STAMPE POPOLARI
. Le stampe popolari, se apparentemente sembrano non avere valore, perché nate da un'arte quasi infantile, assumono, con raggruppamenti organici, molta importanza storica e folkloristica: esse rappresentano le conoscenze che il popolo aveva della macchina del mondo, le superstizioni, l'immaginazione favolosa; rispecchiano l'esistenza del contadino e dell'operaio, le gioie, i dolori, le virtù e i vizî, il sentimento religioso, le opinioni sugli stati sociali, ecc.
Per l'Italia le ricerche intorno alle stampe popolari sono appena iniziate, soprattutto per la mancanza del materiale di studio sia presso le raccolte private, che nei depositi pubblici. Solo Francesco Novati si occupò largamente dell'iconografia popolare, dando ad essa una base scientifica col piano d'ordinamento steso per la mostra di etnografia italiana tenutasi a Roma nel 1911. Ma non mancano gli elementi che consentano di delineare a grandi tratti lo sviluppo delle stampe popolari dalle origini ad oggi. Essi sono costituiti dalle varie figurazioni che ornano le antiche basiliche o che sono rappresentate nelle enciclopedie medievali e nei codici miniati, dai testi della letteratura cara alle plebi, che dall'invenzione della stampa continuarono a pubblicarsi sino alla prima metà del secolo XIX, dai cataloghi dei calcografi, cominciando da quello di A. Lafréry e del Vaccari, che dalla seconda metà del sec. XVI in poi si susseguono, facendoci conoscere i motivi preferiti dal popolo. Altre notizie si possono raccogliere dalle tavole silografiche, alcune delle quali risalgono al Quattrocento, conservate nella Malaspiniana di Pavia, nel museo medievale di Brescia, e da quelle che per più di due secoli servirono ai Soliani di Modena, oggi custodite nella Galleria estense di quella città. A queste fonti si deve aggiungere la raccolta popolaresca conservata nella civica raccolta delle stampe, di Milano, ricca di più che 20.000 esemplari.
In Italia, malgrado le divisioni politiche che la frazionarono, i motivi popolari sono comuni, grazie all'unità spirituale ed etnica del popolo, e quest'unità nelle stampe popolari si tramanda attraverso ai secoli tenace e immutata, sì ch'esse differiscono da regione a regione solo per i caratteri esterni derivati dalle scuole incisorie. Per spiegare la costanza dei motivi bisogna risalire alle loro origini che risalgono all'alto Medioevo. Ci troviamo in presenza di un'iconografia che si perpetua per secoli, variando secondo gli stili prevalenti, ed offrendo continui parallelismi fra le figurazioni più dotte, artistiche o letterarie, e quelle più modeste, veramente popolaresche, siano esse incise o stampate nel libretto che il "canterino" vendeva sul mercato.
Le rappresentazioni più antiche e venerande ci sono offerte dalle pareti delle basiliche o di antichi palazzi ove sculture, affreschi, musaici, litostrati e vetrate narrano, oltre all'episodio sacro, la vita spirituale e materiale dell'uomo, i misteri dell'oltretomba, gl'influssi celesti, le stagioni, i mesi, le virtù e i vizî, gli eroi, le Sibille, le arti liberali, i mestieri, la Fortuna e i gradi dell'età. Spesso il musaicista all'episodio religioso affiancava quello cavalleresco, la facezia goliardica, o il funerale della volpe. Con l'introduzione della stampa questi vecchi motivi si diffondono con grandissima rapidità sia nei testi sia su fogli volanti. In essi si ritrovano le gerarchie divine e terrene, le virtù in lotta con i vizî, gli uomini famosi così del Vecchio come del Nuovo Testamento, dell'età classica e delle leggende cavalleresche, le figure della Fortuna, della Giustizia e della Morte, i vizî delle varie classi sociali, le malizie delle arti e delle donne, i miracoli, le straordinarie avventure così della grande epopea come della novellistica sacra e profana. Queste figure si susseguono nei libri di preghiera, nei calendarî, in stampe che il giullare vendeva in banco, sulle carte da giuoco, e, quasi ciò non bastasse, si perpetuavano anche nelle mattonelle per le stufe o per pavimenti, e sulle terraglie delle osterie.
Quando, nei secoli XV e XVI, le nuove correnti umanistiche e il genio individuale degli artisti trasformarono in Italia l'iconografia tradizionale ispirandosi alle antichità classiche di Roma, le immagini popolari si tennero fedeli ai vecchi motivi e poterono ancora per un certo tempo gareggiare con le più elette forme d'arte: ne fanno fede molte silografie, specialmente fiorentine, del sec. XVI. Poi le stampe popolari passarono nelle mani d'artisti meno che mediocri, fedeli solo alle regole imposte dalla tradizione: mentre l'arte dotta e la letteratura raggiungevano tanta altezza, la stampa popolare ripeteva per più di quattro secoli i soliti motivi, diversi dagli antichi solo per il modo d'esecuzione.
