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Lo Sri Lanka, paese insulare dell’Oceano Pacifico, ha raggiunto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948 e, a tutt’oggi, è parte del Commonwealth. La sua collocazione e la vicinanza geografica all’India fanno sì che le relazioni bilaterali tra i due paesi costituiscano la direttrice più importante dei rapporti regionali e internazionali dello Sri Lanka, sia dal punto di vista politico che da quello economico. L’India, del resto, è stato anche uno degli attori che maggiormente è intervenuto nel corso della lunga guerra civile che ha interessato lo Sri Lanka per più di 25 anni, tra il 1983 e il 2009. Proprio il conflitto interno, di carattere etnico, tra la maggioranza cingalese e la minoranza tamil ha caratterizzato la storia recente del paese, provocando più di 70.000 vittime, prima della sua conclusione nel maggio del 2009. Anche in virtù della lotta alla guerriglia condotta dall’organizzazione delle cosiddette Tigri Tamil – inserite nell’elenco delle organizzazioni terroristiche da Stati Uniti e molti altri paesi europei – i rapporti tra lo Sri Lanka e l’Occidente si sono intensificati negli ultimi anni, portando a relazioni amichevoli. Tali rapporti sono trainati inoltre dall’elemento economico, dal momento che gli Stati Uniti e i paesi europei sono importanti donatori di aiuti. Tuttavia, in seguito ad alcune controversie circa il rispetto dei diritti umani da parte del governo cingalese nei confronti della minoranza tamil, tali aiuti sono diminuiti; nel 2010 i maggiori donatori erano il Giappone, la Russia, la Cina e l’Iran, paesi con cui lo Sri Lanka intrattiene comunque buone relazioni, alla luce del suo tradizionale non allineamento. Altra direttrice importante delle relazioni internazionali dello Sri Lanka è infine costituita dai rapporti con i paesi arabi del Golfo Persico. Questi ultimi sono diventati importanti fornitori di idrocarburi e in questi paesi, interessati da altissimi tassi di immigrazione, la comunità srilankese è una delle più numerose.
L’assetto istituzionale dello Sri Lanka si basa su un sistema presidenziale, in cui il presidente, capo di stato e di governo, è eletto direttamente dalla popolazione ogni sei anni ed è anche comandante in capo delle forze armate. La Costituzione del 1978, del resto, è da sempre oggetto di dibattito politico, proprio per via degli ampi poteri che attribuisce alla presidenza. A questo proposito, ha fatto molto discutere la modifica costituzionale del settembre 2010 (18° emendamento), che ha rimosso il limite di due mandati presidenziali e ha ulteriormente rafforzato il ruolo del capo di stato – ora investito del potere di nomina dei giudici delle Corte suprema e della Corte d’appello, dei componenti delle commissioni elettorali e della Commissione dei diritti dell’uomo, nonché del personale della finanza e della polizia.
Il potere legislativo è affidato ad un Parlamento unicamerale composto da 225 membri che restano in carica, come il presidente, per sei anni. Nel gennaio 2010 l’attuale presidente, Mahinda Rajapaksa, ha indetto elezioni presidenziali anticipate, ottenendo un secondo mandato (con il 58% delle preferenze). Infatti, nonostante Rajapaksa sia stato messo sotto accusa per le supposte derive autoritarie, il suo livello di popolarità è garantito dall’aver posto fine a 26 anni di guerra civile. Anche le elezioni parlamentari, svolte lo stesso anno, hanno confermato la popolarità dell’alleanza guidata da Rajapaksa (Alleanza unita per la libertà del popolo), che ha ottenuto 144 seggi sui 225 disponibili. L’altra forza politica storica del paese è il Partito nazionale unito, che ha guidato lo Sri Lanka negli anni Settanta e Ottanta e, successivamente, tra il 2001 e il 2005, ma ha poi subito a livello politico le ripercussioni del fallimento nella risoluzione del conflitto civile.
