STAMPA
– Sarti di origine milanese, gli Stampa si trasferirono a Roma prima del 1550. Nella città papale alcuni membri della famiglia si dedicarono al commercio di antichità e agli studi antiquari, arrivando a ricoprire incarichi presso importanti corti aristocratiche e nell’amministrazione pontificia.
Come emerge dagli atti del processo per l’omicidio dell’architetto papale Bartolomeo Baronino, tenutosi a Roma nel 1554 (Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore, Processi, 19, f. 39, parzialmente pubblicato in Bertolotti, 1875, pp. 61-65, e Furlotti, 2019, pp. 102 s., 106, 113 s., 200), la famiglia era composta dal padre, Pietro, dalla madre e da sei figli. Di questi, Giovanni Antonio fu inizialmente accusato di essere il mandante dell’omicidio per una lite che lo opponeva a Baronino a proposito di alcune sculture: le accuse si mostrarono però infondate. L’unico altro figlio di Pietro menzionato nelle carte processuali è Vincenzo.
Pietro era sarto e aveva bottega nei pressi di Campo de’ Fiori. Dotato di un buon senso degli affari, fu il primo della famiglia che, pur senza rinunciare all’esercizio della propria professione, investì parte dei guadagni nell’acquisto di statue antiche, ricordate da Ulisse Aldrovandi (1556, pp. 171-173) come esposte in un «salotto» di casa Stampa nel 1549-50. All’epoca del processo, Vincenzo risultava vivere e lavorare con il padre; Giovanni Antonio aveva invece già abbandonato la casa e l’attività paterna per dedicarsi a tempo pieno al commercio di antichità, conquistando in breve tempo la fiducia di influenti figure della corte di Giulio III e diventando un assiduo frequentatore del cantiere di Villa Giulia (Furlotti, 2019, pp. 98-103).
Entro il 1554, Pietro tentò di vendere in blocco le proprie sculture a papa Giulio III tramite la mediazione dell’architetto Bartolomeo Ammannati, ma senza successo. Nel 1556 fu in grado di cedere la raccolta (circa 173 pezzi) al cardinale Jean du Bellay per 1000 scudi d’oro (Bernardi Salvetti, 1975, pp. 20-23, e Furlotti, 2013, p. 253). Questo evento alterò gli equilibri della famiglia. Entro la fine degli anni Cinquanta anche Vincenzo abbandonò la bottega di sarto per dedicarsi al commercio di antichità insieme con il fratello. Contemporaneamente intraprese lo studio del diritto canonico e civile, conseguendo il titolo di dottore utriusque iuris (Furlotti, 2019, p. 105). Nei primi anni Sessanta godette della protezione del cardinale Carlo Borromeo; l’ambizioso tentativo di diventare «guardiano delle antichità del Belvedere», grazie alla mediazione di Borromeo, tuttavia fallì (Dalvit, 2017, p. 83, e Furlotti, 2019, pp. 252 s., per il testo integrale della lettera di Vincenzo al cardinale). Nel frattempo, nel 1562, Giovanni Antonio entrò al servizio di Cesare Gonzaga, signore di Guastalla, per il quale acquistò e fece restaurare numerose antichità (Brown, 1993, pp. 234 s.).
Pietro risulta ormai morto entro il 1566 (Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore, Constituti, c. 213v), anno in cui Vincenzo diventò l’antiquario di corte del cardinale Ippolito II d’Este, per il quale si occupò di scavi, acquisti e restauri (Venturi, 1890, pp. 202 s.). Nel 1572 Vincenzo stilò l’inventario delle antichità del cardinale rimaste «appresso diverse persone dopo la sua morte» (Documenti inediti..., 1879, pp. 161 s.). Benché Giovanni Antonio sia occasionalmente ricordato dalle fonti come «l’antiquario del cardinale di Ferrara» (Brown, 1987, pp. 35-40, 41-43), egli ricoprì un ruolo marginale rispetto al fratello (Venturi, 1890, pp. 202 s.). Nel frattempo, per integrare gli incerti guadagni provenienti dal mercato antiquario, i due fratelli fecero investimenti nel campo immobiliare e nella produzione di sapone (Furlotti, 2019, pp. 95, 107).
