Vedi Sri Lanka dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La repubblica democratica socialista dello Sri Lanka è uno stato insulare al largo del subcontinente indiano. Colonia della corona britannica fino al 1948, anno dell’indipendenza, lo Sri Lanka è stato conosciuto come Ceylon fino al 1972. Eredità del periodo coloniale è la contrapposizione tra la maggioranza cingalese e la minoranza tamil, sfociata a metà degli anni Ottanta in una guerra civile che, malgrado l’accordo raggiunto nel 2009, continua a insanguinare il paese. Dietro l’immagine di stabilità veicolata per anni dal governo ‘forte’ di Mahinda Rajapaksa, presidente in carica dal 2005 al 2014, si celano da tempo le ombre della violenza interetnica e della crescita del nazionalismo cingalese.
Il nuovo corso impresso al paese dal presidente riformista Maithripala Sirisena, eletto nel gennaio 2015 anche e soprattutto grazie ai voti delle minoranze del paese, e dal primo ministro Ranil Wickremesinghe, anch’egli in carica dal gennaio 2015, sembra lasciar ben sperare per quanto riguarda le prospettive di stabilità e di riconciliazione nazionale.
Un ulteriore contributo alla stabilizzazione del paese è venuto dalle elezioni parlamentari dell’agosto 2015: nonostante il Partito nazionale unito (Unp), guidato da Ranil Wickremesinghe (che sostiene il presidente) abbia ottenuto il maggior numero di seggi, tale successo non è bastato ad assicurare al partito la maggioranza assoluta; l’Unp ha dovuto quindi dare vita a un governo di unità nazionale con la formazione rivale, l’Alleanza unita per la libertà del popolo (Upfa), che sostiene l’ex presidente Rajapaksa, nonostante quest’ultimo abbia deciso di stare all’opposizione. Tale necessità ha rappresentato la premessa per la creazione di un governo stabile: la coalizione gode di un’ampia maggioranza in parlamento, disponendo di più dei due terzi dei seggi, necessari per l’approvazione delle modifiche alla Costituzione. Proprio la modifica degli assetti costituzionali del paese e il rafforzamento delle sue strutture democratiche rappresentano il principale obiettivo dell’affiatato tandem Sirisena-Wickremesinghe: pochi mesi dopo la sua elezione, il presidente Sirisena ha fatto approvare il diciannovesimo emendamento della Costituzione, che prevede la diminuzione dei poteri del presidente e la conseguente devoluzione di parte di questi al parlamento; il primo ministro Wickremesinghe ha alla pari manifestato l’intenzione di guidare il processo politico del paese nella direzione di una ulteriore modifica costituzionale e di un ulteriore rafforzamento delle istituzioni democratiche.
L’insediamento di Sirisena ha fatto registrare un cambiamento di passo anche sul fronte delle relazioni internazionali: mentre il precedente presidente, Rajapaksa, aveva spinto in direzione di un rafforzamento dei rapporti con la Cina, a discapito delle relazioni con i paesi occidentali, Sirisena ha dimostrato di preferire Occidente e India a Pechino. I paesi occidentali, Usa in primis, premono però sul paese affinché ponga fine in maniera definitiva alle violenze interetniche e intraprenda un serio sforzo di riconciliazione nazionale. Le Nazioni Unite (Un), in particolare, hanno esortato il paese a internazionalizzare il processo, affidandosi a esperti internazionali, e a istituire un tribunale incaricato di giudicare i crimini di guerra. Su questo fronte però si registrano numerose resistenze da parte di Sirisena, che ha invece manifestato la volontà di risolvere la questione con un processo interno al paese.
Sulla spinosa questione dei diritti umani si sono arenate anche le relazioni del paese con l’Unione europea (Eu): nell’agosto 2010 Bruxelles ha deciso di sospendere temporaneamente il regime doganale preferenziale Gsp+ (Generalised Scheme of Preferences plus benefits), lasciando però in vigore il regime Gsp standard, che si limita a fornire accesso preferenziale al mercato europeo alle principali esportazioni cingalesi, in primis prodotti tessili.
Tra i fondatori del ‘movimento dei non allineati’, lo Sri Lanka persegue una politica estera multilaterale. Partecipa ai lavori delle Nazioni Unite e prende parte alle organizzazioni di integrazione regionale, quali l’Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc) e la Asian Development Bank (Adb). Nel luglio 2015 il paese ha inoltre aderito alla Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (Aiib), l’istituzione finanziaria internazionale creata dalla Cina nell’ottobre 2014.
