STAGI
– Famiglia di scultori di Pietrasanta (Lucca), attivi tra la fine del XV e il XVII secolo.
Un affidabile albero genealogico fu approntato da Gaetano Milanesi (1881, p. 15), rettificando alcune fantasiose ascendenze proposte in precedenza (Santini, 1862, p. 63, riprese da Casini, 1987, p. 157).
Lorenzo, figlio di Stagio (o Eustachio) di Niccolò, originario di Campo Carbonaio (oggi Mulina, frazione di Stazzema, prov. di Lucca), nacque verso il 1455. È opinione largamente condivisa (Ridolfi, 1882, p. 158; Aru, 1909, pp. 269 s.; Venturi, 1935, p. 478; Casini, 1987, p. 157, e 1992, p. 86; Russo, 1992, p. 35; Caglioti, 2004, p. 414) che la sua formazione di scultore ornatista si sia svolta come aiuto di Matteo Civitali tra gli anni Settanta e Novanta, in particolare nei lavori per la cattedrale di Lucca: tra gli altri, soprattutto negli elementi decorativi del tempietto del Volto Santo (1482-84), del recinto del coro (1485-88 circa) e del pulpito (1494-98 circa).
Rivelatasi infondata la partecipazione di Stagi a opere per il duomo di Sarzana in date precoci (Gerini, 1829; Santini, 1862, pp. 64 s.; Varni, 1868, pp. 5 s.; Milanesi, 1881, pp. 5-7), è sfuggita sinora la prima testimonianza documentata della sua attività. Da tempo era stato segnalato come di sua mano, o della sua bottega, il tabernacolo eucaristico parietale della chiesa di S. Pietro a Retignano (Stazzema), sul quale gravavano però sospetti per l’insolita grafia della data 1486, per i restauri accertati del 1680 e per l’incerta provenienza (Varni, 1868, p. 7; Santini, [1874], 1964; Ridolfi, 1882, p. 127; Cordoni, 1983; Ciardi, 1992, pp. 13 s.; Russo, 1992, pp. 53 s., 167 nota 51). È agevole invece collegare questo manufatto a tre documenti del 1486, nei quali si registra come Matteo Civitali, in qualità di procuratore di Stagi a Lucca, richiedesse a Pietro Vivaldi, rettore e operaio della chiesa di Retignano, il pagamento per il tabernacolo eseguito dallo scultore pietrasantino da «più mesi» (Concioni - Ferri - Ghilarducci, 2001, pp. 108, 113). Questa notizia rende pienamente attendibile l’iscrizione (che, oltre alla data, richiama il nome di Vivaldi) e la presenza dello stemma di Nicola Sandonnini, vescovo di Lucca (1479-99) (resta da decifrare il secondo stemma, non identificabile, né per figura araldica, né per cronologia, con quello di papa Alessandro VI, come proposto invece da Cordoni, 1983, p. 111); ma soprattutto conferma lo stretto legame di collaborazione, sulla metà del nono decennio, tra Civitali e Stagi.
Tralasciando alcune notizie patrimoniali scalate negli anni Novanta (Varni, 1868, p. 6), per avere testimonianza certa di un successivo lavoro bisogna scorrere fino al 29 novembre 1497, quando la Compagnia del Corpo di Cristo di Pietrasanta commissionò a Stagi un tabernacolo a tempietto esagonale per l’altar maggiore del duomo della città (Milanesi, 1881, pp. 7 s.; Ridolfi, 1882, p. 127; Aru, 1909, p. 270; Russo, 1992, pp. 33-35, 55-59; Caglioti,2004, p. 406). Verosimilmente progettato ancora sotto la tutela di Civitali, che avrebbe dovuto stimarlo insieme a Giovanni Riccomanni, il tabernacolo, elegantemente slanciato grazie all’inconsueto profilo a sesto acuto della cupola, e ispirato al repertorio decorativo del maestro lucchese, fu terminato entro l’agosto 1502. Per renderlo ben visibile al di sopra del piano dell’altare fu necessario innalzarlo su un piedistallo, che venne commissionato a Stagi il 12 aprile 1504, e sul quale furono poi collocati anche due angeli cerofori scolpiti nel 1513 da Donato Benti, oggi perduti (Zurla, 2014-2016 [2018], p. 180). Il complesso fu smantellato nel corso del Seicento, separando il piedistallo finemente intagliato – reimpiegato come supporto del pulpito lavorato nel 1503-1508 da Bertocco e Filippo Casoni e da Donato Benti (pp. 173-179) – dal tabernacolo, venduto nell’Ottocento alla parrocchia di S. Michele a Farnocchia presso Stazzema, dove tuttora si trova.
