Stanislao Cannizzaro
Stanislao Cannizzaro è universalmente ritenuto il chimico italiano di maggior rilievo, ed è riconosciuto come uno dei fondatori della chimica moderna. La sua importanza è dovuta principalmente al ruolo che egli ricoprì nell’affermazione della teoria atomico-molecolare. Questa nacque all’inizio del 19° sec. grazie all’intuizione dello scienziato inglese John Dalton (1766-1844), ma poté essere accettata e adottata dalla comunità dei chimici solo a seguito della definitiva chiarificazione dei concetti di atomo e molecola operata da Cannizzaro, a partire dal celebre Sunto di un corso di filosofia chimica fatto nella R. Universita’ di Genova: lettera al prof. S. De Luca («Il Nuovo Cimento», 1858, 7, pp. 321-66).
Cannizzaro nacque a Palermo il 13 luglio 1826 da Mariano e da Anna Di Benedetto. Il padre, magistrato, era legato al regime borbonico (in Sicilia fu direttore generale della polizia e poi presidente della Gran Corte dei conti). Nella famiglia materna, al contrario, circolavano idee liberali, che portarono tra l’altro tre suoi zii a perdere la vita al seguito di Giuseppe Garibaldi.
Dopo i primi studi classici, a soli quindici anni Cannizzaro si iscrisse alla facoltà di Medicina di Palermo, dove restò fino al 1845, sostenendo alcuni esami, ma senza conseguire la laurea. In questi anni strinse rapporti con il professore di fisiologia Michele Foderà (1792-1848), insieme al quale svolse ricerche sperimentali di biologia nella propria abitazione, non essendoci all’università alcun laboratorio attrezzato. Da tali giovanili ricerche egli sviluppò un interesse anche per la chimica, di cui apprese le prime nozioni frequentando il relativo corso universitario.
Nell’autunno del 1845 partecipò a Napoli alla settima riunione degli scienziati italiani, dove presentò alcune comunicazioni su temi di fisiologia. In quella sede conobbe il fisico Macedonio Melloni (1798-1854), grazie al cui interessamento fu presentato al chimico Raffaele Piria (1814-1865), che gli offrì un posto di preparatore straordinario presso il laboratorio dell’Università di Pisa.
Nei due anni successivi Cannizzaro proseguì a Pisa la sua formazione in chimica, disciplina in cui si specializzò, dedicandosi soprattutto allo studio delle sostanze naturali, sotto la guida di Piria, personalità di grande spessore scientifico e umano. La formazione scientifica si accompagnò alla maturazione di ideali patriottici; nell’estate del 1847, tornato a Palermo in vacanza, vi si trattenne, attratto dai fermenti politici che sfociarono nella rivoluzione scoppiata nel gennaio del 1848. Egli partecipò attivamente a tale rivoluzione, come ufficiale di artiglieria, come deputato al Parlamento e infine come commissario del governo rivoluzionario a Taormina.
Soffocata la rivoluzione nella primavera del 1849, Cannizzaro fu proscritto e costretto all’esilio in Francia. Qui riprese la sua attività di chimico, entrando, grazie a una lettera di presentazione di Piria, nel laboratorio parigino di Michel-Eugène Chevreul (1786-1889). Incontrò alcuni dei più noti chimici francesi dell’epoca, e sviluppò ulteriormente le proprie competenze nel campo della chimica delle sostanze naturali, compiendo le prime autonome ricerche nel settore.
Nel novembre 1851 accettò la nomina a professore di fisica, chimica e meccanica presso il Collegio nazionale di Alessandria, da cui si spostò nel 1855, quando venne chiamato alla cattedra di chimica presso l’Università di Genova, dove non trovò praticamente alcuna struttura in cui svolgere ricerche sperimentali e dovette quindi attendere un anno perché gli venisse assegnato uno spazio adatto. Fu in questi anni genovesi che maturò e pubblicò le sue originali idee sui concetti di atomo e di molecola a cui deve soprattutto la fama. Nel 1857 sposò Enrichetta Whiters, figlia di un pastore protestante inglese, da cui ebbe due figli.