La delicata situazione politica del paese, nonché le ragioni della guerra civile, possono comprendersi a partire dal complesso quadro etnico e religioso della popolazione. La distribuzione sul territorio di etnie e religioni coincide, infatti, con quella delle fazioni dell’oltre venticinquennale conflitto civile e segna le principali fratture politiche e sociali dello Sri Lanka.
Pur non essendoci perfetta corrispondenza tra etnia e religione, dei circa 20 milioni di abitanti (per lo più residenti in zone rurali e per un terzo in condizioni di povertà) circa il 75% è di etnia cingalese e di religione buddista, mentre circa l’8% è di etnia moro-cingalese e di religione islamica. È poi consistente la comunità etnica Tamil – sia cingalese che indiana – e hanno un significativo seguito di fedeli le religioni induista e cristiana cattolica. In particolare, nelle province settentrionale e orientale è presente il maggior numero di Tamil cingalesi e si registrano i più bassi tassi percentuali di abitanti di etnia cingalese. I Mori, invece, abitano soprattutto le province centro-orientali dell’isola, infatti nel distretto di Ampara sono presenti molti fedeli islamici. I Tamil indiani sono invece radicati nel distretto centro-meridionale di Nuwara Eliya, dove risiedono pochissimi buddisti e molti indù. A Colombo e Gampaha, i distretti più densamente popolati, e a Kurunegala abitano, invece, circa cinque milioni di Cingalesi, pari a un quarto della popolazione, e circa 3,5 milioni di buddisti, poco meno di un quinto della popolazione. Il conflitto degli ultimi decenni, oltre ad aver contribuito a cementare tale suddivisione etnica e religiosa, ha costretto migliaia di persone a emigrare e, ad oggi, circa 145.000 cingalesi sono rifugiati all’estero, soprattutto nel Tamil Nadu, regione meridionale dell’India.
Il sistema dei media, definito da Freedom House parzialmente libero, consta di giornali, radio e televisioni in lingua inglese, cingalese e tamil. All’eterogeneità etnico-linguistica del sistema mediale non corrisponde tuttavia un libero pluralismo informativo. I giornalisti cingalesi negli ultimi decenni hanno infatti subito forti pressioni sia dalle autorità nazionali sia dai gruppi ribelli, ricevendo attacchi, intimidazioni e divenendo bersagli sensibili del conflitto civile.
La scolarizzazione, grazie anche alla gratuità della scuola, sfiora il 100%. La preparazione degli studenti è però scadente e, anche a causa della grande povertà e dell’alto tasso di lavoro minorile (8%), sono pochi coloro che continuano gli studi. In egual misura, anche il sistema sanitario è arretrato e la spesa ad esso destinata è pari a solo il 4,2% del pil nazionale.
La fine della guerra civile, nel maggio 2009, ha permesso allo Sri Lanka di pianificare l’economia nazionale in maniera più sistematica e con prospettive di lungo termine registrando, nonostante la persistenza di una sfavorevole congiuntura internazionale, valori positivi nei principali comparti produttivi. La stabilità politica, l’integrazione delle province del nord e dell’est all’interno del sistema nazionale e la graduale apertura finanziaria ed economica verso l’esterno sono, infatti, valse al paese lo status di ‘middle income emerging country’, rango conferitogli ufficialmente dal Fondo monetario internazionale (Imf) nel 2010.
Il risultato positivo ottenuto, che tuttavia non ha ancora permesso di elidere i gravosi deficit statali (debito pubblico considerevole, bilancia commerciale negativa, alti tassi di povertà e nette discrepanze economiche tra le province del paese), è frutto di una corretta politica economica interna e di una robusta rete economica, tessuta a livello regionale e internazionale.
