Kubrick, Stanley
Regista cinematografico statunitense, di origine ebraica, nato a New York il 26 luglio 1928 e morto a Harpenden (Gran Bretagna) il 7 marzo 1999. Cineasta-filosofo, grande metteur en scène, sperimentatore infaticabile di nuove tecnologie, inventore di nuovi modelli narrativi e metanarrativi, sempre in equilibrio fra la ricerca d'avanguardia e le forme spettacolari, K. è stato uno degli ultimi registi a farsi portatore di una concezione del cinema come veicolo di pensiero. Tutta la sua opera, che si è ispirata a cineasti differenti come Charlie Chaplin, Sergej M. Ejzenštejn e Max Ophuls, prendendo dal primo il senso della comicità, dal secondo l'atteggiamento di riflessione critica, dal terzo la malinconia e la propensione all'uso del metalinguaggio, può essere letta come una riflessione storico-culturale sul mondo occidentale, realizzata attraverso storie esasperate e metaforiche nelle quali vengono in luce le contraddizioni dell'uomo contemporaneo. Per K. la società illuminista e sedicente liberale, apparentemente tollerante, democratica, pacifista e costruttiva, è in realtà totalitaria, aggressiva, distruttiva e autodistruttiva. Partendo da romanzi o racconti, spesso di autori famosi come W.M. Thackeray, A. Schnitzler, V.V. Nabokov o A.Ch. Clarke, K. costruisce sempre un doppio livello di rappresentazione, uno spettacolo nello spettacolo: elabora grandi messe in scena per esaminarle poi con atteggiamento distaccato, come un narratore-osservatore che non partecipi alla storia né alla vita dei personaggi ma li studi offrendoli allo spettatore con la freddezza dello scienziato.
Nato nel Bronx da una famiglia borghese modesta ‒ il padre era un medico di origine romeno-polacca ‒ frequentò le scuole a New York, diplomandosi alla Hight School nel 1945; appassionato di fotografia fin dall'infanzia, giovanissimo iniziò a collaborare con la rivista "Look", che abbandonò nel 1950 per dedicarsi interamente all'attività cinematografica. Dopo essersi finanziato i primi lavori, nel 1955 fondò, insieme a J. Harris, una società di produzione cinematografica, che si sarebbe sciolta nel 1962. Nel 1974 si trasferì a Londra, dove condusse una vita appartata ma sempre attentissima agli eventi storici e culturali, che gli permise di descrivere a distanza i sogni e le paure del suo secolo e di illustrare con grande sarcasmo i paradossi e le contraddizioni della cultura occidentale.
Già il suo lavoro giovanile di documentarista si orientò verso un realismo di tipo metaforico. Uno dei suoi primi cortometraggi, Day of the fight (1949), descrive la giornata comune di un pugile, assistito prima del combattimento dal fratello gemello, un doppio protettivo e inquietante che ripete con lui ogni sua azione; i soldati del primo mediometraggio Fear and desire (1953), dopo una lunga ricognizione nella foresta, uccidono nemici che hanno i loro stessi volti; nel successivo mediometraggio, Killer's kiss (1955; Il bacio dell'assassino), la scena finale, parodia della grande sequenza degli specchi in The lady from Shanghai (1948) di Orson Welles, si svolge in un magazzino di manichini, in cui due uomini lottano per una donna facendo a pezzi una quantità enorme di corpi, teste, braccia e gambe di cartapesta, prima di affrontarsi direttamente. Il motivo del doppio appare quindi, fin dall'inizio, sia come ossessione narrativa dell'autore, sia come emblema di una cultura in disfacimento che si rivolge contro sé stessa dopo avere distrutto tutto ciò che le è estraneo. A questi motivi metaforici si aggiunge spesso uno spietato realismo, che sembra contrastare, ma in effetti accentua, la crudeltà della rappresentazione. Dall'insolita New York dei primi film, una città povera, decadente e ingombra di spazzatura (memore di The naked city, 1948, di Jules Dassin), K. passa infatti a descrivere, nel primo lungometraggio The killing (1956; Rapina a mano armata), l'impresa di alcuni poveri gangster, che finisce per insipienza in una strage collettiva. Il regista smonta definitivamente le tipologie del gangster film, mostrando dietro la figura mitizzata del bandito l'esistenza di uomini del tutto comuni, brutali, stupidi, incompetenti o malinconici e, nella singolare forma narrativa usata, che si sposta continuamente nel tempo intrecciando e invertendo l'ordine cronologico degli eventi, mette anche a nudo i procedimenti tradizionali della suspense in modo che lo spettatore si soffermi più sull'atto del narrare che sulla storia raccontata. The killing è quindi, oltre che un film di genere, anche un film sul genere gangster.