Un’altra direttrice importante delle relazioni dello Sri Lanka è costituita dai rapporti con i paesi arabi del Golfo Persico, importanti fornitori di idrocarburi. Negli stati del Golfo Persico, interessati da intensi flussi migratori, la comunità cingalese è una delle più numerose.
La delicata situazione politica del paese, nonché le ragioni della guerra civile, si radicano nel complesso quadro etnico e religioso. La distribuzione sul territorio di etnie e religioni coincide con quella delle fazioni dell’oltre venticinquennale conflitto civile e segna le principali fratture politiche e sociali dello Sri Lanka.
Pur non essendoci perfetta corrispondenza tra etnia e religione, dei circa 20 milioni di abitanti (per lo più residenti in zone rurali) il 74% è di etnia cingalese e di religione buddista, mentre più dell’8% è di etnia moro-cingalese e di religione islamica. È poi consistente la comunità etnica tamil, sia cingalese che indiana. Hanno un rilevante seguito di fedeli le religioni induista e cristiana cattolica. La popolazione tamil si concentra nelle aree settentrionali e orientali del paese. La minoranza islamica dei mori, invece, si concentra soprattutto nelle province centro-orientali dell’isola, soprattutto nel distretto di Ampara. I tamil indiani sono radicati nel distretto centro-meridionale di Nuwara Eliya, dove risiedono pochissimi buddisti e molti indù. A Colombo e Gampaha, i distretti più densamente popolati, e a Kurunegala abitano circa 5 milioni di cingalesi (pari a un quarto della popolazione) e 3,5 milioni di buddisti, poco meno di un quinto della popolazione. Il conflitto degli ultimi decenni, oltre ad aver contribuito a cementare tale suddivisione etnica e religiosa, ha costretto migliaia di persone a emigrare. Attualmente, circa 122.000 cingalesi sono rifugiati all’estero, soprattutto nel Tamil Nadu, regione meridionale dell’India. Nel giugno 2014 la comunità islamica è stata oggetto di attacchi da parte di esponenti radicali della comunità buddista; il governo cingalese non ha però reagito in maniera incisiva, principalmente a causa del fatto che il consenso politico della comunità buddista è essenziale ai fini della stabilità di governo.
Il sistema dei media vanta un’apprezzabile eterogeneità etnico-linguistica: giornali, radio e televisioni sono disponibili in lingua inglese, cingalese e tamil. Tuttavia, il pluralismo informativo è solo apparente. Freedom House pone lo Sri Lanka al 169° posto su una classifica di 197 paesi in riferimento alla libertà di stampa, definendolo quindi ‘stato non libero’. I giornalisti cingalesi negli ultimi decenni hanno subìto forti pressioni sia dalle autorità nazionali, sia dai gruppi ribelli: sono stati oggetto di attacchi e intimidazioni e sono divenuti bersagli sensibili del conflitto civile.
La scolarizzazione, grazie anche alla gratuità della scuola, raggiunge quasi il 95%. La preparazione degli studenti è però scadente. In più, anche a causa della grande povertà e dell’alto tasso di lavoro minorile (8%), sono pochi coloro che continuano gli studi. In egual misura, anche il sistema sanitario è arretrato e la spesa destinata è pari a solo l’1,4% del pil nazionale.
La fine della guerra civile, nel maggio 2009, ha permesso allo Sri Lanka di avviare una pianificazione più razionale e sistematica dell’economia nazionale. Nonostante la sfavorevole congiuntura internazionale, i principali comparti produttivi cominciano a far registrare valori positivi. La maggiore stabilità politica, l’integrazione delle province del nord e dell’est all’interno del sistema nazionale e la graduale apertura finanziaria ed economica verso l’estero sono valse al paese lo status di ‘middle income emerging country’, rango conferitogli ufficialmente dal Fondo monetario internazionale (Imf) nel 2010. Ai successi recenti si affiancano però elementi di fragilità quali un pesante debito pubblico, una bilancia commerciale negativa, alti tassi di povertà e nette discrepanze economiche tra le province del paese.