In questo lungo periodo le stampe popolari in parte ripetono i motivi già ricordati, in parte s'ispirano a temi che da quelli derivano, e nell'insieme dànno un quadro assai completo della vita e del pensiero del popolo italiano. Per osservare questa unità occorre considerare ogni stampa non come fine a sé stessa, ma come elemento destinato a completare un quadro unico: l'immagine della vita popolare. Non è possibile qui riprodurre compiutamente la classificazione proposta da F. Novati, dividendo le stampe in 4 classi: la divinità; il mondo e le creature; l'uomo e la società; l'al di là. Ogni classe si suddivide in gruppi giustificati dal fatto che dagli antichissimi motivi il popolo ha creato delle derivazioni. Così, ad esempio, dagli "stati del mondo" discendono le "furberie delle arti", la "vita della cortigiana", le occupazioni della casa, le rappresentazioni del clero, della nobiltà e della borghesia. Così le fonti primitive governano tutto lo sviluppo dell'iconografia italiana che, a differenza di quella degli altri paesi, è unitaria più che regionale.
Le stampe popolari italiane non hanno subito l'influenza di quelle straniere; intorno ad esse non sono cresciute le numerose figurazioni regionali che si osservano all'estero, sì che la tradizione è più facilmente visibile. In Italia mancano le serie didattiche, quelle infantili, e le militari, tanto frequenti in Francia e nelle Fiandre. Lo stesso si dica delle leggende, delle storie e delle vite dei santi, nelle quali la scena è rappresentata da grandi silografie a colori vivaci, come venivano offerte dagli imagiers di Chartres, d'Orléans, d'Epinal, di Wissembourg o di Tournon. Nelle italiane manca il fascino del colore, che è quasi sempre sconosciuto, e le pietose storie di Piramo e Tisbe, di Florindo e Chiarastella e le varie leggende sono affidate ordinariamente a libercoli da un soldo, con piccole silografie che nei periodi più recenti non hanno rapporto con la narrazione.
Anche fra le immagini sacre, così numerose in Italia, non trovano posto gli emblemi delle confraternite, le banderuole per le processioni e i drapelets dei pellegrinaggi tanto largamente adoperati in Francia e nel Belgio.
Difficilmente si potrà trovare nelle stampe italiane la libera manifestazione di quel gusto popolare che fiorisce così gagliardo in altre forme d'arte. In Italia non v'erano le corporazioni degli imagiers e le stampe che piacevano al popolo erano pubblicate un po' da tutti. A Venezia, ad es., il Bertelli, l'editore del primo atlante italiano, pubblica nel 1560 Il Mondo alla rovescia; a Roma Antonio Lafréry, l'editore principe degli avanzi di Roma, non sdegna nel catalogo edito nel 1572 di far seguire ai disegni di Michelangelo e di Raffaello un lungo elenco di stampe popolari; a Modena i Soliani, tipografi granducali, riempiono per più di due secoli le fiere e i mercati dell'Emilia con i libercoli e con le silografie di santi; a Milano il commercio era fatto dai Malatesta, che furono i tipografi ufficiali dei varî governi succedutisi dalla fine del sec. XVI al 1796.
Altra causa che toglie alle stampe italiane l'ingenuità quasi infantile del disegno, che si osserva in quelle straniere, deriva dal fatto che l'incisore che le intagliava doveva attendere anche a lavori di altra natura, e questi frequenti passaggi e gli influssi esercitati dalle opere dei grandi maestri tendono a rendere uniforme la produzione.
Essa era fatta un po' in ogni luogo e da incisori quasi sempre anonimi. Si deve però ricordare la calcografia dei Remondini di Bassano (1650-1860) dedicatasi specialmente a questo genere di lavori. La sua produzione deve essere divisa in due parti, quella per la repubblica veneta che ha caratteri comuni con quella italiana, e le edizioni con didascalie francesi, tedesche, spagnole, russe e polacche per l'estero e l'oltremare, nelle quali manca qualsiasi carattere italiano, perché copie di quelle di Augusta, o imitate da quelle francesi dei mercanti della Rue Saint-Jacques. Fra gl'incisori che apposero il loro nome si ricorda Giuseppe Maria Mitelli che dal 1650 al 1718 incise a Bologna un grande numero di stampe nelle quali, pur rimanendo fedele ai vecchi motivi, seppe fecondarli con nuova vena d'umorismo.
Fuori d'Italia i motivi fondamentali della stampa popolare sono comuni a tutte le nazioni che alla loro volta introdussero nuovi temi o li svilupparono con maggiore abbondanza secondo le condizioni speciali di ciascun popolo. L'iconografia francese si distingue dall'italiana per l'uso tradizionale del colore, in Italia raramente adoperato; introduce motivi figurati, alcuni dei quali in Italia erano solamente letterarî, come i cantici spirituali, i contrasti, le storie, la fontana di giovinezza; è ricchissima nel riprodurre gli avvenimenti politici o i ritratti dei sovrani o dei principi. Nel sec. XVI il centro di produzione era presso i mercanti che si riunivano a Parigi intorno a Rue de Montorgueil, e dal principio del secolo seguente sino alla prima metà del XIX il commercio s'accentrò nella Rue Saint-Jacques con i calcografi Aveline, Bonnart, Basset, Charpentier, Chereau, Chiquet, Landry e altri. Nei dipartimenti le fabbriche d'Orléans di Mans, Strasburgo, Lille e Cambrai sono quelle che dal secolo XVIII in poi conservarono la migliore tradizione delle stampe in legno. Più tardi sorsero le officine lorenesi di Metz, Nancy, Pont-à-Mousson, e quelle celebri di Èpinal, che, fondate da Charles Pellerin, sul finire del secolo XVIII, sono tuttora fiorenti.
