Abstract
Nel presente contributo viene analizzata la natura e la funzione dello stage, istituto giuridico, non riconosciuto quale rapporto di lavoro ma inquadrato come strumento di politica del lavoro finalizzato all’orientamento formativo ed all’inserimento professionale, che ha subito significative modifiche negli ultimi anni. Partendo da una breve e sintetica analisi dell’evoluzione dello stage, si intende focalizzare l’approfondimento sul contenuto e sulle problematiche sollevate dagli interventi della l. 28.6.2012 n. 92 e dalle conseguenti linee guida della Conferenza Stato-Regioni in materia di tirocini del 24.1.2013.
Gli “stage” (termine utilizzato nell’accezione francese, cfr. Pascucci, P., Stage e lavoro. La disciplina dei tirocini formativi e di orientamento, Torino, 2008, 3), formalmente incanalati nella denominazione italiana di “tirocinio” dalla legge sulla formazione professionale, l. 21.12.1978, n. 845, col riferimento al “tirocinio pratico e di esperienza” che comincia a delinearsi come istituto autonomo rispetto al contratto di apprendistato e alla definizione di cui all’art. 2130 c.c. (per la similitudine tra stage e tirocinio già Mengoni, L., Innovazioni nella disciplina giuridica del mercato del lavoro, atti convegno Aidlass 1979, Milano, 1980, 19), non costituiscono rapporti di lavoro, ma si inseriscono quali strumenti di politica del lavoro per rendere più semplice il passaggio dalla fase formativa al primo accesso al mercato del lavoro, agevolando in tal modo le scelte professionali dei giovani. Si tratta di una modalità di attività formativa svolta all’interno di una sede lavorativa – da qui la definizione italiana di “formazione in situazione” o inglese di “training on the job” – e senza la previsione di un contratto di lavoro, la cui disciplina sembrava aver raggiunto una certa stabilità regolativa nell’ordinamento italiano con la generale previsione di cui all’art. 18, l. 24.6.1997, n. 196 relativa ai “tirocini formativi e di orientamento”, ma che negli ultimi anni è stata oggetto di alcuni interventi giurisprudenziali e diversi provvedimenti normativi che hanno introdotto una stratificazione di affastellati interventi regionali, statuali, europei che tuttora lasciano aperti alcuni interrogativi sul piano ricostruttivo.
L’approccio del legislatore italiano allo stage è sempre stato piuttosto frammentario e spesso incanalato all’interno di provvedimenti più generalizzati in materia di organizzazione del mercato del lavoro (Loffredo, A., Diritto alla formazione e lavoro. Realtà e retorica, Bari, 2012, 136). E tale complesso iter regolativo riflette la stessa ambivalenza funzionale insita nello stage, sospeso tra un ruolo strettamente correlato al puro orientamento formativo ed una funzione più propriamente di inserimento occupazionale, caratteri che emergono in dottrina più o meno chiaramente a seconda dell’approccio utilizzato (Pascucci, P., Stage e lavoro, cit., 92; Loffredo, A., op. cit., 134; Maresca, A.-Ciucciovino, S., Regolamentati i tirocini formativi e di orientamento, in Dir. prat. lav., 1998, 1572).
Se in merito al peculiare istituto dei cantieri-scuola di cui alla legge sul collocamento 29.4.1949, n. 264 si dubita si potesse parlare di vero e proprio “stage”, difettando una solida base formativa ed una precisa distinzione con forme di lavoro subordinato (in questo senso Loy, G., Formazione e rapporto di lavoro, Milano, 1988, 97), è propriamente negli anni ’70 che il legislatore italiano comincia a prevedere forme di regolazione per l’inserimento in azienda di uno specifico soggetto a soli fini di formazione ed addestramento, con l’introduzione di forme regolative che, secondo la dottrina, potevano considerarsi in possesso di tutte le caratteristiche proprie dello stage (Pascucci, P., op. cit., 30; Balandi, B.B., Art. 16-bis, in Treu, T., Provvedimenti per l’occupazione giovanile, in Nuove leggi civ., 1979, 107).
In una prima fase l’istituto rientrava nello schema della istruzione e formazione professionale, competenza che il d.P.R. 15.1.1972, n. 7 aveva trasferito alle Regioni. L’art. 16-bis della l. 1.6.1977, n. 285 prevedeva la possibilità di organizzare, nei confronti di giovani iscritti alle liste di collocamento, periodi di “formazione sul lavoro” presso singole imprese, con l’esplicito divieto di adibirli a mansioni «direttamente produttive». La facoltà di implementare iniziative di formazione professionale in azienda sotto l’egida regionale veniva istituzionalizzata con la legge quadro in materia di formazione professionale – l. n. 845/1978 – il cui art. 15 prevedeva la possibilità per specifici enti operanti nella formazione professionale di stipulare apposite convenzioni con le imprese per far effettuare periodi di “tirocinio pratico e di esperienza” attraverso attività formative organizzate dalle Regioni «non a scopi di produzione aziendale». È da qui che «emerge per la prima volta lo strumento della convenzione tra soggetto promotore e soggetto ospitante per l’attivazione degli stage, che finirà per costituire un leit motiv della disciplina dell’istituto» (Pascucci, P., Stage e lavoro, cit., 45). Il legislatore statale tornò ad intervenire sulla questione, con l’art. 3, co. 13, l. 19.12.1984, n. 863 e la previsione di un “periodo di formazione in azienda” e con la l. 28.2.1987, n. 56 e la disciplina di un “periodo di formazione professionale sul luogo di lavoro”.
