specialità atletiche - si pensi all'evoluzione subita dal salto in alto, con il passaggio dal salto ventrale al salto dorsale - e nell'esplorazione sempre più approfondita delle basi fisiologiche delle prestazioni, una ricerca che ha portato e porta sovente alle soglie del doping. Vi sono oggi numerosi istituti specializzati che si dedicano interamente alla ricerca e all'applicazione dei suoi risultati ai programmi di allenamento delle diverse specialità sportive. E ciò anche se si registrano crescenti reazioni contro l'addestramento spietatamente razionalizzato degli atleti, che da alcuni sono descritti come robot o come una sorta di mostri da laboratorio (come è avvenuto nei giochi olimpici di Atlanta del 1996 riguardo alle giovanissime atlete della ginnastica).
Per quanto riguarda invece i giochi di squadra, come il calcio, la pallacanestro o il volley, questa razionalizzazione si manifesta anche nella continua e spesso esasperata ricerca di nuovi schemi di gioco. Questi schemi o tattiche sono accuratamente preparati e provati nel corso delle sedute di allenamento e vengono poi applicati in modo automatico durante la competizione, a seconda delle diverse situazioni di gara, con il risultato non solo di sottrarre sempre più spazio alla fantasia e all'estro dei giocatori, ma anche di rendere ciascuno di essi semplicemente un elemento di una serie, al punto che è prevista la sostituzione, cioè la scomparsa fisica dal terreno di gioco, per chi non interpreta correttamente le mosse calcolate in anticipo.
Chi, comunque, decide le regole di svolgimento degli sport moderni e amministra il complicato sistema del coordinamento dei campionati è una complessa organizzazione burocratica. Di nuovo, già nel mondo greco è possibile rintracciare un embrione di burocrazia sportiva. Ogni città greca aveva infatti il suo ginnasiarca o signore del ginnasio, e le competizioni atletiche erano governate da un agonathete. Allo stesso modo, germi di burocrazia sportiva erano presenti anche al tempo dei Romani. Ma è ovviamente soprattutto nell'età moderna che la burocratizzazione dello sport si è enormemente sviluppata. In primo luogo, lo sport viene posto sotto il dominio di una complessa serie di regole scritte, istituite formalmente in appositi regolamenti aventi validità universale. In secondo luogo, esso viene regolato da sanzioni chiaramente definite che si possono infliggere a chi trasgredisce le regole e che includono, in casi particolarmente gravi, la radiazione dai ranghi dello sport. In terzo luogo, è prevista l'istituzionalizzazione di un ruolo specifico al di sopra delle parti, quello dell'arbitro, che ha il compito di controllare lo svolgimento regolare e corretto delle gare. Infine si forma progressivamente una struttura piramidale di organismi centrali, dal livello locale al livello sovranazionale, che hanno il compito di stabilire, all'occorrenza mutare e far rispettare le regole del gioco, oltre che di organizzare e coordinare campionati e competizioni.
