VATICANO, Stato della Citta del
VATICANO, Stato della Città del (A. T., 24-25-26 bis).
Sommario. Topografia (p. 1032); Diritto (p. 1033); Diplomazia pontificia (p. 1036); Famiglia pontificia (p. 1036); Arte (p. 1037); Musei e pinacoteca (p. 1044); Biblioteca vaticana (p. 1045); Tipografia vaticana (p. 1047); Specola vaticana (p. 1047). - Tavv. CXXXVII-CXLIV.
Topografia. - Lo Stato della Città del Vaticano occupa una superficie di 44 ha. ossia di 440.000 mq. di cui 55.000 occupati dal solo Palazzo Apostolico con i suoi venti cortili (25.000 mq.), nella parte più occidentale dell'Urbe, a qualche centinaio di metri a destra del Tevere. Il piccolissimo territorio ha la forma approssimativa di un trapezio, con una larghezza massima da O. a E., fino all'ingresso della Piazza S. Pietro, di m. 1045. Il suolo è collinoso (antico Colle Vaticano) e sale dai 19 m. s. m. della piazza a un massimo di 77,50 m. nei giardini per poi ridiscendere a 56,50 m. lungo le mura di NO.
Quasi un terzo dell'area è ricoperto di costruzioni, specialmente riunite nella parte orientale, e più di un terzo se si tien conto anche dei grandi cortili, delle vie e piazze (di S. Pietro, dei Protomartiri Romani, di S. Marta e del Piazzale del Forno).
La distribuzione territoriale degli edifici e delle funzioni permette di distinguere:1. Basilica di S. Pietro con le adiacenze (sacrestia e canonica); 2. Palazzo Apostolico; 3. Palazzo del Governatorato con servizî annessi (stazione ferroviaria, stazione radio, tribunali, scuola del musaico); 4. Prati del Belvedere (ex) con la chiesa parrocchiale, tipografia, caserme (svizzeri e gendarmi), centrale elettrica, officina meccanica, ecc.; 5. Giardini Vaticani (delimitati dal Viale Vaticano-Stradone dei Giardini-Mura di Leone IV).
I confini dello stato sono nettamente contrassegnati da robuste mura costruite nel Medioevo e nel Rinascimento, a eccezione della Piazza S. Pietro, in cui il confine non è consolidato da alcun ostacolo materiale, ma solo segnato da una lista di travertino per terra che unisce (esterno) le due braccia del colonnato berniniano. Le funzioni di polizia sulla piazza restano normalmente attribuite alle autorità dello stato italiano.
Ancora sotto l'aspetto territoriale lo Stato Vaticano presenta caratteristica originalità nel numero e ampiezza (relativamente alle proprie dimensioni) delle aree esterne, che sono ad esso connesse entro il territorio italiano in regime di extra-territorialità e con esenzione da tributo e da espropriazione per pubblica utilità. Essi sono: 1. Basilica, Palazzo Lateranense, Scala Santa; 2. Basilica di Santa Maria Maggiore con edifici annessi; 3. Basilica di San Paolo fuori le mura con edifici annessi; 4. Basilica di Santa Maria in Trastevere; 5. Palazzo della Dataria; 6. Palazzo della Cancelleria; 7. Palazzo di Propaganda Fide (Piazza di Spagna); 8. Palazzo di San Callisto in Trastevere; 9. Palazzo dei Convertendi; 10. Palazzo del S. Ufficio e adiacenze; 11. Palazzo del Vicariato; 12. Villa Gabrielli (Gianicolo); 13. Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo (con Villa e Palazzetto Cybo e Villa Barberini).
La superficie complessiva di queste zone si calcola di circa 70 ettari, dei quali quaranta per le sole Ville Pontificie. Per estensione segue la Villa Gabrielli (seminario di Propaganda Fide e altri istituti) di 14 ettari: la più vicina al territorio dello stato.
La popolazione, al momento della creazione del nuovo stato, era di 532 ab., oltre 250 residenti non cittadini. Essa è successivamente aumentata, passando a 639 (più 259 non cittadini) al 31 dicembre 1930 e a 1025 al censimento del 31 dicembre 1932. Al 31 dicembre 1936 era di 746 cittadini (547 maschi e 199 femmine) e di 210 residenti (60 maschi e 150 femmine) complessivamente 956 persone di 14 nazionalità diverse. Le quote più alte sono date da Italiani: 569 cittadini e 197 residenti; da Svizzeri: 112 cittadini e 3 res.; da nati in Vaticano, 26. I sacerdoti sono 94, i religiosi 37, i laici 615. Di questi, 324 sono coniugati (maschi e femmine) e 250 militari (svizzeri e gendarmi). Vi sono 15 Eritrei (moretti) alunni del Collegio Etiopico.
Il movimento dello stato civile è mostrato dalla tabella seguente:
Il numero relativamente alto dei matrimonî dipende dal fatto che spesso ne vengono contratti in Vaticano anche fra cittadini esteri. La lingua dello stato è l'italiana, mentre quella per gli atti ufficiali della S. Sede rimane il latino.
Le comunicazioni dello stato con l'esterno sono costrette, per il suo isolamento, a svolgersi in transito per il territorio italiano. Dalla stazione di San Pietro un breve tronco di strada ferrata (terminato nel 1932) penetra nella "città", la quale è dotata di una stazione monumentale, ma il movimento delle persone e delle cose si svolge in gran parte per via ordinaria, specie con autoveicoli. La ferrovia finora ha servito solo per il trasporto quasi quotidiano di materiali e di merci. Lo stato ha proprî servizî postali, telegrafici, una stazione radiotrasmittente e ricevente e fa parte delle Unioni universali postale e telegrafica, pur avendo speciali accordi tariffarî con il regno d'Italia. La S. Sede ha affermato il proprio diritto di costruire un aeroporto e di tenere aeromobili propri, ma tutto il territorio vaticano è riconosciuto come area vietata per il traffico aereo estero.
Per gli approvvigionamenti la cittadinanza vaticana dipende, di fatto, quasi totalmente dall'esterno. Non solo le derrate alimentari e gli articoli industriali, ma anche l'acqua potabile e il gas-luce provengono dall'esterno. Soltanto l'energia elettrica è prodotta da una centrale interna. Funziona un servizio di annona non solo per i cittadini vaticani ma anche per tutte le persone che vivono negli edifici che godono di esenzione di tributo e di extraterritorialità.
Lo Stato Vaticano è pure un esemplare perfetto di stato patrimoniale, in quanto tutti i beni immobili che vi sono compresi cadono insieme sotto la sovranità e sotto la proprietà della S. Sede. D'altro canto il territorio non è differenziato da sostanziale varietà di funzioni, perché esso, come ogni istituto che vi si trova, è adibito a servizî, che convergono a un fine unico di carattere pubblico.
Bibl.: U. Toschi, The Vatican City State from the standpoint of Political Geography, in Geographical Review, New York 1931, pagine 529-38; L. Gessi, La Città del Vaticano, IV, Roma 1935; L. Gessi, Acht Tage im Vatikan, Olten 1935.
Diritto.
Lo Stato della Città del Vaticano è lo stato sorto nel 1929 in conseguenza della soluzione data alla "questione romana" (v. romana, questione) dal Trattato stipulato fra il regno d'Italia e la S. Sede; è lo stato che, piccolo se si ha riguardo alla limitata estensione del suo territorio e all'esiguo numero dei componenti il suo popolo, è invece fra i più grandi se si ha riguardo all'immenso organismo universale e spirituale a servizio del quale esso è posto; "stato di anime" come fu ben definito, più che di uomini e di cose, che vale a garantire alla Chiesa cattolica l'assoluta indipendenza per l'adempimento della sua alta missione nel mondo.
Dopo il 1870 la S. Sede aveva sempre seguitato a considerarsi quale persona del diritto internazionale; come tale seguitò a esser considerata, pur dopo la perdita del territorio, in modi diversi anche da un gran numero di stati, l'Italia compresa, che, riconosciutole il diritto di legazione attivo e passivo, l'aveva ricoperta delle relative immunità secondo il diritto internazionale; come tale venne la S. Sede, via via, considerata anche dalla prevalente dottrina. Maturatasi la condizione di cose atta a iniziare le trattative per addivenire fra Santa Sede e Stato italiano a una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti ed eliminare ogni ragione di dissidio, le due alte parti entravano in relazione fra di loro arrivando alla stipulazione di un vero e proprio trattato internazionale: in questo l'Italia riconosce subito (art. 2) alla S. Sede, pure non costituente stato, la sovranità nel campo internazionale come attributo suo essenziale, inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione e alle esigenze della sua missione nel mondo.
Italia e Sommo Pontefice, capo spirituale della S. Sede e futuro capo temporale dello stato, predispongono le condizioni idonee allo svolgersi del processo formativo del futuro stato. Il quale vien posto sotto la sovranità della S. Sede, cioè del Sommo Pontefice (termini equivalentisi nelle diverse disposizioni del trattato), sotto la sua sovranità e giurisdizione esclusiva, cosicché non si possa esplicare su di esso alcuna ingerenza da parte del governo italiano e non vi sia altra autorità che quella della S. Sede (art. 4). L'entrata in vigore del trattato è stabilito all'atto stesso dello scambio delle ratifiche. Per l'esecuzione di esso, prima di tale epoca, il territorio costituente il futuro stato, di cui si fissavano i confini, doveva, a cura del governo italiano, essere reso libero da ogni vincolo e da eventuali occupatori; la S. Sede avrebbe provveduto a chiuderne gli accessi, recingendo le parti aperte tranne la Piazza di S. Pietro (art. 5), obbligandosi poi ciascuna delle due alte parti contraenti a porre in essere tutte le altre condizioni e modalità necessarie. Lo stato futuro, entrato il trattato in vigore, avrebbe poi preso vita e avrebbe cominciato a funzionare quando la sua organizzazione fosse stata fissata e messa in moto dalla volontà del suo organo supremo.
Il 7 giugno, il giorno stesso dello scambio delle ratifiche e dell'entrata in vigore del trattato, veniva emanata, in un tutto organico e completo, la costituzione della Città del Vaticano da osservarsi come "Legge dello Stato"; essa emanava dalla suprema, originaria volontà dell'organo supremo del nuovo stato (n. I, legge fondamentale; n. II, legge sulle fonti del diritto; n. III, legge sulla cittadinanza e il soggiorno; n. IV, legge sull'ordinamento amministrativo; n. V, legge sull'ordinamento economico, commerciale e professionale; n. VI, legge di pubblica sicurezza). Con ciò nasceva lo stato e trovavano attuale pratica attuazione il riconoscimento da parte della S. Sede del regno d'Italia sotto la dinastia di casa Savoia con Roma capitale dello stato italiano, e quello, da parte dell'Italia, dello Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del Sommo Pontefice: la "questione romana" veniva così definitivamente e irrevocabilmente composta.
Il nuovo stato è dunque sorto ben distinto dalla S. Sede, la quale seguita a mantenere la preesistente propria personalità; è sorto come stato vero e proprio, perché dotato dal suo diritto interno di tutti gli elementi di cui è e dev'essere ogni stato fornito e perché è intervenuto a suo favore il riconoscimento, come tale, da parte di altri membri della società internazionale. Gli argomenti da alcuno posti innanzi per negargli la qualifica di stato non hanno, a dir vero, resistito alla critica.
Comunque, lo stato nuovo è sorto con caratteri affatto peculiari e tali da farlo apparire, nei confronti almeno con ogni altro stato contemporaneo, come un unicum. Esso è sorto, innanzi tutto, come mezzo a fine, al fine cioè di rendere visibile l'indipendenza di un ente preesistente, della S. Sede, come mezzo indispensabile all'esplicazione della funzione spirituale di questa. È uno stato quindi a servizio di un altro subietto; il che implica che esso non possa discostarsene e che possa essere passibile di tutte quelle evoluzioni, più specialmente politiche, proprie degli altri stati. Ciò che unisce il nuovo stato alla S. Sede è un rapporto di unione: rapporto che, verificandosi anche fra stati, prende, a seconda dei casi, il nome di unione o reale o personale: si tratterebbe, nel caso nostro, e fino a un certo punto, di un'unione non puramente accidentale, ma reale, che, pur non trovando il proprio fondamento in un trattato fra i due enti così come avviene fra stati, deriva da quel vincolo organico e permanente che, intercedendo tra lo Stato della Città del Vaticano e la S. Sede, pone a capo e dell'uno e dell'altra un solo organo supremo, il Sommo Pontefice, pur lasciando sussistere in entrambi una distinta personalità. I due enti hanno infatti fini diversi: temporali, lo stato; spirituali, la S. Sede; hanno distinte costituzioni interne e, perciò, distinte personalità interne e anche distinte (il che non avviene nelle unioni reali fra stati) personalità internazionali: a confermare la distinta personalità internazionale dello Stato Vaticano stanno, ad es., l'adesione data dallo stato stesso e accettata dall'Unione postale universale, le adesioni ch'esso si è riservato di dare, a suo tempo, a diversi trattati internazionali, le diverse convenzioni relative a diversi servizî concluse fra lo Stato della Città del Vaticano e il Regno d'Italia (basti citare la convenzione monetaria 2 agosto 1930; legge italiana 9 aprile 1931, n. 510) e finalmente l'art. 3 della stessa legge fondamentale dello stato, secondo cui al Sommo Pontefice resta riservata la rappresentanza dello stato per mezzo della segreteria di stato in confronto con gli stati esteri per la conclusione dei trattati e per i rapporti internazionali. Tutto ciò esclude che S. Sede e stato costituiscano, come fu sostenuto, una sola persona, che la prima identifichi in sé la persona del nuovo stato, quasiché potesse ammettersi che un ente ecclesiastico siasi potuto convertire, contro la millenaria sua tradizione, in ente politico; tutto ciò esclude anche che lo Stato della Città del Vaticano si sia congiunto con l'entità preesistente S. Sede, rimanendo semplice oggetto della sovranità di questa. Sorto, comunque, a servizio della S. Sede, lo Stato della Città del Vaticano partecipa al modo con il quale questa si presenta nelle relazioni internazionali: dichiaratasi dalla S. Sede, in relazione alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale, la sua volontà di rimanere estranea alle competizioni temporali fra gli altri stati e i congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale (art. 24 tratt.), ne veniva di conseguenza che anche lo Stato della Città del Vaticano, che, appunto perché stato, avrebbe potuto, in via d'ipotesi, esser trascinato in competizioni internazionali, si dovesse sempre e in ogni caso considerare territorio neutrale e inviolabile (art. 24 tratt.). Questa condizione di cose riconosciuta dall'Italia e dai terzi stati insieme con il riconoscimento del nuovo stato, è, per ciò che più specialmente si riferisce all'Italia, da questa implicitamente anche garantita, in quanto la neutralizzazione dello Stato della Città del Vaticano, intercluso nel territorio italiano, non potrebbe da altri essere violata senza prima violare quest'ultimo e senza costringere l'Italia a difendere anche e prima sé stessa.