È però in una seconda fase, negli anni ’90, che l’istituto dello stage assume una rilevanza generalizzata, attraverso un percorso travagliato che vede inizialmente l’approvazione di una normativa, il d.l. 20.5.1993, n. 148, conv. dalla l. 19.6.1993, n. 236, che prevedeva un rapporto di “ospitalità formativa” presso aziende private; si articola attraverso una lunga serie di decreti legge mai convertiti (dal d.l. 14.6.1995, n. 232, al d.l. 1.10.1996, n. 511); e approda all’art. 18 della l. n. 196/1997, che, insieme al d.m. 25.3.1998, n. 142, si pone da quel momento in poi come principale riferimento regolativo per tutte le ipotesi di stage nei diversi settori dell’ordinamento italiano.
La disciplina di cui all’art. 18 l. n. 196/1997 ed al d.m. n. 142/1998, che abroga esplicitamente le precedenti regolamentazioni, si propone, per la dottrina maggioritaria, quale regolamentazione organica ed esclusiva in materia di stage (Pascucci, P., op. cit., 65; Varesi, P.A., I contratti di lavoro con finalità formative, Milano, 2001, 260; Contra Tiraboschi, M., Problemi e prospettive nella disciplina giuridica dei tirocini formativi e di orientamento, in Dir. rel. ind., 2001, 1, 61 che esclude gli stage inseriti nei piani di studio scolastici).
L’art. 18 l. n. 196/1997 è rimasto un fondamentale punto di riferimento regolativo per diverso tempo, anche di fronte ai successivi interventi del legislatore. Così accadde con la riforma del lavoro del 2003. Nonostante l’esplicita previsione di una globale riforma dell’istituto contenuta nella legge delega 14.2.2003, n. 30, che ribadiva il mai attuato proposito della l. 17.5.1999, n. 144, il legislatore delegato di cui al d.lgs. 10.9.2003, n. 276, preferì introdurre soltanto una specifica ipotesi di stage, il “tirocinio estivo di orientamento”, che venne però ben presto rimosso dall’ordinamento dalla Corte costituzionale (C. cost., 28.1.2005, n. 50) in quanto contrastante con la competenza regionale.
Fu l’occasione per rendersi conto dei rilevanti effetti che la riforma del titolo V della Costituzione ha avuto su di un istituto, lo stage, che viene tendenzialmente ascritto alla competenza regionale, ma che inglobando in sé aspetti correlati a istruzione, formazione professionale, mercato del lavoro e, quantomeno sul piano dei confini, regolazione del rapporto di lavoro, si trova a dover subire le non sempre chiare distinzioni sulla competenza funzionale fra Stato e Regioni insite nel novellato art. 117 della carta costituzionale. Tale aspetto emerge anche da alcune differenze semantiche che cominciano formalmente ad essere utilizzate, dapprima in atti amministrativi del Ministero della funzione pubblica (dir. 1.8.2005, n. 2) e del Ministero del lavoro (nt. 14.2.2007; interpelli 8.8.2008, n. 30, 2.4.2010, n. 7; circ. 12.9.2011, n. 24), che delineano diverse fattispecie di stage e che sono attualmente fatti propri dalle linee guida del gennaio 2013. Si comincia così a distinguere tra tirocini extracurriculari, curriculari, di inserimento/reinserimento al lavoro, a favore dei disabili.
Ciò è risultato evidente anche in relazione all’intervento del legislatore con l’art. 11 d.l. 13.8.2011, n. 138, conv. dalla l. 14.9.2011, n. 148, che, richiamando i compiti statuali di determinazione dei livelli essenziali di tutela dei tirocinanti connessi ai diritti civili e sociali (ex art. 117, co. 2, lett. l, Cost.), aveva esplicitamente previsto alcune regole valide per tutti, nonché l’applicazione dell’art. 18 l. n. 196/1997 in assenza di specifiche regolamentazioni regionali, e che è stato anch’esso ritenuto incostituzionale in quanto prevaricatore delle competenze regionali (C. cost., 19.12.2012, n. 287).
Nel frattempo il legislatore della legge Fornero (art. 1, co. 34-36 l. 28.6.2012, n. 92), sulla scorta di un tentativo racchiuso in un’intesa del 2010, ha previsto un “accordo” in sede di conferenza Stato-regioni per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento, che sono state definite il 24.1.2013, con esplicito riferimento ai soli tirocini extracurriculari, e che le Regioni sono invitate a recepire entro sei mesi.
Da ultimo anche l’Unione europea è intervenuta in materia di stage attraverso una proposta di raccomandazione (COM/2013/0857 final), adottata dal Consiglio il 10.3.2014 (G.U. C88/01 del 27.3.2014).
Appare innanzitutto opportuno qualche specificazione in merito a quali siano le fonti normative che incidono sull’istituto in commento. L’attuale configurazione dell’articolo 117 Cost., come modificato dalla l. cost. 18.10.2001, n. 3, costituisce un punto di riferimento imprescindibile per comprendere quali questioni si pongano rispetto al riparto di competenze fra Stato e regioni in materia di stage. Se infatti la Corte costituzionale ha specificato chiaramente che la disciplina dello stage è attratta nella competenza residuale esclusiva delle regioni (C. cost. n. 50/2005; C. cost. n. 287/2012), non può dimenticarsi come in taluni casi l’istituto dello stage, nelle sue differenti sfaccettature, possa intersecarsi con competenze statuali esclusive (ordinamento civile, livelli essenziali di tutela, norme generali sull’istruzione, immigrazione) o concorrenti (istruzione, professioni, tutela e sicurezza sul lavoro).