A questo riguardo non si può non osservare come nel Novecento, anche se in contesti sociali diversi, la complessa struttura organizzativa del mondo sportivo sia stata talvolta trasformata in un potente strumento di propaganda da parte di alcuni regimi politici totalitari (v. Hoberman, 1984). Grazie anche a un'accorta programmazione sportiva, essi hanno potuto veicolare a livello di massa nuove gerarchie di valori e nuovi sistemi ideologici. Basti pensare alla politica sportiva del fascismo che, messo fuori legge l'associazionismo sportivo socialista e cattolico, irreggimentò l'attività sportiva degli Italiani ispirandola a criteri codificati nel dicembre del 1928 nella cosiddetta 'Carta dello sport'.Venendo invece all'oggi, si ricordi che i principali organismi burocratici sono il CIO (Comité International Olimpique) e, per quanto riguarda il calcio, la FIFA (Fédération Internationale de Football Association). Si tratta di organismi che, comunque, non si limitano a un semplice ruolo notarile: soprattutto in tempi recenti, con l'avvento dello sport televisivo e il massiccio ingresso nell'ambito sportivo di grandi complessi economici, sia sotto forma di sponsors pubblicitari che in veste di produttori di materiali sportivi, essi hanno contribuito alla creazione di una fitta rete di relazioni e interdipendenze tra mondo dello sport, mondo del business e mondo dello spettacolo, che ha sovente modificato alla radice, e secondo taluni snaturato, il volto stesso dello sport moderno. Ma su questo punto torneremo tra poco.Le ultime due caratteristiche dello sport moderno riguardano infine, come abbiamo detto, il processo di quantificazione e la costante ricerca del record. Per quanto concerne il primo processo, si può dire che gli sport moderni sono caratterizzati da una tendenza quasi inevitabile a trasformare qualsiasi impresa sportiva in una impresa che può essere quantificata e misurata. L'accumulazione di statistiche di ogni genere e su ogni aspetto concepibile del gioco è un tratto distintivo che ritroviamo soprattutto nel football americano, nel basket, ma anche nell'atletica leggera - una disciplina che, grazie all'impiego di dispositivi elettronici sempre più raffinati, permette di quantificare lunghezze, distanze e tempi con livelli di precisione impensabili solo qualche decennio fa.
Le cose andavano molto diversamente nell'età premoderna. Di nuovo è calzante il confronto con l'età ellenica. Benché Pitagora, Euclide e Archimede abbiano dato dei contributi fondamentali alla matematica e alla geometria, la civiltà greca non era ossessionata dal bisogno di quantificare. Per i suoi atleti era sufficiente la vittoria e assicurarsi gloria e fama a Olimpia, ma a quale distanza fosse stato lanciato il disco o con quale tempo un corridore avesse coperto una certa distanza non era ritenuto importante. La quantificazione dei risultati non era considerata necessaria. È vicina al nostro moderno senso della quantificazione unicamente l'importanza data al numero delle vittorie: sappiamo, ad esempio, che Milo di Crotone vinse cinque volte a Olimpia. E un analogo discorso vale per la civiltà romana, che si limitava anch'essa al solo conteggio delle vittorie.
Se combiniamo l'impulso alla quantificazione con il desiderio di vincere, il risultato ottenuto è il concetto di record ovvero di primato agonistico. Ora, stabilire un record o un primato non significa solo primeggiare in una gara o in una competizione sportiva in quel luogo e in quel momento. Il concetto di record è un concetto totalmente moderno, poiché consiste in una astrazione tale da consentire che una competizione abbia luogo non solo tra coloro che sono fisicamente riuniti in un campo sportivo o su un terreno di gioco, ma anche tra essi e altri atleti o giocatori distanti nel tempo e nello spazio. Ed è una sorta di aspirazione all'immortalità temporanea, poiché su questa base consente di gareggiare e misurare le proprie prestazioni anche in rapporto ad atleti ormai scomparsi o ritiratisi dalla scena sportiva. Inoltre, è un concetto moderno anche perché è strettamente legato all'idea di progresso, vale a dire all'idea che ogni miglioramento può essere a sua volta migliorato, il che, tradotto nel linguaggio sportivo, significa che ogni record può e deve essere battuto. Ci aspettiamo che l'attuale record mondiale dei cento metri piani di nove secondi e otto decimi sia battuto, ma è umanamente impossibile che esso sia portato a sei secondi. Inevitabilmente dovrà raggiungere una soglia insuperabile. Che cosa accadrà allo sport quando questo succederà?