Nel frattempo, il 30 giugno 1502, a Stagi era stato affidato anche il rivestimento del tornacoro dello stesso duomo, con l’esplicito compito di replicare, nella forma e nei materiali (Bartelletti et al., 2014-2016 [2018], pp. 126-129), il recinto del coro della cattedrale di Lucca, che Civitali e i suoi lavoranti (tra cui forse lo stesso Lorenzo) avevano compiuto tra il 1485 e il 1488 circa (Caglioti, 2004, pp. 412-415). A completamento di questa struttura, i fabbricieri pietrasantini, il 6 luglio 1505, commissionarono a Stagi un parapetto dalla complessa architettura, per transennare l’area dell’altar maggiore (Russo, 1992, pp. 60-62). Tuttavia lo scultore, dopo aver fatto testamento il 23 aprile 1506, lasciando erede universale suo figlio Stagio, morì a Pietrasanta prima del successivo 28 aprile, e fu sepolto in S. Agostino (Milanesi, 1881, p. 5).
Il recinto fu portato a termine entro l’estate 1507 da Giuliano di Taddeo Mei da Pontanico (Firenze) e Bastiano di Giovanni Nelli da Carrara. Con le ristrutturazioni secentesche esso venne disperso, fatti salvi rari frammenti; mentre il tornacoro venne smontato e ricomposto nell’abside (Russo, 1992, p. 40).
Tra le poche altre opere riferite a Lorenzo Stagi, oltre queste grandi commissioni, difficilmente si potrà riconoscergli il rilievo della cosiddetta Vergine della Cervia, proveniente dall’oratorio presso la Porta Beltrame di Pietrasanta, oggi nella chiesa della Misericordia di Seravezza (Santini, 1862, p. 65; Varni, 1868, p. 6; Milanesi, 1881, p. 10), mostrando questo marmo caratteri propri di una cultura più avanzata.
Stagio Stagi nacque a Pietrasanta intorno al 1495-96. Orfano del padre all’età di circa dieci anni, posto sotto la tutela della madre Isabetta Ambrosini e dello zio Bernardino Stagi, dovette apprendere i primi rudimenti con i lavoranti rimasti presso la bottega paterna (Milanesi, 1881, p. 5). In seguito poté perfezionarsi con Donato Benti, che si era stabilito a Pietrasanta almeno dal 1507, diventandovi figura di riferimento (Zurla, 2014-2016 [2018]). Tuttavia l’occasione di uno scatto decisivo per superare la pur raffinata tradizione civitaliana locale si presentò intorno al 1519-20, quando dalla Spagna arrivò a Carrara Bartolomé Ordóñez, con un carico di impegni che richiese il raduno di una folta schiera di collaboratori (Campigli, 2014-2016 [2018]). È probabile che lì si sia avviato il sodalizio con Pandolfo Fancelli, anche lui appena rientrato dalla Spagna, al quale Stagio avrebbe legato la propria carriera fino alla morte dello scultore fiorentino nel 1526. Di certo vi fu un contatto ravvicinato con l’estrosa maniera di Ordóñez, di cui danno prova le prime opere documentate di Stagio (Giannotti, 2014, p. 10, con bibl. precedente). Le due acquasantiere del duomo di Pietrasanta, sormontate l’una da un putto, l’altra da un S. Giovanni Battista, e commissionate tra il 14 luglio e il 24 novembre 1521 (Milanesi, 1881, p. 11), mostrano palesi affinità formali con il maestro spagnolo. E una conferma che Stagi fosse edotto del repertorio di figure e di ornati elaborato tra Carrara, Napoli e la Spagna, giunge dal ritrovamento a Napoli (Naldi, 1997), nella chiesa di S. Pietro Martire, di due semicapitelli con putti e mascheroni che presentano il medesimo disegno di quelli murati nei pilastri della crociera del duomo pietrasantino, attribuiti a Stagi in base a una convenzionale, ma non inoppugnabile, connessione con un documento dell’8 giugno 1522, con il quale gli si allogavano due colonne per sostenere gli angeli di Benti ai lati del tabernacolo (Milanesi, 1881, p. 11; Russo, 1992, pp. 41, 69 s.).
