statina
Rischi e benefici nell’uso delle statine
Tutte le statine possono indurre gravi miopatie, che si presentano con sintomi simil-influenzali, debolezza, mialgia. Se il paziente non viene istruito preventivamente può trascurare questi sintomi, non associandoli all’uso delle statine, e proseguirne l’assunzione, per cui può verificarsi una rottura massiva delle cellule muscolari. A seguito di ciò, il loro contenuto viene liberato nel torrente circolatorio e, in partic., si libera la mioglobina, che precipita a livello del glomerulo renale, danneggiandolo e portando a insufficienza renale e morte, in un quadro clinico denominato rabdomiolisi. Questi sintomi possono comparire entro la prima settimana di assunzione, tipicamente dopo ca. un mese ma anche dopo tempi di assunzione molto lunghi, per cui è necessario monitorare continuamente i pazienti in terapia. Normalmente, l’incidenza della miopatia è bassa (ca. 0,01%) ma aumenta con l’incremento del dosaggio.
La cerivastatina era una delle statine utilizzate nella terapia delle dislipidemie, autorizzata al commercio dalla FDA (Food and Drug Administration) nel 1997, dopo essere stata testata su circa 3.000 pazienti. I dosaggi utilizzati in terapia variavano tra 0,1 e 0,8 mg. Nel 1999 una serie di casi mortali per rabdomiolisi fu associata all’uso di cerivastatina. Per questo motivo, la FDA provvide ad avvisare i medici, raccomandando di non usare dosaggi alti e di non associare la cerivastatina al gemfibrozil, altro farmaco utilizzato nella terapia delle dislipidemie, appartenente alla famiglia dei fibrati. Il gemfibrozil altera il metabolismo di tutte le statine determinando l’inibizione di alcuni isozimi del citocromo P450 e di un sistema di trasporto che cattura la statina e la porta nell’epatocita per essere metabolizzata. Questo provoca un incremento dei livelli plasmatici delle statine e rende più probabile la rabdomiolisi. Gli effetti del gemfibrozil possono essere mimati anche da altri farmaci, come antifungini (azolici), antibiotici macrolidi, ciclosporina, alcuni antidepressivi. L’avvertenza della FDA fu ignorata dalla maggior parte dei prescrittori e i casi mortali aumentarono, anche dopo un secondo avviso. Nel gennaio 2001, il 18% delle segnalazioni ricevute dall’Adverse Drug Advisory Committee australiano sulla cerivastatina aveva come oggetto nuovi casi di rabdomiolisi. La maggior parte dei casi si era verificata con dosi superiori a 0,4 mg e circa il 50% era avvenuto in pazienti che venivano trattati con un’associazione cerivastatina-gemfibrozil. Un documento dell’agosto 2001, prodotto dalla stessa ditta produttrice della cerivastatina (Bayer), mostrò che il farmaco da solo o associato a gemfibrozil presenta un’incidenza di rabdomiolisi più alta rispetto a tutte le altre statine. La ditta decise autonomamente di ritirare la molecola dal commercio nell’agosto 2001, senza però informare le autorità regolatorie, e ciò causò disorientamento di medici e pazienti, con conseguenti problemi nella gestione delle terapie in corso.
La storia della cerivastatina ha dimostrato che i normali sistemi di allerta non vengono presi in considerazione dalla maggior parte dei prescrittori. In Italia, prima dell’agosto 2001, le segnalazioni di eventi avversi da cerivastatina erano state in totale 4; alla fine di quello stesso mese furono 71 e molte di queste si riferivano a periodi anteriori; 67 di quelle segnalazioni (oltre il 90%) furono inviate solo dopo il ritiro della molecola. Va anche notata la scarsa propensione dei prescrittori a seguire le raccomandazioni regolatorie: né la riduzione del dosaggio, con eliminazione della formulazione da 0,8 mg, né la controindicazione dell’assunzione contemporanea con il gemfibrozil si sono dimostrate efficaci nel prevenire gli eventi avversi muscolari. In questo caso, l’unico provvedimento efficace è stato il ritiro dal commercio, reso più facile dalla presenza sul mercato di molecole alternative. Sulla base della lezione appresa, da parte sia delle aziende che delle autorità regolatorie, stavolta più prudenti nel valutare dosaggi elevati, la ditta produttrice della rosuvastatina, per es., ha ritirato la domanda di autorizzazione al commercio per il dosaggio da 80 mg, a seguito dei casi di rabdomiolisi osservati negli studi clinici preregistrativi.
Le statine conservano ancora un indice terapeutico favorevole, quando utilizzate tenendo conto della dose e delle interazioni. Diversi studi hanno dimostrato che il loro utilizzo riduce notevolmente il rischio di eventi cardiovascolari e anche il numero di decessi a essi correlato. Questi effetti favorevoli vengono attribuiti sostanzialmente all’innalzamento dei valori di colesterolo HDL e alla riduzione di quello LDL. Occorre tuttavia considerare che esistono fattori di rischio cardiovascolare non dipendenti dai livelli di colesterolo, e che le statine svolgono anche altre azioni (ad es., quella antinfiammatoria) che potrebbero spiegarne almeno in parte l’efficacia. Gli effetti delle statine sulle varie frazioni di colesterolo vanno interpretati in modo prudente, in quanto la correlazione stretta tra riduzione dei livelli di LDL e riduzione della mortalità nei pazienti trattati non è sempre valida. Nelle sperimentazioni cliniche questo tipo di correlazione è chiamato end-point surrogato. Questo va distinto dall’end-point vero che misura il reale beneficio di un farmaco, legato direttamente al parametro che interessa, ovvero il numero di decessi a causa di problemi cardiovascolari. Quindi una valutazione esatta sul ruolo delle statine va fatta considerando i dati sulla mortalità totale e cardiovascolare, misurati in un intervallo di tempo sufficientemente lungo e su un numero adeguato di pazienti.