Abbiamo illustrato le principali caratteristiche degli sport moderni. A esse ci sembra però opportuno aggiungerne ancora una, su cui ha richiamato l'attenzione il sociologo Norbert Elias (v. Elias e Dunning, 1986), ovvero il fatto che gli sport sono divenuti nel tempo attività sempre meno violente. Secondo Elias, uno sguardo ai giochi tradizionali premoderni mostra come essi fossero quasi sempre caratterizzati da un diffuso esercizio della violenza e della forza bruta. In epoca medievale, ad esempio, le cronache del tempo definiscono passatempi come l'hurling over country o l'hurling at goal, una sorta di precursori inglesi del calcio moderno, come contese estremamente violente e pericolose. Di solito esse si svolgevano nei periodi di festa, come Natale e carnevale, oppure in occasione di fiere e sagre paesane. L'unico requisito richiesto ai giocatori per prendervi parte era di possedere forza bruta nei contrasti e buona potenza di calcio, e non di rado accadeva che l'accanimento dei contendenti sfociasse in mischie gigantesche che potevano talvolta prolungarsi per più giorni di seguito. Ma anche in altri paesi europei i giochi sportivi erano spesso improntati alla violenza e all'aggressività. Così in Francia, nella soule o nella barette era consentito inferire ogni colpo all'avversario: mischie furibonde costituivano la norma al punto che, come riferiscono alcune cronache (v. Pivato, 1994, p. 12), spesso i giocatori finivano la partita feriti e sanguinanti. E non minore carica agonistica presentava il calcio fiorentino nell'Italia rinascimentale. In sostanza, in tutte queste competizioni sportive ritroviamo una caratteristica comune: c'era in esse per consuetudine una tolleranza per il livello di violenza fisica impiegata notevolmente superiore a quella consentita di norma nelle odierne attività sportive. In realtà la sopravvivenza fisica dei gruppi contendenti non era direttamente minacciata, e lo scopo principale di questi giochi non era infliggere serie lesioni fisiche o causare la morte degli avversari, ma è innegabile che il livello relativamente elevato di violenza aperta e l'opportunità di procurare dolore fisico agli avversari erano tra le fonti principali del divertimento che essi sapevano procurare.
Gli sport moderni, invece, particolarmente gli sport di squadra, si contraddistinguono per il fatto che la soglia di tolleranza nei confronti dell'uso della violenza fisica si è notevolmente abbassata: si sono per così dire 'civilizzati'. Secondo la tesi di Elias (v. Elias e Dunning, 1986) questo risultato è dovuto al fatto che anche nell'ambito delle manifestazioni sportive ha fatto sentire il suo influsso quel processo di civilizzazione - ovvero la prolungata elaborazione di un modello di vita collettiva basato sulla formazione di potenti barriere sia psicologiche che istituzionali contro la manifestazione incontrollata dell'aggressività - che ha investito il mondo occidentale nel corso degli ultimi cinque secoli. Anche in questo ambito le occasioni per l'insorgere di una forte eccitazione individuale, particolarmente quell'eccitazione condivisa con altri che può facilmente portare alla perdita dell'autocontrollo, sono divenute sempre più rare e socialmente sempre meno tollerate. E ciò è avvenuto soprattutto perché, al pari delle società al cui interno sono praticate, le attività sportive sono oggi emozionalmente meno eccitanti e sono assoggettate a quelle medesime forme di controllo sociale e autocontrollo psichico del comportamento umano che si sono imposte in tutte le società sviluppate dell'Occidente, a seguito delle trasformazioni storico-culturali degli ultimi secoli, e hanno portato alla formazione di uno stabile monopolio della violenza fisica da parte dello Stato moderno.