Chiusi questi lavori entro il 1523, sul finire dell’anno Stagi si trasferì a Pisa al seguito di Fancelli, risultandovi, dal 4 dicembre, salariato, tramite lui, dall’Opera del duomo (Tanfani Centofanti, 1897, p. 464). Nel 1524 e 1525 fu impegnato su marmi destinati all’altare di S. Biagio, commissionato il 29 luglio 1523 a Fancelli per il transetto destro del duomo (p. 412). Ma nel 1526 sia Fancelli che Stagi furono vittime di una recrudescenza della peste che da anni affliggeva la Toscana. Pandolfo ne morì a luglio; Stagio sopravvisse, e dall’Opera ebbe l’incarico di portare a termine i numerosi lavori del compagno.
Molto controversa è la valutazione del suo intervento sull’altare di S. Biagio: condivisibile appare l’ipotesi che solo gli intagli delle colonne e quelli del basamento, compresi i due putti reggistemma, siano opera sua (Aru, 1909, p. 282; Giannotti, 2014, p. 10), il che giustificherebbe la sua partecipazione, insieme a Donato Benti, alla stima dell’altare il 30 marzo 1528 (Tanfani Centofanti, 1897, pp. 413 s.).
Più agevole è la questione del capitello per il cero pasquale posto a lato dell’altar maggiore: commissionato a Fancelli l’8 maggio 1523, fu affidato a Stagi per il completamento il 29 aprile 1528, e i compensi pattuiti consentono di ritenere questo «gioiello di libera fantasia e d’architettonica sapienza» (Venturi, 1935, p. 482) opera di Stagi per tre quarti (Tanfani Centofanti, 1897, p. 465; Casini, 1987, pp. 158-160).
È probabile che nel 1526 il giurista Filippo Decio, ancora in vita, avesse incaricato Fancelli di approntare il proprio sepolcro nel Camposanto pisano. La stima che un lavorante di Pandolfo fece il 4 luglio 1527 per conto di Stagi (Bacci, 1917, p. 124) dovrebbe riferirsi a una parte del lavoro già eseguita, prima che lo scultore pietrasantino vi mettesse mano e lo portasse poi a termine al momento della morte del giurista, avvenuta a Siena nel 1535 o 1536, poiché il volto del ritrattato appare chiaramente derivato da una maschera mortuaria.
Nel 1528 l’Opera del duomo pisano riprese quel vasto progetto di ristrutturazione degli altari che, assegnato nel 1486-88 a Matteo Civitali e ai suoi aiuti, tra cui probabilmente Lorenzo Stagi, era rimasto inattuato. L’8 marzo si dette avvio a due altari nei bracci nord e sud del transetto, intitolati, rispettivamente, ai Ss. Maria e Clemente e ai Ss. Giorgio, Giovanni Battista e Francesco, per i quali Stagio ebbe il saldo il 4 aprile 1533 (Tanfani Centofanti, 1897, pp. 465 s.). Diversamente dalle sue prove precedenti e, soprattutto, da quelle successive, caratterizzate da tessiture decorative sature e da motivi antropomorfi e vegetali all’antica, questi due altari si distinguono per una composizione più rarefatta, dove scorrono figure ghiribizzose e caricate. Questo momentaneo allontanamento dagli schemi più abituali si può forse imputare al contributo di uno scultore «amicissimo» di Stagio, Niccolò Tribolo, che in quegli anni si era stabilito a Pisa (Vasari, 1568, p. 397; Giannotti, 2014, pp. 8-14). Il legame era tanto stretto che il primo, presumibilmente verso la fine del 1527, chiese al secondo di scolpire due angeli reggicandelabro in marmo da porre sulle colonne ai lati dell’altar maggiore. Stando a Vasari, Tribolo, dopo averne eseguito uno, abbandonò l’impresa, che passò a Silvio Cosini e fu da lui conclusa entro il 1530 (Bacci, 1917, pp. 126-131). La vicenda non dovette risultare gradita a Stagi, che quando, nel 1531, gli fu proposto di portare a termine il sepolcro di Raffaello Maffei per la chiesa di S. Lino a Volterra, lasciato incompiuto da Cosini, trasferitosi a Genova, si rese disponibile a condizione di non dover «convenire insieme» con Silvio (Falconcini, 1722). La questione poi si risolse con il ritorno di quest’ultimo nel 1532 (Campigli, 2014, pp. 83 s.).