Su tali aspetti la Corte costituzionale è innanzitutto intervenuta con riferimento alla formazione nell’ambito del contratto di apprendistato, specificando come sia di competenza esclusiva delle regioni la formazione esterna all’azienda svolta presso strutture pubbliche o accreditate dalla regione, mentre è di competenza esclusiva dello Stato quella formazione interna all’azienda che, tenuta dal datore di lavoro, finisce per essere sostanzialmente parte dello scambio contrattuale e quindi ancorata all’ordinamento civile di competenza statale (C. cost. n. 50/2005; C. cost., 19.12.2006, n. 425; C. cost., 2.2.2007, n. 21; C. cost., 14.5.2010, n. 176; C. cost., 24.11.2010, n. 334).
Ha poi avuto modo di chiarire che nella materia dell’istruzione si intrecciano «norme generali» espressive di competenza legislativa esclusiva dello Stato, «principi fondamentali» di competenza statale concorrente con quella regionale, ambiti di «istruzione professionale» al di fuori del sistema scolastico secondario superiore, universitario e post-universitario di competenza esclusiva regionale, oltre che «determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche» (C. cost., 14.7.2009, n. 213; C. cost., 2.7.2009, n. 200; C. cost., 13.1.2004, n. 13; C. cost., 6.7.1989, n. 372).
Ed ha successivamente precisato nell’ambito del delicato confine tra «professioni» e «formazione professionale» che spetta alla competenza statale individuare le figure professionali e i rispettivi ordinamenti predisponendo gli albi, mentre spetta alle regioni, una volta che lo Stato ha dato vita ad un’autonoma figura professionale (ma anche se non lo ha fatto), regolare corsi di formazione relativi a tale figura (C. cost., 26.4.2012, n. 108). Vige infine il generale principio della competenza orizzontale statuale in merito ai livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali.
Nel complesso prisma delle competenze non può tralasciarsi l’ambito dell’Unione europea, che il 10.3.2014 ha avuto modo di adottare una specifica raccomandazione in materia di stage (2014/C88/01).
È in tale contesto, quindi, che il legislatore, riconoscendo la competenza esclusiva regionale, ha comunque ritenuto di delineare linee comuni di regolazione contenute nelle linee guida del 24.1.2013, che coinvolgono certamente i tirocini extracurriculari, ma che lasciano più di qualche dubbio su quali siano le fonti regolative delle differenti tipologie di tirocinio esistenti nell’ordinamento.
Le indicazioni contenute nelle linee guida Stato-regioni del 24.1.2013, che assumono la forma dell’accordo ai sensi dell’art. 4 d.lgs. 28.8.1997, n. 281 e che le Regioni si impegnano a recepire entro sei mesi, riprendono in gran parte i contenuti dell’art. 18 l. n. 196/1997, pur con alcune specifiche novità dettate dalla l. n. 92/2012.
Rispetto alla normativa precedente le linee guida specificano chiaramente l’ambito applicativo ai tirocini extracurriculari, confermando al contempo la ripartizione tra tirocini formativi e di orientamento da un lato e tirocini di inserimento e reinserimento dall’altro (Ciucciovino S., Apprendimento e tutela del lavoro, Torino, 2013, 152) con un diretto richiamo a quelli specificamente finalizzati a persone svantaggiate, e con l’esplicita esclusione dei tirocini curriculari, dei periodi di pratica professionale, dei tirocini transnazionali, dei tirocini per soggetti extracomunitari e dei tirocini estivi.
Il tirocinio viene definito quale misura formativa di politica attiva consistente in un periodo «di orientamento al lavoro e di formazione in situazione» che «non si configura come un rapporto di lavoro». Si tratta di una precisazione che trova ampio riscontro nella regolamentazione in materia di stage, animata dall’evidente quanto esplicita intenzione di escludere «la sussumibilità del contratto di sola formazione nel tipo legale di cui all’art. 2094 c.c.» (Ichino, P., Il contratto di lavoro, Milano, 2000, 377). Se la differenza per esclusione con il lavoro subordinato appare un concetto condiviso, è però sulla qualificazione giuridica dello stage che non sembra esservi pieno accordo in dottrina. Si è parlato da parte di alcuni di un rapporto di specialità tra stage e lavoro subordinato (Cavallaro, L., Dello stage, della subordinazione e dell'uguaglianza, in Dir. lav., 1999, 1, 110), escludendosi da parte di altri qualunque rapporto con l’art. 2094 «per difetto dell’elemento causale essenziale dello scambio tra lavoro e retribuzione», pur rivendicandone la struttura contrattuale (Ichino, P., op. cit., 377), o richiamando la possibile sussistenza di una presunzione legale relativa (cfr. i richiami proposti da Lassandari, A., Art. 18 L. 24 giugno 1997 n. 196, in De Luca Tamajo, R.-Mazzotta, O., a cura di, Commentario Breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2013, 1268). Gran parte della dottrina esclude la stessa natura contrattuale dell’istituto (Pascucci, P., Stage e lavoro, cit., 363), configurandosi, per alcuni, una relazione giuridica a carattere oneroso seppur non contrattuale tra tirocinante e soggetto ospitante (Tiraboschi, M., op. cit., 65), escludendosi per altri anche la stessa onerosità della prestazione, trattandosi di una forma di attività «la cui caratteristica consiste nella pura e semplice acquisizione di conoscenze ed esperienze del mondo della produzione e del lavoro» (Sala-Chiri, M., La formazione e il lavoro, in Argomenti dir. lav., 2000, 327).
