MARCHISIO, Stanislao
Nacque a Torino il 17 sett. 1773, da famiglia poverissima.
Quando l'editore A. Bazzarini pubblicò a Venezia una sua commedia preceduta da alcuni cenni biografici in cui si diceva che la sua famiglia era fornita "a dovizia di beni di fortuna" e gli si attribuiva una laurea, il M. scrisse una lettera all'editore per correggere tali notizie, affermando che i suoi genitori erano poverissimi, che non aveva mai pensato a prendere una laurea e che viveva facendo il commerciante: "sappia che l'onorata mia professione è il commercio, al quale mi sono dato fin dalla prima mia gioventù e sappia per conseguenza che io sono e voglio essere negoziante" (cit. in Allocco - Castellino, p. 4).
La prima opera del M. fu una commedia di imitazione goldoniana intitolata L'apparenza inganna, scritta a 17 anni, mai rappresentata e rimasta inedita. O. Allocco-Castellino, che poté leggere il manoscritto, e pubblicarne alcune scene, disse che vi abbondavano errori di ortografia, e che l'evidente imperizia nella sceneggiatura e le molte ingenuità dimostravano l'immaturità dell'autore, il cui unico merito era in sostanza quello di essere il primo imitatore di Goldoni in Piemonte.
La prima commedia del M. portata sulle scene ha per titolo L'avviso alle figlie ed è in quattro atti. Fu rappresentata a Torino, una prima volta dalla comica compagnia Goldoni il 16 ag. 1798, e poi al teatro d'Angennes dalla comica compagnia della vedova Goldoni, il 23 nov. 1816.
Ambientata a Londra, e affidata all'intreccio romanzesco con scene di grande movimento tra cui spicca un duello, può essere definita una commedia "romantica", che tuttavia non rinuncia a qualche sottile derivazione goldoniana, specialmente nella definizione e nel chiaroscuro dei caratteri.
Più convincente appare Gustavo III re di Svezia ossia I monopolisti, in cinque atti, scritta nel 1801 e rappresentata dall'Accademia filodrammatica di cui il M. era presidente e primo attore nel personaggio di Frederikson, che scioglie in favore della giustizia una situazione complicata dall'avidità e dallo spirito vendicativo di alcuni monopolisti di grano. Evidentemente, il risentimento del piccolo commerciante danneggiato dal monopolio fu parte non piccola nell'ispirazione di questa commedia "sociale". Due anni più tardi, il M. dette alle scene un'altra commedia "di costume": La spia muta (1803), in cinque atti, nuovamente ambientata a Londra.
Nella prefazione all'edizione delle sue Opere teatrali (I-IV, Milano 1820-21), il M. non si limitava a presentare i suoi testi, ma ne difendeva anche l'ispirazione e l'impianto con l'intenzione di occupare quell'immenso spazio vuoto fra "tutto ciò che è tetra pittura dell'atroce infortunio degli eroi, e ciò che è ridevole ritratto delle umane debolezze" e contribuendo in tal modo alla creazione di quello ch'egli stesso definiva "dramma sentimentale". Si diceva inoltre convinto che non c'era speranza di riformare il nostro teatro "finché, sull'esempio delle più colte nazioni, le opere teatrali […] non potranno essere rappresentate senza il dovuto permesso dei rispettivi autori" (p. VIII).
Vero e proprio "animale teatrale", il M. era al tempo stesso autore, sceneggiatore, attore, e regista delle sue opere: come si legge in una recensione (Biblioteca italiana, XXI [1821], pp. 13-20) alle sue Opere teatrali. Tutto lascia supporre che autore dell'anonimo articolo fosse in realtà Alberto Nota, che ricordava d'aver assistito, "or son parecchi anni", in Torino, "in un bellissimo teatro in via Po", alle prime rappresentazioni di quelle commedie che ora, stampate, recensiva per la rivista milanese (ibid., p. 13).
Il recensore riconosceva, seppur a denti stretti, a I cavalieri d'industria del M., alcuni pregi: "La commedia cammina speditamente d'uno in altro avvenimento: il dialogo è vivace: il fine degli atti rapidissimo. E per riguardo a quest'ultima qualità, l'A. ha fatto prova della sua molta perizia nel conoscer l'effetto delle cosiddette situazioni teatrali" (ibid., p. 14). Subito dopo passava però a una disamina severa dei diversi caratteri (in quello di Peretola, per esempio, padre del personaggio di Clementina, osservava una eccessiva volgarità, che non sarebbe stata assolutamente accettata dal pubblico francese o spagnolo). Nei riguardi della seconda commedia, La vera e la falsa amicizia, la critica si faceva più pungente ed estesa: composta in un linguaggio troppo ricercato e "cruschevole", mancante "di movimento nell'azione, e di verità ne' caratteri" (ibid., p. 17), se ne poteva salvare, in definitiva, soltanto il primo atto. L'articolo terminava con un parallelo fra il testo del M. e I primi passi al malcostume di Nota, risolto tutto in vantaggio del secondo.
