Vedi STABIAE dell'anno: 1966 - 1997
STABIAE
Oppidum preromano della Campania (oggi Castellamare di Stabia), aggregato alla federazione nucerina.
La città ebbe probabilmente impianto osco-tirreno-ausone, come Nuceria (cfr. Strab., v, 247, 4, 8 e Conone, presso Servio, ad Aen., vii, 738); S., pertanto, fu da considerarsi anche essa Noukerìnon èthnos e la sua sorte fu, sin dall'inizio, legata alla storia della valle del Sarno ed alla penetrazione che in questa ebbero le varie correnti di immigrazione.
Come sembra indicare la forma plurale del suo nome, l'impianto di S. dové risultare dall'aggregamento di più nuclei abitati, di caratteri etnici affini.
Sulle origini di S., pertanto, non abbiamo altre notizie ché non siano quelle che si riferiscono a Nuceria Alafaterna; nei confronti delle altre città del territorio, per le quali i riferimenti mitici attestano una influenza greca (Ercolano, Pompei, Sorrento), S. non ci ha fornito alcun motivo che possa comunque ricollegarsi ad elementi greci o etruschi. Piuttosto è da considerare il suo primitivo impianto osco e la sua naturale connessione alla foce ed alla valle del Sarno, in funzione delle quali S. dovette assolvere un compito difensivo e commerciale, col suo scalo naturale, nell'angolo più riposto del golfo, al riparo dei bastioni rocciosi e favorito, inoltre, dalle polle di acque termali sgorganti dalle radici del monte o zampillanti dal fondo marino. Tale posizione, prevalentemente munita dai ripari naturali, favorita dalla vicinanza degli sbocchi dei valichi, attraversanti la dorsale dei Monti Lattari, e delle vie di accesso alla penisola sorrentina, da un lato e, dall'altro, alla via pedemontana che attraverso Nocera, portava agli itinerarî interni della Lucania e dell'Apulia, dové fare ben presto di S., molto prima che Pompei, il porto della federazione nucerina.
La recente scoperta, nell'ultimo triennio, di una necropoli, messa occasionalmente in luce nella zona rurale di Castellamare di Stabia, a valle della via Nocera, nel suo tratto extra-urbano, verso E, illumina suflicientemente il problema delle origini di S. e lo inserisce nel più ampio quadro delle vicende storiche di questo lembo della regione campana.
La necropoli, i cui termini cronologici estremi vanno dall'VIII al II sec. a. C. comprende tombe a cassa di blocchi di calcare e tombe a cassa di lastroni di tufo. I corredi funebri, piuttosto copiosi che ricchi, comprendono vasi di impasto di influenza villanoviana, in una serie che va dalle forme più semplici e pesanti a quelle più raffinate, di imitazione del bronzo, scarso bucchero; inoltre, si presenta scarsa la ceramica insulare e corinzia, poca ma scelta la ceramica attica; scarsissima la ceramica italiota. Per quanto riguarda i metalli è da notare l'abbondanza dei bronzi e la relativa scarsezza del materiale in ferro, inoltre, l'assenza quasi assoluta di armi. Portando a confronto il materiale di questa necropoli con quello di Nola, di Cuma, di Suessola, si constata una notevole differenza, oltre che per la composizione dei corredi e la prevalenza in quelli del materiale vascolare greco, anche e soprattutto per la presenza, qui, delle cassette-ossuario che attesta una mescolanza di rito. Piuttosto, una maggiore analogia di composizione dei corredi si riscontra con le tombe della valle del Sarno.
La necropoli di S. attesta, dunque, che fin dall'VIII-VII sec. a. C. la zona fu percorsa e attraversata da una importante via che dal porto correva, per breve tratto, costiera, salendo poi a mezza costa, lungo la via di S. Antonio Abate - come attestano le tombe a camera ivi trovate - e di lì continuava sino a Nuceria. Da essa doveva distaccarsi, lungo la direttrice di Gragnano e Lettere, la via del valico all'altro versante della penisola sorrentina.
Dopo la discesa dei Sanniti nella Campania, con la istituzione della federazione nucerina, S. fu il porto di Nuceria ed a differenza delle più autonome città di Ercolano, Pompei e Sorrento, si identificò nella struttura politica ed amministrativa con la metropoli. Fu, col suo porto, la custode degli sbocchi del monte al mare, della via fluviale del Sarno, alla foce e dové costituire una posizione militare di grande importanza per la federazione, molto più che Pompei col suo lido aperto, facile invito alle scorrerie militari, come in quella del 308, che si trasformò, peraltro, in una trappola mortale per i socii navales mossi a saccheggiare l'agro nocerino (liv., ix, 38).