Dalla metà degli anni Trenta gli impegni di Stagi furono essenzialmente concentrati sulla realizzazione degli altari lungo le navate del duomo pisano. L’8 aprile 1532 gli fu commissionato l’altare dei Ss. Gamaliele, Nicodemo e Abibo, che risultò terminato l’8 luglio 1535. Ricco di una fitta trama d’ornati, che risente dell’incontro ravvicinato con Perin del Vaga (Casini, 1987, p. 180), questo altare segnò l’apice del virtuosismo di Stagio. Esso fu completato, nella lunetta, dal rilievo di un Dio Padre con sei angeli, opera riconosciuta, seppur non documentata, al giovane Bartolomeo Ammannati. Si succedettero poi, procedendo verso la controfacciata, in sequenza ininterrotta fino al 1545, altri sei altari, tutti impostati sullo stesso disegno architettonico, con una semplice alternanza di colonne e pilastri, di timpani triangolari e ad arco ribassato, e con una forte riduzione delle partiture decorative (pp. 175-180).
Nello stesso 1545, il 4 agosto, Stagi sottoscrisse il contratto per l’edificazione della cappella dell’Annunziata, nella testata del transetto sinistro. Fu un lavoro imponente, ma essenzialmente architettonico e ornamentale, per il quale gli fu d’aiuto il figlio Giuseppe: tutte le sculture di figura furono assegnate nel 1558 a Francesco di Simone Mosca detto il Moschino. L’impresa si concluse con la stima di Giorgio Vasari il 6 gennaio 1563 (Casini, 1987, pp. 186-203, con bibl. precedente).
Stagi non ebbe tempo di porre mano, come avrebbe dovuto, alla cappella dell’Incoronata, nel braccio opposto del transetto: il 15 maggio 1563 fece testamento (Milanesi, 1881, p. 14), il 15 giugno ricevette un ultimo pagamento, e morì, a Pisa, prima del 29 giugno (Tanfani Centofanti, 1897, pp. 468 s.).
Tra le altre opere sparse riferite a Stagi, si ricordano: a Pisa, oltre alcuni interventi minori per il duomo e il battistero, un’arme dei Medici in piazza del Grano (oggi delle Vettovaglie) e un tabernacolo in S. Maria della Spina (Tanfani Centofanti, 1897, p. 469); a Pietrasanta, dal 1538, il completamento dei lavori al campanile del duomo, in seguito alla morte di Donato Benti, della cui bottega Stagi redasse un inventario il 14 marzo 1548 (Zurla, 2014-2016 [2018], p. 184); nel duomo di Massa, il sepolcro di Lorenzo Cybo, più opportunamente orientato verso l’ambito di Pietro Aprile (Ciardi, 1987, p. 151 nota 43; Rapetti, 1998, pp. 333-335); nel Museo di S. Agostino a Genova, il fregio di un camino proveniente da un palazzo di Carignano (Botto, 1980). È documentata infine una sua qualche competenza di ingegnere idraulico, avendo canalizzato, nel 1554, il fosso di Traversagna presso Pietrasanta (Varni, 1868, p. 13).