In effetti, a prima vista, le commedie del M. sembrano ricalcare l'esempio e l'impianto delle opere di Nota, pur se appesantite da un dialogo "non teatrale" (difetto osservato anche da U. Foscolo), affidate come sono a un intreccio "facile", basato sul romanzesco e sull'avventuroso. Malgrado ciò, non di rado sono riscattate da una acuta osservazione psicologica dei personaggi.
Nei primi anni dell'Ottocento la vita del M. fu scandita dalle prime rappresentazioni delle sue opere teatrali.
Probità ed ambizione fu messa in scena a Torino (teatro Carignano, 30 maggio 1801) dalla comica compagnia Paganini. Seguirono poi: La vera e la falsa amicizia (23 nov. 1801), I cavalieri d'industria (29 giugno 1804), La borsa perduta (2 marzo 1806), L'inimico delle donne (22 febbr. 1807); Il falso officioso (26 apr. 1810); e Saffo (tragedia, 20 apr. 1811), tutte portate in scena dall'Accademia filodrammatica di Torino.
Frattanto, nel 1808, l'attività del M. s'era spostata a Milano, dove il suo Inimico delle donne - affidato ad A. Fabbrichesi, uomo di teatro, impresario e direttore di compagnia - ottenne un discreto successo. Lo stesso Fabbrichesi fu indotto a rappresentare Saffo, tragedia in versi che gli era stata fatta recapitare per il tramite di L. Pellico, fratello di Silvio e amico di Foscolo, solo dopo diverse insistenze: l'insuccesso temuto sopraggiunse puntualmente, con danno di immagine e severe conseguenze economiche. Saffo - scritta per un'attrice dilettante (Camilla Lampo Anselmi) - fu recensita nella Biblioteca italiana (XXV [1822], pp. 43-46): accusata di inverosimiglianza e di leggerezza nel disegno di alcuni caratteri, e comunque nel "soggetto", fu tuttavia lodata "per aver maestrevolmente delineato il personaggio di Saffo e nell'espression dell'amore, e in quella della gelosia", e per certi squarci lirici, o per certe massime morali. La seconda tragedia, Mileto, fu sonoramente stroncata dal Conciliatore del 20 giugno 1819.
Nel complesso, la ripresa del modello alfieriano da parte del M. risultava compromessa da una lingua troppo verbosa, da uno svolgimento assai faticoso e da un disegno dei personaggi troppo sommario. Glielo fece notare Foscolo in una lettera dell'8 maggio 1810 in cui, pur tributandogli qualche lode, esaminava due commedie il cui testo gli era stato poco prima inviato dal M., La borsa perduta e Il falso officioso.
Proprio in una lettera a Foscolo, del 5 maggio 1810, il M. aveva offerto di sé questa indovinata definizione: "Dilettante, per genio, del teatro, sono parecchi anni che vado scrivendo qualche scenica produzione; ma, convien pur confessarlo, io sono come un orbo che cammina frugando col bastone, né trova strada, che lo guidi alla desiderata meta" (Foscolo, p. 380).
Il M. non sembrò soffrire troppo degli insuccessi cui andarono incontro le sue opere, tutto dedito com'era a una fiorente attività commerciale e alla sua Accademia filodrammatica, che vedeva sempre più minacciata però, dalla concorrenza della reale compagnia sarda. Gli ultimi anni della lunga vita del M. furono caratterizzati da una discreta tranquillità economica, ma anche afflitti da un crescente isolamento e abbandono.
Il M. morì a Torino il 23 apr. 1859.
Della produzione teatrale complessiva del M. esistono varie edizioni: Opere teatrali, I-IV, Milano 1820-21; Opere teatrali, I-IV, Verona 1831 (i primi tre volumi di Commedie, il IV di Tragedie); Commedie, I-III, Torino s.d.
Fonti e Bibl.: Epistolario di V. Monti, a cura di A. Bertoldi, V (1818-1823), Firenze 1930, pp. 202 s.; U. Foscolo, Epistolario, III (1809-1811), a cura di P. Carli, Firenze 1953, ad ind.; G. Grassi, Operette varie, Torino 1832, pp. 134 ss.; I. Rinieri, Della vita e della opere di Silvio Pellico, Torino 1898, I, pp. 297 ss.; G. Flechia, Un amico di Carlo Botta, in Gazzetta del popolo, 1° febbr. 1902; E. Regis, Studio intorno alla vita di Carlo Botta, Torino 1903, ad ind.; G. Flechia, Lettere inedite di Silvio Pellico a S. M., in La Scuola libera popolare (Boll. ufficiale dell'Unione veneta delle scuole libere popolari ed istituzioni affini), s. 2, VII (1908), pp. 19-21; O. Allocco-Castellino, Un commediografo negoziante (S. M.), Firenze 1911; M. Lupo Gentile, Voci d'esuli, Milano 1911, pp. 139 ss.; P. Carli, Ancora di una lettera di U. Foscolo a S. M., in Italica, XXVII (1950), 3, pp. 245-249; F. Regli, Diz. biografico dei più celebri poeti e artisti melodrammatici…, Torino 1860, s.v.; Enc. Italiana, XXII, p. 246.