SRĪ LAṄKĀ
(v. ceylon, IX, p. 905; App. II, I, p. 564; III, I, p. 353; Srī Laṅkā, App. IV, III, p. 444)
Laṅkā è la versione sanscrita di Taprobane; con quest'ultimo nome gli antichi navigatori greci, romani e arabi indicavano l'isola che nella tradizione occidentale suole essere chiamata Ceylon. Srī ha valore di prefisso augurale. L'incremento demografico, che nel 19° secolo era per gran parte imputabile all'immigrazione, è oggi dovuto all'eccedenza dei nati sui morti. La natalità, fissata sul 39ı durante il trentennio 1921-53, è precipitata al 21ı (1991); parimenti la mortalità è scesa dal 31 al 5,5ı. Su una popolazione totale di 17.400.000 ab. secondo il censimento del 1991, i Singalesi rappresentano la maggioranza (75%), seguiti dai Tamiḻ e dai Tamiḻ dell'India (5,5%), immigrati negli ultimi due secoli, richiamati dal lavoro nelle piantagioni. La religione buddhista introdotta nel 3° secolo a.C. è ora professata dal 69% della popolazione; gli induisti − per lo più Tamiḻ − rappresentano invece il 15,2% del totale. Un altro 15% è suddiviso in parti uguali fra musulmani e cristiani. Nel 1990 la popolazione urbana rappresentava appena il 21,4% del totale. Molto bassa è la percentuale di analfabeti: 12%.
L'agricoltura costituisce la fonte principale di reddito e partecipa per il 24% alla formazione del prodotto nazionale lordo (1992). Alle piccole aziende a conduzione familiare, ove si pratica un'agricoltura di sussistenza, si contrappongono o piuttosto si contrapponevano le grandi aziende di piantagione (tè, noce di cocco, caucciù) introdotte al tempo della sovranità britannica e nazionalizzate a partire dal 1975. Per la produzione di tè lo S.L. figura al quarto posto nel mondo, dopo l'India, la Cina e il Kenya. Tra le altre coltivazioni riveste discreta importanza la palma da cocco (1.750.000 t di noci nel 1992), i cui prodotti sono destinati per lo più all'esportazione: noci, olio e, soprattutto, copra (1.300.000 q). Notevole la produzione di riso (22,5 milioni di q), che copre completamente il fabbisogno interno.
L'industria (incluso il settore estrattivo, manifatturiero, delle costruzioni e dell'energia) contribuisce − secondo una stima − al 29,2% del prodotto nazionale lordo e impiega il 18,6% della popolazione attiva. Tra gli impianti, che si concentrano alla periferia di Colombo, emergono quelli tessili e quelli che lavorano i prodotti locali (oleifici, zuccherifici, fabbriche di gomma, manifatture di tabacco, concerie, ecc.); si hanno, inoltre, cementifici, due industrie siderurgiche e una raffineria di petrolio.
Il commercio estero presenta sempre un certo deficit e si svolge essenzialmente con il Giappone e gli Stati Uniti. In crescente sviluppo è il turismo (circa 400.000 visitatori nel 1992).
Bibl.: E. Meyer, Ceylan. Sri Lanka, Parigi 1981, 19923; U. Schweinfurth e altri, Forschungen auf Ceylon II, Wiesbaden 1981; K. Stokke, L.S. Yapa, H.D. Dias, Growth linkages, the nonfarm sector and rural inequality: a study in Southern Sri Lanka, in Economic Geography, 67 (1991), 3, pp. 223-39; S.K. Hennayake, Interactive ethnonationalism. An alternative explanation of minority ethnonationalism, in Political Geography, 11 (1992), 6, pp. 526-49.