Resta al momento di difficile valutazione l’attività scultorea dei figli di Stagio, Bernardino e Giuseppe, così come di suo nipote Francesco di Bernardino e del pronipote Giovan Battista di Lorenzo di Giuseppe (Milanesi, 1881, p. 15).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite, III, Firenze 1568, pp. 191, 363, 397, 494; B. Falconcini, Vita del nobil’uomo e buon servo di Dio Raffaello Maffei, detto il Volterrano, Roma 1722, pp. 214 s.; E. Gerini, Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell’antica e moderna Lunigiana, I, Massa 1829, p. 62; V. Santini, Commentarii storici sulla Versilia centrale, VI, Pisa 1862, pp. 63-66; S. Varni, Di Maestro Lorenzo e Stagio Stagi di Pietrasanta. Studi e appunti, Genova 1868; V. Santini, Vicende storiche di Seravezza e di Stazzema (1874), Pietrasanta 1964, pp. 85, 449-451; G. Milanesi, Notizie di Lorenzo e di Stagio Stagi da Pietrasanta scultori del XV e XVI secolo, Firenze 1881; E. Ridolfi, L’arte in Lucca studiata nella sua Cattedrale, Lucca 1882, pp. 127, 157 s., 162, 317-320; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, pp. 299, 413 s., 464-469; C. Aru, Scultori della Versilia. Lorenzo e Stagio Stagi da Pietrasanta, in L’Arte, XII (1909), pp. 269-287; P. Bacci, Gli “Angeli” di Silvio Cosini nel Duomo di Pisa (1528-1530), con documenti inediti e commenti relativi alla sua vita, in Bollettino d’arte, XI (1917), pp. 111-132; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, X, La scultura del Cinquecento. Parte I, Milano 1935, pp. 477-486; I.M. Botto, Di un’opera di Stagio Stagi e della probabile collaborazione di Bartolomeo Ammannati, in Bollettino dei Musei Civici genovesi, II (1980), 4-6, pp. 55-70; G. Cordoni, Il segreto degli angeli smarriti. L’altare del Corpus Domini nella chiesa di Retignano, in Studi versiliesi, I (1983), pp. 105-114; C. Casini, Il rinnovamento dell’arredo scultoreo interno del Duomo dal 1523 al 1545. Dalle cappelle dell’Annunziata e dell’Incoronata all’altare di San Ranieri nel duomo di Pisa (1545-1592), in R.P. Ciardi - C. Casini - L. Tongiorgi Tomasi, Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, Pisa 1987, pp. 156-228; R.P. Ciardi, Il Cinquecento, ibid., Pisa 1987, pp. 112-154; Id., ‘Sacrati Marmi’. Preliminari per un’indagine sugli arredi liturgici in pietra tra Quattro e Cinquecento, in Le vie del marmo. Aspetti della produzione e della diffusione dei manufatti marmorei tra ’400 e ’500 (catal., Pietrasanta), a cura di R.P. Ciardi - S. Russo, Firenze 1992, pp. 13-23; C. Casini, 'Magistri marmoris' a Pisa e nel contado dalla seconda metà del Quattrocento agli anni Trenta del Cinquecento, ibid., Firenze 1992, pp. 73-99; S. Russo, Le botteghe versiliesi. Contributo per lo studio della scultura decorativa tra i secoli XV e XVI, ibid., Firenze 1992, pp. 33-70, 167 nota 51; R. Naldi, Girolamo Santacroce. Orafo e scultore napoletano del Cinquecento, Napoli 1997, pp. 21, 51 note 132-136; C. Rapetti, Storie di marmo. Sculture del Rinascimento fra Liguria e Toscana, Milano 1998, pp. 55, 63 nota 13, 86, 97, 234, 243, 250, 272, 315, 322, 333-335; G. Concioni - C. Ferri - G. Ghilarducci, Matteo Civitali nei documenti d’archivio, Lucca 2001; Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento (catal., Lucca), Cinisello Balsamo 2004, pp. 406, 414, 416 (in partic.: F. Caglioti, Scheda n. 4.2, Angeli adoranti, pp. 403-407, e Scheda n. 4.5, Elementi del recinto del “coro grande” della cattedrale di San Martino a Lucca, pp. 412-415); M. Campigli - Silvio Cosini, Niccolò da Corte e la scultura a palazzo Doria, in Nuovi studi, XX (2014), pp. 83-104; A. Giannotti, Niccolò Tribolo lungo le coste della Versilia, in Paragone, s. 3, CXVI (2014), pp. 3-20; A. Bartelletti et al., Sulle tarsie e specchiature marmoree della cattedrale di Lucca e del duomo di Pietrasanta nel periodo civitaliano, in Nelle Terre del Marmo. Scultori e lapicidi da Nicola Pisano a Michelangelo, a cura di A. Galli - A. Bartelletti, Pisa 2018, pp. 117-135; M. Campigli, L’appartamento spagnolo. Giovanni de’ Rossi nella bottega di Bartolomé Ordóñez, ibid., Pisa 2018, pp. 197-214; M. Zurla, Un fiorentino nelle “terre del marmo”: Donato Benti tra Genova e Pietrasanta, ibid., Pisa 2018, pp. 165-196.