Le Fiandre e l'Olanda furono un altro centro importantissimo di produzione. Notevole è una lunga serie, del sec. XVI e seguenti, di piccole immagini dette bidprenties, che rappresentano santi quasi sempre coloriti, sui quali si riportavano fiori o disegni in seta. Le stampe fiamminghe, hanno una figura per foglio, ma più spesso sono divise in 8 sino a 48 rettangoli e in ciascuno è una parte della scena narrata. Vi sono frequenti giuochi e fogli didattici per fanciulli. Quasi esclusivamente fiamminghi sono i drapelets o bandierine che i pellegrini portavano come ricordo delle visite fatte ai santuarî. Il centro principale di fabbricazione fu Turnhout, con la fabbrica fondata dal Brepols (prima metà del sec. XIX), che continua tuttora con la ragione: Brepols e Diecktz.
In Germania nel sec. XVI, durante il periodo delle lotte religiose, la stampa popolare serve alla diffusione delle idee con satire contro gli Ebrei, la chiesa cattolica, Lutero, o gli altri riformatori, e questo spirito beffardo continua anche nel secolo seguente contro i costumi e le professioni. Solo nel sec. XVIII compaiono le stampe per i ragazzi, ma le diverse scene invece di essere disposte di seguito, sono mescolate fra loro. Il principale centro fu Augusta, dove i varî calcografi, quali G. Wolff; M. Engelbrecht, Hertel, Kilian, M. G. Crophius, B. Probst, Pfeffel, G. C. Leopold, e altri, erano riuniti nell'Accademia cesarea delle arti liberali. Durante il sec. XIX, e dopo l'introduzione della litografia, prese enorme sviluppo la rappresentazione dei fatti storici e dei soggetti militari, e le fabbriche si moltiplicarono in tutte le città.
Nessuna illustrazione si ha delle stampe popolari spagnole. La loro produzione ebbe in origine carattere religioso sì che queste stampe sono chiamate col nome generico di "Alelujas", tanto quelle di soggetto religioso quanto quelle di soggetto profano. Le processioni, i Cristi e le Madonne dei celebri santuarî spagnoli e le vite dei santi dànno il maggiore contributo a quell'iconografia. Si deve ricordare che nel sec. XVIII anche le fabbriche di Augusta e dei Remondini di Bassano mandavano in Spagna una grande quantità di stampe, rappresentanti santi e Madonne venerate nell'America Meridionale, che venivano poi mandate in quelle ricche colonie d'oltremare. Una forma speciale della Spagna è fornita dai "Gozos", cioè fogli volanti con legni religiosi posti a decorare versi in onore dei santi. Le varie figurazioni sono ordinariamente divise in 48 rettangoli, ciascuno dei quali contiene una parte della vita di un santo o una scena della storia che si racconta. Le fabbriche principali sono a Barcellona, e la più importante fu quella di Antonio Bosch, fondata nel primo quarto del sec. XIX e continuata poi dai suoi successori.
V. tavv. LXXI-LXXIV.
Bibl.: I. Champfleury, Histoire de l'imagerie populaire, Parigi 1886; F. Novati, La storia e la stampa nella produzione popolare italiana, Bergamo 1907; F. Ehrle, La pianta di Roma Dupérac-Lafréry del 1577, Roma 1908 (vi sono anche ristampati i cataloghi di A. Lafréry [1572], e del Vaccari [1614]; E. van Heurck e G. J. Boekonoogen, Hitoire de l'imagerie populaire flamande, Bruxelles 1910; Catalogo della Mostra etnografica italiana, Bergamo 1911 (a p. 78 è il piano proposto da F. Novati); P. D'Ancona, L'uomo e le sue opere nelle figurazioni italiane del Medioevo, Firenze 1923; F. Novati, Origine e sviluppo dei temi iconografici nell'alto Medioevo, in Freschi e minii del Dugento, nuova ed., Milano 1925; P. L. Duchartre e R. Saulnier, L'image populaire de toutes les provinces françaises, Parigi 1925; A. Bertarelli, L'imagerie populaire italienne, ivi 1929; G. Cocchiara, Per la raccolta e lo studio delle stampe pop. it., in Giorn. st. lett. it., XCV (1930), pp. 115-24 (con bibl.); L. Suttina, Per un catalogo d. stampe pop. it., in Acc. e bibl. d'Italia, V (1932), pp. 214-16.