Storia. - La nuova costituzione del 1978 aveva trasformato S.L. in una repubblica presidenziale, con a capo lo stesso J.R. Jayawardene, leader del Partito dell'Unione Nazionale, al potere dal 1977. Jayawardene cercò di sollevare il paese dalla sua grave crisi, caratterizzata da inflazione e disoccupazione in continua ascesa, reintroducendo elementi di un'economia di mercato. Nelle elezioni presidenziali dell'ottobre del 1982, Jayawardene fu confermato in carica con il 53% dei voti. Allo scopo di risolvere la controversia con la minoranza etnica tamiḻ il governo si era nel frattempo adoperato per favorire un'amministrazione sempre più decentrata, attraverso lo sviluppo dei Consigli provinciali. Nel 1980 il Parlamento aveva approvato l'istituzione di 24 Consigli le cui elezioni si tennero l'anno successivo. Tale misura legislativa non servì però a risolvere i problemi posti dal movimento separatista tamiḻ e dai suoi vari gruppi di guerriglia in azione nelle zone settentrionali e orientali del paese.
Il conflitto tra le etnie singalese e tamiḻ si acutizzò con le elezioni del 1983 in seguito alle quali scoppiarono violenti disordini, principalmente a Jaffna e dintorni, al punto da far dichiarare al governo lo stato di emergenza. Nella tesa situazione politica, il governo indiano svolse con I. Gandhi prima e con il suo successore R. Gandhi poi un costruttivo ruolo di mediatore nel tentativo di favorire il dialogo tra il governo dello S.L. e il TULF (Tamil United Liberation Front), principale interlocutore in rappresentanza dell'etnia tamiḻ. La conferenza del 1984 e i successivi colloqui tra le parti, nonché i tentativi di negoziato del 1986 furono interrotti da atti di terrorismo e continui scontri tra le truppe regolari e i guerriglieri tamiḻ. Dal 1983 al 1987 si ebbero circa 6000 morti e si giunse anche allo scontro armato tra alcune fazioni del movimento separatista, lotta in cui ebbe la meglio il LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam), la più intransigente delle formazioni guerrigliere. I tentativi fatti in seguito dal governo per riprendere il controllo sui territori nord-orientali e soprattutto su Jaffna, roccaforte del LTTE, ebbero in risposta nuovi attentati terroristici.
Gli aiuti umanitari offerti a Jaffna dal governo indiano in quell'occasione furono interpretati in un primo tempo dallo S.L. come un sostegno offerto alla causa separatista tamiḻ e causarono, pertanto, tensione nei rapporti tra i due stati finché non fu siglato un accordo (29 luglio 1987) in base al quale, tra l'altro, erano previsti l'assistenza militare dell'India, l'amnistia generale dei militanti tamiḻ e un referendum per l'istituzione di un'unica provincia settentrionale a base etnica tamiḻ. Malgrado la dura opposizione del SLFP (Sri Lanka Freedom Party) e della maggioranza singalese, compreso il clero buddhista, l'accordo fu firmato e le forze d'intervento di pace indiane provvidero alla smilitarizzazione dei gruppi armati tamiḻ, eccetto il LTTE che si rifiutò di consegnare le armi.
All'inizio del 1988 il governo fece un ulteriore passo verso la decentralizzazione creando una rete di 68 Consigli distrettuali (pradeśya sabha). Le elezioni indette nella nuova provincia furono però boicottate, e verso la fine dell'anno l'amministrazione della provincia fu affidata a un gabinetto regionale. Nel dicembre 1988 fu eletto presidente della Repubblica R. Premadasa. Tra gli anni Ottanta e gli inizi di questo decennio il LTTE ha continuato le sue azioni di guerriglia per mantenere il controllo sulle zone centro-settentrionali del paese, mentre il governo indiano, che ritiene questo gruppo responsabile della morte di R. Gandhi (e lo ha dichiarato ufficialmente), ha preso definitivamente le distanze da esso. Tentativi di negoziati tra il governo singalese e il LTTE, in corso alla metà del 1993, furono interrotti dall'assassinio del presidente Premadasa. Con le elezioni del 1994, che hanno visto, dopo diciassette anni di dominio politico, la sconfitta e il passaggio all'opposizione dell'Unione Nazionale, nonché l'uccisione del suo leader candidato G. Dissanayache, è stata eletta presidente C.B. Kumaratunga, leader dell'Alleanza Popolare, la quale ha messo all'ordine del giorno proprio il conflitto etnico-politico, ormai ritenuto la ''questione nazionale'', per ricercarne la soluzione politica. Dopo dodici anni di guerriglia infatti il bilancio è di 30.000 vittime, senza contare, oltre ai costi umani, quelli delle risorse materiali, essendo il conflitto, tra l'altro, ormai da tempo un ostacolo alle possibilità di investimenti di capitali stranieri nell'isola.