È però sempre stato chiaro, in dottrina come in giurisprudenza, come un rapporto di tirocinio mascherato per eludere le norme in materia di lavoro subordinato non possa che essere riqualificato secondo il tipo legale correlato all’effettivo comportamento delle parti. In tal senso anche nella più recente giurisprudenza è diffusa l’idea che «il contratto di «stage», che ha la sua finalità specifica e preminente nell'addestramento professionale e nell'immediata e diretta strumentalità dell'inserimento ai soli fini dell'apprendimento, non integra un rapporto di lavoro subordinato, sempre che dall'indagine sulle concrete modalità di svolgimento del rapporto, non emerga alcuna reale attività di insegnamento, bensì un totale assoggettamento ai poteri di organizzazione, etero direzione e controllo, tali da qualificare la situazione di fatto come un rapporto di lavoro subordinato» (Trib. Novara, 29.5.2010, in redazione Giuffrè 2010; Trib. Trapani, 20.3.2009, in Giur. mer., 2009, 12, 3022; Cass. 17.7.2006, n. 16008; Trib. Milano, 23.10.1999, in Lav. giur. 2000, 168). In sede di riqualificazione andranno ovviamente applicate le sanzioni amministrative ed il recupero dei contributi e dei premi assicurativi connessi (cfr. circ. Inail 3.3.2014, n. 16).
Tra le tipologie di tirocinio le linee guida distinguono tra: a) tirocini formativi e di orientamento, finalizzati ad agevolare le scelte professionali dei giovani, destinati a soggetti che hanno conseguito un qualunque titolo di studio entro 12 mesi, che possono avere durata non superiore a 6 mesi; b) tirocini di inserimento lavorativo, rivolti a disoccupati ed inoccupati nell’ambito di politiche attive del lavoro, di durata non superiore a 12 mesi; c) tirocini specificamente rivolti a persone svantaggiate, richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale, di durata massima 12 mesi, ovvero soggetti disabili, di durata massima 24 mesi.
Lo schema dello stage rimane quello trilaterale già consolidato nell’ordinamento italiano, che vede la presenza di un soggetto promotore, un soggetto ospitante legato al promotore da una specifica convenzione, ed il tirocinante che svolge l’attività di tirocinio presso l’impresa ospitante. Rilevante novità, introdotta dalla l. n. 92/2012 e ripresa dalle linee guida, è invece la previsione di un’indennità di partecipazione, per un importo non inferiore a 300 euro, corrisposta al tirocinante secondo quanto stabilito dalle singole regioni.
Tra i soggetti promotori sono annoverati dall’art. 4 delle linee guida, sulla scia di quanto previsto dal d.m. n. 142/1998, sia istituzioni formative (università, istituzioni scolastiche, centri pubblici di formazione professionale, istituzioni formative private non aventi scopo di lucro), sia soggetti che operano nel mercato del lavoro (servizi per l’impiego e agenzie regionali per il lavoro, gli uffici del Ministero del lavoro), sia strutture che lavorano con soggetti in difficoltà (comunità terapeutiche, enti ausiliari, cooperative sociali, servizi di inserimento per disabili gestiti dalle regioni). Ma appaiono per la prima volta anche soggetti che operano a scopo di lucro, e cioè le agenzie private autorizzate alla intermediazione ai sensi del d.lgs. n. 276/2003, che potranno verosimilmente operare con esclusivo riferimento agli stage di inserimento e reinserimento professionale. In relazione al d.m. n. 142/1998 in dottrina si propendeva per la tassatività dell’elenco (Canavesi, G., Stage, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2002, agg., 3), che oggi è invece espressamente considerato modificabile dalle singole regioni.
Il soggetto promotore è tenuto a garantire il rispetto dell’obbligo assicurativo per il tirocinante contro gli infortuni sul lavoro presso l’INAIL e per la responsabilità civile. Le regioni hanno facoltà di assumere a loro carico tali oneri, così come le singole convenzioni potranno porre l’onere a carico del soggetto ospitante quando il promotore è una p.a., anche se in dottrina si è da sempre ritenuto piena libertà del soggetto ospitante di attivare una propria garanzia assicurativa a prescindere dal soggetto promotore (Lassandari, A., Gli obblighi formativi nel contratto di apprendistato e di tirocinio, in Riv. giur. lav. 1999, 1, 115).
Sono soggetti ospitanti, secondo quanto stabilito dall’art. 5 delle linee guida, gli enti pubblici o privati presso i quali viene realizzato il tirocinio, con la possibilità per le singole regioni di specificare ulteriormente le caratteristiche soggettive ed oggettive del soggetto ospitante. In ogni caso le linee guida stabiliscono espressamente che non possa realizzarsi più di un tirocinio con il medesimo tirocinante, mentre è ipotizzabile l’utilizzo di più tirocinanti anche «per il medesimo profilo professionale», tenendo conto dei limiti numerici che saranno stabiliti dalle regioni, ma che, nelle more della definizione regionale, è indicato dall’art. 9 delle linee guida: un tirocinante per le unità operative con non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato; due per quelle con un numero di dipendenti tra 6 e 20; ed un limite massimo del 10 per cento per chi ha un numero di dipendenti superiore. Rimane fermo l’obbligo, introdotto dall’art. 1, co. 1180, l. 27.12.2006 n. 296, per il datore di lavoro ospitante di dare comunicazione ai servizi per l’impiego entro il giorno antecedente a quello dell’inizio dello stage.