Lo Stato della città del Vaticano è uno stato sovrano, essendo contradittorio parlare di stato privo di sovranità: tutti i poteri sovrani dello stato vengono, così come avviene nell'organizzazione del governo spirituale della S. Sede, concentrati in quel solo che rappresenta il supremo ufficio della Chiesa: nel Sommo Pontefice considerato impersonalmente. Si ha quindi una monarchia elettiva (unico esempio contemporaneo), nella quale l'elezione per parte del collegio dei cardinali pone il Sommo Pontefice a capo della Chiesa e a capo dello Stato; solo in sede vacante a capo di entrambi sta il collegio dei cardinali. È una monarchia assoluta, in quanto il Sommo Pontefice (la S. Sede - cioè - non intesa in senso lato, ma nel senso più ristretto), sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario (art. 1 legge fondamentale). È necessario aggiungere che lo Stato della Città del Vaticano si avvicina, per certi riguardi, al tipo storico del cosiddetto "stato patrimoniale", anche perché il Sommo Pontefice non solo è titolare per diritto proprio della sovranità, ma del territorio dello stato ha anche la piena proprietà, la quale però non esclude che alcune parti possano appartenere ad altri subietti. Dato poi lo stretto legame che unisce Stato e S. Sede, lo Stato della Città del Vaticano è, per eccellenza, stato confessionale.
L'unione reale esistente fra S. Sede e stato porta ch'essi abbiano comuni altri organi: in sede vacante, il Sacro Collegio dei cardinali chiamato a esercitare temporaneamente e con diverse limitazioni il potere supremo anche nello stato e ad assumerne la rappresentanza nei rapporti con l'estero; in sede piena, il cardinale segretario di stato, per mezzo del quale esercita la rappresentanza in confronto con gli stati esteri per la conclusione dei trattati e per i rapporti diplomatici, la corte pontificia, il corpo diplomatico, ecc.
Lo stato che, come ogni altro, ha propria bandiera, proprio stemma, proprio sigillo, propria moneta, e così via, è dalla costituzione fornito anche di determinati organi che sono a lui peculiari. Il governatore dello stato, il consigliere generale, sono nominati e revocati dal Sommo Pontefice, responsabili direttamente ed esclusivamente verso di lui [art. 6 segg., I). Al Sommo Pontefice è riservato di delegare il potere legislativo al governatore per determinate materie e per singoli oggetti (art. 5, I); a questo organo è normalmente delegato il potere esecutivo (art. 6, I), e riconosciuta in alcuni casi, competenza internazionale (art. 4, IV). ll capo dello stato conserva sempre il potere di avocazione dei poteri delegati. Il governatore può emanare regolamenti e ordinanze per l'esecuzione delle leggi senza poter derogare alle medesime o dispensarne (art. 5, I).
Al governatore generale sono affidate importanti funzioni nei confronti del personale dipendente, garantito da uno speciale stato giuridico e sottoposto a speciale giuramento, in materia di contratti, di organizzazione economica, commerciale, professionale; egli provvede al mantenimento dell'ordine pubblico, alla sicurezza e incolumità dei cittadini, alla tutela della proprietà e integrità dei beni, all'igiene, alla moralità pubblica. Alla sua diretta dipendenza sta il corpo della gendarmeria pontificia; ai fini della sicurezza e della polizia, egli può richiedere anche l'assistenza della guardia svizzera in quanto sia necessaria.
Il consigliere generale rappresenta l'organo consultivo: è tenuto a dar parere ogni volta che sia stabilito per legge o quando ne sia richiesto dal Sommo Pontefice o dal governatore (art. 8).
Il potere giudiziario è delegato al tribunale dello stato che lo esercita in nome del Sommo Pontefice; i giudici possono non essere cittadini e non avere obbligo di risiedere nel territorio; sono investiti di competenza nei limiti delle materie laiche, civili, commerciali, penali. Tali giudici di prima istanza sono organi esclusivi dello stato, mentre organi comuni con la S. Sede sono i tribunali di grado superiore (Sacra Rota romana e tribunale supremo della Segnatura), i quali, quando funzionano come organi giudiziarî dello stato, devono, come devono i primi, compiere gli atti loro entro il territorio (art. 14, I). Il Sommo Pontefice in qualunque causa civile e penale e in qualsiasi stadio della medesima può deferire l'istruttoria a speciale commissione con facoltà di pronunciare secondo equità e con esclusione di qualsiasi ulteriore rimedio (art. 17). A Lui è sempre riservata la facoltà di concedere grazie, amnistie, indulti e condoni (art. 18). È preveduta la possibilità che a richiesta della S. Sede e per delegazione data o nei singoli casi o in modo permanente, lo stato italiano sia chiamato a provvedere nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nello Stato della Città del Vaticano (art. 22 trattato, art. 18, II); contro, però, l'autore del delitto che si sia rifugiato in territorio italiano si deve provvedere senz'altro a norma delle leggi italiane. Per l'esecuzione poi nel regno delle sentenze emanate dai tribunali dello Stato della Città del Vaticano si applicano le norme del diritto internazionale (art. 23 tratt.). Per ciò ancora che strettamente si collega all'idea della sovranità dello stato ha capitale importanza la legge sulle fonti del diritto: è ovvio che in questo stato, tipicamente confessionale, debba avere prevalenza il diritto dell'ente ecclesiastico ai cui fini esso serve: fonti principali sono il diritto canonico e le costituzioni apostoliche; a tali fonti seguono le leggi emanante per lo stato dal Sommo Pontefice o da altra autorità da lui delegata, nonché i regolamenti legittimamente emanati dall'autorità competente (art.1, I). Tali atti, pubblicati in un supplemento degli Acta Apostolicae Sedis, salvo che diversa forma sia prescritta da essi, datati e progressivamente numerati per la durata di ciascun pontificato, entrano in vigore il settimo giorno della loro pubblicazione, salvo che per la natura dell'oggetto non debbano entrare subito in vigore e non sia negli atti stessi espressamente stabilito un termine diverso. In via suppletiva, e finché non si sia provveduto con leggi proprie, nello Stato Vaticano si osservano le leggi italiane emanate fino al 7 giugno 1929, con i regolamenti generali e locali della provincia e del governatorato di Roma, indicati specificamente e con specificate modificazioni e limitazioni, sempre che tali atti non siano contrarî ai precetti del diritto divino, né ai principî del diritto canonico, alle norme del trattato e del concordato e sempre che, in relazione allo stato di fatto esistente nel Vaticano, vi risultino applicabili. I codici italiani vi sono osservati con le riserve suddette, salvo opportune modificazioni.
Il territorio dello stato, viene costituito dal Vaticano con tutte le sue pertinenze e dotazioni e dalla Piazza di San Pietro; questa però, pur facendo parte del territorio, continua a rimanere normalmente aperta al pubblico e soggetta ai poteri di polizia delle autorità italiane. Quando la S. Sede, in vista di particolari funzioni, credesse di sottrarre temporaneamente la piazza al libero transito del pubblico, le autorità italiane, a meno che non fossero invitate dall'autorità competente a rimanere, si devono ritirare al di là delle linee esterne del colonnato berniniano e del loro prolungamento (art. 3 tratt.). Rimangono visibili agli studiosi e ai visitatori i tesori d'arte e scienza esistenti nello Stato della Città del Vaticano, pur essendo riservata alla S. Sede piena libertà di regolare l'accesso al pubblico.
Tali obblighi internazionali non sottraggono affatto il territorio, né tolgono di mezzo la sovranità su di esso, al quale naturalmente anche appartiene l'area sottostante e la colonna d'aria sovrastante; su questa è fatto divieto di transvolare agli aeromobili in conformità alle norme del diritto internazionale (art.7 tratt.). Non fanno invece parte del territorio Vaticano quegl'immobili riconosciuti in piena proprietà della S. Sede (art. 13-15 tratt.), i quali sono ricoperti dalle immunità che il diritto internazionale riconosce alle sedi degli agenti diplomatici di stati esteri; immunità codeste che non sono riconosciute a favore dello Stato della Città del Vaticano, ma della S. Sede cui spettano gl'immobili stessi. Speciali obblighi si è assunto (art. 6 tratt.) lo stato italiano per ciò che concerne pubblici servizî cui si deve provvedere nel territorio intercluso dello Stato della Città del Vaticano. Questo ha assoggettato sia l'accesso sia il soggiorno nel suo territorio dei non cittadini a speciali permessi. Lo stato punisce i reati commessi sul suo territorio, salvo l'eccezione eventuale cui si è già accennato: verso l'Italia ha assunto l'obbligo di procedere all'estradizione delle persone che, rifugiatesi nel suo territorio, fossero imputate di atti commessi in territorio italiano e ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli stati (art. 22 tratt.).
Il territorio insomma appartiene allo stato e non alla S. Sede, la quale non si è convertita affatto in un ente territoriale, ma ha mantenuto il carattere di ente ecclesiastico e istituzionale.
Circa l'altro elemento costitutivo di uno stato, il popolo, è da notare come ogni stato sia libero di adottare per la determinazione dell'appartenenza degl'individui a sé stesso il criterio che crede migliore: sotto questo punto di vista la cittadinanza vaticana obbedisce a speciali criterî, i quali, pur non essendo gli usuali, nulla sottraggono al carattere statale della Città del Vaticano. Come pure al medesimo nulla sottrae il fatto che i cittadini siano stati dal trattato sottoposti alla sovranità della S. Sede, innanzi tutto perché sotto quest'ultimo termine si deve intendere il Sommo Pontefice, in secondo luogo perché sarebbe stato assurdo che il trattato dettasse norme per la cittadinanza di un ente non statale quale è la S. Sede e dell'elemento popolo avesse privato lo Stato della Città del Vaticano, che come tale si voleva esistesse. È un vincolo quello derivante dalla cittadinanza vaticana che, fondato sul criterio della stabile residenza nello stato (art. 9 trattato, art. 1, III), fa aderire maggiormente i cittadini a questo perché strettamente unito al vincolo che già li lega per ragioni di ufficio, dignità, carica o impiego da essi assunto presso lo stato e presso la S. Sede. È un vincolo che abbraccia anche i cardinali residenti in Roma anche fuori dello Stato della Città del Vaticano. La legge prevede anche speciali autorizzazioni alla stabile residenza e i casi in cui esse debbano cessare di diritto.
La perdita della cittadinanza avviene quando i cardinali cessino, per qualsiasi ragione, di risiedere nello stato o in Roma; per volontario abbandono della residenza; per la perdita dell'ufficio al quale erano legati o l'obbligo o l'autorizzazione alla residenza; per cessazione o per revoca delle diverse autorizzazioni a risiedere nello stato. Chi cessa di essere cittadino vaticano ove, a termini della legge italiana, non sia da ritenersi munito di altra cittadinanza, viene a essere considerato senz'altro come cittadino italiano. Al cittadino vaticano sono, sul territorio italiano, applicabili, anche nelle materie in cui deve essere osservata la legge personale (quando non siano regolate da norme emanate dalla S. Sede), le norme della legislazione italiana e, ove si tratti di persona che sia da ritenere munita di altra cittadinanza, quelle dello stato cui essa appartiene (art. 9 trattato). Incaricato della tenuta dei registri dei cittadini vaticani è il governatore; a eccezione di questo, dei cardinali e del loro seguito e di alcune altre persone, tutti debbono essere muniti di una carta d'identità per l'uscita e l'entrata nello stato.
Lo stato, pur dovendo servire ai fini della S. Sede, prosegue anche fini che sono suoi proprî, comuni a tutti gli stati, e che si dirigono alla tutela dell'ordine e al benessere etico-sociale nelle sue più svariate manifestazioni, spirituali, culturali, materiali, e così via. A tutto ciò provvedono le diverse leggi che alle diverse materie più specialmente si riferiscono: la legge di pubblica sicurezza regola il diritto di associazione e di riunione, la detenzione di armi, la stampa, e così via; la legge sull'ordinamento amministrativo regola, ad es., i casi di responsabilità per danni verso lo stato, la materia dei contratti conclusi nell'interesse di questo, la tutela dei diritti e degl'interessi dei cittadini; finalmente la legge sull'ordinamento economico, commerciale e professionale regola il regime della moneta, l'esercizio di professioni e mestieri, l'alienazione d' immobili e l'acquisto di diritti su di essi, l'eventuale devoluzione dei primi al patrimonio dello stato dietro giusta indennità. L'acquisto di merci o derrate per rivendere e la loro vendita sono riservate, in via di monopolio, allo stato, mentre opportuni limiti o divieti sono contemplati a proposito dell'introduzione di merci e derrate e alla loro esportazione in territorio italiano, allo scopo di mantenere con l'Italia i rapporti di buon vicinato.
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Diplomazia pontificia. - La direzione suprema degli affari politicireligiosi della S. Sede è riservata al Sommo Pontefice, che ne cura il disbrigo per mezzo della Segreteria di stato e della Sacra Congregazione degli affari ecclesiastici straordinarî. Fino al sec. XVI le funzioni, ora attribuite al cardinale segretario di stato, erano disimpegnate dai "segretarî apostolici", istituiti da Innocenzo VI (1352-62). Il primo a denominarsi formalmente segretario di stato fu S. Carlo Borromeo (v.), elevato a quest'ufficio dallo zio Pio IV nel 1560. Della Segreteria di stato fanno parte, oltre il cardinale segretario, un prelato palatino, con il titolo di sostituto della Segreteria e di segretario della Cifra, e altri ufficiali con diversi nomi. Alla S. Congregazione degli affari ecclesiastici straordinarî, istituita nella presente forma da Pio VII nel 1814, viene affidato lo studio delle più gravi questioni riguardanti le relazioni della S. Sede con le società politiche: convenzioni diplomatiche, concordati. ecc. Il personale diplomatico alla dipendenza di questi due dicasteri si compone oggi di nunzî, internunzî (cioè nunzî di grado inferiore) e delegati apostolici, designati generalmente con il titolo di legati.
L'origine dei legati apostolici si fa risalire alle relazioni della S. Sede con la corte imperiale di Bisanzio, presso la quale fin dal sec. V erano accreditati speciali rappresentanti del romano pontefice detti "apocrisiarî" (in latino responsales): ma solo dal sec. XIII in poi la diplomazia pontificia si organizzò stabilmente nei principali stati d'Europa. Ai legati del papa (o nati, alla cui dignità andava congiunto il titolo di legato pontificio; - o missi, cioè deputati a rappresentare il papa in circostame speciali, - o a latere, quasi staccati dal fianco del papa) erano riservati i più alti onori e i più ampî poteri: giurisdizione ordinaria e immediata su tutto il territorio della loro legazione: facoltà di scomunicare perfino i vescovi, di lanciare l'interdetto contro città e regni, ecc.
Le nunziature sono di prima e di seconda classe, secondo che i loro titolari hanno o meno il diritto di essere promossi al cardinalato. Sono di prima classe quelle di Vienna, Parigi, Madrid e Lisbona: di seconda tutte le altre. Questa divisione però non è assoluta: infatti la delegazione apostolica di Washington è considerata come una nunziatura di prima classe. Il nunzio rappresenta il papa non solo presso il governo civile, ma anche presso l'episcopato e i fedeli: donde il privilegio di essere considerato in tutti gli stati come decano del corpo diplomatico. Le facoltà e i privilegi comuni ai legati del papa sono elencati nel Codice di diritto canonico (can. 265-270) e nel Cerimoniale dei vescovi (lib. I, cap. 13, 23); quelli speciali, nelle bolle d'istituzione. Oggi hanno tutti carattere vescovile con titolo di arcivescovi.