Bibl.: J. Jupp, Sri Lanka, Third World democracy, Londra 1978; J. Jiggins, Caste and family in the politics of the Sinhalese, Cambridge 1979; A.J. Wilson, The Gaullist system in Asia, The Constitution of Sri Lanka (1978), Londra 1980; K.M.A. de Silva, History of Sri Lanka, ivi 1982; Id., Managing ethnic tension in multi-ethnic societies: Sri Lanka 1880-1985, New York 1986; S.J. Tambiah, Sri Lanka: ethnic fratricide and the dismantling of democracy, Chicago 1986; P. Ramaswamy, New Delhi and Sri Lanka. Four decades of politics and diplomacy, Nuova Delhi 1987; AA.VV., Sri Lanka: History and the roots of conflict, a cura di J. Spencer, Londra-New York 1990.
Letteratura. - L'inizio del 19° secolo segna una svolta nella letteratura singalese, che viene ad assumere, da quest'epoca in poi, un carattere laico e si apre a nuovi generi quali il romanzo, il racconto e le composizioni in versi liberi. Con la dominazione britannica del paese, durante il 19° e la prima metà del 20° secolo (nel 1948 ottenne l'indipendenza nell'ambito del Commonwealth), si producono nell'isola cambiamenti politici, economici e sociali, che costituiscono il quadro storico che fa da sfondo alla letteratura moderna. La nascita di un'élite permeata di cultura occidentale e la diffusione della lingua inglese sono due fattori dominanti di tale quadro. Questo processo evolutivo aveva già avuto inizio nel secolo 19° con l'introduzione da parte degli Olandesi della stampa, che consentiva al singolo individuo la fruizione diretta del testo, in contrapposizione alla letteratura classica che destinava invece le proprie composizioni a un uditorio più o meno vasto; nasce, quindi, uno stile letterario individuale, tutt'affatto diverso da quello declamatorio della letteratura classica. Quest'innovativo processo tecnico aveva, da un lato, incrementato la diffusione di giornali e di riviste in lingua singalese creando un nuovo mondo di lettori, dall'altro, dato vita a un penetrante processo d'informazione collettiva. Contemporaneamente, l'attività letteraria, svolta soprattutto da scrittori cristiani, e il numero considerevole di traduzioni singalesi di opere occidentali avevano contribuito a diversificare il gusto e gli interessi dei lettori. I primi tentativi di narrativa hanno in L.I. De Silva e H. Kannangara, autori rispettivamente di Pavul deka (1866-83, "Le due famiglie") e di Grāma Pravṛttiyak (1876, "Una storia di paese") che tessono l'elogio delle virtù cristiane, i loro più significativi rappresentanti. Il romanzo viene utilizzato da parte dei nazionalisti buddhisti essenzialmente per fini riformatori: com'è nel caso di P. Sirisena (1875-1946), riformatore, oltreché romanziere, poeta e giornalista, autore di Vāsanāvanta vivāhaya hevat Jayatissa saha Rosalin (1904, "Il matrimonio felice o Jayatissa e Rosalin"), Taruṇiyakagē prēmaya (1916, "L'amore di una fanciulla"), Apaṭa vecca dē (1918, "Ciò che ci è accaduto"), Atbhuta āgantukayā (1928, "Lo strano visitatore"), Vikramapālagē vikrama ("Le imprese di Vikramapāla"), che sotto questo titolo generale raccoglie una serie di romanzi polizieschi.
Risponde invece a un fine diverso, che è quello di ''divertire'' il lettore con i suoi romanzi, W.A. Silva (1892-1957). Autore fecondo, nei suoi scritti tratta soprattutto di amore e di intrighi sensazionali; tra le sue opere più note ricordiamo: Siriyālatā hevat anātha taruṇi (1909, "Siriyālatā o l'orfana"); Lakshmī hevat nonäsena räjini (1922, "Lakshmī o la regina immortale"); Kälāhaňda (1933, "La luna della giungla: la bella sconosciuta"). Non meno noti sono i suoi tre romanzi di carattere storico: Daivayōgaya (1936, "L'intervento del destino"); Sunētrā nohot avicāra samaya (1936, "Sunetra o il regno del terrore"), Vijayabā kollaya (1938, "L'assassinio di Vijayabāhu"). Di chiaro intento satirico, nei confronti della signoria feudale, è invece il romanzo Radaḷa piḷiruva (1939, "Il Signore fantoccio").