Nel 1860, subito dopo l’ingresso di Garibaldi a Palermo, Cannizzaro rientrò in Sicilia, sia per riabbracciare i parenti sia per dare il proprio contributo alla nuova stagione politica. Il 1860 fu un anno essenziale anche per la sua attività scientifica, grazie soprattutto alla partecipazione al congresso internazionale di chimica svoltosi a Karlsruhe (3-5 settembre), dove poté presentare le proprie idee sulla teoria atomico-molecolare a un’ampia e qualificata platea di scienziati di fama internazionale.
La caduta del regno borbonico gli consentì di trasferirsi a Palermo con la famiglia, grazie alla nomina a professore di chimica organica e inorganica con regio decreto del 28 ottobre 1861. Anche in questa occasione egli si dovette impegnare non poco per dotare l’edificio universitario di un adeguato laboratorio chimico. Grazie a lui, in pochi anni Palermo diventò un importante centro di studi, in cui fu chiamato un buon numero di scienziati italiani e stranieri, quali Emanuele Paternò (1847-1935), il tedesco Wilhelm Koerner (1839-1925) e l’austriaco Adolf Lieben (1836-1914).
Dopo il 20 settembre 1870 e la proclamazione di Roma a capitale del Regno d’Italia, Cannizzaro divenne professore ordinario di chimica organica e inorganica presso l’Università di Roma. Egli stesso trattò con il ministro della Pubblica istruzione le condizioni del suo trasferimento, che compresero tra l’altro la creazione di un istituto provvisto di locali adeguati, di una dotazione annua e del personale necessario. L’istituto sorse presso l’orto del vecchio convento di San Lorenzo in Panisperna, e in esso nei decenni successivi Cannizzaro costituì una vera e propria scuola di chimica, nella quale si formarono, tra gli altri, Giacomo Ciamician, Arturo Miolati (1869-1956) e Raffaello Nasini (1854-1931).
Quasi contemporaneamente alla nomina a professore a Roma, Cannizzaro fu nominato senatore in base all’articolo 33 della Statuto albertino che prevedeva tale riconoscimento per gli appartenenti da almeno sette anni all’Accademia delle scienze di Torino, di cui lo scienziato palermitano era stato nominato socio nazionale non residente sin dal 1864. Come senatore, Cannizzaro poté contribuire alla costruzione del nuovo Stato italiano, dedicandosi principalmente alla promozione della ricerca scientifica e alla difesa della laicità. Adottò un orientamento politico moderato, che lo portò più volte a pronunciarsi contro tutto ciò che egli riteneva una minaccia all’assetto sociale e civile costituitosi con l’unificazione dell’Italia per opera della dinastia sabauda.
Cannizzaro ricevette nel corso della sua vita molti significativi riconoscimenti e fu socio di diverse accademie nazionali e straniere. Tra esse ricordiamo l’Accademia dei Lincei, di cui fu socio nazionale dal 1873, e l’Accademia di Francia, che lo elesse socio straniero nel 1894. In Gran Bretagna, la Chemical society lo nominò membro onorario fin dal 1862 e gli concesse per due volte (nel 1872 e nel 1896) l’onore di una Faraday lecture; nel 1891 la Royal society gli assegnò la medaglia Copley, il più antico riconoscimento di questa istituzione, attribuito annualmente a scienziati che abbiano conseguito altissimi meriti nel campo della ricerca in ogni ramo della scienza.
Morì a Roma il 10 maggio 1910, dopo aver trascorso nella capitale i suoi ultimi quarant’anni di vita, dedicati alla ricerca, rivolta in particolare alla chimica delle sostanze naturali, alla didattica, che abbandonò solo pochi mesi prima della morte, e all’attività politica come senatore. Nel 1926, nel centenario della nascita, le sue spoglie furono deposte nella chiesa di San Domenico a Palermo, pantheon di molti illustri siciliani.