Il personale subalterno addetto alle missioni diplomatiche della S. Sede si distingue in "uditori", "segretarî" e semplici "addetti". Se un uditore ha la gestione interinale dell'ufficio, assume il titolo di "incaricato di affari". Nel rango diplomatico gli uditori di nunziatura sono equiparati ai segretarî e consiglieri d'ambasciata.
La diplomazia pontificia ebbe un grande sviluppo sotto Leone XIII. le cui ampie vedute politiche contribuirono a estendere il prestigio della S. Sede in tutto il mondo. Le sue direttive furono riprese da Benedetto XV, che dopo la guerra mondiale vide quasi raddoppiato il numero delle rappresentanze diplomatiche del Vaticano. Per il 1935 l'Annuario ecclesiastico, indicatore ufficiale della S. Sede, registra 29 nunziature e 2 internunziature, il massimo numero sinora raggiunto nella storia della Chiesa.
Famiglia pontificia. - Fanno parte della "famiglia" del pontefice i due cardinali palatini (datario e segretario di stato), i prelati palatini, il maestro del S. Ospizio, i camerieri segreti partecipanti, i camerieri segreti di spada e cappa, e gli ufficiali superiori della guardia svizzera, della guardia palatina e della gendarmeria. Tra questi meritano particolare menzione:
Maggiordomo del papa (Praefectns Sacri Palatii Apostolici). - È il primo dei quattro prelati palatini e il quarto di quelli detti di fiocchetti e come tale ne porta le insegne, inquartando nel proprio stemma quello del papa. E il superiore immediato della famiglia pontificia e da lui sono firmati i biglietti di nomina ai titoli di cameriere segreto e d'onore, di chierico e di cappellano, ecc. Se ne ripete l'origine dall'ufficio di Vicedomino del Patriarchio lateranense. Fu già prefetto dei SS. Palazzi Apostolici e come tale sopraintendeva all'intera corte papale, come pure ai palazzi apostolici del Vaticano, del Quirinale e di Castelgandolfo, di cui era governatore perpetuo con piena giurisdizione civile e criminale. Da lui dipendevano la guardia nobile, la svizzera e le altre armi appartenenti ai palazzi apostolici e a lui erano affidate le chiavi dei tesori più gelosi e delle cose più sacre. Fino a questi ultimi tempi quella di maggiordomo era considerata come una carica cardinalizia, riservata ai prelati più cospicui e benemeriti della S. Sede. Sotto Pio XI essa venne virtualmente soppressa, a tempo indefinito, e le sue attribuzioni distribuite fra il maestro di camera e altri titolari delle amministrazioni palatine.
Maestro di camera del papa (Praefectus cubiculi secreti Pontificis). - Prelato della corte pontificia, uno dei prelati palatini, che presiede al cerimoniale per l'ammissione alle udienze del pontefice; lo assiste nell'esercizio delle funzioni sovrane, introduce presso di lui re, principi e ambasciatori; custodisce il sigillo pescatorio annulus piscatoris), ecc. Il suo ufficio corrisponde a quello di gran ciambellano nelle corti secolari moderne e a quello di magister admissionis presso gl'imperatori romani della decadenza. È nominato con breve apostolico e cessa dalla carica con la morte del papa. Ha il diritto personale di inquartare nel proprio stemma quello del papa. È sempre protonotario apostolico e nelle cappelle pontificie prende il posto immediatamente dopo il decano del collegio.
Dall'ufficio del maestro di camera dipende il Maestro di casa dei Sacri Palazzi Apostolici (lat. Magister domus Sacri Palatii Apostolici), antico ufficio della corte e della famiglia pontificia, in origine unito a quello del maggiordomo, dal quale fu separato sotto Urbano VIII. Ebbe varie attribuzioni secondo i tempi. Il suo titolare è incaricato della custodia e della dispensa delle cose occorrenti per le funzioni e cappelle papali e per la stessa casa del pontefice. Ha in consegna tutti i doni inviati al S. Padre. Viene nominato dal papa e ha il grado di Cameriere d'onore di numero.
Maestro del Sacro Palazzo Apostolico (Magister Sacri Palatii Apostolici). - È un alto dignitario della famiglia pontificia, il quarto dei prelati palatini, con il grado di Uditore di Rota, e il suo ufficio corrisponde a quello di teologo del papa. A lui spettano l'esame preventivo degli scritti da sottoporsi al papa per il giudizio sulla loro ortodossia e la censura di tutti i libri che si pubblicano a Roma. Partecipa con gli uditori di Rota alla custodia del conclave per impedire ogni comunicazione dei cardinali con l'esterno. Fra le altre prerogative ha pure quella di conferire il grado di dottore in filosofia e teologia. L'origine di questo ufficio risale a S. Domenico (1218) che usava spiegare la Sacra Scrittura nella scuola teologica del Vaticano o, come altri vuole, alle persone del seguito dei cardinali mentre questi si trattenevano a corte. Da allora in poi esso fu sempre privilegio dei domenicani. La sua importanza andò crescendo col tempo: nel sec. XIII egli presiedeva la scuola teologica del Vaticano trasferita poi alla Sapienza, e da lui dipendevano i lectores o magistri scholarum S.P.A. Fino al sec. XVI soleva predicare dinnanzi al papa e alla sua corte in Avvento e Quaresima. Nella serie dei maestri del S.P.A. si contano 18 cardinali, 24 arcivescovi e vescovi e 6 generali dell'ordine domenicano.
Maestro o Gran maestro del Sacro Ospizio (Magister Sacri Hospitii). È il primo dei quattro camerieri segreti partecipanti di cappa e spada e uno degli alti dignitari della corte pontificia. Il suo ufficio, antichissimo (certo anteriore al sec. XI), corrispondeva a quello di economo generale della casa del papa e comprendeva le mansioni esercitate più tardi dal maggiordomo, dal maestro di camera e dal foriere maggiore. Aveva la custodia della cappella privata del papa; l'incarico di ammettere alle cappelle papali i forestieri; di fare gli onori del Palazzo Apostolico ai sovrani e di sovraintendere ai banchetti pontifici. Con il tempo la carica si rese ereditaria nelle nobili famiglie romane Conti e Ruspoli. Oggi quello di Gran maestro del S. Ospizio è più che altro titolo di onore. È nominato a vita e interviene a tutte le cappelle e funzioni papali.
Maestro delle cerimonie pontificie. - Vengono sotto questo nome i prelati che assistono il sommo pontefice in tutte le sacre funzioni che celebra in pubblico, intervenendo non solo alle cappelle pontificie, ma anche ai concistori e ai conclavi. Essi sono costituiti in collegio sotto l'autorità di un prefetto che ha il titolo di protonotario apostolico ad instar. Ve ne sono cinque di ruolo, ossia in carica: gli altri son detti soprannumeri. Se ne fa risalire l'origine al sec. VIII. Fra i cerimonieri pontifici vanno ricordati, oltre Lotario Conti poi papa Innocenzo III, Agostino Patrizi Piccolomini di Siena, autore di una riforma del cerimoniale romano, e Giovanni Burcardo di Strasburgo, che fu il primo a scrivere i diarii delle cerimonie (dal 1484 al 1505).
Arte.
Agl'inizî del sec. III il presbitero romano Gaio, polemizzando con una setta scismatica, menzionava i "trofei" apostolici del Vaticano e della Via Ostiense (Eus., Hist. Eccl., II, 25, 6), vale a dire (in senso traslato) i monumenti eretti sul luogo dove Pietro e Paolo avevano conquistato sul mondo una vittoriosa corona. Che tali monumenti fossero in realtà i sepolcri, lo si deduce in primo luogo ponendo in rapporto la parola τρόπαια con tante immagini agonistiche di chiari sensi escatologici (e perciò aderenti a manifestazioni funerarie) della primitiva letteratura cristiana; in secondo luogo osservando che il discorso medesimo di Gaio, che s'inizia: "Io posso mostrare, ecc...", fa perno sulla esistenza effettiva di un "monumentum" e non su di una menzione idealizzata della località dove fu consumato il martirio. A questa antichissima attestazione conviene aggiungere ciò che asseriscono i più antichi martirologi e la "Depositio Martyrum" del 354 (indubbiamente riferibili a redazioni anteriori), e anche l'importante menzione topografica raccolta dal Liber Pontificalis romano (ediz. Duchesne, I, p. 118), senza trascurare le notizie del De Viris ill. geronimiano (i e 5). A conferma dobbiamo porre l'inciso relativo a papa Anacleto nella biografia dello stesso Liber Pontificalis. Questo presule (della fine del sec. I) avrebbe proceduto a costruzioni e sistemazioni sul luogo della "memoria" sepolcrale apostolica per far posto alle salme dei vescovi successori. Che tale "memoria" vaticana sorgesse nel sito dove preesisteva un vasto sepolcreto pagano, lo apprendiamo dalle numerose scoperte di tombe avvenute in varî tempi (e anche ultimamente), nell'area della basilica attuale e in quelle vicine (v. cornelia, via; trionfale, via).
Nel periodo costantiniano la tomba di Pietro fu oggetto di nuove sistemazioni. Stando a ciò che afferma il Liber Pontificalis e che sembra dipendere da fonte abbastanza antica, l'imperatore avrebbe rivestito di lastre bronzee il "loculus cum corpore", in modo da immobilizzare per sempre l'avello "quod est immobile": v. il Liber Pontificalis in "vita Silmstri", nell'ed. critica del Mommsen, p. 57). Sullo sportello bronzeo di chiusura della camera sepolcrale venne applicata una croce d'oro con una scritta che ricordava i dedicanti: Costantino e la madre Elena. La sistemazione dell'avello fu coeva all'erezione della basilica, per la quale si dovette demolire una parte del circo di Caligola esistente nella località, sbarrare un tratto di strada e ricoprire una zona di sepolcri.
La basilica ebbe cinque spaziose navate e un atrio anteriore. L'altare della Confessione fu attorniato da una pergula di colonne tortili con fregi di viti e di Amorini, che l'imperatore fece venire "de Graecia", cioè dall'Oriente (L. Pontif., cit.). Sono le medesime che sono state riadoperate qua e là nella basilica (logge delle reliquie, cappella del SS. Sacramento, ecc.). Sull'arco trionfale dove correva un'altra dedica di Constantinus Victor si vedeva l'immagine dell'imperatore orante, e presso vi erano alcuni distici che ricordavano una malattia da cui Costantino sarebbe scampato. Questi versi debbono aver formato il nucleo della leggenda sulla lebbra di Costantino e il taumaturgico intervento di papa Silvestro. La composizione absidale non doveva esser dissimile da quella ricomposta nel tardo Medioevo, e cioè con la "traditio legis" fatta dal Signore a Pietro, essendovi presente anche Paolo.
L'imperatore non vide il termine di questa grandiosa costruzione, che fu ultimata dal figlio Costante intorno al 349. In questo sec. IV e nel V, la basilica ebbe numerosi abbellimenti per munificenza di papi, d'imperatori e d'alti personaggi. Opere importanti dovettero compiersi al tempo di papa Damaso, il quale pure provvide - come accerta una sua epigrafe - a imbrigliare le acque freatiche scorrenti dai fianchi delle colline vaticane e allaganti i sepolcreti pagani e cristiani. Di una fonte egli si servì per alimentare il battistero ("invenit fontem praebet qui dona salutis"). Questo battistero ebbe ornamenti da parte del prefetto di Roma Longiniano (403). La statua bronzea di Pietro è da ritenersi opera del sec. V e non del XIII come ha asserito il Wickhoff: essa può confrontarsi con opere d'arte dell'ultimo periodo imperiale. La cattedra (oggi racchiusa nella monumentale custodia bronzea del Bernini) è un'opera lignea del basso impero, o dell'alto Medioevo, che contiene i frammenti di una cattedra più antica. Le lamelle eburnee che la rivestono possono essere alessandrine, anziché carolingie, come reputarono gli archeologi del sec. XIX. La fontana dell'atrio (o "Paradisus") aveva un baldacchino costituito da una copertura a griglia bronzea con figure di pavoni. Al disotto era collocata una grandiosa pigna pure bronzea che sprizzava l'acqua. La vasca era isolata da lastre marmoree con classici grifi. Dopo la distruzione dell'atrio, la pigna e i pavoni emigrarono nella Corte di Belvedere (ora Cortile della Pigna). Si ripete che papa Simmaco ordinasse questa fontana, ma è più probabile che fosse anteriore. Rileviamo inoltre che almeno la pigna sembra essere materiale riadoperato. Non è del tutto sicuro che i pavoni adornassero il recinto del Mausoleo di Adriano. Attorno alla vecchia basilica si formò ben presto una serie di mausolei sepolcrali. Proprio dietro l'abside erano sepolti i Probi Anici in un mausoleo eretto da Anicia Faltonia Proba nel 395 per Sesto Petronio Probo. Abbattuta la costruzione a tempo di Niccolò V, ne resta un sarcofago con gruppi di figure entro nicchie, tipico esempio di scultura del cosiddetto "rinascimento teodosiano" (l'opera sta oggi nel Museo Petriano). Ma il più bel sarcofago collocato in vicinanza della tomba di S. Pietro è quello destinato al prefetto dell'Urbe, Giunio Basso (circa 358-359), ora nelle Grotte Vaticane. Dove ora sta la grandiosa sagrestia, vi fu il mausoleo imperiale, di pianta circolare con nicchioni interni dove fu sepolto nel sec. IV l'imperatore Valentiniano II e più tardi Maria moglie di Onorio e figlia di Stilicone (morta nel 423); il ricco "mundus muliebris" di quest'ultimo avello fu ritrovato nel 1544 e disperso. Altro mausoleo rotondo di personaggi incogniti si trovava qui accanto e gli era prossimo l'obelisco (l'"agulia") dell'antico circo di Caligola lasciato nel sito primitivo forse a ricordare il luogo presso cui, secondo una tradizione molto antica, aveva sofferto il martirio l'apostolo Pietro.
Oltre i mausolei, dobbiamo ricordare gli "episcopia", dei quali sappiamo l'esistenza fin dai tempi di papa Simmaco (498-514). E questo il primo nucleo di una residenza pontificia al Vaticano; ma fu residenza obbligata per il fatto che il Laterano era occupato da un antipapa. Dopo Simmaco, gli "episcopia" servirono soltanto per la sosta temporanea del pontefice in occasione delle processioni notturne dal Laterano al Vaticano.