Sul piano interno il pil ha recentemente registrato una sensibile crescita. In particolare, il terziario (58% del pil) ha dato segni di dinamicità nei settori delle telecomunicazioni, del commercio e dei servizi finanziari, nonché del turismo – che si crede potrà crescere esponenzialmente nei prossimi anni (50% in più nel 2010 rispetto all’anno precedente). Il comparto industriale (28% del pil) ha segnato un aumento della produzione del tessile, dell’abbigliamento e della pelletteria, mentre il settore agricolo (14% del Pil), il meno sviluppato, ha goduto dei buoni raccolti di riso e delle colture di sesamo, cardamomo e anacardi, grazie alle favorevoli condizioni climatiche e al contributo delle province del nord. Le esportazioni dei beni prodotti da tali comparti sono destinate soprattutto al mercato occidentale e in particolare a Stati Uniti, Regno Unito, Italia e Germania. Non a caso l’Unione Europea, dal 2005, ha permesso a circa 7200 prodotti cingalesi di accedere al mercato comune esentandoli da ogni dazio – salvo sospendere l’accordo nel 2010 per protesta contro il peggioramento registrato nella protezione dei diritti umani.
Anche le rimesse dall’estero (quasi tre miliardi di dollari), provenienti da circa un milione e mezzo di lavoratori srilankesi, la metà dei quali si trova nei paesi del Medio Oriente e della Penisola araba, hanno contribuito in maniera significativa alla crescita del pil e al contenimento della bilancia dei pagamenti statali. Agli introiti provenienti dalle rimesse estere vanno poi aggiunti i finanziamenti inviati da Cina e India (principali partner commerciali per le importazioni assieme a Singapore), dai paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale, Imf e Asian Development Bank), che nel 2009 hanno approvato un prestito di 2,6 miliardi di dollari in 20 mesi in cambio dell’allineamento dello Sri Lanka ai parametri internazionali in materia fiscale, di stabilità monetaria e di riserve.
Sul piano internazionale, risultano fondamentali per l’economia srilankese l’accordo di libero scambio con l’India, in vigore dal 2000 e in via di rinegoziazione, che contribuisce per un volume di affari pari a quattro miliardi di dollari (2008); l’accordo di libero scambio con il Pakistan, in vigore dal 2005; l’Iniziativa del Golfo del Bengala per la cooperazione economica e dei settori tecnici (Bimstec), non ancora avviata, e dal 2006 l’Accordo per l’area di libero scambio dell’Asia meridionale (Safta). Quest’ultimo accordo nasce in seno all’Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc) che, oltre allo Sri Lanka, vede la partecipazione di Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal e Pakistan, ed è attiva in diversi ambiti di cooperazione, tra i quali lo sviluppo sociale, il commercio e la finanza, l’energia, l’ambiente e il turismo.
Per quanto attiene il settore energetico, il paese dipende in buona parte dalle importazioni e sta pianificando nuove centrali elettriche. Nel 2013 sarà conclusa la stazione di generazione di energia a carbone, già in fase di costruzione grazie a un finanziamento cinese di 450 milioni di dollari. Petrolio e gas, inoltre, si stima possano trovarsi nella costa nord-occidentale dell’isola, tuttavia le esplorazioni effettive non partiranno prima del 2015.
Lo Sri Lanka può vantare uno degli eserciti più numerosi e tecnologicamente avanzati di tutta l’area dell’Asia meridionale. Ciò è dovuto principalmente al fatto che le forze armate hanno dovuto far fronte a un conflitto contro un avversario interno, le Tigri Tamil, ben organizzato e equipaggiato. Anche per via della lunga guerra civile che lo ha interessato, lo Sri Lanka è il paese della regione che investe più risorse nella spesa militare.
La guerra intestina tra le forze governative e l’organizzazione delle Tigri Tamil ha costituito la priorità assoluta nella politica di difesa e sicurezza dello Sri Lanka per decenni e solo dopo il 2009 il paese ha potuto concentrare le proprie politiche anche su altri vettori. Come diretta conseguenza degli anni di guerra civile, l’esercito mantiene ancora un certo grado di influenza politica, soprattutto nelle aree tamil.