Tuttavia, secondo Elias, queste pratiche agonistiche non hanno raggiunto un grado zero di tolleranza nei confronti della violenza poiché, in questo caso, esse sarebbero preda di un nemico mortale, ovvero della noia. Per questo motivo i giochi e le attività sportive moderne si configurano, all'interno di società che tendono sempre più a sanzionare negativamente ogni manifestazione pubblica e privata di emotività incontrollata, come una sorta di enclave in cui è socialmente consentito, a certe condizioni, conservare e manifestare un comportamento moderatamente aggressivo e violento. In sostanza, gli sport moderni devono servire ad atleti e giocatori per vivere uno stato di tensione, devono permettere il godimento di una piacevole sensazione di eccitazione, senza di che non avrebbero ragion d'essere, ma nel contempo devono poter contare su una serie di dispositivi, sia di ordine istituzionale che di ordine psicologico, che disciplinano lo sfogo emozionale e mantengono l'eccitazione entro quella dimensione 'mimetica' che produce un effetto liberatorio e catartico anche se contiene elementi di ansietà, paura e ira. È un effetto raggiunto al massimo grado da quegli sport in cui gioca un ruolo preponderante la rivalità diretta o indiretta tra gli uomini - e dunque in primo luogo dagli sport di squadra - dal momento che in questo genere di sport la competizione agonistica ricorda molto da vicino una battaglia reale tra gruppi ostili, cosa che consente ai partecipanti e agli spettatori di godere il piacere, piuttosto raro nelle società contemporanee, di vivere una intensa emozione collettiva. Tuttavia, in certe condizioni, vi è il rischio che la sottile linea di demarcazione tra gioco e non gioco, tra battaglia mimetica e battaglia reale si offuschi e l'eccitazione provocata da uno scenario immaginario di lotta oltrepassi i suoi limiti per trasformarsi in qualcosa di assai diverso, come avviene ad esempio in quel fenomeno conosciuto come 'teppismo calcistico'.
Dopo aver visto come lo sport sia mutato nelle sue caratteristiche principali rispetto al passato, possiamo ora vedere come esso si prepari a cambiare la sua fisionomia futura. Due sono le direzioni che possiamo sinteticamente indicare sotto questo profilo. La prima riguarda il processo di commercializzazione che ha investito, in tempi recentissimi, l'intero universo dello sport (v. Jarvie e Maguire, 1994, pp. 230 ss.; v. Houlihan, 1994), mentre la seconda, di cui parleremo nel prossimo capitolo, riguarda invece l'emergere di nuove discipline sportive, alcune delle quali - come il beach volley, il wind surf e le gare di mountain bike - sono da poco entrate a far parte delle manifestazioni olimpiche, sebbene siano nate originariamente all'insegna del superamento della tradizionale cultura dell'agonismo e per favorire una nuova cultura, 'californiana', della corporeità.Per quanto riguarda il processo di commercializzazione dello sport moderno, esso trova la sua ragion d'essere nel legame sempre più stretto che si è venuto instaurando nel corso degli ultimi due decenni tra mondo dello sport, e in particolare i suoi massimi vertici istituzionali, e le grandi multinazionali e i grandi networks televisivi. Questo legame è emblematicamente espresso dalla più recente politica organizzativa della FIFA, che ha sostenuto una concezione del calcio come spettacolo globale e commerciale, rinunciando, dal 1974, alla sua tradizionale indipendenza da ogni ingerenza degli sponsors esterni e consentendone l'ingresso nell'organizzazione dei maggiori tornei calcistici internazionali. Ciò ha prodotto un vorticoso giro d'affari che ha finito per condizionare fortemente lo svolgimento delle competizioni sportive. I mondiali di calcio, infatti, sono stati assegnati a paesi a scarsa tradizione calcistica come gli Stati Uniti, ma che rappresentano importanti mercati commerciali.
Questo processo di commercializzazione legato alle sponsorizzazioni ha poi assunto dimensioni veramente planetarie grazie ai concomitanti progressi della tecnologia televisiva. L'opportunità di pubblicizzare un marchio o un prodotto attraverso un atleta, una gara sportiva o una squadra famosa è diventato un investimento altamente redditizio principalmente grazie al grande effetto di amplificazione e diffusione prodotto dalla televisione. Una dimostrazione di quanto l'immagine pubblicitaria di un atleta famoso possa incidere sull'andamento di una grande industria è stata data nell'ottobre del 1993 da Michael Jordan, lo sportivo più pagato al mondo: all'indomani dell'annuncio del suo ritiro dall'attività agonistica la Nike, società che aveva nel cestista americano il suo più prestigioso testimonial, ha subito un forte calo nelle quotazioni di borsa di Wall Street (v. Pivato, 1994, p. 142).