Si devono tuttavia a M.M. Wickremasinghe (1890-1976), attento interprete della cultura tradizionale singalese, i primi romanzi di autentico valore letterario. Leela, il suo primo romanzo, risale al 1914. Ad esso fecero seguito Miriṅguva (1925, "Il miraggio", ispirato ad Anna Karenina di Tolstoj) e tre romanzi che hanno come sfondo le trasformazioni verificatesi nella società tradizionale dello S.L.: Gamperaliya (1944, "Il villaggio che cambia"), dal quale il regista L.J. Peiris trasse il soggetto per un film (1964); Yugāntaya (1949, "La fine dell'universo"); Kaliyugaya (1957, "L'era Kali"). Il suo capolavoro è tuttavia Virāgaya (1956, "Il distacco"). Va ricordato che Wickremasinghe è considerato anche il pioniere della critica letteraria per il suo tentativo di operare una sintesi tra i principi letterari orientali e quelli occidentali.
Tra gli autori contemporanei predomina la figura di E.R. Sarachchandra (n. 1914), docente universitario, critico, saggista, romanziere e sceneggiatore. Ha tradotto in inglese tre dei suoi romanzi: Heṭa eccara kaḷuvara nǟ (1975; Curfew and a full moon, 1978), che narra l'insurrezione avvenuta in S.L. nel 1971, Maḷagiya atto (1959, "I defunti") e Maḷavungē avurudu dā (1965, "L'anniversario dei defunti"), riuniti sotto il titolo comprensivo di Foam upon the stream (1987). Basato sul suo soggiorno a Parigi, dove fu ambasciatore dal 1974 al 1977, è il romanzo With the begging bowl (1986). I suoi lavori più interessanti sono, comunque, quelli di genere teatrale. Sono da ricordare ancora i romanzieri G. Amarasekera (n. 1929), autore di Yaḷi upannemi (1960, "La seconda vita") il cui contenuto piuttosto licenzioso provocò un certo scalpore; e S. Gunasinghe (n. 1931), autore di un unico romanzo: Hevanälla (1960, "L'ombra") che ricorda, nello stile, Lo straniero di A. Camus, e i popolari K. Jayatilaka e M.S. Ratnayaka. Nel campo della novellistica influenzata dalle opere di G. de Maupassant e A. Cecov si sono distinti: W.A. Silva, M.M. Wickremasinghe, E.R. Sarachchandra, G. Amarasekera, H. Munidasa, T.G.W. De Silva e G.B. Senanayake (1913-1985).
È a partire dal 19° secolo che si sviluppa il nāḍagam, forma teatrale di carattere rudimentale e d'ispirazione cattolica e tamilica che diventa subito popolare. P. Si·n·no è autore di una decina di composizioni teatrali di questo tipo. C. Don B. Jayawira Bandara (1852-1921, J. De Silva (1887-1922) sono invece autori di nūrtiya, una forma di operetta che si ispira al teatro musicale dei Parsi, affermatasi intorno alla fine del secolo 19°. Di notevole importanza è l'opera di E.R. Sarachchandra che, dopo aver adattato al singalese un gran numero di opere occidentali e russe, darà vita a un nuovo stile musicale e coreografico. Tra le opere appartenenti a questo stile sono da ricordare Maname (1956) il cui contenuto si ispira al Culla Dhanuggaha Jātaka e la cui forma ricalca il teatro giapponese Nō e Kabuki. Il capolavoro è tuttavia rappresentato da Siṃhabahu (1961, "Colui che ha la forza di un leone" ovvero "Il terribile"), basato sulla cronaca del Mahāvaṃsa e ispirato all'origine della razza singalese.
La poesia moderna è rappresentata da quattro diverse correnti: dei tradizionalisti, dei puristi, dei modernisti e degli ultra-modernisti.