Nel corso della loro carriera, Vincenzo e Giovanni Antonio accumularono un considerevole numero di sculture antiche allo scopo di venderle in blocco a un influente protettore, come già aveva fatto Pietro. La loro raccolta godette di una certa fama presso i contemporanei. Nel 1569 lo studioso portoghese Aquiles Estaço riprodusse a stampa sei erme di loro proprietà (figure 23, 26, 30, 45, 46, 50). Negli anni Settanta-Ottanta del Cinquecento, l’erudito spagnolo Alonso Chacón incluse disegni di quattordici pezzi della loro collezione in un taccuino attualmente conservato a Pesaro, nel quale definì i due fratelli «antiquitatis studiosi» (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 59, cc. 24r, 28r, 55r, 57r, 65r, 93r, 121r, 145r, 182r, 184r, 204r, 214r, 220r, 224r).
Nel 1573, attraverso la mediazione di Pirro Ligorio, i due fratelli offrirono la loro raccolta (circa 300 pezzi) al duca Alfonso II d’Este, chiedendo in cambio un posto alla corte di Ferrara (Documenti inediti..., 1879, pp. 163-170, e Corradini, 1987, p. 177). L’affare sfumò e solo nel 1583 gli Stampa riuscirono a vendere in blocco la loro collezione (circa 183 pezzi) a Paolo Giordano I Orsini, duca di Bracciano, per 1000 scudi e un incarico a corte (Furlotti, 2012a, pp. 102-106, e 2012b, pp. 202-208). Tra il 1582 e il 1585 Vincenzo svolse il ruolo di supervisore delle commissioni artistiche promosse da Orsini a Roma e a Bracciano e si occupò di incrementare la collezione ducale di antichità, organizzando campagne di scavo a Cerveteri e a Palo, suggerendo l’acquisto di nuovi pezzi e coordinando interventi di restauro. La morte prematura di Paolo Giordano nel 1585 lasciò i due fratelli privi di protezione e del compenso pattuito al momento della vendita della collezione. Il debito fu saldato da Virginio II Orsini agli eredi degli Stampa intorno al 1593-94.
Dopo il 1585 le strade dei due fratelli si divisero. L’assenza del nome di Giovanni Antonio dalle fonti archivistiche posteriori al 1588 suggerisce che morì intorno a quella data. Vincenzo, invece, intraprese con successo la carriera amministrativa all’interno dello Stato pontificio: nel maggio del 1585 fu nominato governatore di Foligno, nel gennaio del 1587 governatore di Ravenna, e infine, nell’agosto del 1589, governatore di Imola (Furlotti, 2019, pp. 208 s.). Nel 1589 dedicò a Sisto V il De aquaeductu Felici, un libello in latino, stampato a Roma, sull’evoluzione del sistema degli acquedotti dall’antica Roma fino all’età moderna. La familiarità di Vincenzo con il latino e con argomenti eruditi è confermata da un’inedita relazione sulle virtù delle pietre semipreziose usate in una tavola intarsiata che fu commissionata dal cardinale Michele Bonelli per Filippo II di Spagna nel 1587 (la relazione è nota in copia ed è conservata a Londra, British Library). Di Vincenzo non si hanno più notizie a partire dal 1590.