Con il termine 'televisione' intendiamo riferirci qui soprattutto alle reti televisive possedute da privati. La maggior parte delle entrate economiche delle televisioni private deriva infatti dalla pubblicità, e quindi la loro esigenza primaria è fare programmi o trasmettere eventi che raccolgano il favore del grande pubblico. Se ciò avviene, le imprese acquisteranno da queste reti gli spazi pubblicitari per i propri prodotti con la garanzia che il loro messaggio raggiungerà un gran numero di persone. Le trasmissioni di avvenimenti sportivi, dato il loro alto gradimento presso il pubblico televisivo, hanno acquistato di conseguenza una grande importanza per i networks privati, cosa a cui peraltro si stanno rapidamente adeguando anche le televisioni pubbliche. Inoltre, all'inizio degli anni novanta hanno iniziato ad affermarsi anche sul mercato europeo le televisioni a pagamento, le pay tv e le televisioni via satellite. Le reti di Murdoch in Inghilterra, di Kirch in Germania, o Telepiù in Italia, solo per citare alcuni casi, hanno investito capitali enormi nello sport professionistico e hanno gettato le basi per la creazione di una vera e propria industria dello sport. Naturalmente il prezzo dei diritti televisivi dei maggiori avvenimenti sportivi ha subito una fortissima impennata, raggiungendo cifre astronomiche. L'entità e l'andamento di queste cifre nel corso degli anni forniscono un'idea del crescente interesse dei networks televisivi verso lo sport.Nel 1972 la somma pagata dall'EBU (European Broadcasting Union) per i diritti televisivi in Europa è stata di 1,7 milioni di dollari. Per l'edizione del 1984 il prezzo è cresciuto di oltre dieci volte salendo a 19 milioni di dollari. Per le Olimpiadi di Barcellona del 1992 la cifra pagata è stata di 90 milioni di dollari. E per quanto riguarda le future edizioni del 2000, del 2004 e del 2008 il CIO ha già accettato l'offerta di 1,5 miliardi di dollari. Le cifre pagate dalle televisioni americane sono notevolmente superiori: nel 1972 la somma pagata è stata di 7,5 milioni di dollari, nel 1984 la cifra è salita addirittura a 225 milioni di dollari, e infine per le Olimpiadi di Atlanta del 1996 la NBC ha acquistato i diritti televisivi per 456 milioni di dollari. La stessa rete americana si è aggiudicata l'asta per i giochi di Sidney del 2000 e di Salt Lake City del 2002 (Olimpiadi invernali) per 1,27 miliardi di dollari (oltre 1.900 miliardi di lire) e ha già acquistato i diritti per le edizioni del 2004, del 2006 (giochi invernali) e 2008 per l'incredibile cifra di 2,3 miliardi di dollari (3.500 miliardi di lire).
Come si vede da questi dati, lo sport professionistico ha tratto grandi vantaggi, sul piano economico, dal connubio con la televisione. Esso ha tuttavia dovuto, a sua volta, pagare un notevole prezzo. Non si può pensare, infatti, che, a fronte di investimenti di questa portata, le emittenti televisive e i grandi sponsors commerciali non abbiano esercitato una forte influenza sull'organizzazione e sullo stesso svolgimento delle manifestazioni sportive. Questa influenza si è manifestata essenzialmente a due differenti livelli. Il primo riguarda l'organizzazione degli eventi sportivi e di conseguenza la scelta della sede, la collocazione oraria, la data delle competizioni. È quanto è avvenuto per le Olimpiadi del 1996, disputate ad Atlanta anziché ad Atene, sede ideale per i giochi del centenario, a seguito delle pressioni esercitate dalla Coca Cola e dalle televisioni americane. Allo stesso modo vi sono stati importanti mutamenti nel calendario delle manifestazioni internazionali. Nel 1992 il CIO ha deciso di disputare le Olimpiadi invernali non più nello stesso anno di quelle estive, bensì a distanza di due anni. Ciò consente alle compagnie televisive di diluire i costi per l'acquisto dei diritti televisivi e nello stesso tempo di garantire maggiori entrate per i giochi invernali. Anche la IAAF (International Amateur Athletic Federation) ha mutato il calendario delle proprie competizioni decidendo di disputare i mondiali di atletica ogni due anni anziché ogni quattro. Nel corso delle manifestazioni, poi, la scelta della data e degli orari delle gare si basa soprattutto sulle esigenze televisive. Ai giochi olimpici invernali di Calgary del 1988 è stata in pratica la ABC, che aveva acquistato i diritti televisivi per 300 milioni di dollari, a dettare il programma dei giochi. Alle Olimpiadi di Seul, nello stesso anno, le gare più importanti sono state disputate in orari tali da poter essere trasmesse negli Stati Uniti in prima serata. Ai mondiali di calcio giocati negli Stati Uniti nel 1994, invece, la situazione si è in sostanza capovolta. Gli orari sono stati scelti su misura per il pubblico europeo. Molte gare sono state perciò disputate nel primo pomeriggio, in condizioni climatiche fortemente penalizzanti per gli atleti, considerato che la manifestazione si è svolta tra giugno e luglio.