Le linee guida, sulla base di quanto disposto dalla l. n. 92/2012, contengono alcune indicazioni che limitano la possibilità di accedere allo strumento dello stage. Si tratta della necessità di essere in regola con la normativa in materia di salute e sicurezza, di non aver effettuato licenziamenti nei 12 mesi precedenti l’attivazione dello stage e di non avere in corso procedure di cassa integrazione straordinaria o in deroga (Cassa integrazione guadagni). Tali limitazioni, che richiamano analoghi riferimenti in materia di utilizzo dei contratti flessibili, hanno invero creato più di qualche perplessità in dottrina (cfr. Pascucci, P., L’evoluzione delle regole sui tirocini formativi e di orientamento: un’ipotesi di eterogenesi dei fini?, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 3, 415) perché lascerebbero il dubbio di un possibile utilizzo in chiave produttiva dell’istituto dello stage, in palese contraddizione con quanto esplicitamente previsto dalle stesse linee guida.
Analoga critica è stata rivolta alla più rilevante delle novità introdotte dalle linee guida, sulla base della esplicita previsione della l. n. 92/2012: l’indennità di partecipazione. Secondo quanto previsto dall’art. 12 delle linee guida, infatti, al tirocinante deve essere corrisposta un’indennità, qualificata come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, che sarà stabilita dalle singole regioni, ma che viene ritenuta congrua nella misura di 300 euro lordi mensili e che, comunque, non comporta la perdita dell’eventuale stato di disoccupazione del tirocinante. L’indennità sarà normalmente erogabile dal soggetto ospitante, con specifici limiti per le Pubbliche Amministrazioni e la facoltà per le regioni di stabilire misure diverse per agevolare l’utilizzo dello stage nella p.a.
Ebbene, la previsione di una indennità obbligatoriamente prevista per lo stagista, che delinea il carattere necessariamente oneroso del tirocinio (Ciucciovino, S., op. cit., 151) ed intende evidentemente porre un freno ad un potenziale utilizzo abnorme e distorto dello stage, è stata ampiamente criticata proprio per l’intrinseca contraddizione di un istituto che dovrebbe soltanto assurgere a momento di formazione sul lavoro (Tiraboschi, M., op. cit.; Pascucci, P., Stage e lavoro, cit.). Sul punto si è infatti sostenuto che, proprio per salvaguardare la funzione pubblica dell’istituto, sarebbe opportuno insistere perché ad essere obbligato sia il soggetto promotore (Vergari, S., Linee guida sui tirocini e prospettive di riforma regionale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 3, 581).
Anche secondo quanto delineato dalle linee guida il tirocinio è svolto sulla base di apposita convenzione stipulata tra il soggetto promotore ed il soggetto ospitante ed a cui deve essere allegato un progetto formativo in cui, tra i diversi elementi specificamente previsti dalle linee guida, devono essere indicate l’attività da affidare al tirocinante, la modalità di svolgimento del tirocinio e le competenze da acquisire. Sempre in continuità con la regolamentazione precedente sono poi previsti due soggetti da configurarsi quali responsabili del buon andamento del tirocinio, il «referente o tutor» individuato dal soggetto promotore, che collabora alla stesura del progetto formativo ed ha compiti di coordinamento e monitoraggio sulla formazione, ed il «tutor» nominato dal soggetto ospitante che ha funzioni di promozione e supervisione del percorso formativo del tirocinante secondo quanto previsto dal progetto formativo, ed è individuato quale vero e proprio soggetto «responsabile dell’attuazione del piano formativo», ferma restando la necessità che entrambi i responsabili debbano strettamente interagire fra loro.
La convenzione, la cui sola esistenza sembra già «voler sottolineare la diversità dal contratto di lavoro subordinato» (Canavesi, G., op. cit., 4), rappresenta l’elemento portante della disciplina in materia di stage, in grado di contemperare i diversi interessi individuali «sussumendoli in un interesse più ampio che ben può definirsi pubblico» (Pascucci, P., Stage e lavoro, cit., 235). Discussa è sempre stata la natura giuridica della convenzione, visto i caratteri latamente pubblicistici del percorso formativo, pur emergendo in dottrina una chiara predilezione per inquadrarla tra i contratti di diritto comune, più che tra i contratti a favore di terzi, con cui pure si possono individuare alcune assonanze, quale “contratto di organizzazione” dello stage (Pascucci, P., Stage e lavoro, cit., 244; Lassandari, A., Art. 18, cit., 1269).
L’approvazione delle linee guida non ha fugato tutti i dubbi in merito alla disciplina regolativa in materia di tirocinio, con l’emersione di diversi profili problematici, alcuni dei quali già riscontrabili nella regolamentazione precedente, come il problema del recesso (che andrebbe riferito alla convenzione producendo effetti anche sul rapporto con il soggetto promotore, in questo senso Tiraboschi, M., cit., 65) o l’attuale possibilità di svolgere attività di tirocinio extracurriculare prima del conseguimento del titolo (vedi Pascucci, P., L’evoluzione, cit., 415). Vi sono però specifiche problematiche correlate alle stesse nuove modalità regolative dello stage.
