CANNIZZARO, Stanislao
Chimico italiano nato a Palermo nel 1826, morto a Roma nel 1910. Studiò chimica col Piria a Pisa dal 1845 al 1848. Nel 1849 prese parte alla rivolta siciliana contro i Borboni; quando questa fu soffocata il C. andò esule a Parigi ove conobbe Cahours e Regnault. Chiamato dal governo piemontese insegnò chimica nel collegio nazionale di Alessandria poi nell'università di Genova e di Palermo; e dal 1870 in quella di Roma. Nominato senatore nel 1871 contribuì con la sua autorità e competenza ad elevare l'insegnamento della chimica in Italia.
La grandezza dell'opera del C. si può apprezzare solo con la conoscenza della storia della chimica dal 1802 al 1860. Le difficoltà che chimici come Berzelius, Gay Lussac, Liebig, Dumas, Gerhard, ecc. avevano incontrato nei loro tentativi di costruire su basi solide la teoria atomica, furono completamente superate dal C. il quale prese come base della sua costruzione un principio fondamentale enunciato fin dal 1811 da un grande fisico italiano, l'Avogadro (v. chimica: Storia).
Il C. col suo famoso Sunto di un corso di filosofia chimica, pubblicato nella modesta forma di una lettera diretta al professore De Luca (1858), dimostrò la necessità di assumere l'ipotesi di Avogadro (v.) come pietra angolare per edificare la teoria atomica. Seguendo la regola proposta dal C. si ottennero pesi atomici che consentirono la semplice espressione attuale della legge di Dulong e Petit, soddisfecero ai principî dell'isomortismo e alle analogie chimiche, resero possibile la classificazione periodica (1869-71), stabilirono su basi solide la chimica organica con la conferma della tetravalenza del carbonio. La difficoltà causata dalle densità di vapore anomale di certi composti venne rimossa dal C. con un'interpretazione di esperienze precedenti del Deville più corretta di quella data dal Deville stesso; cinque anni dopo, Pébal provava sperimentalmente le asserzioni del C.
Per apprezzare la galileiana chiarezza dell'esposto del C. in contrasto con la confusione di idee che allora regnava fra i più illustri chimici stranieri, basta leggere la relazione del congresso di Carlsruhe (1860), convocato appunto allo scopo di superare il punto morto in cui si era immobilizzata la teoria atomica. Le prevenzioni erronee erano troppo radicate per cader subito, ma la verità finì col farsi strada, e verso il 1870 la riforma del C. era quasi universalmente accettata. Lothar Meyer, uno dei fondatori della legge periodica, ebbe a dire che la lettura dell'opuscolo di C. gli aveva fatto cadere le bende dagli occhi. L'invito al C. di tenere il discorso di Faraday nel 1872 mostra la profonda stima che questo nostro chimico godeva anche fuori della patria.
Nella cosiddetta legge degli atomi di C. è contenuto un principio importante anche fuori dell'orbita della teoria atomica: il principio che le quantità d'un elemento contenute in volumi eguali dei suoi composti gassosi sono multiple di una stessa quantità. Ciò fu rilevato anche a proposito di certe discussioni sorte al principio di questo secolo sulla convenienza d'abbandonare l'ipotesi atomica. Ma ora che l'atomismo mercé le ricerche sulla radioattività, sulla costituzione della materia coi raggi X, ecc. trionfa completamente, è inutile insistere su questo punto.
I contributi portati dal C. in varie ricerche, specie di chimica organica, per quanto importanti, impallidiscono di fronte alla sua opera principe; ricordiamo tuttavia i suoi studî sulla ciamelide, la scoperta dell'alcool benzilico le ricerche (in collaborazione con varî allievi) sulla santonina e derivati, ecc.
C. fondò in Italia il primo laboratorio moderno di chimica, quello dell'università di Roma, dove ha educato una pleiade di allievi che hanno reso glorioso l'istituto chimico dell'università romana.
Bibl.: Scritti varî e lettere inedite nel centenario della nascita di S. C., a cura dell'Ass. italiana di chimica generale applicata, Roma 1926.