Durante le guerre sannitiche S. fu il porto militare della flotta, sino all'assedio ed alla capitolazione di Nuceria ed al patto di alleanza, stretto con Roma.
Con la guerra sociale la federazione nucerina, che dapprima rimase fedele a Roma, dovette in un secondo tempo, passare dalla parte degli Italici. Nel 90 a. C., infatti, Papio Mutilo, entrato in Campania a capo di un esercito Sannita, conquistò Nola e Salerno e prese S. (Appian., Bel. Civ., I, 42). Si scioglieva, così, definitivamente il vincolo che aveva stretto le città della valle del Sarno a Nuceria, ed esse (tranne Nuceria) furono ancora dalla parte degli Italici.
Seguì, infine, il contrattacco di Silla con la conquista di Ercolano, l'espugnazione di Pompei e la strage delle truppe di Cluenzio e infine la conquista e la distruzione di S. che avvenne il 30 aprile dell'89 a. C. La cronaca di questi avvenimenti si ricava indirettamente dagli storici romani, ma è Plinio che in un noto passo della sua opera, ci dà con la notizia della sua distruzione, l'epicedio di S. (Nat. hist., III, 70).
L'accanimento che Silla pose a distruggere S. come centro urbano e come fortezza (oppidum) non si spiega se non pensando alla funzione del suo scalo ed alla possibilità di comunicazioni, attraverso i valichi montani, con il retroterra montuoso e con il Golfo di Salerno.
Con la sua distruzione come centro fortificato, col trapianto della popolazione, non finisce la storia di S. nell'ultimo periodo della Repubblica e nel primo dell'Impero, S. si trasformò rapidamente in una stazione climatica e termale.
S. risentì debolmente le conseguenze del terremoto del 62 d. C., a giudicare dalle notizie di Seneca (Nat. quaest., vi, 1).
Gli scavi. - Gli scavi di S. furono iniziati ufficialmente nel periodo borbonico, e proseguirono con qualche interruzione sino al 1782 (v. Fiorelli, Giornale degli scavi di Pompei, parte iii, ill. a p. 1), quando furono interrotti per la più proficua esplorazione degli scavi di Pompei e di Ercolano. Gli scavi, iniziati sulla collina di Varano, condotti col sistema dei cunicoli, alla cieca e col proposito di recuperare ed asportare quanto era possibile, suppellettili, pitture, mosaici, si risolsero in una sistematica spoliazione, della quale non sarebbe rimasto neanche il ricordo, se gli ingegneri militari che diressero successivamente le operazioni, l'Alcubierre, lo svizzero Weber ed il La Vega non avessero provveduto a raccogliere le notizie, a delineare e rilevare gli edifici. Fu possibile, così, trarre quella planimetria della parte scavata che, pubblicata dal Ruggiero con tutti i documenti dell'archivio borbonico, costituisce ancora oggi l'unica relazione documentaria degli antichi scavi.
Nel 1951, iniziava, sotto la Direzione degli scavi di Pompei, la esplorazione di una villa in località Varano e riprendeva quella dei ruderi affioranti nella zona di San Marco.
In questi anni lo scavo ha messo in luce, oltre le due grandi ville già inizialmente saggiate dai Borboni, anche un tratto di via e parti non ancora esplorate di quegli stessi edifici. La mèsse del materiale raccolto, particolarmente i notevoli frammenti della decorazione pittorica, attestano l'importanza e l'interesse dei monumenti. Tra i pezzi più notevoli del materiale sono da annoverarsi le due coppe di ossidiana con incastro di filamenti aurei e pietre dure, raffiguranti scene egizie (v. tav. a colori).
Diversa, ma non minore importanza ha il trovamento della necropoli preromana, scoperta a valle dell'attuale via Nocera, ancora in corso di esplorazione, databile tra l'VIII e il II sec. a. C.
Topografia. - Il problema della topografia di S. si determina in due momenti, nettamente distinti dallo sviluppo degli avvenimenti che si svolsero in questa zona, tra la seconda metà del V sec. e il I sec. dell'Impero: I) l'oppidum; II) la zona residenziale di età imperiale.