Chi volesse rievocare il fasto dell'antico S. Pietro nell'alto e basso Medioevo dovrebbe ripercorrere la via delle innumeri turbe peregrinanti "ad limina Apostolorum". Giunto a Roma per la Via Francigena (o "ruga Francisca") che scendeva dal "Mons Gaudii" (Monte Mario), oltrepassavano la cinta di Leone IV e si trovavano sulla "platea cortinae S. Petri". Ivi ammiravano la parte esterna dell'atrio con un portico d'accesso forse del sec. V-VI. All'entrata nel "Paradisus" era la chiesa di S. Maria in turri con un alto campanile (di Stefano II; 752-757) sormontato da cuspide con bronzeo galletto. La chiesa aveva sulla fronte un musaico dei tempi di papa Paolo I (757-767), che raffigurava l'Ascensione. In questo tratto dell'atrio vi era il musaico col Salvatore fra i Ss. Pietro e Paolo, opera del sec. X che oggi si trova nelle Sacre Grotte. Un altro musaico fu quello celeberrimo della "Navicella", opera giottesca. Non lungi di qui si doveva trovare anche il sarcofago porfireo dell'imperatore Ottone II. L'atrio, centrato dalla fonte di cui si parlò, aveva in origine una quadruplice ala di portici, che più tardi furono in parte soppressi. La facciata della basilica rifulgeva per una vasta composizione musiva. Come ci mostra il disegno di un manoscritto del sec. XI-XII (a Eton, in Inghilterra) vi si scorgeva l'Agnus Dei osannato dai Seniori. L'opera risaliva almeno a Leone Magno; ma fu rifatta verso il 1230 da Gregorio IX. Sotto il portico del narthex si ordinò il più antico sepolcreto papale (fin dalla seconda metà del sec. V). Posteriormente si trasferirono le salme più venerate nell'interno della basilica. Le pareti dell'atrio avevano intarsî molto antichi e affreschi del basso Medioevo. Sopra una delle cinque porte d'accesso all'aula basilicale (la "iudicii", l'"argentea", la "romana", la "ravegnana" e la "guidonea") era collocata la statua marmorea di S. Pietro oggi sistemata nelle Grotte. È un adattamento di statua filosofica classica cui si mutò la testa e furono aggiunte le chiavi e la mano benedicente.
L'interno della basilica aveva una solenne decorazione pittorica, specie sopra le colonne della navata centrale. Oltre alla serie dei clipei con immagini pontificie (parallela e forse più antica di quella, pure in affresco, che già si vedeva nella basilica di S. Paolo) vi era in ordine duplice una successione di quadri biblici e storie apostoliche. I biblici erano disposti in modo da contrapporsi secondo i criterî delle "Concordantiae". Oratorî, edicole, monumenti sepolcrali si vedevano dovunque. Fra gli oratori il più importante era forse quello di papa Giovanni VII (705-707) con rivestimenti musivi di cui esistono ancor oggi, dispersi, alcuni frammenti (uno, a S. Marco di Firenze, ci mostra la Vergine orante; un altro, nel Museo Petriano, ha l'effigie del papa; un terzo, a S. Maria in Cosmedin in Roma, contiene parte della scena dell'Adorazione dei Magi; e ve ne sono altri minori). Nell'oratorio di Giovanni VII fu poi conservata la famosa reliquia del Sudario della Veronica, ricordata dalle numerose fantastiche riproduzioni dei "pictores Veronicarum" stabiliti nelle adiacenze del santuario.
Presso la porta "ravegnana" era la cappella di S. Bonifacio martire che papa Bonifazio VIII (Caetani) arricchì con un tabernacolo marmoreo forse opera di Arnolfo di Cambio. Certo questo insigne maestro lavorò al suo sarcofago (oggi nelle "Grotte") e il Torriti dette mano all'ornato musivo superiore.
L'altar maggiore, elevantesi sulla confessione, era coperto da un ricchissimo tegurio. Aveva per sfondo l'esedra absidale con il musaico del Cristo fra i Ss. Pietro e Paolo. Tale opera fu rinnovata ai tempi di Innocenzo III. Vi si vedeva infatti la sua effigie, di cui si conserva il frammento della testa nella cappella Conti a Poli. Anche il volto della figura impersonante la "Sancta Ecclesia" è conservato in un pezzo musivo della collezione Barracco. Nel Duecento si eresse un grande ambone marmoreo fregiato di musaici vitrei, al quale lavorarono i Vassalletti.
Troppo lungo sarebbe passare in rassegna tutte le insigni opere d'arte che adornavano la basilica del Medioevo. Delle stupende suppellettili rimangono nel tesoro di S. Pietro la croce aurea dell'imperatore Giustino II e della consorte Sofia (sec. VI), la dalmatica impropriamente detta di Carlomagno (è invece una superba agopittura bizantina del sec. XIII) e poche altre cose. Delle iconi resta soprattutto il polittico ordinato dal cardinale Stefaneschi. Dal necrologio della basilica apprendiamo che fu commissionato a Giotto. Lo stesso cardinale fece iniziare un grande codice che pure si conserva in questo Tesoro.
Tutt'intorno al santuario erano diverse altre basiliche con annessi fabbricati per ricovero di monaci, per ospitare pellegrini, per scopi religiosi diversi. Qualcosa ne resta e ci limiteremo a ricordare S. Stefano degli Abissini, che un tempo aveva accanto il cenobio detto "Catagalla Patricia". La basilica è stata di recente portata, per quanto era possibile, alle antiche forme.
Si deve a Eugenio III (1145-1153) l'inizio di un più grande episcopio per una sede papale permanente. Continuarono la costruzione Celestino III (1191-1198), innocenzo III (1198-1216), Innocenzo IV (1243-1254) e soprattutto Niccolò III (1277-1280) che può ritenersi il vero fondatore della residenza vaticana nel suo storico aspetto. Tracce di queste più antiche strutture si rilevano nei sotterranei della "Sala Regia". Del secolo XIV è invece una decorazione testé rinvenuta sotto le sale dei Chiaroscuri. Altri papi si occuparono debolmente di questa sede vaticana. Poi venne l'arresto dell'esilio avignonese. Al ritorno, Gregorio XI si installò in Vaticano, ma la morte lo colse prima che avesse potuto preparar tutto per una sede effettiva. Il conclave che seguì si tenne al Vaticano, ma l'eletto, Urbano VI, volle tornare al Laterano. Bonifacio IX (1389-1440) ruppe ogni incertezza e perciò dopo di lui comincia al Vaticano la serie delle imponenti costruzioni. Eugenio IV in una preesistente "Capella Sancti Nicolai" fondò la cappella di palazzo che fu continuata a decorare sotto Niccolò V (1447-1455), avendovi molta parte l'Angelico (v. sotto). Quest'ultimo papa ha il genio del costruire. Il suo biografo, Giannozzo Manetti, parla del grandioso progetto per la basilica, per il palazzo, e in genere per tutta la città vaticana, preparatogli da uno degli spiriti più luminosi del Rinascimento: Leon Battista Alberti. Vespasiano da Bisticci nota, con senso di devota ammirazione per tutta l'opera papale: "Edificò quello edificio che sarebbe bastato a uno di quegli imperatori romani che domarono tutto il mondo, non che ad uno pontefice".
Quanto ne rimane oggi e quanto può ricostruirsi attraverso i più antichi disegni e stampe, è sufficiente per giudicare la vastità dell'opera. La veduta panoramica dello Schedel, i gustosi paesaggi di Marten van Heemskerck ci mostrano tutta la grande cinta fortificata con i torrioni rotondi e con altre torri sugli ingressi. Poi un nucleo formidabile contenente a pianterreno gli ambienti della Biblioteca (iniziata da Niccolò V e definitivamente riordinata e ampliata da Sisto IV), al primo piano le stanze che poi servirono ai Borgia per il loro appartamento, al secondo un'altra fuga di stanze ove, al tempo di Giulio II e di Leone X, dominò sovrana l'arte di Raffaello. Accanto ad esse poté conservarsi un ambiente che nessun pontefice ebbe l'animo di togliere. Era la cappella (e non studiolo) di Niccolò V, sulle cui pareti fra Giovanni da Fiesole aveva narrato piamente le istorie dei diaconi martiri Stefano e Lorenzo.
Dell'antica biblioteca le due aule terrene a vòlta, oggi passate alla Florena Apostolica, hanno cospicue tracce di affreschi. Nella cosiddetta Biblioteca Greca vi sono prospettive di colonnati e logge con vasi di fiori e personaggi affacciati. Nel salone più grande della Biblioteca Latina campeggiano le armi del rinnovatore Sisto IV. E proprio da questo luogo si tolse il celebre affresco della fondazione della biblioteca, oggi nella Pinacoteca Vaticana, rappresentante il bibliotecario Platina che fa omaggio a Sisto IV, capolavoro di Melozzo da Forlì. Oltre a Melozzo, lavorarono nella Biblioteca Latina Domenico e David Ghirlandaio, e a costoro si debbono le lunette con figure di Padri della Chiesa.
Ma torniamo all'età di Niccolò V. Un lungo incalzare di secoli aveva seriamente scosso la basilica petriana: e apparve la necessità di ricostruirla. L'Alberti aveva misurato il grave strapiombo dei muri e s'era affrettato a consigliarne la demolizione. Sotto il suo controllo, Bernardo Rossellino disegnava il progetto per il nuovo tempio e il piccone cominciava a lavorare, come pure s'iniziava la ricerca dei materiali. Si domandava per la grande impresa l'obolo della cristianità.
Peraltro, il Rossellino eresse soltanto un coro che più tardi doveva scomparire. La morte di Niccolò V (1455) troncò tutte le attività rinnovatrici e anzi sopraggiunsero nuovi adornamenti, quasiché non si pensasse più alle necessità di un totale rifacimento.
Prima di Niccolò V, s'era commesso a Donatello il piccolo tabernacolo per l'Eucarestia (ora nella sagrestia dei Beneficiati); poi, papa Eugenio IV aveva donato alla basilica le celebri valve bronzee della porta centrale plasmate da Antonio Averulino, detto il Filarete, e inaugurate nel giugno 1445. Dopo Niccolò V, sappiamo di un ciborio sopra l'altare della confessione, che fu ordinato forse da Pio II e che (ci è ignoto per qual ragione) venne sostituito da un altro fatto eseguire da Sisto IV. Di quest'ultimo rimangono entro le Grotte certi larghi plutei rettangolari con la storia del martirio di S. Pietro, attribuiti dall'Albertini al fiorentino Matteo Pollaiolo. Due imponenti sepolcri bronzei di pontefici si eressero in S. Pietro nella seconda metà del sec. XV a opera di Antonio del Pollaiolo, quello di Sisto IV con la statua giacente sul catafalco (ora nel Museo Petriano) e quello di Innocenzo VIII con il papa disteso sulla bara e poi figurato vivo, in atto di benedire, stando su di un trono che aggetta da una parete con immagini simboliche e sacre. La prima opera fu terminata nel 1498. Paolo II ebbe invece (nel 1477) un sepolcro marmoreo i cui frammenti sono oggi raccolti nel Museo Petriano. Vi lavorarono Mino da Fiesole, Giovanni Dalmata e i loro aiuti. Paolo II continuò la "loggia della benedizione" iniziata da Pio II sulla fronte esterna della basilica. Ma il papa veneto non la poté ultimare, e così per la chiusura di questo lavoro si arrivò ad Alessandro VI. Era una grandiosa costruzione a due piani con poderose arcate. I documenti ci parlano di varî artisti, fra i quali Isaia da Pisa e Giuliano da Sangallo. La piazza avanti a questa loggia aveva una bella fontana eretta da Innocenzo VIII e fregiata di tori bronzei da Alessandro VI.
Seguiva alla loggia della Benedizione il Palazzo pontificio che da questo lato aveva il suo ingresso principale. Varcatane la soglia, si entrava nella lunga corte "ubi cardinales descendere solent" fiancheggiata, a sinistra, dalla Curia di Innocenzo VIII che la separava dall'atrio della basilica. Un secondo cortile era quello chiamato "del Maresciallo". Nell'ala di portico rimasta si scorgono le armi di Paolo lI. Qui era l'ingresso alla parte più intima dell'abitazione pontificia. Oggi ancora è "in situ" la porta con l'arme di Pio II tenuta da due putti, cui lavorò Antonio di Giovanni da Milano. Dopo questa porta, si trova il cortile "del Pappagallo" attorniato dalle più antiche costruzioni della sede vaticana. La singolare denominazione deve provenire da qualche fregio pittorico. Dalla corte del Pappagallo, che ha nell'alto qualche residuo di affresco, si passa a un'altra più ristretta (oggi chiamata "del portoncino di ferro") in cui era, al tempo dei Borgia, un secondo ingresso del Palazzo Vaticano. Più tardi venne ad aggiungersi un terzo cortile ("della sentinella", secondo la dizione odierna), dov'è la grande porta che dà sulla piazzetta "del Forno", o "della Zecca". Sul cortile della Sentinella è il fianco di una grande costruzione che si trova alla testata di uno dei due lunghissimi corridoi includenti il cortile di Belvedere. Perciò detto cortile si formò nel sec. XVI. In epoca anteriore la linea era arretrata alla fronte della grande torre Borgia che domina il cortile "del portoncino di ferro". Giova ora rendersi conto dei gruppi di edifici e della loro successione cronologica. Vi è un gruppo alto-medievale di fianco e a destra di chi guarda la basilica. In esso s'impiantarono le costruzioni del Medioevo e del primo Rinascimento (specie ad opera di Niccolò V, di Paolo II e di Sisto IV, edificatore della monumentale Cappella Sistina). Viene poi un gruppo del tardo Medioevo e del Rinascimento, collegato al primo per mezzo di tratti intermedî con sovrapassaggi sui cortili interposti (più antico quello "del Pappagallo"). In tale gruppo che da una parte dava su un giardino aperto (poi divenuto cortile interno, cioè il "cortile di S. Damaso") e dall'altro guardava verso la "vigna di Palazzo" (poi cortile del Belvedere) si allogarono la biblioteca (al pianterreno) e gli appartamenti privati di Niccolò V, migliorati in seguito da Sisto IV. Vi vennero pure gli appartamenti di Pio II, poi conglobati in quelli dei Borgia (Callisto III e Alessandro VI) e quelli di Giulio II e Leone X (le "Stanze"). Verso la boscaglia retrostante, a nord, esisteva un poggio cui si volse l'attenzione d'Innocenzo VIII. Egli vi fece costruire un palazzetto per sua residenza estiva (il "pulchrum videre pontificis", o Belvedere). Il Vasari nomina come architetto Antonio Pollaiolo, ma i documenti citano Iacopo da Pietrasanta. È qui che dipinse il Mantegna, richiesto al Gonzaga di Mantova fino dal 1484 e venuto a Roma nel 1488. L'opera sua si svolse sulle pareti della cappella, purtroppo distrutta per la costruzione dei musei. Così andaron perdute alcune belle opere del Pinturicchio. Restano alcuni soffitti che in parte si possono dare a questo autore e in parte a Piermatteo da Amelia. Una lunetta con stemma tenuto da putti e altra con un curioso gruppo di cantori ha qualche consonanza col fare mantegnesco.