Nel corso di una trentennale carriera, Vincenzo e Giovanni Antonio offrirono i propri servizi come antiquari e mercanti di antichità a numerosi collezionisti italiani e stranieri, tra cui i Gonzaga, gli Este, i Farnese, le corti dell’Impero e di Francia (per un elenco completo, si veda Furlotti, 2019, pp. 106 s.). Benché non fossero esenti da comportamenti spregiudicati – furono per esempio accusati in varie occasioni di furto e di truffa –, i due fratelli si distinsero come esponenti di spicco del mercato antiquario nella seconda metà del Cinquecento (Furlotti, 2010 e 2019). Una traccia della loro originaria professione rimase nel soprannome ‘i Sartorelli’, con il quale erano conosciuti a Roma (Furlotti, 2019, p. 109).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore, Processi, 19, f. 39; Constituti, 130; Londra, British Library, Add., 8297, cc. 207-213: V. Stampa, Alexandrinae mensae descriptio; Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 59: A. Chacón, Collezioni di antichità che erano del cardinale Gasparo Carpegna.
U. Aldrovandi, Di tutte le statue antiche, in L. Mauro, Le antichità de la città di Roma, Venezia 1556, pp. 171-173; A. Estaço, Inlustrium virorum ut exstant in Urbe expressi vultus, Roma 1569, figure 23, 26, 30, 45, 46, 50; A. Bertolotti, Bartolomeo Baronino da Casalmonferrato, architetto in Roma nel secolo XVI, Casale Monferrato 1875, pp. 22-32, 61-65; Documenti inediti per servire alla storia dei musei d’Italia, II, Firenze 1879, pp. X nota 5, 161-170; A. Venturi, Ricerche di antichità per Monte Giordano, Monte Cavallo e Tivoli nel secolo XVI, in Archivio storico dell’arte, III (1890), pp. 196-206 (in partic. pp. 200-203); C. Bernardi Salvetti, Il naufragio presso Piombino di un navile carico di ‘anticaglie’ romane nel 1550, in L’Urbe, XXXVIII (1975), 6, pp. 15-25 (in partic. pp. 20-23); C.M. Brown, Bishop Gerolamo Garimberto, archaeological adviser to Guglielmo Gonzaga duke of Mantua (1570-1574), in Arte lombarda, 1987, vol. 83, n. 4, pp. 32-58 (in partic. pp. 33-44); E. Corradini, Le raccolte estensi di antichità: primi contributi documentari, in L’impresa di Alfonso II, a cura di J. Bentini - L. Spezzaferro, Bologna 1987, pp. 163-192 (in partic. p. 177); C.M. Brown, Our accustomed discourse on the antique. Cesare Gonzaga and Gerolamo Garimberto. Two Renaissance collectors of Greco-Roman art, New York-London 1993, s.v. Stampa Giovanni Antonio and Vincenzo; B. Furlotti, Connecting people, connecting places. Antiquarians as mediators in Sixteenth-century Rome, in Urban history, 2010, vol. 37, pp. 386-398; Ead., A Renaissance baron and his possessions: Paolo Giordano I Orsini, duke of Bracciano (1541-1585), Turnhout 2012a, s.v. Stampa Giovanni Antonio e Stampa Vincenzo; Ead., Collezionare antichità al tempo di Gregorio XIII: il caso di Paolo Giordano I Orsini, in Unità e frammenti di modernità. Arte e scienza nella Roma di Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585), a cura di C. Cieri Via - I.D. Rowland - M. Ruffini, Pisa-Roma 2012b, pp. 197-218 (in partic. pp. 202-208); Ead., Le cardinal Jean Du Bellay et le marché des antiquités à Rome au milieu du XVIe siècle, in Le cardinal Jean Du Bellay: diplomatie et culture dans l’Europe de la Renaissance, a cura di C. Michon - L. Petris, Tours-Rennes 2013, pp. 245-256 (in partic. p. 253); G. Dalvit, Per Carlo Borromeo e la sua collezione di antichità, in Un seminario sul manierismo in Lombardia, a cura di G. Agosti - J. Stoppa, Milano 2017, pp. 79-105 (in partic. pp. 83, 88, 91 s.); B. Furlotti, Antiquities in motion: from excavation sites to Renaissance collections, Los Angeles 2019, s.v. Stampa Giovanni Antonio e Stampa Vincenzo.