Cavell, Stanley
Filosofo statunitense, nato ad Atlanta (Georgia) il 1° settembre 1926. Tra i maggiori pensatori americani della seconda metà del Novecento, per lungo tempo professore alla Harvard University, sin dagli anni Sessanta si è occupato di cinema, difendendone la piena legittimità culturale in un ambiente all'epoca poco propenso a equipararlo alle arti tradizionali. Nella sua lunga attività di studioso, C. ha sempre operato con grande originalità nella più completa autonomia, al punto che, in un sistema universitario come quello anglosassone, dove la distinzione tra analitici e continentali è sempre più discriminante, non è facile stabilire su quale versante collocarlo. Uomo del dialogo nel senso più alto ‒ socratico e platonico ‒ dell'espressione, ha sempre cercato, come R. Rorty, di accogliere tradizioni filosofiche diverse, prendendo da ognuna di esse ciò di cui aveva bisogno per il proprio percorso speculativo. Nei suoi scritti sul trascendentalismo americano (il magistrale The senses of Walden, del 1972), ha riletto in maniera originale il pensiero di R.W. Emerson e H.D. Thoreau, in genere collocati ai margini del canone filosofico, alla luce della filosofia del senso comune di L. Wittgenstein. Anche i suoi gusti cinematografici rispondono a questa logica anticonformistica, come quando indicò al "New York times magazine" Groundhog day (1993; Ricomincio da capo) di Harold Ramis quale film contemporaneo che avrebbe resistito nel tempo. Questo atteggiamento ha fatto sì che, in un periodo in cui i cinefili statunitensi apprezzavano soprattutto il cinema d'autore europeo, C. orientasse invece i propri interessi verso il cinema di genere hollywoodiano, soprattutto verso la commedia sentimentale e il melodramma. Accanto alla sua produzione più propriamente filosofica, C. ha consacrato al cinema tre libri e diversi saggi, parte dei quali raccolti in Themes out of school: effects and causes, del 1984 (uno di questi, su North by Northwest, 1959, Intrigo internazionale, di Alfred Hitchcock, è stato tradotto in italiano in "Filmcritica", luglio-agosto 1998, 486-487). Il suo primo volume monografico, che è anche quello più esplicitamente teorico, The world viewed: reflections on the ontology of film (1971; ed. ampliata 1979), si segnala per un'interpretazione originale degli scritti di A. Bazin sull'ontologia del cinema, letti ancora una volta attraverso i trascendentalisti americani e il pensiero di M. Heidegger, al punto che il libro deve il suo titolo a un saggio del pensatore tedesco. A parte alcune acute considerazioni sul rapporto tra il mondo e le sue riproduzioni, su Ch. Baudelaire e la necessità filosofica del cinema o sulla relazione tra attore e personaggio, quest'opera sorprende per la vastità dei suoi riferimenti, che spaziano tra le discipline più diverse. Pursuits of happiness. The Hollywood comedy of remarriage (1981; trad. it. 1999) nasce invece come analisi di sette leggendarie commedie realizzate a Hollywood tra il 1934 e il 1949, e tutte incentrate sulle peripezie che una coppia in via di separazione compie per tornare insieme, da cui il felice neologismo remarriage (nell'ordine vengono esaminate: The lady Eve, 1941, Lady Eva, di Preston Sturges; It happened one night, 1934, Accadde una notte, di Frank Capra; Bringing up baby, 1938, Susanna, di Howard Hawks; The Philadelphia story, 1940, Scandalo a Filadelfia, di George Cukor; His girl friday, 1940, La signora del venerdì, di Hawks; Adam's rib, 1949, La costola di Adamo, di Cukor; The awful truth, 1937, L'orribile verità, di Leo McCarey). Secondo C., che si serve degli studi di N. Frye, tutti questi film sono dei "racconti di fate della Recessione", costruiti come moderne variazioni di alcune commedie shakespeariane. Un approccio fecondo, tanto è vero che in Contesting tears: the melodrama of the unknown woman del 1996, analizza quattro celebri melodrammi degli anni Trenta e Quaranta (Gaslight, 1944, Angoscia, di Cukor; Letter from an unknown woman, 1948, Lettera da una sconosciuta, di Max Ophuls; Now, voyager, 1942, Perdutamente tua, di Irving Rapper e Stella Dallas, 1937, Amore sublime, di King Vidor) partendo da alcune premesse fondamentali della sua opera precedente. Il metodo di C. consiste nel disattendere costantemente le aspettative dei lettori, per es. accostando il Parmenide di Platone ad Adam's rib e Tristes tropiques di C. Lévi-Strauss a It happened one night. Lo stesso Pursuits of happiness è un'opera difficilmente catalogabile, che può essere letta in due modi completamente differenti: come riflessione filosofica sui significati (esistenziali, politici, morali) del matrimonio o come saggio sulla logica interna di un particolare genere cinematografico. La questione cruciale è dunque stabilire come nascono questi audaci cortocircuiti; la risposta si trova probabilmente all'inizio di The world viewed. Come docente di filosofia, C. racconta di aver trovato nei film un terreno di discussione straordinariamente fertile, in quanto, a differenza delle arti più antiche, nessun canone riconosciuto inibisce il confronto. Il cinema stimola quindi il discorso, e il discorrere conduce alla filosofia: a quel parlare 'terzo' ‒ critica della critica ‒ in cui sfociano infatti tutte le più belle pagine di Pursuits of happiness. Più che il film in sé, gli interessano infatti l'esperienza e la memoria che ne serba lo spettatore: in definitiva la possibilità stessa di parlarne. Secondo C. la letteratura non è mai solo letteratura, né il cinema solo cinema ovvero soltanto un fenomeno culturale o formale; i film gli appaiono piuttosto come un'inesauribile fonte di storie e dilemmi morali, ai quali il filosofo può ricorrere ogni volta che ha bisogno di un esempio particolarmente efficace. Questo non significa però che il film si riduca a un mero pretesto, in quanto C. è un vero maestro del close reading e, soltanto dopo aver dato prova di saper leggere ogni inquadratura con impareggiabile competenza ‒ passando dall'illuminazione al montaggio e dagli archetipi della sceneggiatura all'interpretazione degli attori ‒, si allontana dal film per formulare le sue tesi generali sull'uomo e la donna e sulla necessità di perdersi per ritrovarsi più felicemente di prima. Lo stile (letterario e filosofico) della sua pagina è una diretta conseguenza di questi principi. L'abbondante ricorso alla forma dubitativa e alle interrogative serve a sottolineare il colloquio ininterrotto con il lettore, sottoponendo al suo giudizio quelle idee che potrebbero risultare azzardate; nella moltiplicazione delle parentesi, che possono estendersi per un'intera pagina, si dovrà scorgere invece un comodo espediente per rispondere alle osservazioni di amici e colleghi o magari, delimitando nettamente i confini delle divagazioni, per controllare quel movimento centrifugo del pensiero che equivarrebbe al definitivo abbandono della critica per la pura speculazione filosofica.
The senses of Stanley Cavell, ed. R. Fleming, M. Payne, Lewisburg-London 1989; W. Rothman, M. Keane, Reading Cavell's The world viewed: a philosophical perspective on film, Detroit 2000.