In Paths of glory (1957; Orizzonti di gloria), tratto dal romanzo omonimo di H. Cobb, film di guerra ma anche film sulla guerra, K. elabora la sua prima grande requisitoria contro l'Occidente: denuncia con amaro sarcasmo l'ipocrisia e il cinismo del potere e il comportamento tribale degli uomini. L'assalto disperato e inutile scatenato da un generale ambizioso e irresponsabile contro un'imbattibile postazione tedesca, il 'formicaio', si risolve in un orrendo massacro cui fa seguito la fucilazione di tre soldati scelti a caso, per punire il fallimento dell'impresa. L'esecuzione assume l'aspetto di un grande spettacolo che non a caso si svolge la mattina all'alba, dopo una festa galante nelle sale del castello, come a sottolineare che non c'è niente di più confortante per l'uomo occidentale che vedere morire i propri simili (il responsabile della carneficina considera le fucilazioni addirittura un 'tonico' per le truppe). Anche il successivo Spartacus (1960) mostra come la guerra sia spettacolo più che azione. La scena della battaglia, che contrappone la geometria fredda, impersonale e intimidatoria delle legioni romane all'anarchia, alla fantasia e alla forza disperata degli schiavi ribelli, equivale a un poema che descrive la ribellione contro l'ordine costituito, la lotta della libertà contro l'obbedienza, della differenza contro l'uniformità.Le contraddizioni della classe colta sono il tema di Lolita (1962), tratto dal romanzo di Nabokov, in cui il professor Humbert Humbert, innamorato della sua figlioccia, incarna la pruderie e l'ipocrisia degli intellettuali. Anche Humbert ha un doppio nella figura del perfido scrittore Quilty che lo perseguita, non per liberare la ragazza dalle grinfie del patrigno, ma esclusivamente per sedurla. Se Humbert è lo studioso impegnato a conservare la patina di perbenismo e d'ipocrisia per nascondere le sue prevaricazioni, Quilty è l'artista in apparenza anticonformista e superiore ma in effetti posseduto dalla stessa libidine. Il personaggio di Lolita, dietro la supposta innocenza della fanciulla indifesa, mostra un bagaglio di conoscenze sessuali e una perfidia diabolica che lascia lo spettatore nell'impossibilità totale di pronunciare un giudizio.
Nel film successivo, Dr. Strangelove: or how I learned to stop worrying and love the bomb (1964; Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba), la guerra non è che un'occasione per mostrare le isterie di un generale statunitense e l'infantilismo dei politici, e per giustapporre loro la più acuta parodia della scienza che il cinema abbia mai conosciuto; il dottor Stranamore, ex scienziato tedesco emigrato negli Stati Uniti, è un personaggio che rappresenta il chiaro filo di continuità fra la Germania nazista e la grande democrazia statunitense, accomunate da un progetto isterico di dominio e da un folle desiderio di distruggere tutto quello che non si uniforma al loro modello.La giostra dei contrari continua con quello che è stato spesso considerato il capolavoro di K., 2001: a space odissey (1968; 2001: Odissea nello spazio), dove il conflitto fra l'uomo e la macchina produce uno scambio d'identità e, mentre il computer HAL 9000 con la sua rivolta fallita assume alla fine quasi un volto umano, lo sguardo dell'astronauta David Bowman appare sempre più freddo e assente. Famosi sono i tempi lunghissimi del balletto delle astronavi, il pezzo di autentico cinema sperimentale inserito nella parte finale per descrivere l'arrivo sul pianeta sconosciuto, e il finale, con triplice salto di Bowman attraverso il tempo, dalla giovinezza alla maturità alla vecchiaia, per poi rinascere come 'feto astrale'. Anche qui K., che si è ispirato visibilmente, per la creazione di HAL 9000, al film di Jean-Luc Godard Alphaville (1965), persegue una concezione del cinema come 'pensiero visivo', coniuga il grande spettacolo e la ricerca fotografica con la riflessione filosofica sulla storia dell'uomo. I tempi estenuanti che la cinepresa impiega a descrivere la vita a bordo dell'astronave Discovery rivelano l'appartenenza di questo film al cinema moderno, che cerca sempre di dare allo spettatore il tempo di riflettere con distacco su quello che vede, invece di trascinarlo dentro la storia raccontata.