Si pone innanzitutto la questione dell’attuale vigenza dell’art. 18 l. n. 196/1997. Nella sentenza n. 287 del 19.12.2012, la Corte costituzionale provvede ad abrogare nel suo dispositivo soltanto l’art. 11 d.l. n. 138/2011, senza alcun riferimento all’art. 18 l. n. 196/1997, che, però, viene richiamato nelle motivazioni della sentenza. Può ancora ritenersi in vigore? Può considerarsi applicabile nei casi in cui una regione non abbia provveduto a regolamentare la materia? Si tratta in realtà di una questione sorta già nell’immediatezza di un’altra sentenza del giudice delle leggi, C. cost., 28.1.2005, n. 50, che aveva portato la maggior parte della dottrina a ritenere comunque vigente l’art. 18 l. n. 196/1997 (cfr. Pascucci, Stage e lavoro, cit.).
La Corte costituzionale ha nel corso del tempo avuto modo di escludere un implicito effetto di illegittimità conseguenziale di norme non esplicitamente dichiarate incostituzionali, ritenendo che «le norme che non siano comprese nella dichiarazione d’illegittimità costituzionale debbono considerarsi ancora vigenti» (C. cost., 13.11.1992, n. 436; C. cost., 21.11.2000, n. 516), salva la possibilità offerta alla stessa Corte dall’art. 27 della l. 11.3.1953, n. 87 di dichiarare incostituzionale una norma d’ufficio in quanto correlata alla pronuncia.
Se già con sentenza n. 303 del 1.10.2003, la Corte costituzionale rilevava che la riforma del titolo V «dovrebbe portare (in linea generale) ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali nelle materie di legislazione concorrente», con l’impossibilità per lo Stato di emanare norme quali quella di cui all’art. 11 d.l. n. 138/2011, diverso è il caso dell’art. 18 l. n. 196/1997, emanato in un momento in cui la competenza statale era fuori discussione. In tal caso, infatti, il principio di continuità, in base ai consolidati orientamenti posti dalla Corte costituzionale (C. cost., 22.7.1985, n. 214; C. cost., 15.7.1993 n. 316), dovrebbe semplicemente comportare una progressiva sostituzione delle nuove norme regionali rispetto a quelle statali previgenti.
L’art. 18 l. 196/1997 sembra quindi potersi considerare perfettamente in vigore (in tal senso Ciucciovino, S., op. cit.; Cardone, A., Il riparto di competenze legislative in materia di formazione professionale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 3, 429; Contra Buratti, U.-Fazio, F.-Tiraboschi, M., in Bertagna, G.-Buratti, U.–Fazio, F.–Tiraboschi, M., a cura di, La regolazione dei tirocini formativi in Italia, 2013, 9; Vergari, S., op. cit., 583). Ciò significa che nel caso una regione non abbia previsto una propria autonoma disciplina, o si presenti un vuoto regolativo, continuerà a potersi applicare l’art. 18 l. n. 196/1997.
Altra questione che si pone concerne l’inquadramento normativo dei tirocini curriculari, esclusi dal campo di applicazione delle linee guida. Il tema è strettamente correlato alle modifiche che nel corso del tempo ha subito il sistema di istruzione in Italia, con l’obiettivo di una sempre più fattuale integrazione tra sistema scolastico, secondario ed universitario, formazione professionale e mercato del lavoro, attraverso l’approccio ad un modello di alternanza scuola-lavoro e di apprendimento in situazione lavorativa.
Dalle riforme degli anni ’90 e dei primi anni del 2000 (d.P.R. 10.10.1996, n. 567; l. 17.5.1999, n. 144; l. 28.3.2003, n. 53; d.lgs. 15.4.2005, n. 77) emergeva la possibilità di utilizzare stage e tirocini tra le forme di concreta alternanza scuola-lavoro. Il d.P.R. 567/1996, come modificato dal d.P.R. 9.4.1999, n. 156, e dal d.P.R. 13.2.2001, n. 105, richiamava per le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, ma con riferimento specifico al ciclo secondario, i tirocini tra le iniziative complementari e integrative dell'iter formativo degli studenti, da considerare attività scolastiche a tutti gli effetti. Per quanto concerne in particolare le Università la stessa l. 19.11.1990, n. 341, in materia di autonomia didattica, rimandava ai singoli regolamenti di ateneo anche «le attività di laboratorio, pratiche e di tirocinio» (l. n. 341/1990, art. 11).
Con l’emanazione dell’art. 18 l. n. 196/1997 è prevalsa in dottrina l’idea che la disciplina in materia di tirocini di cui al predetto art. 18 ed al d.m. attuativo n. 142/1998 avesse una portata generale che «costituisce l’indefettibile substrato regolativo per tutti i tirocini promossi dalle istituzioni scolastiche, in quanto contiene tutta la serie di elementi genetici che connotano da sempre l’istituto, concorrendo in particolare a sancirne la differenza dal rapporto di lavoro» (Pascucci, P., Stage e lavoro, cit., 142).
La l. n. 53/2003 ha poi ribadito il principio di alternanza scuola-lavoro, richiamando in materia di tirocini lo stesso art. 18 l. n. 196/1997. Per la scuola secondaria il d.lgs. n. 77/2005 prevede norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro (strumento pensato dalla l. n. 53/2000 ferma restando la disciplina di cui all’art. 18 l. n. 196/1997). Nello stesso senso il d.m. 3.11.1999, n. 509, modificato e sostituito dal d.m. 22.10.2004, n. 270, disciplina le ulteriori attività formative utili per l’inserimento nel mondo del lavoro, tra cui in particolare i tirocini formativi e di orientamento di cui al d.m. n. 142/1998.