A parte la parentesi degli anni genovesi, la ricerca di Cannizzaro si svolse costantemente nel campo della chimica organica, in cui del resto era stato formato nel periodo trascorso all’Università di Pisa come preparatore di laboratorio presso la cattedra tenuta da Piria. Qui aveva collaborato con lo scienziato calabrese alle ricerche su sostanze isolate da estratti vegetali quali la salicina, la populina, l’asparagina. Anche durante l’esilio parigino le sostanze organiche di origine vegetale continuarono a costituire il suo campo di studio. In collaborazione con Stanislas Cloëz, uno dei preparatori del laboratorio diretto da Chevreul, pubblicò il suo primo lavoro in chimica sulla preparazione della cianammide e dei suoi derivati (Recherches sur les amides cyaniques, «Comptes rendues de l’Académie des sciences», 1851, pp. 62-64).
Nel campo della chimica organica il risultato più importante della ricerca di Cannizzaro fu, nel 1853, la scoperta di una nuova reazione, attraverso la quale preparò e riconobbe per la prima volta un alcol aromatico. Infatti l’aldeide benzoica contenuta nell’essenza di mandorle amare, reagendo con l’idrossido di potassio, era in grado di trasformarsi in acido benzoico e alcol benzilico, processo conosciuto ancor oggi come reazione di Cannizzaro. Utilizzando la stessa reazione, Cannizzaro riuscì a preparare negli anni successivi diversi altri alcoli della stessa serie.
Anche nel periodo trascorso a Palermo come professore di chimica Cannizzaro si dedicò ai derivati del benzene e di altri composti aromatici; con le sue ricerche accumulò una notevole serie di dati sperimentali, utilizzati in quegli anni dal chimico tedesco Friedrich August Kekulé (o Kekule, 1829-1896) per i suoi studi sulla struttura esagonale dell’anello benzenico.
Lo studio della costituzione e delle proprietà dei composti organici di origine naturale fu infine anche il campo di ricerca cui Cannizzaro si dedicò negli ultimi decenni della sua vita, trascorsi all’Università di Roma. Essi furono in particolare centrati su un derivato del naftalene, la santonina, principio attivo contenuto nell’Artemisia cina (comunemente nota come santonica), pianta erbacea nota sin dall’antichità per le sue proprietà antielmintiche. Di tale sostanza Cannizzaro e i suoi allievi, all’epoca senza altro mezzo che lo studio della reattività chimica, seppero identificare la formula e quasi del tutto esattamente la struttura.
Pur avendo dedicato molta parte della propria attività scientifica alle ricerche di chimica organica, mettendo in luce notevole abilità di sperimentatore, Cannizzaro deve la propria fama soprattutto all’affermazione della moderna teoria atomico-molecolare. Questo contributo teorico fu da lui fornito negli anni in cui era titolare della cattedra di chimica a Genova, anche se poi sugli stessi temi ritornò nei decenni successivi, per iscritto o in conferenze nazionali e internazionali, per favorirne la divulgazione e l’affermazione.
Tra le motivazioni che spinsero Cannizzaro, a partire dal 1857, a occuparsi delle basi stesse della disciplina, ci fu indubbiamente anche l’esigenza didattica di impostare il proprio corso di chimica all’università. Del resto, nella fase in cui una scienza definisce e chiarisce i propri fondamenti, il contatto tra ricerca e insegnamento di base può essere molto più stretto di quanto si possa usualmente ritenere. In quegli anni il legame tra ricerca e insegnamento fu un importante stimolo anche per il russo Dmitrij I. Mendeleev (1834-1907), il quale affermò di essere partito, nelle riflessioni che portarono alla sua tavola periodica, dall’esigenza di trovare nella trattazione didattica delle proprietà degli elementi un ordine che fosse non casuale ma legato alla natura stessa della disciplina.
Successivamente, Cannizzaro volle sottolineare in più occasioni le motivazioni didattiche del Sunto, nato a suo dire non con il proposito di contribuire al progresso della scienza, ma come frutto dei suoi sforzi per insegnare chiaramente agli allievi le dottrine fondamentali della chimica. La soddisfazione per i risultati ottenuti lo aveva poi spinto a divulgare le idee da lui adottate nell’insegnamento tramite il Sunto, presentato come lettera al collega Sebastiano De Luca, che nel 1858 era professore all’Università di Pisa.