La Cina, che per anni è stato il più rilevante fornitore di armamenti del paese, costituisce il principale partner militare e alleato dello Sri Lanka. Non sono inoltre da trascurare le strette relazioni strategiche con il Pakistan e con l’India, che negli anni Ottanta è intervenuta direttamente – sebbene senza successo – nella guerra contro le forze tamil. La lunga lotta contro le forze insurrezionali tamil contribuisce a spiegare la cooperazione strategica srilankese con un altro attore internazionale specializzato nelle attività di contro-guerriglia: Israele. Quest’ultimo, non a caso, è stato il terzo maggior partner militare del paese tra il 1983 e il 2009, durante gli anni del conflitto interno.
Tra il 1983 e il 2009 lo Sri Lanka è stato interessato da un conflitto a bassa intensità che ha visto coinvolte le forze governative da un lato e l’organizzazione delle Tigri per la Liberazione dell’Eelam Tamil (LTTE), anche dette semplicemente Tigri Tamil, dall’altro. Il nome dell’organizzazione deriva dalla denominazione che la popolazione tamil dà a quello che vorrebbe fosse il proprio stato autonomo (Eelam, appunto) all’interno dello Sri Lanka. Rispetto alla maggioranza cingalese la comunità tamil rivendica da sempre maggiori diritti, uguaglianza di trattamento e rappresentanza nel paese. Le Tigri Tamil, fondate nel 1976 da Velupillai Prabhakaran, hanno sfruttato il malcontento di questa minoranza etnica per farsi portatori di una vera e propria guerriglia a scopi secessionisti, instaurando il proprio quartier generale nella città di Jaffna, nel nord del paese. Nel 1983 il gruppo ha iniziato la fase di lotta armata e di attentati, che avrebbero sconvolto lo Sri Lanka per i successivi ventisei anni. Durante gli anni del conflitto vi sono stati vari tentativi, sia da parte dei governi succedutisi in Sri Lanka che da parte di attori esterni, di trovare una mediazione tra le due parti e arrivare a un accordo di pace, ma questi si sono rivelati tutti vani. In particolare, nel 1987 l’India, sotto pressione per le proteste della propria stessa comunità tamil e per il flusso di profughi che arrivava nel paese a causa della situazione in Sri Lanka, è intervenuta direttamente nel conflitto, inviando una forza di interposizione. La missione indiana, chiamata Indian Peacekeeeping Force (IPKF), non ha però portato ad alcun risultato positivo e, nel 1990, il governo di Nuova Delhi l’ha ritirata. A seguito dell’intervento indiano il conflitto si è esasperato ulteriormente e le Tigri Tamil hanno messo a segno attentati di grande risonanza: nel 1991 è stato assassinato l’ex primo ministro indiano Rajiv Gandhi e successivamente, nel 1993, l’organizzazione uccise l’allora presidente dello Sri Lanka Ranasinghe Premadasa. Questi due assassinii, entrambi condotti tramite attentati suicidi, hanno segnato una svolta nel conflitto, rendendolo più cruento. Nonostante le parti avessero firmato un accordo per il cessate il fuoco tra il 2001 e il 2005, grazie anche alla mediazione della Norvegia, lo scontro si è esacerbato nuovamente con la salita al potere di Rajapaksa. Quest’ultimo si è rivelato risoluto nella soluzione militare del conflitto, fino agli episodi del maggio 2009, quando l’esercito srilankese ha assediato i guerriglieri nei pressi di Kilinochchi, capitale de facto dei territori tamil. Nell’assedio finale, in cui le LTTE hanno tenuto in ostaggio e ucciso anche molti civili tamil, hanno perso la vita molti guerriglieri, tra cui lo stesso leader delle Tigri Prabhakaran e, successivamente, l’organizzazione ha emesso un comunicato in cui annunciava la propria sconfitta e la fine della sua lotta armata. Molte critiche sono state mosse sia nei confronti delle Tigri che dello stesso presidente Rajapaksa, accusati entrambi di aver commesso crimini contro la popolazione civile durante la fase finale dell’assedio del maggio 2009.