La prima riunisce i poeti legati alla ''tradizione'' più antica, sia per quanto si riferisce ai temi, sia per quanto attiene alle immagini e alla lingua. Tra i rappresentanti più rinomati di questa corrente sono: A. Rajakaruna (1885-1957); G.H. Perera (1896-1948); P. Sirisena; S. Mahinda (1902-1951); K.H. De Silva (1907-1976) e B.H. Amarasena (1910-1951).
La corrente purista deriva la sua denominazione dal fatto che i suoi rappresentanti impiegano una lingua elegante e artificiosa; sono da ricordare fra questi M. Kumaratunga (1887-1944) e R. Tennakoon (1890-1964).
La corrente moderna è caratterizzata dall'impiego del linguaggio comune e dalla costante ricerca di immagini nuove tratte dalla vita e dalle esperienze quotidiane. Tra i suoi rappresentanti più noti si ricordano: S. Chandrasiri, M. Jayakody, M.H. Kudaligama, W. Kumaragama, P. Malalgoda, Ś.C. Manawasinghe, S. Palansooriya, P.B. Alwis Perera, M.K. Prematileke e M. Sekera. La corrente ultra-moderna riunisce quei poeti che hanno cercato di staccarsi completamente dalla tradizione; emergono tra questi i nomi di G. Amarasekera, S. Gunasinghe, G.B. Senanayake. I poeti delle prime tre correnti impiegano quasi sistematicamente quartine ritmiche tradizionali, mentre gli ultramoderni impiegano di preferenza versi liberi impreziosendoli di ricercate variazioni tonali. A tanta vastità di produzione la poesia moderna non sa tuttavia affiancare adeguata spontaneità e pari intensità emotiva, tipiche invece della poesia popolare.
Bibl.: Antologie: Poetry from the Sinhalese, being selections from folk and classical poetry, trad. G. Keyt, Colombo s.d. (1938); An anthology of Sinhalese literature up to 1815, a cura di C.H.B. Reynolds, Londra 1970; An anthology of modern writing from Sri Lanka, a cura di R. Obeyesekere e Ch. Fernando, Tucson (Arizona) 1981; An anthology of Sinhalese literature of the twentieth century, a cura di C.H.B. Reynolds, Woodchurch 1987.
Studi: W. Geiger, Literatur und Sprache der Singhalesen, Strasburgo 1900; W.A. De Silva, The popular poetry of the Sinhalese, in Journal of the Ceylon Branch of the Royal Asiatic Society, 24, 68: (1915-16); M. Wickremasinghe, Landmarks of Sinhalese literature, Colombo 1948 (trad. ingl. 1963); E.R. Sarachchandra, The Sinhalese novel, ivi 1950; Id., The folk drama of Ceylon, ivi 1952 (19662); C.E. Godakumbura, Sinhalese literature, ivi 1955; J. De Alwis, A survey of Sinhala literature, being an introduction to a translation of the ''Sidatsangarava'', ivi 1966; H.A.I. Goonetileke, A bibliography of Ceylon, 5 vol., Zug 1970, 1976, 1983; E.R. Sarachchandra, Language and literature in the nineteenth and twentieth centuries, in University of Ceylon, History of Ceylon, vol. 3, Colombo 1973; H. Bechert, Die Literatur der Singhalesen, Monaco 1974; R. Obeyesekere, Sinhalese writing and the new critics, Colombo 1974; J. Liyanaratne, Catalogue des manuscrits singhalais, Parigi 1983; Id., Singhalaise (Littérature), in Dictionnaire universel des littératures, ivi 1994, pp. 3543-49.
Archeologia. - La produzione artistica dello S.L., concentrata per lo più nella parte centro-settentrionale dell'isola, è essenzialmente buddhistica e raggiunge il massimo della fioritura in due grandi periodi: Anurādhapura (in due fasi: 3° secolo a.C.-5° secolo d.C.; 5°-10° secolo d.C.) e Polonnaruwa (11° secolo-1270 d.C.), dal nome delle antiche capitali. Fino al periodo di Polonnaruva molti edifici, costruiti in materiali deperibili, sono andati distrutti e altri sono stati rinnovati nel corso dei secoli.