Questa interpretazione riduttiva delle origini del suo contributo teorico alla chimica fu peraltro smentita dallo stesso Cannizzaro in altri scritti, quale, per es., la sua commemorazione di Piria del 1883 (Discorso pronunziato inaugurando il busto di Piria il 14 marzo 1883 nell’Istituto chimico della Regia Università di Torino, pubbl. postumo in R. Piria, Lavori scientifici e scritti vari, a cura di D. Marotta, 1932, p. 51), in cui affermò invece che la forma di lettera del Sunto e la sua impostazione apparentemente didattica erano stati solo un espediente per non contrariare il suo maestro. Questi, privilegiando i fatti rispetto alle teorie, era contrario a pubblicazioni dei suoi allievi di carattere esclusivamente teorico.
In ogni caso, con il Sunto Cannizzaro mandava un messaggio fortemente innovativo alla comunità dei chimici, proponendo in un percorso storico un’interpretazione omogenea e del tutto coerente di tutti i dati e le idee sulla costituzione atomica dei corpi che erano circolati nel 19° sec., a partire dall’ipotesi atomica di Dalton (1803).
In tale interpretazione, Cannizzaro riteneva necessaria l’accettazione integrale dell’ipotesi avanzata nel 1811 da Amedeo Avogadro. Scriveva infatti già nel primo capoverso del Sunto:
Io credo che i progressi della scienza, fatti in questi ultimi anni, abbiano confermato l’ipotesi di Avogadro […] sulla simile costituzione dei corpi allo stato aeriforme, cioè che volumi eguali di essi, sieno semplici, sieno composti, contengono l’egual numero di molecole; non però l’egual numero di atomi, potendo le molecole dei varii corpi […] contenere un vario numero di atomi sia della medesima natura, sia di natura diversa (p. 321).
Già in questa frase troviamo l’essenza del contributo di Cannizzaro, la chiara distinzione tra atomo e molecola, e l’indicazione di uno dei principali ostacoli concettuali che avevano impedito fino ad allora la piena affermazione dell’ipotesi avanzata da Avogadro. La possibilità che atomi dello stesso elemento potessero unirsi per formare una molecola era stata per anni negata dalla cosiddetta teoria dualistica, che considerava possibile solo il legame tra atomi di proprietà opposte.
D’altro canto, negli anni più vicini al Sunto la teoria dualistica era in declino, e benché non ci fosse al suo posto nessuna adeguata spiegazione sul modo in cui gli atomi potessero essere legati tra loro, l’esistenza di molecole poliatomiche non era più ritenuta impossibile a priori. A ciò contribuivano anche le prime considerazioni teoriche enunciate negli anni immediatamente precedenti il Sunto da fisici quali i tedeschi Rudolf Clausius e August Krönig. Ai loro lavori fu dato risalto in molte riviste scientifiche, e in Italia «Il Nuovo Cimento» ne pubblicò un dettagliato riassunto (A. Krönig, Sopra una nuova teoria dei gas, R. Clausius, Sulla natura del movimento detto calore, «Il Nuovo Cimento», 1857, 6, pp. 435-41). L’accettazione dell’ipotesi di Avogadro – in breve, uguali volumi→uguale numero di particelle – consentiva di risalire dalle densità relative delle sostanze gassose ai pesi molecolari delle stesse. Come unità di misura delle densità relative poteva prendersi l’idrogeno in quanto più leggero. Cannizzaro (Sunto, cit., p. 325) preferì invece prendere come unità la mezza molecola di idrogeno, il che rendeva il peso molecolare relativo dell’idrogeno pari a 2, quello dell’ossigeno pari a 32, quello dell’acqua pari a 18 e così via.