Ma il mezzo televisivo influisce sullo sport anche a un secondo livello. In questo caso è il gioco stesso, le sue regole e la sua struttura e non solo ciò che gli fa da cornice, a cambiare in funzione delle esigenze della televisione. Nel calcio, ad esempio, la FIFA sta studiando con attenzione la possibilità di introdurre durante le partite dei tempi morti che avrebbero lo scopo di favorire l'inserimento dei messaggi pubblicitari. Ciò dipende dal fatto che il calcio, rispetto ad altri sport, ha il difetto, televisivamente parlando, della continuità del gioco. Per ovviare a questo problema, si sta studiando la possibilità di introdurre anche in questo sport i times out. In Germania i responsabili dei networks privati SAT1 e RTL hanno addirittura proposto di introdurre tempi di gioco più corti- tre tempi di trenta minuti interrotti da due pause di dieci minuti ciascuna al posto dei tradizionali due tempi di quarantacinque minuti - per aumentare lo spazio dedicato agli spots pubblicitari. Secondo Fred Kogel, direttore di SAT1, sarebbe comunque necessario cambiare le regole per evitare che in futuro il calcio venga trasmesso esclusivamente dalle televisioni a pagamento. Infatti, il costo delle dirette televisive è ormai diventato tanto alto che le emittenti private via etere devono necessariamente incrementare il numero degli spots pubblicitari nel corso delle partite per recuperare le somme investite e reggere la concorrenza con le pay tv.
Il calcio, comunque, resta lo sport che meno di altri ha cambiato fisionomia nel corso della sua storia recente. Altri sport hanno subito mutamenti più profondi. Il tennis, ad esempio, ha introdotto il tie break per abbreviare la durata degli incontri, ma nello stesso tempo ha aumentato notevolmente le pause di gioco. Nella boxe il numero dei rounds è passato da quindici a dodici, diminuendo il tempo dedicato all'incontro e aumentando quello riservato alla pubblicità. La pallavolo ha introdotto il cosiddetto time out tecnico, che interrompe il gioco in un momento preciso della gara. Sport e televisione, insomma, appaiono oggi come due elementi inscindibili. Il primo ha assunto una dimensione globale grazie all'azione dei mass media, capaci di concentrare su un evento sportivo l'attenzione di miliardi di persone. La seconda, che ha la sua ragione di vita nel consenso del pubblico, ha trovato nello sport un prodotto di sicuro successo, che non ha concorrenti nel suscitare l'interesse e la curiosità di grandi platee di spettatori.
Non rimane, per concludere, che parlare dei cosiddetti sport 'californiani', che negli ultimi due decenni si sono venuti affiancando agli sport tradizionali di origine britannico-vittoriana. L'espressione 'sport californiano' raggruppa una serie di discipline sportive che - per molto tempo - sono state considerate di esclusivo appannaggio di pochi avventurosi e solo di recente, grazie alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, hanno conquistato lo status di attività sportive a pieno titolo. Alcune di esse, come si è detto, sono già entrate a far parte del novero delle discipline olimpiche e hanno trovato un proprio spazio autonomo nelle competizioni di Atlanta del 1996.
