stalking
<stòokiṅ> s. ingl., usato in it. al masch. – Termine inglese (in it. «fare la posta») con il quale si fa riferimento al reato previsto all’art. 612 bis cod. pen., intitolato Atti persecutori, introdotto con il d. l. 11/2009. La norma intende fornire una risposta sanzionatoria specifica e appropriata a condotte precedentemente inquadrate nei meno gravi delitti di minaccia, violenza privata, o nella contravvenzione di molestie ex art. 660 cod. pen., che tuttavia erano spesso inidonei a fornire un’adeguata tutela a fronte di comportamenti che, in ragione della reiterazione degli atti persecutori e della loro conseguente incidenza negativa sulla sfera privata e familiare della vittima, presentano una più intensa carica aggressiva. Lo s. si configura infatti quando una persona (stalker) compie nei confronti della vittima condotte assillanti tali da comprometterne la tranquillità psichica, la possibilità di autodeterminazione e, di conseguenza, la libertà morale. Sono riconducibili allo s.: atti di sorveglianza, inseguimento, intrusioni, appostamenti, tentativi di comunicazione tramite telefonate, SMS, lettere, scritte sui muri, invio di e-mail e virus, e ancora forme di discredito e tormento su social network. I dati statistici mostrano come, nella maggior parte dei casi, le vittime di atti persecutori siano donne, a fronte di stalker uomini, di solito partner sentimentali o ex partner. L’art. 612 bis cod. pen. punisce, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chiunque con condotte reiterate (è dunque necessaria la realizzazione in distinti momenti di una pluralità di condotte), minaccia o molesta taluno in modo tale da cagionargli un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero un fondato timore per l’incolumità propria o di una persona cara, o da costringerlo ad alterare le abitudini di vita. Pertanto, per commettere il delitto di atti persecutori, al comportamento minaccioso, come prospettazione di un male futuro, o a quello molesto, come disturbo e interferenza nella vita privata o di relazione, deve seguire, legato da un nesso causale, uno dei tre eventi tipizzati dalla norma. È necessario, inoltre, che lo stato di disagio psichico, timore o pregiudizio, venga provato nella sua effettiva consistenza, con non pochi problemi applicativi dovuti alla difficoltà, da parte del giudice, di separare la valutazione degli elementi costitutivi del reato dalle soggettive percezioni della vittima. Non è comunque richiesto un particolare fine in capo all’agente, ma solo la rappresentazione e volontà di uno dei tre eventi descritti quale conseguenza del comportamento persecutorio. Aumenti di pena sono poi previsti qualora ricorrano determinati rapporti tra autore e vittima o quest’ultima rivesta particolari qualità ed esattamente: se l’autore è il coniuge, legalmente separato o divorziato, o persona che sia stata legata da relazione affettiva alla vittima – data la particolare sensibilità psicologica del soggetto passivo per il pregresso coinvolgimento emotivo, e la facilità per lo stalker di agire conoscendo le abitudini della vittima –; se il fatto è commesso nei confronti dei 'deboli' per definizione (minori, donne in gravidanza, disabili), ovvero con armi, o da persona travisata. Vista la natura privata degli interessi tutelati, il delitto è perseguibile a querela della persona offesa; si procede invece d’ufficio nelle ipotesi più gravi: se la vittima è minore o disabile, in caso di connessione con altro reato procedibile d’ufficio, o qualora il soggetto sia già ammonito ex art. 8 del d. l. 11/2009. A tal riguardo, ferma restando l’applicabilità delle misure cautelari, il legislatore ha previsto anche uno strumento di tutela pre-penale, l’ammonimento appunto, che può essere chiesto dalla persona offesa, fino a quando non è proposta querela, all’autorità di pubblica sicurezza affinché esorti l’autore della condotta a tenere un comportamento conforme alla legge.