STABILIZZATORE DI TENSIONE
. Grande importanza hanno assunto nell'elettrotecnica delle correnti deboli specialmente, per il progredire della tecnica elettronica, gli apparecchi e i dispositivi, genericamente indicati col nome di stabilizzatori di tensione, atti a mantenere a un prefissato valore la tensione erogata da un generatore elettrico di tensione continua o alternata. Tensioni costanti al variare del carico o della tensione della rete di alimentazione sono infatti richieste per assicurare la necessaria stabilità di funzionamento in numerosi apparecchi elettrici ed elettronici, in particolare in quelli destinati a misurazioni o a controlli.
Il tipo più semplice di s. di tensione è schematicamente costituito da un bipolo non lineare (diodo a gas, diodo a semiconduttore, reattore saturabile) di opportune caratteristiche, collegato alla sorgente di tensione mediante una normale impedenza. In virtù della particolare forma della caratteristica tensione-corrente, la tensione che si sviluppa per caduta ai capi del bipolo risulta indipendente, entro più o meno ampî limiti, dall'intensità della corrente che scorre in esso: donde il nome di s. a caduta correntemente dato a tali dispositivi.
Gli s. a caduta sono, naturalmente, a tensione fissa e il campo di regolazione in corrente è in genere abbastanza ristretto. Di uso assai più flessibile sono gli s. a reazione, nei quali l'azione stabilizzatrice è ottenuta asservendo la tensione erogata dal generatore alla tensione d'uscita dello s.: l'asservimento è assicurato da un servo-sistema comprendente un opportuno elemento di regolazione del generatore (un resistore variabile, un reattore variabile, un trasformatore a rapporto variabile, ecc.). Un generatore provvisto di uno s. del genere costituisce nel complesso ciò che si chiama un alimentatore stabilizzato.
Vengono qui di seguito descritti alcuni tipi di s. per tensioni continue e alternate.
Circuiti stabilizzatori per tensioni continue. - a) A caduta, con diodo a gas a catodo freddo (detti anche s. a tubo luminescente). Il diodo D è disposto secondo lo schema di fig. i a, nella quale R è un resistore di regolazione e Rc è il resistore di carico. Viene utilizzata la regione di scarica normale della caratteristica del diodo (fig. 1 b): la tensione, raggiunto il valore di scarica Vs, si mantiene costante al valore VL in tutto il campo di corrente (da alcuni mA a qualche decina di mA) compreso fra i valori di corrente corrispondenti all'innesco della scarica normale (Imin) e alla transizione dalla scarica normale alla scarica anormale (Imax). La tensione fornita dal diodo al resistore di carico Rc rimane pertanto costante al variare fra Imin e Imax della corrente che percorre Rc; il valore del resistore di regolazione R viene determinato a mezzo della relazione
Il valore VL della tensione stabilizzata dipende dal materiale di cui è costituito il catodo e dalla natura dei gas contenuti nel diodo (neon, argon, elio o una miscela di essi); si hanno valori da 75 a 280 V a seconda del tipo di tubo.
b) A caduta, con diodo Zener. Viene usato un diodo D al silicio, a giunzione p-n, disposto in un circuito simile a quello usato per il diodo a gas (fig. 2 a).
Viene utilizzata la cosiddetta regione di Zener della caratteristica inversa del diodo (fig. 2 b), cioè la regione nella quale non si ha praticamente conduzione fino al valore VZ (tensione di Zener), oltre il quale la corrente aumenta bruscamente al crescere della tensione. Per un'efficace azione stabilizzatrice occorre usare diodi che abbiano una bassa resistenza differenziale nella regione di Zener.
Questo circuito è di comune impiego per potenze non molto elevate. Il diodo Zener tende a sostituire come elemento s. il diodo a gas perché, oltre alla robustezza e alle piccole dimensioni, offre una più ampia gamma di tensioni e di correnti di lavoro.
c) A reazione. Se ne costruiscono per stabilizzare tensioni continue di qualsiasi valore, più comunemente per tensioni di 100÷500 V, e, a differenza degli s. a caduta, offrono la possibilità di variare la tensione d'uscita; la corrente fornita può raggiungere valori considerevoli, anche dell'ordine degli ampere.