L'oppidum. - La città, fu costituita come un oppidum della federazione nucerina, favorita dalla posizione del suo munito scalo marittimo, protetto dai monti, inoltre sicuro punto di confluenza dei valichi montani che attraversavano la dorsale dei Lattari, della via Stabiis Nuceriam e inoltre della litoranea che la collegava con Surrentum. La necropoli preromana, scoperta a valle dell'attuale via Nocera, lembi di necropoli preromane e greche occasionalmente messi in luce nel territorio di Gragnano e sulla via di Lettere, in località Gesini, attestano l'esistenza dell'itinerario montano, sulla direttrice di un antico valico, per la costiera amalfitana, sostituito poi da quello di Agerola.
Il sito dell'antica S. preromana ci è oggi ancora ignoto. L'opera devastatrice di Silla, le vicende belliche successive, le catastrofi telluriche, le eruzioni vulcaniche e, maggiormente, l'opera delle lave fangose rovesciatesi a più riprese dalla sommità dei monti, nell'alto Medioevo, hanno senza dubbio contribuito a cancellare i resti ancora visibili di quell'impianto. Per le ragioni esposte innanzi, esso sembrerebbe da ricercarsi in vicinanza dell'antico lido del mare. A questo riguardo può essere significativa una notizia data dal Capaccio (Hist. Neap., x, Napoli 1771, vol. ii, p. 102). Infatti, in asse al Castello medievale, sul lido, in località Fontana Grande si apre un antro con una polla d'acqua, dove in una edicola, su di un quadro di maiolica, era rappresentata la Vergine con S. Michele e S. Catello. Nel 1933, essendosi abbattute le abitazioni circostanti, per creare una zona di protezione alla sorgente, furono messe in luce grandiose mura in opus reticulatum che ricoprivano altre mura più antiche e, sul lato destro di chi guarda la fonte, erano costruzioni romane con piccole nicchie simili a quelle dei termopoli pompeiani (cfr. Di Capua, in Riv. di Studi Pompeiani, Napoli 1934, xiii, p. 166). Del resto la Fontana Grande è indicata nelle carte e nei portolani medievali e nel libro del Re Ruggiero, compilato da Edrisi, onde non sembra impossibile che essa possa essere collegata allo scalo dell'oppidum.
Il Beloch (Campanien, ii, p. 249) pensa che l'oppidum stesse sulla via di Nocera, nelle vicinanze della Chiesa di S. Maria delle Grazie e del Ponte di S. Marco; ciò in base al ritrovamento di un singolare complesso architettonico di età preromana, costituito da un monoptero a quattordici colonne ed un edificio rettangolare, a due celle (Rosini, Dissert. Isag., p. 88, con la pianta). L'iscrizione, trovata nelle vicinanze, attesta come il tempio dedicato al Genio di S. fosse stato restaurato da Cesio Dafno, Augustale di Nola e di Nocera (cfr. I. N., 2173; C.I.L., x, n. 772).
Peraltro, il ritrovamento sinora resta un fatto isolato e non è prova sufficiente della esistenza della S. preromana in quel punto. L'edificio potrebbe anche essere stato una specie di piccolo santuario federale, posto sulla via di Nocera, a protezione dell'intenso traffico che si svolgeva su quel percorso.
La zona delle ville. - Il secondo periodo della topografia di S. è contrassegnato da un fatto determinante: la trasposizione quasi integrale dell'abitato, dalla zona costiera dell'oppidum alla collina di Varano. A questo proposito è molto esplicita la testimonianza di Plinio (Nat. hist., iii, 70) che dice: id delevit quod nunc in villas abiit. Si delinea, così, il fenomeno di trasferimento dell'abitato dalle vicinanze immediate del mare alla zona pedemontana del lungo e ridente pianoro che si distende dal promontorio di Pozzano, sino all'alveo del torrente Cannitello, sulla vista del mare, risalendo a N, lungo le pendici del monte sino a Gragnano ed a S verso la pianura che si allarga, sino alle attuali frazioni Carità e Messigno.
Il facile acquisto di terreni pubblici e privati, l'allettamento di buoni investimenti sviluppò in questa zona una intensa attività edilizia che rapidamente costituì una zona residenziale di costruzioni di lusso, create per una clientela di notevole capacità finanziaria, fatte cioè per il pubblico di un centro di villeggiatura e termale.
Infatti la vicinanza delle fonti, il loro ininterrotto secolare impiego e la fama largamente diffusa di queste, influirono fortemente su questa costituzione del centro termale di s., con fenomeno analogo a quello di Baia, sull'opposta estremità del golfo. Lo sviluppo edilizio attirò l'opera di architetti ed artisti che, in nome di esperienze nuove e di orizzonti culturali più ampi si sforzarono di realizzare forme architettoniche diverse da quelle tradizionali, in formule nuove ed applicarono allo schema della villa romana di lusso, quel frazionamento dei nuclei struttivi, quei concetti di subordinazione alla cornice ambientale, che fanno di questa architettura soprattutto un paesaggio architettonico, dove l'elemento architettonico diviene episodio e vive in funzione del panorama e del suo ambiente.