L'edificio della Cappella Sistina, appare dal di fuori come una fortezza. Il costruttore, a detta del Vasari e anche secondo taluni critici, ne sarebbe Baccio Pontelli; i documenti contemporanei parlano di Giovannino De' Dolci. La decorazione fu iniziata nel 1480 da Piermatteo da Amelia, la cui opera era destinata a scomparire pochi decennî appresso. Invece non scomparve (meno le decorazioni dei lati brevi) ciò che fu eseguito dall'insigne gruppo di artisti che viene nominato nella "locatio picture capelle magne nove palatii apostolici" redatta nel 1481. Vi si parla di Cosimo Rosselli, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Pietro Perugino. L'Albertini e il Vasari aggiungono altri nomi e la critica ha potuto distinguere altre personalità. E sono, in complesso: Luca Signorelli, Bernardino di Betto detto il Pinturicchio, Bartolomeo della Gatta (Pier d'Antonio Dei), Piero di Cosimo. Il della Gatta sarebbe stato un collaboratore del Perugino, Piero di Cosimo avrebbe lavorato con il Rosselli, Filippino Lippi con il Botticelli; e con lui dovette lavorare anche fra Diamante.
I pittori della Sistina distribuirono gli affreschi secondo un tema unico: la contrapposizione dei fatti della vita di Mosè a quelli della vita del Salvatore. Come nelle antiche basiliche, a sinistra di chi entra si svolse la serie biblica, a destra quella del Nuovo Testamento. Il Giudizio di Michelangelo tolse l'inizio dei cicli sulla parete dell'altare, dove il Perugino aveva appaiato il Ritrovamento di Mosè alla Nascita di Gesù, dipingendovi inoltre l'Assunzione. Il crollo della parete d'ingresso ai tempi di Adriano VI fece perdere la Contesa intorno al corpo di Mosè del Signorelli e la Resurrezione di Cristo del Ghirlandaio. Le pareti alte laterali ebbero, in finte nicchie, delle figure erette di pontefici; la zona basamentale fu decorata a tendaggi. L'opera scultoria della cantoria, della cancellata e nella cornice della porta grande fu affidata a un grande decoratore che si potrebbe identificare con maestro Andrea da Milano, cioè il Bregno. Nel pavimento, gli epigoni dei marmorarî romani diedero forse l'ultimo saggio importante dell'arte cosmatesca. Constatiamo che i grandi riquadri laterali sono pieni di allusioni a cose e personaggi del tempo. Nel ciclo appartengono al Perugino la Consegna delle chiavi, a lui stesso e al Pinturicchio o ad altri aiuti la Circoncisione dei figli di Mosè e il Battesimo di Gesù; al Botticelli la Giovinezza di Mosè, la Punizione di Corah, le Tentazioni di Cristo; al Ghirlandaio la Vocazione di Pietro e Andrea; a Cosimo Rosselli e suoi aiuti, il Passaggio del Mar Rosso, il Sermone della Montagna, l'Ultima Cena; al Signorelli con Bartolomeo della Gatta e con un aiuto umbro il Testamento di Mosè.
La Cappella Sistina fu consacrata da Sisto IV il giorno dell'Assunta, del 1483. L'anno seguente Sisto IV moriva: ebbe il magnifico sepolcro bronzeo modellato da Antonio Pollaiolo, nella vecchia basilica, ora nel Museo Petriano. Dell'opera del successore Innocenzo VIII (1484-1492) al Belvedere e altrove abbiamo in precedenza accennato. Alessandro VI (1492-1503) ordinò la smagliante decorazione di quelle aule cui è rimasto il nome dei Borgia.
L' "Appartamento Borgia" è costituito da un seguito di sale illuminate da finestre a croce che dànno sul cortile del Belvedere. Arrivano sino alla torre eretta dai Borgia, comprendente la sala "del Credo" e quella "delle Sibille".
La prima sala, più grande di tutte ("sala papale"), aveva in origine uno stupendo soffitto piano di legno che crollò il 29 giugno 1500 ponendo in serio pericolo la vita di Alessandro VI. In questa sala il Pinturicchio (capo della maestranza che decorò le sale Borgia) non dovette dipingere nulla, perché vi preesisteva un ornato con figure di papi. Dopo il disastro, il soffitto venne rifatto a vòlta ai tempi di Leone X e decorato da Perin del Vaga e Giovanni da Udine. La sala seconda è detta sala "dei Misteri", per esservi raffigurati gli avvenimenti principali della vita di Gesù e Maria; la terza è quella "delle vite dei Santi", la quarta si chiama delle "Arti liberali", la quinta "del Credo", la sesta "delle Sibille e Profeti". Sopra queste due ultime sale, ov'è ora la sala dell'Immacolata Concezione, era un tempo la cappella privata dei Borgia.
Il Pinturicchio lavorò alle sale Borgia dal 1492 al 1495. Fra i suoi collaboratori la critica distingue la mano di Tiberio d'Assisi, Antonio del Massaro da Viterbo detto il Pastura e forse lacopo detto l'Indaco, Piermatteo da Amelia e Bartolomeo di Giovanni. La personalità del maestro domina in parte della sala "dei Misteri" e in gran parte di quella "delle vite dei Santi".
Con Giulio II emergono Bramante, Raffaello, Michelangelo.
Il 18 aprile 1506 papa Giulio, accompagnato dalla sua corte, si recò nel vecchio San Pietro e murò la prima pietra della nuova basilica. Donato Bramante, che aveva già pronto il progetto, cominciò a demolire senza riguardi l'edificio costantiniano. Le medaglie del tempo ci mostrano come doveva risultare l'edificio: una grande croce greca su cui sorgeva l'immenso tamburo colonnato reggente la cupola. I bracci laterali con oratorî minori erano anch'essi a croce greca e coperti da cupole. Alle estremità, quattro torri fiancheggiate da portici.
Ma Bramante ideò pure una sistemazione edilizia dei palazzi vaticani e, ottenuta l'approvazione del papa, la principiò e continuò con alacrità. Progettò di collegare il Belvedere e i palazzi antichi a mezzo di due grandi ali che fiancheggiano il famoso "cortile di Belvedere". Bramante iniziò l'ala a E. e fece due opposte esedre, una dalla parte del Belvedere, l'altra aderente ai vecchi palazzi. L'area intermedia fu sistemata a ripiani. Per di più Bramante condusse a termine la scalea circolare di tre ordini sovrapposti nella torre presso la loggia di Belvedere. Egli pure sistemò la corte detta l'"Antiquario delle Statue", dove fu la prima collezione statuaria dei pontefici e dove nel 1506 fu portato in trionfo il Laocoonte risalito dagli ambulacri della Domus Aurea. Non deve inoltre revocarsi in dubbio la paternità del suo progetto per la fronte dell'ala più antica delle "Logge" aperte sull'odierno cortile di San Damaso, quella che aderisce ai palazzi del Medioevo e del primo Rinascimento (v. bramante). Raffaello, educatosi in architettura alla sua scuola, doveva prendere in seguito la direzione dei lavori; ma soprattutto era destinato ad assumere gran parte della decorazione dei palazzi. Forse già al termine del 1508 egli era a Roma. Operava allora il Sodoma nelle "stanze" che erano state costruite al tempo di Niccolò V nella biblioteca privata del papa (la stanza detta poi "della Segnatura"), mentre il Perugino, coi suoi aiuti, ornava la stanza che fu poi detta "dell'Incendio di Borgo" e altri pittori avevano l'incarico di decorare altri ambienti. Ma quando il papa vide l'opera di Raffaello, non esitò ad affidargli l'intera decorazione delle "stanze" licenziando tutti. Raffaello conservò un soffitto del Perugino, qualche cosa del Sodoma, e il resto sacrificò alla sua concezione.
In questo tempo lavorava Michelangelo alla vòlta della Sistina. Da parecchio egli operava in Roma per il Vaticano. Al Buonarroti venticinquenne il cardinale Jean Villiers de la Groslaye aveva commesso la statua della "Pietà" che, ultimata nel 1499-1500, fu posta nel mausoleo rotondo di S. Petronilla, uno dei due grandi sepolcri imperiali accanto alla basilica. Le lotte col Bramante e i suoi sostenitori tolsero a Michelangelo la prima partecipazione all'opera del nuovo S. Pietro. Ma, in compenso, ebbe quella commissione del sepolcro di Giulio II che in un primo tempo era destinata a trionfare nella tribuna della chiesa rinnovata. Il papa peraltro mutò idea e gli volle affidare la decorazione della Sistina (v. michelangelo).
L'opera gigantesca, cominciata nel 1508, verso l'ottobre 1512 era già al termine. Alla vigilia di Ognissanti la cappella fu aperta e il vecchio pontefice poté celebrarvi. Fu, scrive il Pastor, "la più bella chiusa del suo pontificato tutto consacrato al grande e al sublime". Intanto Raffaello aveva compiuto la decorazione della Stanza della Segnatura (1511) e proseguiva la sua opera, non senza risentire della "terribilità" di Michelangelo, nella Stanza di Eliodoro (1511-1514). In questa, come poi nella Stanza dell'Incendio di Borgo (1514-1517), possiamo seguire lo svolgersi dell'arte di Raffaello nella forma e nel contenuto, avvertendo che, se nella Stanza della Segnatura l'opera degli aiuti è assai scarsa, in quella di Eliodoro risulta già evidente, in qualche tratto degli affreschi, la collaborazione degli scolari; nella Stanza dell'Incendio di Borgo, vi sono pareti intere condotte dagli allievi su disegno e sotto la sorveglianza del maestro (v. raffaello, XXVIII, tavv. CXL-CLI). Infine, nella Sala di Costantino il maestro è scomparso e Giulio Romano con altri allievi interpreta con molte aggiunte e molte licenze i suoi bozzetti o qualche suo cartone. La Sala di Costantino continuò a essere decorata sotto Gregorio XII quando pure ebbe a sostituirsi il soffitto a lacunari con altro a pitture. Al tempo di Sisto V, Tommaso Laureti eseguì a fresco la decorazione intermedia della vòlta terminando così la decorazione di questa sala.
Raffaello continuò la costruzione delle Logge bramantesche prospicienti l'odierno cortile di S. Damaso, sul lato occidentale: ivi egli mise all'opera la sua corporazione di decoratori.
Oltre al Fattore (il Penni) e a Giulio Romano, vi erano Giovanni da Udine, Pellegrino da Modena, Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga, il Bologna, Vincenzino da S. Gimignano. Resta di costoro l'ornato della prima e seconda Loggia, dove, in mezzo a fantasiosi stucchi e pitture ispirati a quelli classici della Domus Aurea (le cosiddette "grottesche"), campeggiano come emblemata scene dell'Antico Testamento immaginate con un fare largo e con scorci audaci. In qualche parte la fattura farebbe pensare a un diretto intervento del maestro; ma, in genere, tutto è tirato via dalla maniera troppo facile degli allievi. Perciò siamo piuttosto attratti dal delizioso insieme decorativo. Sulle Logge vennero pure le belle porte intagliate da Giovanni Barile, che aveva , già provveduto alle stanze. Nell'appartamento del cardinale Bibbiena, prossimo alle Logge, la stessa maestranza raffaellesca dipinse la "stufetta" o bagno. La terza Loggia, quella più in alto, doveva essere ultimata molto tempo dopo la scomparsa del maestro.
Un'altra grande opera raffaellesca per il Vaticano fu quella dei cartoni degli arazzi destinati alla Cappella Sistina. Il maestro ne eseguì direttamente qualcuno. Diligente esecutore fu l'arazziere fiammingo Peter van Aelst sotto la sorveglianza di Bernardo van Orley, discepolo di Raffaello. Verso la fine del 1519 sette arazzi erano esposti alla Sistina suscitando generale entusiasmo. Di fronte all'opera di Raffaello, risultano di grande inferiorità gli altri arazzi che si sogliono chiamare della "nuova scuola" Ordinati da Leone X, non furono eseguiti che sotto il successore.
Dopo i primi acerbi contrasti scatenati dalla riforma, dopo il terribile sacco del 1527, l'arte in Vaticano riprende la sua attività. Sotto papa Paolo III vi grandeggia Michelangelo. Nel 1536 diede egli principio al Giudizio sulla parete della Sistina sopra l'altare, avendo preparato i cartoni fino dall'anno antecedente; durò nell'opera fino al 1541-42. L'affresco è ora deteriorato dalla fuliggine dei ceri, dalle assai parziali ridipinture, dalle aggiunte di panneggi ai nudi, compiute da colui che fu dileggiato come "braghettone": Daniele da Volterra; ma qualche deterioramento forse potrà scomparire con i prudenti restauri in corso; l'opera conserva ancora oggi tutta la sua sublimità.
Il dominio della religiosità sulle forme, il fiero contrasto fra essenza eterea ed essenza demoniaca si rendono più che mai evidenti nell'ultima opera pittorica di Michelangelo al Vaticano: gli affreschi della Conversione di Paolo e della Crocefissione di Pietro che stanno nella Cappella Paolina. Questa fu eretta intornn al 1537-1540 da Antonio da Sangallo il Giovane e decorata nella vòlta da Perin del Vaga. Piü tardi, sotto Gregorio XIII, si rifecero le decorazioni pittoriche da Federico Zuccari e Lorenzo Sabbatini, e furono plasmati gli stucchi da Prospero Bresciano. Michelangelo vi intraprese nel 1542 l'anzidetta opera che fu compiuta verso la prima metà del 1550. I due affreschi sono stati di recente restaurati con cura.
Sotto Paolo III, gran parte dell'attività di Michelangelo fu occupata da un'altra opera grandiosa: la fabbrica del nuovo San Pietro.
Il continuatore designato da Bramante, Raffaello, pure appoggiato a due costruttori come fra Giocondo e Giuliano da Sangallo, non aveva potuto fare gran cosa. Antonio da Sangallo il Vecchio e Baldassare Peruzzi, venuti dopo, lasciarono anch'essi scarsa traccia. Molto invece spettò ad Antonio da Sangallo il Giovane che stette sui lavori sino al 1546, ideando un nuovo progetto che prendeva le mosse da Bramante, ma si perdeva in una farragine d'inutili membrature, come vediamo ancora in un grande plastico di legno che si conserva nel Museo Petriano. Scomparso il Sangallo, succedette Michelangelo. La fiducia concessagli da Paolo III gli diede mano libera in tutto. Cosicché alla morte del Buonarroti (1564) il tempio era costituito in tutta l'ampiezza della tribuna e della nave traversa e solo mancava d'impostare, sul tamburo già edificato, la cupola. Solo al tempo di Sisto V si venne al compimento con la collaborazione architettonica e ingegneresca di Giacomo della Porta e Domenico Fontana. Essi stabilirono di rialzare il sesto per approfittare della verticalità delle spinte. L'opera cominciò il 15 luglio 1588 e terminò nel 1590. Il lanternino, la croce, le decorazioni interne si protrassero fino sotto Clemente VIII.