Quanto all'architettura religiosa, ad Anurādhapura, fra gli stūpa (singalese dāgoba) più antichi sono da annoverare il Thūpārāma e il Mahāthūpa ruvanvälisäya (secondo la leggenda, costruiti nel 3° secolo a.C. e ampliati nei secoli successivi), l'Abhayagiri (prima metà del 1° secolo a.C.) e il Jetavana (3° secolo d.C.), rinnovati nei secoli 12° e 13°. Alla prima fase del periodo di Anurādhapura (1° secolo a.C.-4° secolo d.C.) risale la costruzione di alcuni stūpa monumentali il cui diametro poteva superare i 100 m (Abhayagiri).
Gli stūpa dello S.L. in genere consistono in un basamento a pianta circolare − con tre terrazze digradanti verso l'alto − che poggia su di una piattaforma a pianta quadrata o circolare cui si accede tramite una serie di gradini e talvolta circondata da un muro di cinta con funzione di vedikā (sacro recinto). Sul basamento s'impianta l'aṇḍa (cupola) sormontata da harmikā (balaustra) e chattrāvalī (ombrelli). A partire dalla seconda metà del 2° secolo d.C. ai punti cardinali del basamento si possono trovare delle edicole sporgenti (vāhalkaḍa), equivalenti agli āyaka degli stūpa indiani dell'Andhradeśa (Amarāvatī, Nāgārjunakoṇḍa), cui sono stati avvicinati (Mahāthūpa). A partire dal 3°-4° secolo d.C. alla base delle gradinate di accesso allo stūpa compaiono delle ''pietre lunate'' situate fra due stele, e la cui forma, inizialmente semicircolare, a partire dal 13° secolo tenderà ad allungarsi. La decorazione, originariamente floreale o formata da file di animali simboleggianti lo zenith e i quattro punti cardinali scolpiti su fasce concentriche disposte attorno a un loto stilizzato, a partire dal 13° secolo tenderà a divenire unicamente floreale.
Quanto ai bodhigara, edifici per l'albero della bodhi (illuminazione), il più famoso è il bodhigara del Nillakgama di Anurādhapura (8°-9° secolo), dove un muro di cinta delimitava una terrazza a pianta quadrata con, al centro, l'albero sacro. Sulla parte esterna del muro erano quattro troni in corrispondenza dei punti cardinali.
Il vaṭadāgē (cetiyagara, thūpagara) è un edificio a pianta circolare racchiudente uno stūpa di piccole dimensioni. Costruito su alta piattaforma, ha una copertura sorretta da pilastri di pietra che può prolungarsi in un tetto a sima, più basso, sostenuto da pilastri concentrici (Thūpārāma, Laṅkārāma), con gli ingressi ai quattro punti cardinali. Ispirato a prototipi indiani, si diffonde a partire dai secoli 7°-8°.
I paṭimāghara sono edifici destinati ad accogliere l'immagine del Buddha. Il più famoso è il Vijayārāma di Anurādhapura, sacello a pianta quadrata preceduto, a sud, da un vestibolo con tre porte, una d'ingresso, la seconda di accesso al sacello, e la terza sul lato orientale. L'edificio poggia su di una terrazza circondata da un muro in mattoni incorporante dei pilastri di pietra di sostegno alla sovrastruttura, oggi scomparsa. All'interno del sacello il sanctum, a pianta quadrata, è delimitato da pilastri in seguito incorporati in un muro per creare il garbhagṛha e il corridoio destinato alla circumambulazione, su tre lati (il quarto è bloccato).
I geḍige, simili ai precedenti nella pianta e destinati a ospitare le immagini (per lo più colossali) del Buddha, si differenziano dai primi per l'impiego quasi esclusivo del mattone (geḍige ed ''Edificio A'' di Anurādhapura − rispettivamente del 7°-10° e dell'8°-9° secolo −, il secondo con un vestibolo e degli scalini in pietra che probabilmente conducevano ai piani superiori). I geḍige raggiungono il massimo sviluppo nel periodo di Polonnaruva. Simili ai precedenti e destinati a ospitare Buddha colossali, sono edifici in mattoni costruiti a ridosso di pareti rocciose (Avukana, 8°-9° secolo, con un sanctum).
