CUGIA, Stanislao
Nacque a Salerno il 13 maggio 1877 da Pasquale e da Teresa Giani, in una famiglia sarda. Si trasferì a Cagliari ove, dopo gli studi liceali, si laureò in giurisprudenza; quindi a Napoli si perfezionò nelle materie romanistiche alla scuola di Carlo Fadda, che era allora il massimo continuatore della dottrina pandettistica tedesca.
Nel 1903 il C. dette un saggio di notevoli capacità nella collaborazione a quella colossale e meritoria impresa che fu la traduzione, con note. critiche, del vasto Commentario alle Pandette del Glück, sotto la direzione di C. Fadda e P. E. Bensa. Sua è la parte relativa al libro 17 (del Digesto), titolo 2°, cioè all'ampia materia dell'actio pro socio. Anche in seguito continuerà con impegno questa collaborazione: sue sono infatti le note relative ai libri 37-38 parte 4a (titoli 10-14: editto Carboniano, bonorum possessio secundum tabulas, mancipatio, ius patronatus) e parte 5a (sui liberti).
Nel saggio Il termine "piae causae": contributo alla terminologia delle persone giuridiche nel diritto romano, in Studi Fadda, V (1906), pp. 227-264, il C. si oppose all'interpretazione corrente che vedeva nelle piae causae la prima configurazione della nozione di "fondazione": egli afferma che occorre tener nettamente separate l'istituzione di beneficenza quale fondazione, che non è nata con Giustiniano ma gli preesiste, e l'espressione pia causa, che è giustinianea.
In particolare critica la concezione del Brinz della fondazione come "patrimonio appartenente ad uno scopo" (Zweckvermögen), definizione scaturita dalla terminologia piae causae delle fonti: per lui la pia causa non e un soggetto del negozio giuridico, bensì "il negozio stesso", definito nel suo scopo: la pietas che muove verso un atto di beneficenza è al tempo stesso "oggettivata" nell'istituzione.
Questo saggio, tappa fondamentale per la ricerca romanistica e civilistica intorno al concetto di fondazione, lo è anche rispetto alle ulteriori fasi del pensiero del C.: l'analisi del termine causa fu da lui estesa e inseguita in tutto il campo degli istituti civilistici. E qui trova una sua coerenza, ed anzi una solida organicità, tutta la produzione scientifica del C., aliena da grandi sintesi ma ben sostenuta sul piano dogmatico e sempre fedele alle fonti, soprattutto giustinianee, secondo quel metodo pandettistico che gli era congeniale.
Il metodo e l'oggetto di tali indagini sono enunciati nel saggio L'espressione "mortis causa". Indagini sulla dottrina della causa nel negozio giuridico (I, Napoli 1910). "Ho raccolto i testi contenenti il termine causa in rapporto al negozio giuridico, li ho ordinati a sistema, secondo il negozio giuridico a cui si riferivano, e ho determinato il valore di causa". E scopo del lavoro è di "determinare in quali categorie si debbano collocare certi negozi giuridici, se a quella inter vivos o a quella dei mortis causa".
In questo saggio il C. mette in guardia dal considerare univocamente l'espressione mortis causa nel diritto romano e nel diritto moderno: mentre nel moderno negozio giuridico mortis causa riguarda "manifestazioni di volontà che emanano dal testatore e operano nel campo del diritto ereditario", nel diritto romano invece l'espressione mortis causa ricorre in vari casi, che occorre verificare di volta in volta in quale categoria (mortis causa o inter vivos) rientrino: tipico è il caso della moglie che commette mortis causa un furto al marito (prevedendo la prossima fine del marito moribondo). Inoltre il C. esclude che i classici abbiano mai pensato di assimilare la donatio mortis causa al legato: un processo assimilativo imputabile a Giustiniano.
Il C. aveva intanto conseguito la libera docenza ed era divenuto professore pareggiato a Napoli nel 1906; nel 1910 vinceva la cattedra di istituzioni di diritto romano presso la libera università di Firenze.