Nella fig. 3 a è lo schema a blocchi di uno s. del genere (lo s. vero e proprio è quello tra le linee a tratti). Come elemento di controllo è usato un tubo di potenza che agisce come resistore variabile e viene comandato, attraverso una catena di reazione, dall'uscita stabilizzata. In fig. 3 b è riportato il tipico schema esecutivo. La tensione in uscita VL, ridotta dal partitore R4 R5 R6, viene confrontata con una tensione di riferimento fornita da un diodo a gas o Zener, V3: quest'ultimo fissa infatti il potenziale di catodo di un tubo amplificatore di tensione, V2, mentre la tensione di uscita viene applicata, attraverso il partitore, alla griglia di comando dello stesso tubo. Le variazioni della tensione d'uscita risultano amplificate e applicate con fase opportuna alla griglia di comando del tubo di potenza, V1: la caduta di tensione che si ha in questo varia allora in modo da compensare automaticamente le variazioni della tensione d'ingresso V e da mantenere costante la tensione d'uscita VL.
Il valore della tensione d'uscita viene regolato agendo sul potenziometro R5; il rapporto tra la massima e la minima tensione stabilizzata ottenibili è normalmente 1:3. Circuiti più complessi consentono di variare la tensione da 0 al massimo. Il valore della corrente fornita è condizionato soltanto dalla dissipazione anodica del tubo regolatore V1; per correnti elevate si usano spesso più tubi in parallelo. Sono stati anche realizzati s. a reazione impieganti transistori anziché tubi termoelettronici.
Circuiti stabilizzatori per corrente alternata. - a) A caduta, a ferro saturo. Il circuito più semplice è quello di fig. 4 a, costituito da un reattore L1 non saturo in serie con un reattore L2 saturabile. Ricordiamo che la reattanza di un induttore con nucleo ferromagnetico varia in funzione del punto di funzionamento sulla curva di magnetizzazione del ferro e decresce verso la regione di saturazione. Nella fig. 4 b le curve Vi, V1, Vu indicano, rispettivamente, l'andamento della tensione applicata, di quella che si sviluppa ai capi di L1 e di quella che si sviluppa ai capi di L2 al variare della corrente: si vede che a forti variazioni ΔVi della tensione d'ingresso corrispondono variazioni ΔVu assai più piccole della tensione d'uscita. Con circuiti di questo tipo si raggiungono regolazioni dell'ordine di pochi percento anche per variazioni dell'ordine del 30% della tensione d'entrata. La forma d'onda della tensione d'uscita è però fortemente distorta a causa delle armoniche introdotte dalla non linearità del reattore saturo.
Un dispositivo migliore (s. a risonanza) è rappresentato nella fig. 5 a. L1 ed L2 sono reattori non saturi, mentre L3 è un reattore autosaturabile con un condensatore C in parallelo; L3 e C hanno valori tali da costituire un circuito risonante all'incirca alla frequenza della corrente d'alimentazione. Per bassi valori della tensione l'impedenza di L3 risulta relativamente alta e la corrente assorbita dal gruppo L3C è capacitiva, mentre per elevati valori della tensione il valore di detta impedenza diminuisce e la corrente assorbita risulta induttiva. Esiste un valore VR della tensione che rende risonante il circuito L3C e rende nulla la corrente da esso assorbita, lT (v. fig. 5 b): la stabilizzazione si effettua intorno a questo valore.
b) A reazione, a diodo saturo. Il circuito di principio è schematizzato in fig. 6 a, nella quale L2 indica il reattore saturabile. L'impedenza di L2, e quindi il valore della tensione d'uscita Vu, è controllata elettronicamente da un circuito che regola l'intensità di una corrente continua fatta scorrere nel reattore medesimo. La tensione di comando V2 è prelevata ai capi di un ponte di cui tre lati sono costituiti da resistori e il quarto è costituito da un diodo saturo (v. fig. 6 b): il filamento è alimentato dalla tensione da regolare, sicché il diodo agisce come rivelatore di valore efficace. Uno schema esecutivo è dato in fig. 6 c. Le variazioni della tensione d'uscita Vu agiscono, tramite accoppiamenti trasformatori (T2 e T3), sul ponte V1-R7-R8-R9; l'uscita del ponte è applicata alla griglia di comando del tubo di potenza V2, che controlla la corrente continua d'eccitazione del reattore saturabile L2. La tensione d'uscita può essere variata agendo sul potenziometro R10. Infine L3, L4, C1 e C2 costituiscono dei filtri destinati a ridurre la distorsione della forma d'onda in uscita.
Bibl.: J. G. Truxal, Control engineer's handbook, New York 1958; R. Kretzman, Ind. electronics handb., Londra 1953.