All'ingresso della Sistina e della Paolina, Paolo IIl aveva fatto costruire, su disegni di Antonio da Sangallo il Giovane, la rinnovata Aula Regia. Sotto Pio IV cominciò la sua decorazione pittorica ad opera di Taddeo Zuccari, Daniele da Volterra, Girolamo da Sermoneta, Livio Agresti, il Salviati, il Sammacchini, Marco da Siena. Gregorio XIII la fece continuare e chiamò in aggiunta il Vasari. Il contenuto storico degli affreschi è tipico della Restaurazione cattolica ma vi domina pure la figurazione di allegorie e si pongono in evidenza i fatti che costituiscono i titoli di sovranità temporale del papato e ricordano le fasi del suo dominio. In relazione a fatti contemporanei vi è l'esaltazione della vittoria di Lepanto e il ricordo della strage degli ugonotti. Sono scene d'interesse vivo che acquistano maggiore significato in quella sala dove passavano i dominatori a rendere omaggio al pontefice, ma l'arte di quei pittori "manieristi" le riduce a fredde rappresentazioni.
Un gruppo che bisogna distinguere è quello dei pittori emiliani. Gregorio XlII, bolognese, ne chiamò alcuni fra i migliori per la decorazione delle Logge che aveva costruito recingendo con un'ala nuova a NO. il tratto di cui si è fatto cenno e su cui davano le Logge raffaellesche. Il Mascherino, Marco da Faenza, Raffaellino da Reggio vi ebbero gran parte insieme con altri di diverse regioni: Paris Nogari, Pasquale Cati, Antonio Tempesta, Matteo da Siena, Baldassare Croce, Giacomo Stella, Iacomo Semenza, e i fratelli Paolo e Matteo Brill da Anversa.
Ma la scuola bolognese fu più integralmente rappresentata nella sala bolognese (la "Bologna" dei documenti) aprentesi sul terzo piano dei loggiati gregoriani. Cherubino e Giovanni Alberti vi dipinsero una pianta di Bologna e altre cose. Lorenzo Sabbatini e Ottaviano Mascherino sfondarono la vòlta in ariose prospettive, Cherubino Alberti vi fece al centro lo "Zodiaco" (1575).
Molti dei frescanti sopra menzionati, aggiungendosi il Muziano, Niccolò delle Pomarance e altri, furono assunti per la decorazione delle monumentale galleria nel corridoio occidentale del cortile del Belvedere (v. sotto), dove il geografo padre Ignazio Danti fece delineare grandi carte geografiche. È prodigioso come si eviti la monotonia in questo lunghissimo corridoio dove tutto risalta per il verde e l'azzurro delle carte geografiche, le quali hanno pure lumeggiature d'oro. Stupendi gli ornati di stucchi che aggettano dalla grandiosa vòlta.
Come nelle Logge gregoriane, gli stucchi, alternandosi alle pitture (cioè incorniciandole ed essendo essi medesimi talvolta avvivati dalla policromia), ottengono una più radicale fusione tra l'architettura e l'ornato e dànno a quest'ultimo una fastosità superiore. La galleria mette capo a una torre ideata dal Mascherino per osservazioni astronomiche e decorata con un grande meridiano e con altri affreschi. È la primitiva specola vaticana. Gregorio XIII assolse pure il compito del portare a termine molte aule iniziate dai predecessori. Pio IV, in ambienti dell'età di Paolo II, aveva ricavato le "sale dei paramenti" dove il papa si riveste prima d'andare alle udienze solenni. La loro decorazione fu terminata sotto papa Boncompagni.
Altre opere rilevanti intanto erano state compiute: le tre cappelle di S. Pio V costruite una sotto l'altra nella Torre Pia accanto alla Torre Borgia, con dipinti del Vasari; e anteriormente, da Pirru Ligorio, il Cortile del Belvedere e il Casino di Pio IV.
Del Cortile di Belvedere Bramante aveva eretto le due opposte esedre e il corridoio orientale: ma una parte di questo (che si abbelliva internamente di pitture fatte dalla corporazione raffaellesca) era caduta perché troppo frettolosamente costruita. Non è chiaro se il Ligorio ponesse mano alla ricostruzione. Certo è del tempo di Pio IV l'erezione del corridoio parallelo a occidente, che mancava del tutto. Il Ligorio poi costruì tutta la fronte di palazzo addossata al castelletto del Belvedere e comprendente il noto altissimo nicchione sotto cui, dopo il disfacimento secentesco dell'atrio di S. Pietro, vennero la colossale pigna bronzea e i pavoni pure bronzei dell'antico cantharus. Vi è il dubbio che l'idea prima di tale nicchione non spetti a Ligorio, ma a Michelangelo. Invece è schiettamente ligoriano il Casino eretto in quella parte dei giardini che era chiamata "il Bosco". Qui la fantasia concepisce un sogno paganeggiante. Egli rievoca una domus rustica con quanto le ricerche antiquarie del tempo potevano riprodurre: stucchi, affreschi, bizzarrie musive e tante altre curiosità. Fra i dipintori emerge il Barocci, ben distinguibile per la sua maniera sfumata. Piacevoli narratori sono Santi di Tito e Federico Zuccari. L'opera fu eseguita fra il 1558 e il 1562. I pittori ora ricordati lavorarono anche nelle nuove stanze del Belvedere che sono oggi occupate dal Museo Etrusco. Nelle "Sale dei Chiaroscuri" lavorarono Taddeo e Federico Zuccari, poi subentrarono Gio. Alberti, il Cavalier d'Arpino, e altri. Nella sala degli Svizzeri quasi tutto è del tempo di Gregorio XIII.
L'opera che in Vaticano segna a lettere d'oro il nome di Sisto V è la sua Biblioteca.
Da tempo erano inservibili gli ambienti di Niccolò V e Sisto IV. D'altra parte, l'ampia collezione libraria esigeva locali adatti. L'architetto di fiducia del papa, il Fontana, immaginò di attraversare la corte di Belvedere con un fabbricato a due piani. Nel superiore si fece una grande sala doppia che un esercito di pittori cominciò a decorare sotto la direzione di Giovanni Guerra e Cesare Nebbia. Vi erano fra gli altri: Prospero Orsi, dedicatosi particolarmente alle grottesche, Paolo Brill da Anversa che fece soprattutto i paesaggi, Orazio Gentileschi da Pisa, il Lilio, il Salimbeni, il Nogari, il Ricci da Novara, lo Stella; vi fece le sue prime armi il Baglione, biografo di tutti costoro. La Biblioteca con le annesse "Sale Sistine" fu compiuta fra il 1587 e il 1589 e cioè con rapidità incredibile. Nei soggetti è in ogni momento riaffermata la preminenza divina sulle attività intellettuali; vi è esaltata l'opera di Sisto V e perciò in molti quadri appare la Roma rinnovata da papa Peretti (nel 1931 un terribile crollo rovinò la parte centrale di questa biblioteca, che tuttavia poté essere ricostruita con esattezza, anche nelle decorazioni).
Sisto V, sempre ad opera del Fontana, volle completare il terzo lato della corte di S. Damaso, quello orientale, erigendovi una grande ala di palazzo e nuovi ordini di logge. La costruzione non incominciò prima del 1589; fu continuata dai successori di Sisto: e ad ornarla provvidero in special modo Clemente VIII e Paolo V. Lo stemma Borghese ritorna in parecchie sale (che sono gli odierni appartamenti papali) e lo stemma Aldobrandini domina nella "Sala Clementina", una delle più belle del Vaticano, dove si vedono tarsie marmoree e poi talune stupende prospettive dovute agli Alberti. Nell'aula medesima Paolo Brill provò la sua tecnica minuta in una composizione monumentale: la Storia di S. Clemente papa. Nella Sala del Concistoro" ritoma il Brill nei piccoli paesaggi, mentre l'Alberti dipinge figure di santi. Veramente sontuoso il lacunare. Paolo V aggiunse alla Biblioteca nuove sale decorate e ordinò l'erezione di un tratto di palazzo verso la salita della Zecca; in esso due stanze (il "Gabinetto delle pitture antiche" dove sono le Nozze Aldobrandine e la cosiddetta Sala delle Dame) furono affidate a Guido Reni che fece nella vòlta della prima le storie di Sansone e in quella della seconda alcuni soggetti religiosi. La fontana del Belvedere è anche del tempo di Paolo V, come pure l'accesso maggiore ai palazzi vaticani, il "portone di bronzo". Ma l'opera più insigne di papa Borghese è la nuova facciata della basilica di S. Pietro. I papi della seconda metà del '500 non erano stati inoperosi nei riguardi del santuario. Gregorio XIII aveva fatto erigere dall'architetto Giacomo della Porta (che si era attenuto ai disegni di Michelangelo) la cappella di S. Gregorio Nazianzeno. Clemente VIII aveva commissionato la cappella opposta. Agl'inizî del '600 la basilica antica era ancora conservata per una metà. Si vedeva presso la nuova tribuna il nicchione dell'abside antica col musaico rinnovato da Innocenzo III. E, al di qua di un muro divisorio eretto nel 1538 dal Sangallo, era la parte anteriore della chiesa con molti monumenti medievali e del Rinascimento ancora in piedi. Alla porta grande stavano le valve bronzee del Filarete. L'atrio, invece, fu abbattuto nel periodo di demolizioni del 1607-12, quando s'iniziarono il tratto anteriore (che diede alla basilica la forma di croce latina) e la facciata. Il progetto fu di Carlo Maderno, prescelto in seguito a una gara.
Il Maderno fu assai ligio ai suggerimenti che poteva dare la tribuna michelangiolesca e bene si conformò ad essa; e più sarebbe stato ligio se non si fosse opposto il papa.
In quanto alla facciata, il suo grande ordine di colonne forma un degno ingresso al massimo santuario del cattolicismo.
Se consideriamo ora tutta l'opera del Maderno, ci sembra che essa non meriti la critica di chi pensa con nostalgia al progetto bramantesco e avrebbe voluto vedere il gran tempio a pianta centrale, anziché a croce latina. Il Maderno ebbe il merito di fondere i due tipi di costruzione, il concentrico e il basilicale, senza disarmonie, senza abbassamenti di tono.
Ultimo a lasciare una sensibile orma nella basilica fu Gianlorenzo Bernini, che vi innalzò il baldacchino dell'altare maggiore e la cattedra. Per togliere la sensazione del peso nell'immensa massa bronzea del baldacchino, egli si ispirò alle colonne vitinee della pergula costantiniana che proprio da lui furono applicate alle logge delle reliquie. Nella cattedra vi è il medesimo senso di levità. I quattro dottori della Chiesa la innalzano verso gli angelici cori tutti ovattati di nubi e sfolgoranti di raggi. La decorazione a marmi policromi di gran parte del tempio (con i medaglioni dei papi e le colombe dello stemma di Innocenzo X) fu ideata pure dal Bernini. Essa riscalda coloristicamente quanto sarebbe apparso troppo severo. E i barocchi, in vivace brigata, ebbero largo campo per statue, stucchi e varî ornamenti di bronzo e di ferro.
Nella cappella del SS. Sacramento impera la bella custodia berniniana e deve anche ammirarsi la cancellata del Borromini. Fra gli scultori emergono lo stesso Bernini e il Mochi nelle statue del S. Longino e della Veronica, l'Algardi nell'altorilievo dell'Attila. La serie dei sepolcri papali aveva avuto inizio nel Cinquecento con quel capolavoro che è il monumento di Paolo III ideato da Guglielmo della Porta. Il monumento, ora addossato alla curva dell'abside, stava in posizione isolata e in luogo diverso. Subì poi gravi amputazioni e dalla sua ultima forma prese le mosse il Bernini per ideare il sepolcro di Urbano VIII, nel quale egli tutto subordinò a un concetto pittorico. L'Algardi, nel monumento di Leone XI, tornerà alla compostezza architettonica, ma gli altri s'ispireranno al Bernini. Col Canova - ultima fase - trionfa la figura cui serve di sfondo la linea architetturale nel mausoleo di papa Rezzonico e del sacello degli Stuardi. Il Thorvaldsen, ideando il sepolcro di Pio VII, rimarrà frammentario e in gran parte inespressivo. Le età posteriori non vedranno gran che di meglio in fatto di sepolcri papali. Si può forse eccettuare l'egregia statua dell'avello di Benedetto XV scolpita con grande profondità di espressione da P. Canonica.
Fra le molte opere del '600 e '700 che meritano almeno un cenno, sono la Confessione apostolica ideata dal Maderno e da Martino Ferrabosco, la Cappella del fonte battesimale, ideata da Carlo Fontana; dei sepolcri papali e regali, quello con le reliquie della contessa Matilde ordinato da Urbano VIII al Bernini, quello di Alessandro VII, pure del Bernini, il mausoleo d'Innocenzo XI dovuto a Stefano Monnot, l'altro di Benedetto XIV dovuto a Pietro Bracci e Gaspare Sibilia, l'altro di Maria Clementina Sobieski, opera di Filippo Barigioni e Pietro Bracci. Le acquasantiere sono opera settecentesca di Francesco Moderati e Giuseppe Lironi. Delle grandi statue di fondatori di ordini religiosi che si trovano nelle nicchie della navata centrale, ben poche meritano particolare attenzione. Alcune sono state inaugurate recentemente tra cui quella di S. Giovanni Bosco.
La pittura nella basilica di S. Pietro è rappresentata soprattutto dalle immense pale d'altare che si vollero far eseguire in musaico e che ripetono soggetti di affreschi e di tele posti in altri luoghi. L'opera musiva è dovuta alla celebratissima Scuola vaticana del musaico.
La sagrestia di S. Pietro, ammirevole specie all'esterno, è un palazzetto settecentesco addossato al fianco della basilica senza guastarne l'armonia e anzi costituendo un leggiadro complemento: giudiziosa opera di Carlo Marchionni.
Avanti alla basilica è la meravigliosa ellisse dei portici berniniani eretti al tempo d'Alessandro VII (1656-67), culminati da un popolo di statue e avvicinati dalle due fontane. Guardati dalla basilica, si direbbero costruiti per racchiudere quell'obelisco che Sisto V nel 1586 aveva fatto trasferire nel mezzo della Piazza di S. Pietro a gloria della religione cristiana vincitrice di tutti i relitti del paganesimo. E con quest'atto pareva avere chiuso il periodo eroico della Controriforma. Ma, guardati di fronte, quei colonnati sembrano veramente ricostruire l'atrio o "paradiso" della più antica basilica. E secondo un disegno simbolico, a torto attribuito al Bernini, essi s'avanzano come braccia desiderose di avvincere tutta l'umanità.
Del Bernini è la Scala Regia che dal "portone di bronzo" sale ai palazzi vaticani, e al suo piede è la statua equestre di Costantino che l'artista ideò con senso eminentemente eroico, cui non seppe accostarsi il Cornacchini (secolo XVIII) quando pensò di ritrarre in analoga posa Carlomagno, sull'opposta parte dell'atrio della basilica. La Scala Regia, iniziata al tempo di Urbano VIII e compiuta sotto Alessandro VII, dà accesso all'"Aula delle benedizioni" incorporata nella fronte della basilica e architettata dal Maderno; più in alto immette nella Sala Regia. Del tempo di Urbano VIII è anche, oltre alla già descritta sistemazione della Sala Ducale, la cappella detta "della contessa Matilde", con l'attiguo appartamento. Ivi eseguì stupendi affreschi il Romanelli.