Seguirono altre indagini nel campo delle successioni testamentarie (L'invalidità totale delle istituzioni di erede, Napoli 1913). Altre discussioni interessanti concernono l'alienazione dell'ereditá (Spunti storici e dogmatici sull'alienazione dell'eredità. in Studi Besta [Milano], I [1938], pp. 513-44) e sulla responsabilità oggettiva applicata ai legati, che egli indaga nel saggio edito in Scritti in on. di C. Ferrini pubblicati in occasione della sua beatificazione, II, Milano 1947, pp. 71-89. Ma non era la materia testamentaria l'oggetto primario della sua indagine, bensi quella più generale del negozio giuridico.
L'opera del 1910 era concepita come il primo dei saggi relativi al concetto di causa nel negozio giuridico: e ciò si esplicita nella pubblicazione del volume, apparentemente diverso: Acceptilatio solutioni comparatur. Indagini sulla dottrina della causa nel negozio giuridico, II, Napoli 1924.
L'equiparazione tra acceptilatio e solutio non sarebbe classica, bensì dovuta alle elaborazioni scolastiche bizantine, confluite nel Digesto e proseguite in seguito. Ciò perché nei Bizantini v'era "una tendenza sistematrice dei modi di estinzione della obbligazione", la quale si basa su "criteri di assimilazione": e i due momenti coordinatori tra solutio ed acceptilatio studiati dal C. sono la conventio e la causa.
La trattazione trova un seguito logico nella pubblicazione del volume Confusione perinde extinguitur obligatio ac solutione. Indagini sulla dottrina della causa nel negozio giuridico, III, Napoli 1927.
Nel 1925 il C. era entrato nella carriera universitaria statale, come titolare della cattedra di diritto romano all'università di Cagliari; nel 1926 si trasferiva all'università di Napoli sulla stessa cattedra e infine, nel 1927 a Firenze.
Dunque l'opera del C. poggia sull'interpretazione del termine causa quale fondamento di un ampio discorso sul negozio giuridico, nelle due accezioni principali dei negozio mortis causa (I volume) e inter vivos: e quest'ultimo è riguardato soprattutto nel momento della sua estinzione, l'atto da cui scoprire in controluce tutta la complessità dei negozio stesso: donde l'indagine (estremamente interessante sotto l'aspetto teorico) sulla acceptilatio (vol. II) e sulla confusio (vol. III). E a tale complessa indagine fa coronamento il corso di lezioni Preliminari sul negozio giuridico (Milano 1938).
Il problema dell'acceptilatio rimane centrale nel pensiero del C.: così nell'ulteriore approfondimento che egli ne fa relativamente al diritto romano-bizantino: L'acceptilatio quale finto pagamento nel diritto romano-bizantino (in Scritti Mancaleoni, Sassari 1938, pp. 111 ss.); mentre l'acceptilatio classica è un negozio formale astratto, affiora nei Bizantini l'ipotesi che il creditore agisca donationis causa. In Eperōtēsis kaì anteperōtēsis, in Studi Bonolis, I (1942), pp. 247 ss., sostiene che la mutua interrogatio nonè un'idea bizantina sorta nel limitato campo dei contratti bilaterali, bensì il "ricordo teoretico classico che l'acceptilatio, applicata all'obbligazione che non sia verbis, doveva essere preceduta dalla stipulatio aquiliana".
Sulla confusione il C. ritornerà nel corso fiorentino La confusione dell'obbligazione (Padova 1943), vasta panoramica di tale istituto, studiato sia nei vari significati dei termine, sia nelle varie epoche, sia nelle varie applicazioni: successioni universali a titolo particolare, obbligazioni con garanzia e correali ecc.; giungendo ad una formulazione generale della confusio quale solutio.