A questa operazione, Cannizzaro faceva poi seguire l’introduzione dell’analisi elementare delle varie sostanze. Se si trattava di un corpo semplice, esso era ovviamente costituito al 100% di un unico elemento; se era un composto, si indicava la composizione percentuale negli elementi costituenti e la si esprimeva poi in termini di peso molecolare. Esemplificando: dal dato di composizione dell’acqua come costituita all’88,9% di ossigeno e all’11,1% di idrogeno, risultava che in una molecola di acqua, di peso molecolare 18, dovevano esserci in peso 16 parti di ossigeno e 2 parti di idrogeno. Questa operazione veniva ripetuta per un numero adeguatamente grande di sostanze, rendendo così possibile l’enunciazione della seguente legge:
Le varie quantità dello stesso elemento contenute in diverse molecole son tutte multiple intere della stessa quantità, la quale entrando sempre intera, deve a ragione chiamarsi atomo (Sunto, cit., p. 328).
Questa venne chiamata dallo scienziato siciliano la «legge degli atomi», ma è stata in seguito universalmente conosciuta come regola (o principio) di Cannizzaro; essa rendeva possibile determinare esattamente i pesi atomici di molti elementi. Fu tra l’altro la base che consentì pochi anni dopo a Mendeleev e al tedesco Lothar Julius Meyer di individuare una regolarità periodica tra gli elementi chimici.
Entrambi gli scienziati ora citati furono presenti al congresso di Karlsruhe del 1860 a cui si è già accennato, che costituì l’occasione per Cannizzaro per presentare alla comunità internazionale dei chimici le proprie idee. Tale congresso era stato convocato (da Kekulé, da un altro tedesco, Karl Weltzien, e dal francese Charles-Adolphe Wurtz) con lo scopo di arrivare a una chiarificazione su concetti fondamentali per la chimica quali atomo, molecola, equivalente, e per giungere, se possibile, a una nomenclatura e a una formulazione chimica uniformi.
Durante il congresso, come riportano concordemente le testimonianze dei presenti e i resoconti delle sedute, Cannizzaro intervenne più volte, contrastando tra l’altro le idee di Kekulé che avrebbe voluto separare chimica e fisica introducendo una distinzione tra molecole fisiche, cioè le particelle di un gas o di un liquido, e molecole chimiche, le più piccole parti di un corpo che possono prendere parte a una reazione. Nei suoi discorsi Cannizzaro difese la validità generale dell’ipotesi di Avogadro, sostenendo come nei casi di apparente deviazione da essa la ragione andasse trovata in fenomeni dissociativi che le molecole della sostanza in esame subivano ad alte temperature. Il successo delle idee di Cannizzaro fu dovuto anche all’opportuna distribuzione in quella sede di copie del Sunto, che consentirono anche dopo il congresso a molti chimici di riflettere meglio sulle convincenti e chiare argomentazioni del chimico italiano, aprendo la strada negli anni successivi alla loro generale accettazione.
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Lezioni sulla teoria atomica fatte nella R. Università di Genova, «Liguria medica, giornale di scenze mediche e naturali», 1858, 5-6, pp. 169-93.
Sunto di un corso di filosofia chimica fatto nella R. Università di Genova: lettera al prof. S. De Luca, «Il Nuovo Cimento», 1858, 7, pp. 321-66; rist., con commento e nota storica di L. Cerruti, Palermo 1991.
Sui limiti e sulla forma dello insegnamento teorico della chimica, «Gazzetta chimica italiana», 1872, pp. 305-33.
Appunti autobiografici (1872 ca.), in Scritti vari e lettere inedite nel centenario della nascita, a cura dell’Associazione italiana di chimica, Roma 1926, pp. 3-10.
Discorso pronunziato inaugurando il busto di Piria il 14 marzo 1883, nell’Istituto chimico della Regia Università di Torino (1883), in R. Piria, Lavori scientifici e scritti vari, a cura di D. Marotta, Roma 1932, p. 51.
Scritti intorno alla teoria molecolare ed atomica ed alla notazione chimica; pubblicati nel 70° anniversario della sua nascita, Palermo 1896.
La scienza e la scuola, Roma 1910.
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Stanislao Cannizzaro, scienziato e politico all’alba dell’Unità d’Italia: raccolta di memorie nel centenario della morte, a cura di A.M. Maggio, R. Zingales, Roma 2011.