Il complesso residenziale degli edifici stabiani di età imperiale si sviluppa per più di un chilometro di lunghezza e quasi altrettanto in profondità, sulla zona detta di Varano, sino al Ponte di S. Marco. Esso continuava verso O, fin quando il taglio della via di accesso a Gragnano non ne distrusse una parte notevole, corrispondente alla località detta Belvedere. La planimetria degli scavi borbonici, tratta dai rilievi e dagli appunti di scavo del Weber, raccolti da M. Ruggiero ci fornisce un prezioso documento dell'insieme di questi edifici.
Le ville sono contrassegnate dalla lunga ambulatio orientata sull'asse elio-termico, nello schema del portico a tre bracci, la porticus triplex di Vitruvio (De Arch., vii, 7; 13-15); dalla dislocazione dei nuclei della costruzione a varie quote, su piattaforme a terrazze; dal movimento dei volumi abilmente inserito nella cornice dell'ambiente naturale, ma soprattutto dall'inquadramento prospéttico del panorama esterno, condotto con le leggi della geometria proiettiva e dello scorcio.
Gli edifici, che riassumono tutti i caratteri della villa di lusso, quale ci viene descritta dalle opere di Cicerone e dalle Epistole di Plinio il Giovane, presentano concordemente la particolarità della netta separazione tra il quartiere residenziale impostato sul ciglio della collina, in vista del mare e il quartiere rustico e dei servizi, retrocessi nella parte più interna dell'area. Sono collegati da strade selciate modeste, che si svolgono e si dilungano, apparentemente senza meta, a seconda delle esigenze di collegamento dei vari edifici, ma con assoluto rispetto della cornice arborea che costituisce il tema ambientale dominante.
I collegamenti col lido e con il mare, del piano residenziale, erano stabiliti da una serie di rampe che salivano a tornanti, ora parallele alla collina, ora ad essa normali, sotto arcate, in funzione di sostruzione alle terrazze superiori, in modo da raggiungere senza fatica l'ingresso delle ville. Una fedele immagine del panorama che esse offrivano sulla vista del mare ci è conservata dalla serie delle pitture di paesaggio in medaglioni o in quadretti rettangolari, staccati nei vecchi scavi borbonici, dalle pareti di S. e di Pompei, ora al Museo Nazionale di Napoli, o quelli dei recenti scavi, in situ (cfr. Rostovtzev, in Röm. Mitt., 1911, tav. vii, i, 2; tav. viii, i, 2 e figg. 43, 56, 57)
In questi quadri paesistici predominano, infatti, i tipi della porticus triplex, dell'edificio che si sviluppa su piani terrazzati e senza l'unità struttiva, dissolta e frazionata in nuclei vari sullo sfondo alpestre o roccioso ed in vicinanza del mare.
La veste decorativa di queste architetture ci restituisce, per quanto lo consentono le condizioni di conservazione, notevoli esempî della pittura di età fiavia.
La libertà lasciata agli artisti nella decorazione di grandi complessi al di fuori dei limiti imposti dalle comuni esecuzioni di mestiere, la copia dei mezzi finanziari e tecnici e soprattutto l'allettamento di una fama che si spandeva oltre i limiti regionali ha sollecitato ed attirato in queste ville stabiane una mano d'opera di notevole livello artistico, e suscitato personalità di artisti, come mostrano i resti delle pitture sinora recuperati. Accanto alla pittura pompeiana ed ercolanense, S. ci dà con i prodotti d'arte dell'ultimo periodo flavio, la fase più notevole della sua fioritura ed i documenti di una continua elaborazione di temi e di forme, che rivela il travaglio di un'arte ormai giunta all'esaurimento della sua forza poetica, ma che è ancora capace di maturare i suoi problemi (v. tav. a colori s. v. pittura, vi, p. 218).
Notevoli sono anche gli stucchi figurati che completavano con la loro grazia accademica il barocchismo delle scenografie architettoniche.
