Kwan, Stanley (propr. Kwan Kum-pang, pinyin Guan Jinpeng)
Regista cinematografico, sceneggiatore e produttore, nato a Hong Kong il 9 ottobre 1957. Dotato di una sensibilità melodrammatica che sembra sintetizzare le tendenze anarcoidi di Rainer W. Fassbinder, gli sperimentalismi di Douglas Sirk e le sontuose folgorazioni di Max Ophuls, K. ha saputo inserirsi nella tradizione del melodramma cinese, rinnovandolo senza negarne la specificità culturale nei confronti dei modelli occidentali. Frutto della nouvelle vague sorta alla fine degli anni Settanta e lontano dalla retorica dei generi praticata a Hong Kong, K. rappresenta uno dei tentativi più coerenti e interessanti di affermare un'identità registica in grado di ripensare il rapporto tra politica dello sguardo e mondo.
Dopo aver studiato comunicazioni di massa al Baptist College di Hong Kong, aver fatto varie esperienze televisive ed essere stato a lungo aiuto regista per Ann Hui, Tony Au, Jackie Chan, Dennis Yu, Patrick Tam e Ronny Yu, K. esordì nella regia con Nüren xin (1985, ingl. Women), una commedia dai toni romantici nella quale già emerge quell'attenzione per le dinamiche sentimentali che, nel corso di una carriera ricca di opere interessanti, si è intrecciata indissolubilmente con la forma stessa dei film del regista. Pur formatosi nell'ambito della maggiore industria cinematografica hongkonghese, la Shaw Brothers, della quale ha potuto valorizzare i divi più amati dal pubblico (spesso costretti da esigenze di produzione a interpretazioni di maniera), K., sin dal suo secondo film, Dixia qing (1986, ingl. Love unto waste), ha rivelato un orizzonte di riferimento più ampio di quello che lo stesso sistema cinematografico di Hong Kong era in grado di fornire.
Si è venuta così delineando, film dopo film, una poetica della frattura che evidenzia il desiderio di autonomia espressiva del regista. Con Yanzhi kou (1987, ingl. Rouge), film sospeso tra la Hong Kong degli anni Trenta e quella contemporanea (è infatti la storia di un fantasma che torna nella Hong Kong odierna), K. non solo si è impegnato in un lavoro di decostruzione del classico racconto di fantasmi cinese, ma ha messo in scena un'innovativa riflessione sull'identità della Cina attraverso il destino esemplare di una donna sconfitta. Questo complesso gioco di specchi tra destini di donne e storia della Cina è proseguito nel tormentato Ren zai Niuyue (1989, ingl. Full Moon in New York) e ha raggiunto un punto di non ritorno con Ruan Lingyu (1992, ingl. The actress o Centre stage), l'opera che ha segnato una cesura nettissima nella carriera del regista. Il film ripercorre la vicenda di Ruan Lingyu, diva del cinema cinese suicidatasi nel 1935, intrecciando più piani temporali e affiancando interviste ad attori del passato e agli stessi interpreti del film a lunghi brani che ricostruiscono la vita della donna. Successivamente K. ha realizzato Hong meigui, bai meigui (1994, ingl. Red rose, white rose), opera nella quale il suo calligrafismo melodrammatico ha raggiunto esiti di rara commozione. Nelle pieghe di Yang yin: gender in Chinese cinema (1996), documentario commissionatogli dal British Film Institute, il regista, rivelando la propria omosessualità, ha scoperto pulsioni e sentimenti rimossi dal cinema cinese; quest'opera ha costituito un definitivo punto di rottura con gli ultimi barlumi della tradizione. In seguito, in Yue kuaile, yue duoluo (1997, ingl. Hold you tight) e You shi tiaowu (1999, ingl. The island tales) egli ha manifestato una straordinaria libertà formale, diventata parte integrante della sua poetica; mentre il successivo Lan Yu (2001), melodramma gay realizzato in condizioni di clandestinità in Cina, ha proposto un parziale ritorno alla composizione classica che aveva caratterizzato gli esordi.
G.A. Nazzaro, A. Tagliacozzo, Il cinema di Hong Kong. Spade, kung fu, pistole, fantasmi, Genova 1997, passim; A. Pezzotta, Tutto il cinema di Hong Kong, Milano 1999, passim; Stanley Kwan. La via orientale al melodramma, a cura di G. Spagnoletti, Milano 2000.