Alla problematica dell'estinzione delle obbligazioni si riconnette il volume L'"adiectus solutionis causa" (Napoli 1919): il C. respinge l'idea comune che vede nell'adiecrus un mandatario (Ermächtigungsverhältnis), sostenendo interpolati i passi in cui l'adiectus compare quale mandatario, per i giuristi classici il pagamento effettuato all'adiectus sarebbe solo una res facti: "egli ha soltanto la capacità di liberare il debitore con la ricevuta effettiva della prestazione dovuta", il debitore ne è liberato "per volontà del creditore, non dell'autorizzato, che può essere anche un incapace".
L'aspetto della causa rileva ovviamente nella questione dell'invalidità del negozio: così gli Studi sulla nullità parziale del negozio giuridico (Napoli 1922). Altri aspetti del negozio giuridico il C. trattò, per quanto riguarda la cessione dei diritti e in particolare sulle nozioni di accollo, cessione del credito e dell'azione (cfr. anche il corso La nozione di cessione del credito e dell'azione, Milano 1939; nonché lo scritto, pubblicato postumo, Inammissibilità del "mandatum actionis" nella cessione e nell'accollo classici, in Studi Arangio-Ruiz, V [1953], pp. 291-325, ove si oppone all'idea che nel diritto romano classico in caso di cessione del credito dovesse comparire un mandato ad agire da parte del cedente, che avrebbe reso revocabile la cessione fino al momento della litis contestatio); e a tale campo di studi si riconnette il volume Indagini sulla delegazione in diritto romano (Milano 1947). L'attività del C. può dunque definirsi una vasta e complessa meditazione sulla teoria generale del negozio giuridico.
Interessante è il volume Profili del tirocinio industriale (Napoli 1921), cioè del rapporto di apprendistato: mentre i classici lo inserivano nel rapporto di mandato, Giustiniano lo collocò nella locatio operis, cioè in uti rapporto bilaterale, e questo è il miglior inquadramento in quanto, nel tirocinio, da entrambe le parti esistono prestazioni lavorative.
Notevole è anche l'indagine storica su Tò asōmaton dikaion (Il diritto incorporale), in Bull. d. Ist. di dir. romano, XLII (1934), pp. 432-452. La nozione di "diritto incorporale" del codice napoleonico (artt. 1689 ss.) è scomparsa nelle codificazioni italiane a motivo che quella denominazione era valutata inesatta (ogni diritto è incorporale!). Il C. invece afferma che Napoleone non innovò, ma riprese una denominazione bizantina: Tò asōmaton dikaion. I Bizantini infatti scissero il diritto dall'azione: l'azione (separata dal diritto) era considerata quale diritto (o res) incorporale.
Il C. morì a Firenze l'11 maggio 1952.
È stato rilevato che la sua predilezione non andava alle grandi sintesi costruttive, bensì al lavoro di analisi; e tuttavia, da buon pandettista, è sempre il problema di fondo del profilo dogmatico quel che veramente gli interessa: suoi modelli erano, oltre al Fadda, i grandi pandettisti: Vangerow, Wáchter, Brinz, e soprattutto Windscheid. E alla mentalità pandettistica è da riconnettersi la sua propensione a scorgere lo studio delle Pandette come l'approfondimento del diritto privato vigente. E valutare il diritto romano solo in prospettiva storica, come nella moderna scienza romanistica, era per il C. un degradare lo studio del diritto romano a puro filologismo. Non però sprezzava la filologia, ma la accoglieva nel suo aspetto strumentale, di cui fece uso eccellente, quale esegeta. E' un altro aspetto del suo indirizzo pandettistico: la ricerca interpolazionistica, che però al suo tempo era già in via di esaurimento.
Bibl.: L. De Sarlo, S. C., in Studia et documenta historiae et iuris, XVIII (1952), pp. 374 ss.; A. Biscardi, S. C., in Iura, IV (1953). pp. 457 ss.; cfr., inoltre, E. F. Bruck, in Zeitschr. der Savigny-Stiftungfür Rechtgeschichte, Rom. Abt., XXXIII (1912), pp. 569 ss.; XLVII (1927), pp. 530 ss., 559 ss.