Da ricordare infine i pāsāda (edifici, residenziali o di culto, a pianta rettangolare con un solo ingresso su uno dei lati lunghi), i bhojanasālā (refettori, sale per elemosine, a pianta quadrata o rettangolare, con tre ingressi sullo stesso lato), e i janthāghara (bagni o cucine?).
I monasteri raggiungono il pieno sviluppo nei secoli 7°-10°. Sono di quattro tipi: monasteri ''organici''; pabbata vihāra; pañcāyatana pariveṇa; padhānaghara pariveṇa.
I monasteri ''organici'' sono complessi formati sia dalle più antiche residenze monastiche raggruppate intorno a edifici liberi, ricavati nella roccia o in grotte naturali (Mihinataḷe, Vessagiriya), sia da grossi centri buddhistici urbani dell'area di Anurādhapura (Mahāvihāra, Mirisaväṭivihāra, Abhayagiri, Jetavana, Thūpārāma, Laṅkārāma, i secondi rappresentati in genere da un insieme di singole unità: bodhigara, paṭimāghara, pabbata vihāra, pañcāyatana pariveṇa, padhānaghara pariveṇa, ecc. I pabbata vihāra, comprendenti stūpa, bodhigara, uposathaghara e paṭimāghara, si trovano soprattutto nelle aree suburbane e provinciali; anche se talvolta parte di un complesso ''organico'', sono in genere unità indipendenti più piccole (Vijarāmā, Pankuliya, Puliyankulam, Pācīmatissapabbata, Magulmahāvihāra, Moragoda, Toluvila, Kalusiyapokuna, Mäṇikdeṇa, Vessagiriya, Pulukunāvi). I pañcāyatana pariveṇa (per es. quelli all'interno del Mahāvihāra e dell'Abhayagirivihāra), insieme ai padhānaghara pariveṇa, sono sotto-monasteri tipici della fase tarda di Anurādhapura.
Quanto all'architettura civile, l'edificio più noto è il palazzo-fortezza di Sigiriya (5° secolo), all'interno della città recinta costruita sulla sommità di una roccia, cui si accede tramite una galleria scavata lungo la parete rocciosa e una gradinata. Sul lato occidentale della roccia di Sigiriya sono state rinvenute delle pitture a tempera di altissima qualità, raffiguranti apsaras (figure femminili volanti) a mezzo busto ed emergenti dalle nubi, e che, stilisticamente, si avvicinano alla contemporanea pittura indiana di Ajanta. Fino al 13° secolo la scultura dello S.L., buddhista sin dalle origini, è influenzata da quella indiana contemporanea. Se, stilisticamente, nelle pietre ''lunate'' si è voluta vedere una reminiscenza Maurya, la più antica produzione locale, i cui inizi risalgono a epoca non anteriore al 1°-3° secolo e che è rappresentata da una serie di rilievi su stele o pilastri, tale scultura si avvicina alla produzione Andhra, e, a partire dal 5° secolo, a quella del Deccan e dell'India meridionale (Cāḷukya Occidentali, Pallava e Coḷa). La scultura singalese raggiunge il pieno sviluppo nel 3°-4° secolo, epoca a cui risalgono i primi grandi Buddha stanti, la cui tipologia rimarrà costante per circa un millennio.