Fra i lavori del sec. XVIII annoveriamo la "Galleria Clementina" (aggiunta da Clemente XIV, nel 1732, alla Biblioteca), le due sale del "Museo profano" (epoca di Clemente XIV e Pio VI) e del Gabinetto dei papiri" (tempo di Clemente XIV), quest'ultimo con le decorazioni del Mengs e dell'Unterberger. Ma per opere davvero imponenti, bisogna rifarsi ai musei, in cui si vede la completa evoluzione dell'arte neoclassica, al tempo di Clemente XIV, di Pio VI e di Pio VII, nell'opera del Simonetti, del Camporesi, dello Stern e d'altri.
Il Simonetti, nell'adattare le aule dell'appartamento d'Innocenzo VIII in Belvedere e nella "Galleria dei candelabri" è ancora avvinto dalla corrente barocca; nel cortile "ottagono" l'influsso del luogo bramantesco che sta trasformando, lo riconduce verso la grande tradizione cinquecentesca; ma nella Sala rotonda egli ormai sente appieno la suggestione dell'architettura classica e nella Sala a croce greca riesce a un felice connubio di elementi varî. Più uniforme nelle imitazioni è il Camporesi (Sala della Biga e ingresso dei "quattro cancelli"). Invece è davvero una geniale rievocazione classica il luminoso Braccio nuovo, aggiunto al museo Chiaramonti per opera di R. Stern e P. Belli. Questo braccio costituì un secondo attraversamento del cortile del Belvedere. È curiosa l'aula d'ingresso del Museo Egizio che vuole riprodurre un tempio ai margini del Nilo. Fu architettata dal De Fabris, ai tempi di Gregorio XVI. Nelle decorazioni pittoriche lavorarono parecchi pittori: il Conca, il De Angelis, l'Unterberger, l'Hayez, quasi tutti ligi all'accademia. Sotto Pio IX fu costruita la Scala Pia che accede al cortile di S. Damaso; nel quale le logge orientali furono mediocremente decorate dal Mantovani e dal Consoni. La sala dell'Immacolata Concezione, presso le Stanze di Raffaello, fu dipinta nel 1854 da Francesco Podesti, riuscendo nell'insieme disarmonica e pretensiosa.
Una nuova fase costruttiva s'iniziò con i trattati del Laterano che hanno reso necessaria tutta un'interna organizzazione e quindi le nuove fabbriche erette su disegni degli architetti Momo e Beltrami e con la collaborazione dell'ing. Castelli. Spetta a Luca Beltrami il palazzo della nuova Pinacoteca (1932), al Momo quello del governatorato, la stazione ferroviaria, e altri edifici (nuove caserme, il palazzetto delle poste, ecc.). Per i musei si è creato un nuovo ingresso con una scala doppia elicoidale (Momo e Castelli), ornata nella balaustrata da Antonio Maraini. Interessante è anche il gruppo degli edifici industriali. È stata restaurata la chiesa di S. Pellegrino, con le sue pitture medievali dell'abside. Restauri hanno pure avuto il S. Egidio, struttura medievale trasformata nel Rinascimento, e la chiesa di S. Anna, all'ingresso secondario della Città del Vaticano.
Il santuario vaticano, come quelli di S. Paolo e di S. Lorenzo, fu tutelato nell'alto Medioevo con cinte fortificate. Al Vaticano provvide Leone IV. Un torrione rotondo delle sue mura si trova nei giardini vaticani e fu adattato modernamente (sotto Leone XIII) per la specola. Altre fortificazioni aggiunsero Niccolò III Orsini e Niccolò V. Sappiamo che Giovanni XXIII, nel 1411, rafforzò il "passetto", cioè il collegamento fra S. Pietro e Castel S. Angelo. Ma sembra che il corridoio coperto non fosse costruito prima di Pio IV; si vedono sulle porte il suo nome e i suoi stemmi. La Torre Borgia fu piantata da Alessandro VI a protezione dell'ingresso occidentale del Vaticano; il gruppo presso la "porta degli Svizzeri", dietro il colonnato di S. Pietro, è anche opera sua. Ma tutta la grande fortificazione a tipo bastionato che si distacca dal corridoio orientale del Belvedere e che limita buon tratto della Città Vaticana verso il Quartiere Trionfale, fu iniziata ai tempi di Paolo III e continuata fin oltre Pio V.
Nei giardini si ammirano, oltre al Casino di Pio IV, alcune fontane, tra cui quella del Santissimo Sacramento con giuochi d'acqua che formano un ostensorio, creata da Carlo Maderno, la fonte "delle aquile" e più che altro quella "della galera" (con una bella galera bronzea e con giuochi d'acqua) che sta sotto il palazzo del Belvedere.
Bibl.: Lungo sarebbe l'elenco delle opere da citare in relazione ai monumenti della Città del Vaticano. Ci limiteremo a qualche indicazione. Su tutto l'insieme, v. A. Taja, Descrizione del Palazzo Apostolico. Opera postuma revista ed accresciuta, Roma 1750 (preziosa opera che parla di molti ambienti scomparsi con i rifacimenti neoclassici); F. Chattard, Nuova descrizione del Vaticano, nn. I-III, Roma 1712-16; Létarouilly, Le vatican et la basilique de Saint-Pierre de Rome, Parigi 1882 (voll. 3, con importanti rilievi); C. Ricci, P. Baumgarten, F. Hermanin, B. Nogara e altri, The Vatican. Its History. Its Treasures, New York [1914]. Buone tavole in Pistolesi e Guerra, Il Vaticano descritto e illustrato, Roma 1829. Il più vasto corredo di illustrazioni fotografiche in C. Cecchelli, Il Vaticano. La basilica, i palazzi, i giardini, le mura, Milano [1927]; id., Città del Vaticano, Roma 1933 (con ill. relative alle nuove costruzioni); L. Gessi, Città del Vaticano, ivi 1934; id., Nella casa del Padre, ivi 1935. Ottima è la descrizione della Città del Vaticano nella Guida di Roma e dintorni del Touring Club Italiano, Milano 1933, pp. 435-524. Nella rivista Illustrazione vaticana (dal 25 dicembre 1930), si trovano ampie documentazioni fotografiche di tutte le trasformazioni della Città Vaticana, oltre a notevoli articoli sui varî monumenti. Iniziata dal card. F. Ehrle e proseguita da H. Egger, è in corso una monumentale descrizione del Vaticano: H. Egger, Die Conclavepläne, Beiträge an ihrer Entwicklungsgeschichte (Studî e documenti per la storia del Palazzo Apostolico Vaticano, fasc. 5°), Roma 1933; F. Ehrle e H. Egger, Der vaticanische Palast in seiner Entwicklung bis zur Mitte des XV. Jahrhunderts (ibid.), ivi 1935. Sul tempio vaticano: F. M. Mignanti, Istoria della sacrosanta Basilica Vaticana dalla sua fondazione fino al presente, Roma-Torino 1867; C. Fontana, Templum Vaticanum et ipsius origo, ecc., Roma 1629; P. Bonanni, Numismata Ss. Pontificum Templi Vaticani Fabricam indicantia, ivi 1792; l'edizione della pianta di T. Alfarano data con ampî commentarî da M. Cerrati, Tiberii Alpharani De basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, in Studi e testi della Biblioteca Vaticana, XXVI, Roma 1914. Per i progetti del nuovo S. Pietro: Geymüller, Die ursprünglichen Entwürfe, ecc., Vienna 1875-80. Sulla sagrestia vaticana e su altre minuzie vaticane: Cancellieri, De Secretariis basilicae Vaticanae veteris et novae, Roma 1786. Una bella veduta dei primi del '600 è quella illustrata da F. Ehrle, La gran veduta Maggi-Mascardi del tempio e del palazzo Vaticano, ivi 1914. Per le epigrafi del basso Medioevo e posteriori del Vaticano: V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma V e VI; per quelle più antiche: De Rossi e Silvagni, Inscriptiones Urbis Romae VII saec. antiquiores. Per la bibliografia generale v.: roma: Bibl.
Tutte le storie generali dell'arte, e quelle particolari dell'arte italiana, trattano più o meno diffusamente dei monumenti vaticani (v. anche: michelangelo; raffaello; bernini; maderno e bibl. alle singole voci). Per la Piazza di S. Pietro e per il Borgo (in relazione ai problemi di viabilità, della facciata e dell'accesso a S. Pietro per cui sono state fatte le demolizioni della "spina"), v.: G. Tardini, Basilica vaticana e Borghi, Roma 1936 (con molti materiali bibliografici e illustrativi tratti da disegni e stampe: i disegni pubblicati nei due voll. delle Römische Veduten dell'Egger). Lo studio della cinta più antica fu fatto dal Lauer, in Mélanges d'archéol. et d'hist. della scuola di Francia a Roma, XIX (1899), p. 302 segg.; quello della cinta del Rinascimento in E. Rocchi, Piante iconografiche e prospettiche del sec. XVI, Torino-Roma 1902. Si noti poi che è di ordinaria consultazione la monumentale Storia dei papi di L. v. Pastor, pubblicatasi in edizione italiana dal 1910 al 1934 (tomi 16, alcuni in più voll.). Essa è densa di materiali documentarî e bibliografici relativi all'opera di ogni pontefice per S. Pietro e il Vaticano.
Gli ultimi scavi hanno posto in luce il sepolcreto vaticano. V. su di esso la notizia di E. Iosi, in Illustraz. vatic., II (1931), n. 43. Sui restauri della Cappella Paolina: F. Baumgart e B. Biagetti, Gli affreschi di Michelangelo e di L. Sabbatini e F. Zuccari nella Cappella Paolina in Vaticano, Città del Vaticano 1934. Notizie sui restauri in corso nella Cappella Sistina e Paolina dànno B. Nogara e B. Biagetti, in Rendiconti della Pontif. Accad. rom. di archeologia, IX, Roma 1934.
Musei e pinacoteca.
Agl'inizî del sec. XVI cominciano ad affluire le prime statue nella corte di Belvedere (l'Apollo, ritrovato avanti il 1492, la Venus Felix, il gruppo di Ercole e Anteo). Nel 1506 vi si trasporta il famoso Laocoonte. una prima indicazione della raccolta è nell'Opusculum de mirabilibus novae et veteris Urbis dell'Albertini (1507-09), cui segue il Fulvio (Antiquaria del 1513; Antiquitates del 1527). Alcune statue e fregi del Belvedere si vedono riprodotti in disegni del Heemskerck, dell'Aspertini (1535), di Francisco de Hollanda (1538-39), del Dosio (1561-65) e nelle stampe che illustrano le opere dell'Aldrovandi (1556), del de Cavalleriis (prima edizione fra il 1562 e il 1573), e di altri. Al tempo di Pio IV taluni pezzi servirono per adornare le sue nuove costruzioni, specie la villa nel Boschetto, con il noto Casino. Pio V smembrò l'antiquario vaticano a favore di quello capitolino e fece doni a varî personaggi. Tuttavia gl'incrementi della raccolta erano grandissimi, così per le nuove scoperte, come per assorbimento di materiali delle numerose collezioni antiquarie esistenti nelle case patrizie romane, o per varî acquisti e donazioni. Ma bisognava attendere ll sec. XVIII per un più razionale e più artistico ordinamento. Grandi benemerenze ebbero Clemente XIV intorno al 1775 e, soprattutto, Pio VI. Agl'inizî del sec. XIX l'opera è continuata da Pio VII (v. sopra: Arte). Gregorio XVI (1832-46) fondò il Museo Egiziano e il notevolissimo Museo Etrusco. Il Museo Egiziano fu ordinato dal barnabita Luigi Maria Ungarelli. Gli oggetti ivi raccolti derivarono da varie collezioni, o si ebbero direttamente dall'Egitto. Molti pezzi egittizzanti provengono dagli scavi della Villa Adriana presso Tivoli. Il Museo Etrusco si formò in un periodo d'importanti studî e scoperte nei territorî dell'antica Etruria. Nel 1834 si trovò a Tuscania il sarcofago di Adone, nel 1835 riapparve a Todi lo stupendo Marte e nel 1836 a Cerveteri fu scavata una ricchissima tomba dall'abate Regolini e dal Galassi: tutti materiali che furono sistemati nel nuovo museo. I pezzi che entrarono anche a tempo di Pio IX resero questa raccolta fra le più insigni per l'arte etrusca (specie dell'Etruria meridionale). Da notarsi che fra i materiali propriamente etruschi ve ne sono altri d'importazione.
In una sala presso la biblioteca di Sisto V, Benedetto XIV (1740-58) fece riunire le antichità cristiane della raccolta Carpegna, i medaglioni della collezione Albani e altri cimelî formando il Museo Cristiano, che ebbe continui incrementi anche per gli scavi delle catacombe; nel 1907, la memoranda scoperta del tesoro del Sancta Sanctorum lo arricchì del più bel gruppo di sacre suppellettili che si conosca. Un tipico museo medagliere della seconda metà del Settecento è il cosiddetto Museo Profano, ideato dal cardinale bibliotecario Alessandro Albani (1761-1779) e cominciato nel 1767, sotto Clemente XIII. Fu compiuto sotto Pio VI. La più insigne raccolta di epigrafi fu iniziata da Clemente XIV e più tardi sistemata nel 1° piano del corridoio bramantesco del Belvedere. Essa fu particolarmente curata dal grande epigrafista Gaetano Marini. Contiene epigrafi pagane e anche cristiane.
Alcune fra le più belle pitture che ci abbia tramandato l'antichità classica (fra cui le Nozze Aldobrandine) furono riunite nel 1838 da Gregorio XVI in una sala costruita da Paolo V nel fabbricato attraversante la Via delle Fondamenta. Sotto Pio IX si aggiunse la serie degli affreschi con scene dell'Odissea scoperti nella Via Graziosa sull'Esquilino.
Le raccolte vaticane comprendono molti altri oggetti di grande importanza. Accenniamo al cospicuo medagliere pontificio (con monete, medaglie, bolle plumbee), alla recentissima raccolta filatelica, al gruppo di maioliche urbinati cinquecentesche, alla serie di oggetti del Rinascimento (armi, ecc.) esposta nell'Appartamento Borgia. Ivi è stato posto di recente lo stendardo con l'insegna di S. Giorgio, che deve risalire al tempo di Cola di Rienzo. Il Museo Petriano, iniziato sotto Benedetto XV e terminato nel 1925, a fianco della basilica, accoglie i cimelî dell'antico S. Pietro, i progetti per la nuova basilica e alcuni bozzetti e curiosità.
La Pinacoteca già s'era embrionalmente costituita a tempo di Pio VI, con un gruppo di dipinti e con varî cimelî. Peraltro un'organica sistemazione non si ebbe che sotto Pio VII; come sede fu scelto il gruppo delle Sale Borgia. Nel 1822 fu trasferita al terzo piano delle Logge di Gregorio XIII; indi fu trasferita in quella che poi divenne la Galleria degli Arazzi. Più tardi si occuparono le aule dell'appartamento di S. Pio V (che poi dovevano essere destinate alla raccolta di quadri moderni). Indi si passò nuovamente nell'appartamento di Gregorio XIII, poi a pianoterra del corridoio occidentale del Belvedere (quello costruito da Pio IV). Da ultimo, sotto Pio XI, fu costruito l'edificio della nuova pinacoteca nei giardini vaticani. Vi si conservano le tavole dei "primitivi", quelle dei trecentisti e quattrocentisti, gli affreschi di Melozzo da Forlì dalla vecchia biblioteca e dalla basilica dei Ss. Apostoli, il gruppo dei dipinti e degli arazzi di Raffaello, le tele degli altri cinquecentisti e del tempo posteriore (italiani e, in modesto numero, stranieri). Si arriva sino ai margini dell'800.