L'appellativo di 'californiani' deriva dal fatto che la maggior parte di questi sport si è affermata sulla costa occidentale degli Stati Uniti verso la fine degli anni sessanta per poi diffondersi rapidamente in Europa nel decennio successivo. L'antesignano è certamente individuabile nel surf, che in Europa si è affermato nella versione di wind surf; gli hanno fatto seguito il free climbing (la scalata di pareti di roccia senza l'ausilio di attrezzature alpinistiche), il rafting (la discesa su zattera di torrenti), lo sci estremo (la discesa in solitario su neve fresca e pendii molto ripidi), il triathlon (una combinazione di nuoto, ciclismo e corsa praticati in successione), lo skate board (corsa su tavole dotate di rotelle), il wind skate (come il precedente, ma con l'ausilio di una piccola vela, una sorta di wind surf terrestre) e la mountain bike (gara con biciclette speciali su terreni particolarmente accidentati). A queste nuove pratiche sportive vanno inoltre affiancate attività di non diretta derivazione californiana, che però possiedono caratteristiche simili e si sono diffuse negli ultimi anni in forme e su scala inedite: prove di coraggio, destrezza e resistenza come le regate veliche in solitario, il parapendio, il paracadutismo a caduta libera o la canoa su torrenti naturali.
Secondo quanto afferma uno studioso che tra i primi si è occupato di questi sport (v. Ponciello, 1987), essi si caratterizzano per essere in totale antitesi tecnica e simbolica rispetto ai modelli più consolidati dello sport tradizionale. Si tratta, infatti, di attività di avventura che richiedono un discreto contenuto tecnologico, vengono praticate individualmente o in piccoli gruppi, a contatto con spazi naturali estesi e possibilmente incontaminati e nelle quali, infine, alla competizione basata sulla rivalità si sostituisce la cooperazione in funzione di una sfida collettiva. Si tratta, dunque, di sport a basso tasso di regolamentazione e quasi sempre privi di un riferimento spaziale misurabile e delimitato, quale possono avere uno stadio o un campo d'atletica con i loro rigorosi e geometrici spazi funzionali. Ma soprattutto il divario con i moderni sport di cui ci siamo occupati sinora si misura nel diverso approccio culturale che ispira queste nuove pratiche, e che consiste principalmente nell'esplicito rifiuto di quelle forme di competitività e aggressività che contraddistinguono gli sport tradizionali, soprattutto quelli di squadra. Con gli sport californiani, infatti, si tende ad affermare il principio che la pratica sportiva è un mezzo di autoperfezionamento, una sorta di continua competizione con se stessi volta al miglioramento del proprio corpo e della propria personalità e dunque non finalizzata a se stessa.
L'affermazione di questo principio significa sostanzialmente tre cose (v. Lepre, 1993). In primo luogo, sta a significare che questi sport trovano la loro ragion d'essere in un'accentuata forma di competitività con se stessi, ovvero nel costante tentativo di superare lo standard d'eccellenza ogni volta raggiunto. Parte integrante della pratica sportiva diviene, quindi, un innalzamento illimitato della posta in gioco, innalzamento dovuto al fatto di volersi mettere continuamente alla prova secondo una scala di difficoltà crescenti e avendo come unico punto limite la propria incolumità fisica. In quest'ottica, non si deve sconfiggere un avversario con una prestazione superiore alla sua. Si gareggia piuttosto contro se stessi e, per vincere, bisogna superare i propri limiti. In secondo luogo, alla base di questi sport vi è, come forte spinta motivazionale, il perseguimento di un ideale di perfezione corporea, e ciò pone queste discipline in sintonia con tutta la famiglia delle attività salutistiche a forte impronta filosofica. La cultura della corporeità che si esprime in questi sport si ricollega infatti a molti precetti delle filosofie e religioni orientali che privilegiano la ricerca dell'interiorità, dell'integrità fisica e della pace con se stessi come mezzi indispensabili per giungere