Privi di alone, questi Buddha hanno i capelli con i riccioli a chiocciola, la spalla destra scoperta e tengono con la sinistra un lembo della veste, il cui panneggio forma una pesante piega a linee incise singole o doppie, abbastanza distanziate. Stilisticamente, i successivi Buddha, che risentono dell'influenza tardo-Andhra e Gupta, si differenziano dai precedenti per il trattamento delle vesti che ora divengono ''bagnate'', con le pieghe a linee parallele più ravvicinate e regolari, mentre i corpi si assottigliano e perdono l'austera e massiccia monumentalità delle scuole precedenti (Buddha di Avukana, 8°-9° secolo). A un'epoca non anteriore al 6°-7° secolo sembrano risalire i più antichi Buddha seduti in posa meditativa, d'impronta Pallava (Buddha della Outer Circular Road di Anurādhapura, dell'8° secolo). Le raffigurazioni del Buddha in parinirvāṇa sono frequenti a partire dall'8°-9° secolo. Fra i più famosi, il Buddha disteso del Galvihāra di Polonnaruva (13° secolo), che, insieme a quello stante di Avukana, è testimonianza del fenomeno del gigantismo, presente nello S.L. sin dal 7° secolo. Le raffigurazioni di bodhisattva rientrano in due categorie: Avalokiteśvara, spesso rappresentato con una pelle di leone intorno ai fianchi, testimonianza della sua fusione con Śiva (Avalokiteśvara di Stiltupāvuva, attribuito all'8° secolo), e Kuṣṭarāja (''re lebbroso''), in abito principesco. Notevole la produzione bronzea, buddhistica (Buddha seduto di Badulla, del 5° secolo, conservato nel museo di Colombo; immagine stante di Dattinī Devī del 7-8° secolo, oggi nel British Museum) e hindu, la seconda fiorita per lo più nel 10°-11° secolo e d'influenza Coḷa. Notevole la produzione in avorio, i cui più antichi esemplari pervenuti risalgono al periodo di Kandy.
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Cinema. - Dal 1947 alla metà degli anni Cinquanta, i film singalesi vennero prodotti negli studios dell'India meridionale, sul modello delle opere hindi e tamiḻ, con registi e tecnici indiani, sceneggiatori e attori singalesi. Soltanto nel 1956 apparve il primo lungometraggio girato interamente nell'isola, Rekava ("La linea del destino"), diretto da L.J. Peries, che ripropone originalmente moduli neorealistici. In un panorama ancora privo di tradizioni cinematografiche e dominato dalle basse imitazioni dei filoni commerciali indiani, il regista singalese si affermò come il solitario pioniere di una produzione nazionale di qualità. Con i suoi film successivi, da Gamperaliya ("Il villaggio che cambia", 1963) a Yuganthaya (1984), il cinema singalese si affacciò alla ribalta internazionale. Dalla fine degli anni Cinquanta anche P. Hettiarachi si segnalò in numerosi festival europei per la sua attività documentaristica. Mentre negli anni Settanta la produzione divenne più variegata e vivace − grazie anche alla costituzione, nel 1972, della State Film Corporation (SFC) che assunse il monopolio della distribuzione e dell'importazione giocando un ruolo importante nella promozione delle opere di qualità −, gli inizi degli anni Ottanta furono contrassegnati da una fase involutiva in cui fu coinvolta anche la SFC, che prese il nuovo nome di National Film Corporation (NFC). All'annoso problema della distribuzione dei film nazionali, non assorbiti dal mercato locale, si aggiunse la concorrenza della televisione appena istallata. Tuttavia la crisi delle istituzioni e delle strutture non si è trasformata in una crisi di talenti. Tra i maggiori registi operanti negli anni Settanta e Ottanta vanno ricordati, oltre a M. Sandrasagara e G. Fonseka, due personaggi di rilievo come A. Jayatilaka (Arunata Pera, "Prima dell'alba"), e S. Peries, moglie del noto regista (Gehenu lamai, "Le ragazze", 1977; Ganga addara, "La riva del fiume"; Lokuduwa, "La figlia maggiore", 1994). Ad essi vanno aggiunti i nomi di Dh. Pathirajak, Dh. Bandaranayaka, T. Abeysekera, V. Obeysekera, Dh. Wickremaratne, D.B. Nihalsingha. Negli anni Ottanta esordisce Ch. Rutnam che, dopo aver studiato e lavorato negli Stati Uniti, torna in patria per girare il suo primo lungometraggio, Adara Kathawa, storia d'amore sullo sfondo dei pregiudizi razziali. I primi anni Novanta vedono una rinascita del cinema singalese grazie all'interessamento del presidente Premadasa, che rinnova la politica produttiva della NFC. Tra i film più rilevanti si ricordano Kadapathaka Chaya (1989) di V. Obeysekara, e Yuvathipathi ("Marito e moglie", 1992) di A. Jayatilaka.
Bibl.: Sri Lanka, in Variety International Film Guide, a cura di P. Cowie, Londra 1990-95.