staio
Dal latino sextarius, la sesta parte del congio; indicava un'unità di misura di capacità per grano e altri aridi, e per traslato, il vaso con cui si effettuava tale misurazione.
Nel primo senso ricorre in Cv IV XI 8 io vidi lo luogo... dove lo più vile villano di tutta la contrada, zappando, più d'uno staio di santalene d'argento finissimo vi trovò; mentre va inteso più propriamente col secondo valore in Pd XVI 105 Grand'era già la colonna del Vaio, / Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci / e Galli e quei ch'arrossan per lo staio, nella circonlocuzione che sta a indicare, per la maggior parte dei commentatori, la famiglia dei Chiaramontesi o Chermontesi (come precisa il Tommaseo), " quorum unus olim dum haberet officium dandi frumentum, sive salem communis, detraxit inde unam dogham, et sic diminuit iustam mensuram cupiditate lucri; propter hoc reperto fallo fuit decapitatus. Et ex hoc fuit ordinatum quod sextarius esset ferreus, ita quod non posset de cetero aliquid detrahi " (Benvenuto), per altri quella dei Tosinghi; analoga allusione, sempre implicita, a questa famiglia, in Pg XII 103-105 (si rompe del montar l'ardita foga / per le scalee che si fero ad etade / ch'era sicuro il quaderno e la doga; v. CHIARAMONTESI).
Compare infine in un contesto metaforico, in Fiore CVIII 4 Ma quand'i' truovo un ben ricco usuraio / infermo, vòl sovente a vicitare, / chèd i' ne credo danari apportare / non con giomelle, anzi a colmo staio, in cui la locuzione colmo staio (espressione tecnica per indicare un recipiente completamente riempito, quindi di contenuto maggiore rispetto allo ‛ s. raso ', riempito cioè in modo da corrispondere all'unità di misura fissata) si contrappone significativamente a giomelle, misura di capacità assai inferiore.