La necropoli. - Oltre la grande necropoli preromana recentemente scoperta sulla via Nocera, tombe preromane e romane furono ancora trovate il secolo scorso a Gragnano nel vallone in località Scivano, in prossimità del ponte della Stazione Ferroviaria (Not. Scavi, 1888, p 65). Altre tombe preromane e romane furono scoperte, durante la costruzione della via di Circumvallazione (pedemontana) tombe a cassa di lastroni di tufo, del periodo ellenistico, con corredi vascolari che si trovavano sulla strada che portava dal praedium Scandianum (Scanzano) a Pozzano e di lì a Sorrento.
Nel comune di Sant'Antonio Abate, lungo l'attuale via Roma, a monte di questa, sono state ritrovate alcune tombe a camera con sarcofagi, talune anche decorate, di età repubblicana che confermano il passaggio, su quella direttrice, della via Stabiis Nuceriam.
Avanzi cristiani di S. sono stati trovati nell'area corrispondente all'attuale piazza Municipio, al vicolo di S. Anna, alla Via del Gesù. Qui si trovava l'area Christianorum e nel 1931 fu scoperto un sarcofago di tufo, di notevoli dimensioni, ricoperto di lastre di marmo, evidentemente riadoperato in periodo cristiano. Peraltro, un notevole materiale venne raccolto nel 1876-79 durante i lavori di costruzione della Cappella di S. Catello (cfr. G. B. De Rossi, in Bull. di Arch. dell'Istit., 1879, pp. 118-127; F. Di Capua, Le Antichità Stabiane conservate nella Sala Capitolare).
Epigrafia. - Molto scarse sono le testimonianze epigrafiche di Stabiae. Ciò è dovuto non tanto alla distruzione per eventi naturali e bellici che si susseguirono sino alla guerra gotica, nel territorio stabiano, quanto alla mancanza di un vero e proprio impianto di città amministrativamente costituita che S. mai ebbe nè come oppidum, nè nel periodo romano. Pochi sono i titoli funerarî (C.I.L., x, nn. 780 ss.). La sola iscrizione di carattere pubblico e religioso è quella apposta da Cesio Dafno, Augustale di Nocera e di Nola, per il restauro del tempio del Genio di S. (C.I.L., x, n. 772); infine è da menzionare la iscrizione lararia del liberto di Livia, Anterote.
Sono, infine, da ricordare per la connessione alla flotta misenate (C.I.L., x, n. 773 ss.) i tre diplomi di honesta missio, dei quali uno di Galba, rilasciati a veterani della flotta misenate, residenti nel territorio di S. (C.I.L., x, nn. 769, 770, 771).
Bibl.: G. De Ruggeri, Istoria dell'immagine di S. Maria di Pozzano, Napoli 1742; P. T. Milante, De Stabiis, Stabiana Ecclesia et episcopio eius, Napoli 1750; L. Agnello Anastasio, Animadversiones in librum P. Thomae Milante episcopi Stabiensi "De Stabiis", Napoli 1751; G. Martucci, Lettere contenenti alcune riflessioni intorno all'opera intitolata Animadversiones, Napoli 1753; B. Capasso, Epigrafia storico-archeologica della penisola sorrentina, Napoli 1846, pp. 9-26; M. Ruggiero, Gli scavi di Stabia dal 1749 al 1782, Napoli 1881; J. Beloch, Campanien, II, Berlino 1890, cap. III, p. 248; L. Cosenza, Stabia, Studi archeologici, topografici e storici, Trani 1907; F. Di Capua, Stabia, Scopert e scavi, in Rivista di Studi Pompeiani, 1934, XIII, p. 166; id., Contributi alla storia ed alla epigrafia dell'antica Stabia, in Rend. Acc. Arch. Lettere e Belle Arti, Napoli 1939. Sulle acque termali: F. Di Capua, Dall'antica Stabia alla moderna Castellammare, Napoli 1936; id., La medicina nell'antica Stabia, in Atti del XII Congresso internazionale di Storia della Medicina, II, Roma 1954. Sulle pitture: O. Elia, Iconografia aulica romana in pitture Stabiane, in Boll. d'Arte, XXIII, 1938, pp. 101-114; Scoperta di dipinti a Stabiae, ibid., XXXVI, 1951, s. IV, n. i, p. 40 ss.; id., Le pitture di Stabia, Napoli 1957; L. D'Orsi, Gli scavi di Stabia, Napoli 1954; O. Elia, Stabiae, Un problema di urbanistica antica, in Urbanistica, 20, 1956; id., La villa stabiana di S. Marco, in Napoli nobilissima, II, fasc. II, 1962; id., Le coppe ialine di Stabia, in Boll. d'Arte, XLII, 1957, s. IV, n. 2, p. 97.