Il pil mantiene un tasso di crescita attorno al 6%. In particolare, è in forte crescita il settore del turismo, che nel periodo gennaio-settembre 2015 è cresciuto del 18,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In particolare, si registrano molti ingressi di turisti dalla Cina (73,6%) e dall’India (29,4%). Oltre al forte contributo dell’industria turistica, il terziario (56,3%) del pil, gode del contributo positivo dei settori delle telecomunicazioni, del commercio e dei servizi finanziari. Il comparto industriale (33,8% del pil) ha segnato un aumento della produzione del tessile, dell’abbigliamento e della pelletteria, mentre il settore agricolo (9,9% del pil), rimane il meno sviluppato, nonostante abbia goduto negli ultimi anni dei buoni raccolti di riso e delle colture di sesamo, cardamomo e anacardi, grazie alle favorevoli condizioni climatiche e al contributo delle province del nord. Le esportazioni dei beni prodotti da tali comparti sono destinate, oltre che all’India, soprattutto al mercato occidentale e in particolare a Stati Uniti, Regno Unito e Italia.
Anche le rimesse dall’estero (più di sei miliardi di dollari), provenienti da circa un milione e mezzo di lavoratori cingalesi, la metà dei quali si trova nei paesi del Medio Oriente e della Penisola Arabica, contribuiscono in maniera significativa alla crescita del pil e al contenimento della bilancia dei pagamenti statali. Agli introiti provenienti dalle rimesse estere vanno poi aggiunti i finanziamenti inviati da India e Cina (principali partner commerciali per le importazioni assieme a Emirati Arabi Uniti e Singapore), dai paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale, Imf e Asian Development Bank), che nel 2009 hanno approvato un prestito di 2,6 miliardi di dollari in 20 mesi in cambio dell’allineamento dello Sri Lanka ai parametri internazionali in materia fiscale, di stabilità monetaria e di riserve. Tra i maggiori partner commerciali, gli Emirati Arabi Uniti hanno più volte espresso la volontà di giocare un ruolo chiave nello sviluppo dello Sri Lanka, paese col quale nel 2012 hanno intrattenuto un volume di scambi pari a 1,5 miliardi di dollari e sul quale sono stati investiti oltre 440 milioni di dollari.
Risultano fondamentali per l’economia cingalese: l’accordo di libero scambio con l’India, in vigore dal 2001, che genera un interscambio pari a quattro miliardi di dollari; l’accordo di libero scambio con il Pakistan, in vigore dal 2005; l’accordo per l’area di libero scambio dell’Asia meridionale (Safta), in vigore dal 2006. Quest’ultimo nasce in seno all’associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale (Saarc) che, oltre allo Sri Lanka, vede la partecipazione di Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal e Pakistan. Attiva in diversi ambiti di cooperazione, la Saarc si occupa di sviluppo sociale, commercio, finanza, energia, ambiente e turismo.
Nel settore energetico, il paese dipende in buona parte dalle importazioni, mentre per la produzione interna di energia si affida a centrali idroelettriche, localizzate soprattutto nella provincia centrale. Tuttavia, il piano energetico per il periodo 2015-2034 redatto dall’autorità centrale per l’energia prevede la costruzione di diverse stazioni di generazione di energia a carbone, da realizzare con il contributo di finanziamenti indiani e cinesi.
Infine, allo scopo di diminuire la dipendenza energetica del paese, sono in corso progetti di esplorazione al largo della costa nord-occidentale del paese, dove si ritiene vi possano essere riserve di petrolio e gas.
Lo Sri Lanka può vantare uno degli eserciti più numerosi e tecnologicamente avanzati di tutta l’area dell’Asia meridionale. Ciò è legato all’impegno delle forze armate nel conflitto interno contro le Tigri Tamil, ben organizzate ed equipaggiate. Anche per via della lunga guerra civile, lo Sri Lanka è uno dei paesi della regione ad investire più risorse nella spesa militare. La guerra tra le forze governative e l’organizzazione delle Tigri Tamil ha costituito la priorità assoluta nella politica di difesa e sicurezza dello Sri Lanka per decenni, e solo dopo il 2009 il paese ha potuto dirigere le proprie politiche anche in altre direzioni. Come diretta conseguenza della guerra civile, l’esercito mantiene ancora un certo grado di influenza politica, soprattutto nelle aree tamil.