Per quanto concerne la competenza funzionale in materia di istruzione è già stato richiamato l’intervento della Corte costituzionale n. 200 del 2.7.2009 che ben richiama le differenti sfere di intervento fra Stato, che ha anche il compito di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni, regioni ed autonomie scolastiche in materia di istruzione, in cui si intrecciano «norme generali, principi fondamentali, leggi regionali», oltre che «determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche» (C. cost., n. 200/2009; C. cost., n. 13/2004). In tale contesto assume particolare importanza la individuazione di una precisa linea di demarcazione tra le “norme generali sull’istruzione» e i «principi fondamentali» di tale materia, atteso che le prime sono espressive di competenza legislativa esclusiva dello Stato e i secondi di competenza, sempre statale, ma concorrente con quella regionale (C. cost., n. 200/2009).
La stessa Corte costituzionale ha peraltro avuto modo di precisare espressamente che ai sensi della l. n. 53/2003 «rientrano nelle norme generali sull’istruzione: la definizione generale e complessiva del sistema educativo di istruzione e formazione, delle sue articolazioni cicliche e delle sue finalità ultime […] il modello di alternanza scuola-lavoro, al fine di acquisire competenze spendibili anche nel mercato del lavoro […]» (C. cost., n. 200/2009).
Appare quindi da ritenere che la competenza statale in materia di tirocini curriculari possa ritenersi indiscussa, lasciando semmai qualche dubbio se trattasi di competenza esclusiva o concorrente. Sembra preferibile tale seconda opzione, stante lo stretto coordinamento con la competenza esclusiva regionale in materia di formazione professionale tout court, con la possibilità di un intervento regionale che non vada però ad intaccare le competenze statuali correlate alle norme generali in materia di istruzione (se scegliere o meno un percorso di alternanza).
In attesa di una semplificazione complessiva del quadro regolativo, si deve optare per la tuttora operante vigenza dell’art. 18 l. n. 196/1997 e del d.m. n. 142/1998 anche per quanto concerne i tirocini curriculari, sia accanto agli specifici percorsi di alternanza nei cicli di secondo livello, sia per quanto concerne i tirocini curriculari nell’ambito dei percorsi universitari (in tal senso anche Ciucciovino, S., op. cit., 152).
Ulteriore riflessione merita il recente provvedimento dell’Unione europea in materia di tirocini. Si tratta della raccomandazione del Consiglio 2014/C88/01, presentata dalla Commissione il 4.12.2013 (COM(2013)857final) ed adottata dal Consiglio il 10.3.2014 (G.U. C88/01 del 27.3.2014), dopo un approfondimento che ha visto la partecipazione alla discussione di diversi soggetti a livello europeo.
Posto che la raccomandazione ai sensi dell’art. 288 TFUE non è vincolante per i singoli Stati membri, la Corte di Giustizia europea ha però da sempre ritenuto che le raccomandazioni, se pure secondo il Trattato «non sono destinate a produrre effetti vincolanti e non possono far sorgere diritti azionabili dai singoli dinanzi ad un giudice nazionale, esse non sono tuttavia del tutto prive di effetti giuridici» (C. giust., 11.9.2003, C-207/01, Altair). Ed infatti secondo la Corte europea «i giudici nazionali sono tenuti a prendere in considerazione le raccomandazioni ai fini della soluzione delle controversie sottoposte al loro giudizio, in particolare quando esse sono di aiuto nell'interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di garantire la loro attuazione, o mirano a completare norme comunitarie aventi natura vincolante» (C. giust., 13.12.1989, C-322, Grimaldi).
Se si va ad esaminare il contenuto della raccomandazione è possibile notare una differenza di fondo rispetto alla disciplina italiana. La raccomandazione prevede la necessità che i tirocini si basino su un contratto scritto concluso tra il tirocinante ed il soggetto promotore del tirocinio. Due soggetti, quindi, che stipulano tra loro un contratto. Nel sistema italiano il tirocinio è disciplinato tenendo conto della presenza di tre soggetti: l’ente pubblico (o privato) promotore, l’azienda ospite ed il tirocinante.
La raccomandazione UE può, innanzitutto, aiutare a risolvere positivamente la questione discussa in dottrina relativa alla possibilità di prevedere nell’ordinamento italiano un “tirocinio atipico” in cui il rapporto formativo si costituisca direttamente tra impresa utilizzatrice e soggetto tirocinante (in senso positivo già Tiraboschi, M., op. cit., 71; Pascucci, P., Stage e lavoro, cit., 174; Contra Napoli, M., Gli stages nel diritto del lavoro, in Napoli, M., Questioni di diritto del lavoro, Torino, 1996, 159).
Ma potrebbe indirettamente incidere sullo stesso inquadramento del tirocinio, visto che si parla espressamente di contratto bilaterale tra soggetto che utilizza lo stage e azienda, mentre in Italia la dottrina è più propensa a non considerare lo stage quale forma contrattuale, se non nel rapporto convenzionale tra soggetto promotore e soggetto utilizzatore, fornendo una ulteriore argomentazione a coloro che già optano per una concezione contrattuale dell’istituto.