alla conoscenza del vero 'io' e scoraggiano qualsiasi forma di competizione che produca una tangibile relazione di superiorità/inferiorità nei confronti degli altri e dell'ambiente circostante. È un bisogno complessivo di salutismo che viene perseguito attraverso l'utilizzo delle potenzialità della natura secondo codici di adeguamento e non di dominio brutale dei suoi elementi. Saper sfruttare i venti, le correnti, gli appigli, le caratteristiche ambientali senza opporvisi, ma anzi assecondandone le naturali disposizioni appare in questa prospettiva sia una espressione di rispetto per il mondo circostante, sia una dimostrazione della superiorità dell'equilibrio interiore sulla forza bruta. Si tratta di una Weltanschauung che si spiega facilmente se solo si considera la cultura di provenienza di gran parte di queste discipline californiane, vale a dire la cultura hippy degli anni sessanta, con i suoi tratti utopici, pacifisti e ispirati ai miti e ai precetti delle religioni orientali. In terzo luogo, alla base di questi sport vi è anche un forte bisogno di imprevedibilità, dal momento che uno dei principali segreti del fascino che essi sono in grado di esercitare risiede proprio nelle difficoltà inaspettate che si trova ad affrontare chi li pratica. Lo spazio in mezzo alla natura non è mai un ambiente stabile: cela sorprese e crea incertezza nel coglierne la fisionomia e nel modo di gestirlo. A chi pratica questi sport, in altri termini, è richiesto di imparare a prevedere gli ostacoli, a decifrare i vortici dei fiumi, le onde del mare, le lastre di neve ghiacciata, le fessure di una parete. Di fronte agli imprevisti connessi con l'incertezza dell'ambiente, l'atleta deve continuamente fare previsioni e acquisire una sorta di 'competenza informativa' riguardo alle mosse o ai gesti che deve compiere. Deve proiettarsi di continuo al di là dell'ostacolo con l'aiuto degli indizi che scopre, prevenire le possibili difficoltà di percorso e anticipare le risposte.
Pur con tutte queste attrattive, che fanno intravvedere una ricerca di forme di vita più istintive, più imprevedibili e di conseguenza più emozionanti, la recente evoluzione delle pratiche californiane ha tuttavia messo in evidenza come anch'esse riescano difficilmente a sfuggire alla logica che presiede, in generale, allo sviluppo degli sport moderni più consolidati di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente. Per praticare sport di questo genere ad alti livelli e in sicurezza occorre infatti, innanzitutto, essere ben allenati. Da qui la necessità di addestrarsi in spazi artificiali: le pareti di cemento, metallo o materiali plastici del free climbing, i fiumi con portata d'acqua programmabile per il kayak, le piste sciistiche prefabbricate e coperte per lo sci estremo. Da qui anche il ricorso massiccio agli ultimi ritrovati della tecnologia moderna: fibre di vetro e di carbone, poliuretano, kevlar, ceramiche, leghe speciali, ovvero gli ultimi ritrovati della scienza contemporanea impiegati al fine di controllare e assoggettare sempre meglio gli elementi della natura. Da questo punto di vista non è dunque fuori luogo affermare, come è stato fatto, che gli sport di piena natura sono sport di piena cultura.
Ma, soprattutto, il nuovo spirito di avventura che è alla base di questi sport e ha conquistato milioni di praticanti in tutto il mondo si è rivelato un ottimo veicolo pubblicitario per una platea di spettatori passivi sempre pronti a eccitarsi di fronte al pericolo. Da qui il costante impiego di atleti altamente specializzati e professionalizzati. Da qui, e di nuovo, l'entrata in campo degli sponsors commerciali e della televisione. Spettacolarizzata, ridotta a una suggestione culturale funzionale al consumo dalla riproduzione televisiva e pubblicitaria, anche questa ricerca emozionante di gratuità che si esprime attraverso un'attività sportiva originale pare così oggi destinata a perdere sempre più le sue potenzialità più entusiasmanti e ludiche. (V. anche Tempo libero).
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