In A clockwork orange (1971; Arancia meccanica) K. elabora una selvaggia parodia del futuro, ancora una volta metafora del presente. La storia del crudele Alex, che da picchiatore diventa uno strumento politico importante nelle mani del governo, gli offre l'occasione di illustrare come il bene e il male si scambino continuamente di posto, a seconda dei punti di vista, ma anche di sperimentare un tipo di narrazione simmetrica, a 'stazioni', in cui la seconda parte è costituita dalle stesse tappe della prima in ordine inverso, e un cinema musicale in cui anche le scene di 'ultraviolenza' assumono il ritmo e l'armonia di balletti.
Nel successivo Barry Lyndon (1975), dal romanzo di Thackeray, la ricostruzione del Settecento inglese, con una messa in scena che non ha precedenti né susseguenti nella storia del cinema, raggiunge i vertici del cinema in costume, con eleganza incomparabile e freddissima, quasi dolorosa bellezza. Qui K. mobilita un enorme patrimonio di cultura letteraria, pittorica, musicale, teatrale e storica accumulata in "anni di ricerche" (Ciment 1980; trad. it. 1981, p. 219). Il protagonista Redmond Barry è uno scalatore sociale volgare e prepotente che sposa una gentildonna, lady Lyndon, infiltrandosi così nell'ambiente decadente dell'aristocrazia inglese; tuttavia possiede una sua interiore grandezza, una profonda malinconia e un coraggio sconosciuto agli altri che ne fanno, se non un eroe, almeno l'ombra di un eroe, mentre la nobiltà che lo circonda appare sempre più ridicola e addirittura vile nella superbia dei suoi privilegi. Anche in questo film i tempi straordinariamente lunghi ne fanno una serie di quadri statici, riflessivi, un autentico "giardino di immagini" (Ghezzi 1977, p. 120) in cui la narrazione è lasciata alla voce fuori campo di un narratore invisibile, che assolve anche il compito di collocare lo spettatore a una distanza siderale dalla scena.
In The shining (1980; Shining), tratto da un romanzo di S. King ma anche ispirato a Il castello di F. Kafka, K. offre un altro curioso esemplare di uomo occidentale: lo scrittore preso da un delirio di onnipotenza. La paranoia di Jack Torrance, che cerca di uccidere la moglie e il figlio per divenire immortale, non rappresenta solo la pazzia di un mediocre scrittore fallito, ma anche l'aspirazione di una civiltà esaltata che cerca di superare ancora una volta i confini dell'umano. Famose le scene finali del labirinto in cui si rievocano i terrori ancestrali della favola di Pollicino e la sala delle unwinding hours in cui Torrance si trasforma nel suo misterioso doppio sconosciuto, doppio di cui lo spettatore ignora l'esistenza ma che scoprirà alla fine, in una misteriosa fotografia di oltre cinquant'anni prima. Lo stesso si può dire della grande macchina da guerra descritta in Full metal jacket (1987), in cui dietro la scatenata violenza verbale, dietro l'uso delle armi più potenti e del napalm si manifestano l'impotenza e l'infantilismo inaudito dei marines americani che, come grande impresa di guerra, riescono solo a uccidere una donna e poi sfilano tra le fiamme cantando la canzone di Topolino. Nel suo ultimo capolavoro incompiuto, Eyes wide shut (1999), K. consegna agli spettatori un misterioso apologo sul regno delle immagini. Ispirandosi alla Vienna di Schnitzler, ma ambientando la storia ai giorni odierni, fa di New York una metafora del Novecento e un grande baraccone teatrale, emblema della società dello spettacolo. Tutto è vero e nello stesso tempo tutto è falso, i sogni contengono più verità della realtà quotidiana ma tutte le situazioni si rovesciano nel passaggio dalla notte al giorno. Lo stolto protagonista Bill, che attraversa la città di notte e poi ripercorre le stesse tappe alla luce del giorno, nella ricerca inutile di quello che ha o crede di avere visto, è ancora una volta emblema dell'uomo occidentale che quanto più spalanca gli occhi per vedere il mondo, tanto meno vede o riesce a capire quello che gli accade. Come nel film La ronde, sempre tratto da Schnitzler e realizzato nel 1950 da Ophuls, anche qui i personaggi sembrano fantasmi, manichini di una strana giostra; ma chi li manovra non è più un malinconico narratore, è solo un malvagio burattinaio che sta nascosto chissà dove e che forse non esiste neppure.
J.-P. Dumont, J. Monod, Le Fœtus astral, Paris 1970.
E. Ghezzi, Stanley Kubrick, Firenze 1977.
M. Ciment, Kubrick, Paris 1980 (trad. it. Milano 1981).
Stanley Kubrick. Tempo, spazio, storia e mondi possibili, a cura di G.P. Brunetta, Parma 1985.
R. Eugeni, Invito al cinema di Stanley Kubrick, Milano 1995.
S. Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Milano 2000.