Sembra quindi poter riaffiorare il dubbio relativo alla effettiva sussistenza di un rapporto contrattuale anche (o solamente) tra tirocinante e soggetto ospitante, pur senza l’esistenza di un rapporto di lavoro. Nell’ordinamento italiano la dottrina appariva più incline a ritenere non configurabile un tale rapporto contrattuale, in particolare perché a fronte di una obbligazione sostanzialmente formativa da parte del soggetto ospitante mancherebbe una vera e propria controprestazione da parte del tirocinante, posto che non di lavoro “produttivo” si tratta ma solo di modalità di applicazione della “formazione in situazione” tipica del tirocinio.
E d’altra parte risulterebbe difficoltoso lo stesso inquadramento nelle fattispecie di cui agli articoli 1333 e 1334 c.c. relativi a rapporti unilaterali. Nel caso di contratto con obbligazioni del solo proponente si parla della irrevocabilità dell’obbligazione nel momento in cui giunge a destinazione, salvo l’esplicito rifiuto. Ciò comporta soltanto vantaggi per colui che riceve la proposta, tanto che in giurisprudenza non si ritiene necessaria l’accettazione scritta (Cass., 31.1.2012, n. 1338), ed appare difficilmente compatibile con il tirocinante, che comunque un certo impegno sotto forma di spendita di energia materiale e psichica, se non per un lavoro “produttivo” quantomeno per l’impegno ad apprendere in situazione lavorativa, lo esercita. Discorso molto simile appare proponibile in relazione al contratto unilaterale di cui all’art. 1334.
In realtà, posta la radicale differenziazione con l’art. 2094, ci si può ragionevolmente chiedere se non si possa parlare di una diversa forma di obbligazione contrattuale, comunque bilaterale, tra soggetto ospitante e tirocinante. La raccomandazione UE parla esplicitamente di diritti e obblighi del tirocinante e del soggetto “promotore” del tirocinio (coincidente però col soggetto ospitante). Si potrebbero allora richiamare le modalità con cui la giurisprudenza, prima delle modifiche normative che hanno introdotto un preciso quadro regolativo per lo stage, ha affrontato la questione dei tirocini. È, infatti, possibile ritrovare un consolidato orientamento giurisprudenziale che respingeva la natura subordinata del tirocinio-stage-addestramento professionale (Cass., 23.1.1998, n. 630; Cass., 13.6.1990, n. 5731; Cass., S.U., 28.7.1986, n. 4814; Cass., 18.2.1985, n. 1407; Cass., 15.11.1984, n. 5797; Cass., 2.12.1983, n. 7227; Cass., 26.2.1982, n. 1243), rifiutando altresì la competenza del giudice del lavoro invece del giudice ordinario (Cass., n. 630/1998), senza che però venisse escluso un rapporto contrattuale di scambio tra tirocinante ed azienda, la cui causa era stata rinvenuta «dalla relazione, semplice, fra obbligo di insegnare ed onere di apprendere cui possono accedere in via secondaria ed eventuale, ulteriori obblighi – di frequenza, di pagare un'indennità o rimborsare spese, ecc.» (Cass., S.U., n. 4814/1986).
Da ultimo appare utile un rapido sguardo ai contenuti delle singole normative regionali. Rispetto agli interventi a macchia di leopardo che potevano rinvenirsi prima della predisposizione delle linee guida, allo stato tutte le regioni risultano aver predisposto una loro regolamentazione in materia di stage, attraverso leggi regionali vere e proprie o, in alcuni casi, attraverso delibere di Giunta o regolamenti attuativi.
È piuttosto diffusa una modalità regolativa che non si distanzia più di tanto da quanto delineato dalle linee guida, con le opportune specificazioni correlate alle singole realtà regionali soprattutto per quanto concerne gli aspetti formativi.
Vi sono poi alcuni aspetti in cui è possibile riscontrare diversità anche significative tra le singole regioni. È, ad esempio, il significativo caso dell’indennità. Se in alcuni casi viene esplicitamente indicato che a dover corrispondere l’indennità sia il soggetto ospitante (Friuli Venezia Giulia; Abruzzo; Toscana), in numerosi altri casi non viene esplicitato, indicandosi genericamente il diritto del tirocinante all’indennità, ma riferendosi implicitamente sempre al soggetto ospitante, salvo il caso della Liguria che indica in alternativa il soggetto promotore o quello ospitante. Ma anche sullo stesso valore dell’indennità si riscontrano diversità anche significative, con previsioni che vanno dal valore minimo di 300 euro (Sicilia) fino a valori di 500 (Toscana) o 600 euro (Piemonte, Abruzzo), con indicazioni variabili nella stessa normativa regionale, come il caso della Lombardia che prevede un minimo di 400 euro riducibile a 300 euro mensili qualora si preveda la corresponsione di buoni pasto o l’erogazione del servizio mensa, ovvero con casi in cui l’indennità può non essere corrisposta (Emilia Romagna in relazione a stage di meno di 10 ore settimanali).
Vi sono poi specifiche modalità regolative, con regioni che hanno esteso il proprio ambito regolativo anche oltre i precetti stabiliti dalle linee guida. È ad esempio il caso della Lombardia che ha deciso, discutibilmente essendo in discussione in tal caso una competenza statale, di estendere la propria regolamentazione anche agli stage curriculari.
Art. 16 bis l. 1.6.1977, n. 285; art. 15 l. 21.12.1978, n. 845; art. 3 l. 19.12.1984, n. 863; l. 28.2.1987, n. 56; l. 19.6.1993, n. 236; art. 18 l. 24.6.1997, n. 196; d.m. 25.3.1998, n. 142; art. 1, co. 34-36, l. 28.6.2012, n. 92; linee guida Stato-regioni 24.1.2013; raccomandazione UE 10.3.2014.
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