La lunga lotta contro le forze insurrezionali tamil contribuisce a spiegare la cooperazione strategica dello Sri Lanka con un altro attore internazionale specializzato nelle attività di controguerriglia: Israele. Quest’ultimo, non a caso, è stato il terzo maggior partner militare del paese tra il 1983 e il 2009, durante gli anni del conflitto interno.
Cina e Israele rappresentano i maggiori fornitori di armamenti del paese. Buone anche le relazioni strategiche con il Pakistan e con l’India, che negli anni Ottanta è intervenuta direttamente – sebbene senza successo – nella guerra contro le forze tamil.
Tra il 1983 e il 2009 lo Sri Lanka è stato dilaniato da una lunga guerra civile che ha contrapposto le forze governative e l’organizzazione delle Tigri per la liberazione dell’Eelam Tamil (Ltte), o Tigri Tamil. Il conflitto, che ha visto alternarsi fasi di lotta, attentati e tregue non rispettate, ha causato la morte di oltre 70.000 persone, compresi capi di stato e ministri. La presenza della minoranza tamil, di origine indiana, che rappresenta circa il 10% della popolazione, è un’eredità del periodo coloniale, quando gli inglesi portarono sull’isola i tamil per farli lavorare nelle piantagioni di tè. Concentrati principalmente nel nord e nell’est dell’isola, i tamil si sentono emarginati in un paese a maggioranza buddhista, nel quale soffia forte il vento del nazionalismo cingalese.
Le Tigri Tamil, create nel 1976 da Velupillai Prabhakaran per creare uno stato autonomo nella regione dell’Eelam Tamil, hanno sfruttato il malcontento della minoranza etnica per sviluppare una vera e propria guerriglia secessionista. Sono anche riuscite a instaurare il loro quartier generale a Jaffna, nel nord del paese. Nel 1983 gli scontri sono sfociati in una guerra civile, che ha sconvolto il paese per i ventisei anni successivi. Durante gli anni del conflitto vi sono stati diversi, seppur vani, tentativi da parte di altri stati di mediare per il raggiungimento di un accordo di pace. In particolare nel 1987 l’India, sotto pressione per le proteste della propria comunità tamil e per il flusso di profughi, è intervenuta direttamente nel conflitto, inviando una forza di interposizione. La missione indiana, Indian Peacekeeeping Force (Ipkf), non ha però raggiunto alcun risultato e, nel 1990, il governo di Nuova Delhi ha ordinato il ritiro. A seguito dell’intervento indiano il conflitto si è esacerbato ulteriormente e le Tigri Tamil hanno messo a segno attentati di grande risonanza: nel 1991 è stato assassinato l’ex primo ministro indiano Rajiv Gandhi. Nel 1993, l’organizzazione uccise l’allora presidente dello Sri Lanka Ranasinghe Premadasa. Questi due assassinii, entrambi condotti da attentatori suicidi, hanno reso ancora più cruento lo scontro. Nonostante le parti avessero firmato un accordo per il cessate il fuoco tra il 2001 e il 2005, grazie alla mediazione della Norvegia, il conflitto è ripreso con l’ascesa al potere di Rajapaksa, che ha puntato risolutamente a una soluzione militare del conflitto.
Nel maggio 2009, l’esercito cingalese ha assediato i guerriglieri nei pressi di Kilinochchi, capitale de facto dei territori tamil. Nell’assedio finale, in cui le Ltte hanno tenuto in ostaggio e ucciso anche molti civili tamil, hanno perso la vita molti guerriglieri, tra cui lo stesso leader delle Tigri, Prabhakaran. Successivamente, l’organizzazione ha ammesso la sconfitta e ha annunciato la fine della lotta armata. Nel settembre 2013, il partito Tamil National Alliance (Tna), che rappresenta la minoranza tamil, ha vinto le elezioni provinciali che si sono svolte, per la prima volta dopo 25 anni, nel nord del paese. L’area, abitata per la maggior parte dalla minoranza tamil, è presidiata dall’esercito cingalese dalla fine della guerra, nel 2009. La questione, tuttavia, non arriverà a piena risoluzione fino a quando il governo centrale cingalese non accorderà alla minoranza tamil la devolution tanto ambita. Il neo-presidente Sirisena ha manifestato l’intenzione di procedere in questa direzione, ma la missione non sarà facile, data la forte opposizione dei gruppi del nazionalismo cingalese.