Bibl.: Per la storia della collezione statuaria vaticana v., soprattutto, Michaelis, Geschichte des Statuenhofes im vatikanischen Belvedere, in Jahrbuch des Archäolog. Institus, V (1890), pp. 5-72; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma, Roma 1902-13, voll. 4, passim; P. G. Hübner, Le statue di Roma. Grundlagen für eine Geschichte der antiken Monumente in der Renaissance, in Römische Forschungen della Biblioteca Hertziana, II, i (sola pubbl.), Lipsia 1912, p. 78 segg. Notizie complementari sulla provenienza di molti pezzi si potranno trovare in Chr. Hülsen, Römische Antikengärten des XVI. Jahrhunderts, in Abhandlungen der heidelberger Akademie der Wissenschaften (Phil. hist. Klasse), IV, Heidelberg 1917, passim.
Per le altre notizie sulle collezioni di sculture e per illustrazioni dei cimelî vedi: W. Amelung, Die Skulpturen des vatikanischen Museums, voll. 2, Berlino 1903 e 1908 e la nuova ediz. fatta dall'Amelung stesso della nota trattazione dell'Helbig, Führer durch die öffentl. Sammlungen klassischer Altertümer in Rom, Lipsia 1913; G. B. e E. Q. Visconti, Il Museo Pio Clementino, voll. 7, Roma 1782-1807; F. A. Visconti e G. A. Guattani, Il Museo Chiaramonti aggiunto al Pio-Clementino, Roma 108, 1817, 1843, voll. 3 (il II con la dichiarazione di A. Nibby; il III con la dichiarazione di A. Nibby e i Monumenti Amaranziani descritti da L. Biondi). Ottima è la Guida del Museo Vaticano di scultura, redatta specialmente da B. Nogara (serie delle Guide dei musei e gallerie pontificie), Roma 1924.
Per le pitture antiche: B. Nogara, Le Nozze Aldobrandine, i paesaggi con scene dell'"Odissea" e le altre pitture murali antiche conservate nella Biblioteca Vaticana e nei Musei Pontifici, Roma 1907. Per i musaici v. lo stesso Nogara, I mosaici antichi conservati nei palazzi pontifici del Vaticano e del Laterano, Milano 1910.
Sul Museo Etrusco esiste una serie di tavv.: Musei Etrusci quod Gregorius XVI Pont. Max. in Aedibus Vaticanis constituit monimento linearis picturae exemplis expressa, ecc., II, Roma 1842; G. Pinza, Materiali per la etnologia antica toscana-laziale del Museo gregoriano etrusco (ivi una prefazione e cenni sulla formazione del museo scritti dal Nogara), I, Milano 1915.
I vasi del museo hanno l'illustrazione nel Corpus vasorum a cura di C. Albizzati, I vasi antichi del Museo gregoriano etrusco e della Biblioteca vaticana, Milano 1924.
Per il Museo Egizio: O. Marucchi, Il Museo Egizio Vaticano descritto e illustrato, Roma 1899 (2ª ed. aumentata, Roma 1902); id., Monumenta papyracea aegyptia bibliothecae Vaticanae, ivi 1891; id., Guide du Musée Égyptien du Vatican, ivi 1927.
Per il Museo Cristiano e per i cimelî nelle sale della biblioteca v. X. Barbier de Montault, La Bibliothèque Vaticane et ses annexes. Le Musée Chrétien. La Salle des Tableaux du Moyen Âge, les Chambres Borgia, ecc., Roma 1867; R. Kanzler, Gli avori dei musei profano e sacro della Biblioteca Vaticana, Milano 1903 e l'anonima: Guida delle gallerie di pittura (con tutti gli oggetti ivi conservati) uscita nella serie cit. delle Guide dei musei e gallerie pontificie (Roma 1925). È in corso una nuova grande illustrazione così del museo cristiano, come del profano, a cura di C. R. Morey, P. Franchi de' Cavalieri, F. W. Volbach ed altri.
Sulla collezione di epigrafi: O. Marucchi, Guida speciale della Galleria Lapidaria del Museo Vaticano, Roma 1912 (nella serie citata delle Guide dei musei, ecc.).
Sul Museo Petriano v. la Guida redatta da mons. G. Cascioli, Roma 1924, autore anche di una Guida al Tesoro della basilica di S. Pietro, Roma 1925.
Per la collezione numismatica: C. Serafini, Le monete e le bolle plumbee pontificie del Medagliere Vaticano, I (anni 615-1572), Milano 1910; II (1572-1700), ivi 1913; III (1700-1903), ivi 1913; IV (aggiunte e supplemento), ivi 1927.
Per la Pinacoteca: G. E. Massi, Descrizione delle gallerie di pittura nel Pontificio Palazzo Vaticano, Roma 1887; A. Venturi, The Vatican Gallery, ivi 1890; P. D'Achiardi, La nuova pinacoteca Vaticana, Bergamo 1914; id., I quadri primitivi della Pinacoteca Vaticana, provenienti dalla Biblioteca Vaticana, Roma 1929; id., Guida della Pinacoteca Vaticana, ivi 1913 (nella serie cit. delle Guide dei musei, ecc.); A. Muñoz, I quadri primitivi nella nuova Pinacoteca Vaticana provenienti dalla Biblioteca Vaticana, ivi 1928. Per il nuovo ordinamento v. L. Beltrami e B. Biagetti, La nuova Pinacoteca Vaticana, Roma 1932 e la Guida redatta da A. Porcella (nella serie cit. delle Guide dei musei e gall. pont.), ivi 1933; 2ª ed., 1935.
Informazioni e studî sulle collezioni e sui singoli oggetti nell'Illustrazione Vaticana, Roma 1930 segg., ma soprattutto negli Atti della Pontificia Accademia romana di archeologia, s. 1ª e 2ª: Dissertazioni, dal 1921; s. 3ª, divisa in Memorie e Rendiconti, dal 1923.
La biblioteca Vaticana.
Storia. - L'importanza delle sue raccolte pone la Vaticana in prima linea tra le biblioteche del mondo, sebbene essa sia superata da altre per numero di codici o di stampati.
Fino dai primi tempi, la Chiesa si preoccupò di conservare i testimonî della sua vita e della sua storia (v. archivio e archivistica, IV, p. 88); questi tesori manoscritti nell'alto Medioevo ebbero custodia in varî luoghi in Roma; e più tardi seguirono i papi nelle loro dimore a Orvieto, a Viterbo, ad Anagni, a Perugia. Verso la fine del sec. XII o al principio del XIII, biblioteca e archivio andarono dispersi, probabilmente a cagione delle lotte cittadine. Con Innocenzo III (1198-1216), trasferita al Vaticano la cancelleria pontificia, s'inaugura la serie, pervenuta fino a noi ininterrotta, dei Regesti, ma accanto all'archivio si raccoglie intanto abbondante e ricca la serie dei codici, cosicché sotto Bonifacio VIII la Biblioteca apostolica si può considerare la prima del tempo. Tra i suoi tesori contava codici miniati da Oderisi da Gubbio e possedeva la prima biblioteca greca d'occidente: trentadue codici provenienti forse dalla raccolta di Federico II. L'oltraggio di Anagnì (7 settembre 1303) diminuì in parte la collezione. Nel 1310 Clemente V fece trasportare da Perugia ad Assisi, nella sagrestia del Sacro convento, come in luogo sicuro, i 643 codici della biblioteca pontificale; ma il 19 settembre 1319 i ghibellini distrussero parzialmente la raccolta; una parte dei codici finì ad Avignone nel 1339, altri fumno dispersi sul luogo dopo il 1345. I papi avignonesi curarono la creazione di una nuova biblioteca, che pare occupasse la torre detta "degli Angeli". Ben poca parte di essa tornò a Roma con Urbano V (1367) e Gregorio XI (1377).
Non a torto fu dato a Niccolò V il titolo di fondatore dell'attuale Biblioteca Vaticana. Egli per primo pensò ad aprire una biblioteca pubblica, mentre al tempo dei suoi predecessori la raccolta papale serviva soltanto alla curia. Avendo ereditato poco più di 340 volumi, raccolti per la maggior parte dall'immediato antecessore Eugenio IV, ne lasciò in morte 807 latini e 353 greci, tra i quali i resti dell'imperiale biblioteca di Costantinopoli. La Vaticana tornò così ad essere in quel secolo la più ricca biblioteca d'Italia. Sisto IV (1471-1484) portò a 3650 il numero dei volumi, e per essi sistemò i locali (ora della Floreria Apostolica) nel pianterreno dell'edificio costruito da Niccolò V, prospettante la corte del Pappagallo, sotto l'appartamento Borgia. Nelle quattro stanze, magnificamente frescate da Melozzo da Forlì e dai fratelli Domenico e David Ghirlandaio e con vetrate di Ermanno teutonico, venivano disposte le quattro sezioni della biblioteca (latina, graeca, secreta, pontificia), di cui era nominato bibliotecario il Platina (1475). La biblioteca "Palatina", come era allora chiamata, si veniva poi via via ingrandendo sino a toccare il numero di 4070 tra libri e manoscritti (numero inaudito a quei tempi) sotto Leone X, che donava ad essa la sua collezione di codici greci. Poco dopo (1527) più di 400 volumi andarono perduti durante il sacco di Roma; ma il danno fu ben presto compensato da nuovi apporti. Marcello Cervini (poi papa Marcello II), nominato per primo nel 1548 cardinale "protettore" della biblioteca, apportò più di 240 codici, e circa 250 altri furono aggiunti sotto Gregorio XIII (1572-85), il quale progettò il trasporto della biblioteca nella galleria del Belvedere. Ma toccò al successore, Sisto V (1585-90), di realizzare un piano più grandioso, per mezzo dell'architetto Domenico Fontana elevando un magnifico edifizio sulle grandi scalee che congiungevano la parte inferiore dell'immenso "Teatro" o Cortile del Belvedere, alle due parti superiori ora chiamate Cortile della Biblioteca e Cortile della Pigna. Nel 1590-1591 si trasferirono le raccolte nel salone affrescato sotto la direzione di C. Nebbia e G. Guerra e nominato Sistino in onore del papa.
I fratelli Rainaldi ebbero l'incarico di rimaneggiare l'ordine dei manoscritti del fondo Vaticano latino e di preparare nuovi inventarî (6 volumi di descrizione e 2 d'indice generale). I codici furono classificati per materia, con un numero continuo, aperto ai nuovi acquisti, che vennero in seguito collocati per ordine di arrivo. Nel 1627 la biblioteca possedeva 6026 manoscritti latini. Sisto V per la separazione dei documenti d'archivio dai codici, adibì due stanze "segrete" adiacenti al salone Sistino; sotto Paolo V avveniva il distacco definitivo del materiale archivistico da quello librario, con la creazione di archivî separati sotto la torre di Gregorio XIII.
Intere collezioni cominciavano intanto ad affluire al fondo Vaticano; tali le raccolte del cardinale Antonio Carafa (1591) e di Fulvio Orsini (1602), un gruppo di codici bobbiesi (1618), ecc. Altre, per la loro importanza, furono tenute a parte, quali fondi speciali con propria denominazione. Il più antico è quello della Palatina, fondata verso il 1482 da Filippo elettore palatino, offerta nel 1623, in seguito alla presa di Heidelberg (1622), da Massimiliano duca di Baviera a Gregorio XV. Nel 1657 venivano ad arricchire la Vaticana i codici della biblioteca fondata da Federico di Montefeltro, ed espropriata alla morte dell'ultimo duca da Alessandro VII (fondo Urbinate). Nel 1690 il papa Alessandro VIII acquistava la biblioteca appartenuta già a Cristina Alessandra regina di Svezia (fondo Reginense). Sotto Benedetto XIV entravano alla Vaticana i codici Capponiani (1746) e gli Ottoboniani (1748); per le altre notizie, v. sotto: Fondi e cataloghi. Dopo il 1797 la Vaticana soffrì la perdita di 500 codici, inviati alla Bibliothèque Nationale di Parigi in esecuzione del trattato di Tolentino; ma, all'infuori di 36, tutti furono poi restituiti.
La Vaticana non ebbe più considerevoli apporti fino a Pio IX, che acquistò la biblioteca dal card. Angelo Mai, e a Leone XIII, che nel 1891 acquistò i codici Borghesiani provenienti in gran parte dalla dispersa biblioteca dei papi d'Avignone e fece trasportare alla Vaticana gli atti dei notai d'Orange pervenuti da Avignone a Roma nel 1783 con l'ultima parte degli archivî pontifici. A lui si deve anche il munifico acquisto (1902) della principesca biblioteca dei Barberini.
Nel 1922 i gesuiti depositavano, riportandola a Roma da Lainz presso Vienna, la biblioteca raccolta tra il 1838 e il 1854 da G. Fr. De Rossi. Era il primo tra i notevoli apporti che, sotto il pontificato di Pio XI, dovevano accrescere di molte migliaia di codici e di libri la biblioteca pontificia; la biblioteca Chigiana donata dallo stato italiano nel 1923, poi la biblioteca Ferraioli (1929), l'archivio Rospigliosi (1930) e l'archivio Caetani per le ultime volontà di don Gelasio, duca di Sermoneta (1935), 240 codici yemenitici portati in Italia nel 1922 dal milanese G. Caprotti, e più di 1200 altri manoscritti di ogni genere.
I codici sommano attualmente a circa 60.000; i volumi a stampa a più di 500.000; gl'incunabuli a oltre 6000.
Per facilitare la consultazione della biblioteca e degli archivî segreti, aperti con nobilissimo gesto a tutti i dotti, Leone XIII istituì (1890) un'ampia sala di consultazione (Biblioteca Leonina, sotto il salone Sistino), con una biblioteca in servizio degli studiosi tra le più ricche del mondo (50.000 volumi). Pio X provvide (1912) a una più sicura e comoda collocazione dei manoscritti e a una migliore sala per lo studio di essi, nei locali dell'antica stamperia. Pio XI, che della Vaticana era stato per quattro anni prefetto, destinò i locali, già adibiti alle scuderie (1928) e allo studio del musaico (1931), alla creazione di vasti magazzini forniti di moderni sistemi di scaffalatura metallica e d'illuminazione capaci di 800.000 volumi. Nuove sale furono pure destinate agli uffici bibliotecnici, al gabinetto numismatico e alle stampe-incisioni; furono ampliati i locali per il laboratorio di restauro dei codici e per il servizio fotografico.
Il salone Sistino, precipitato il 22 dicembre 1931, fu restaurato nel 1933, con l'integrale rifacimento degli affreschi; la sottostante sala di consultazione, essa pure perita, fu ricostruita e fornita di nuova scaffalatura metallica (1933).
La Vaticana ebbe a prefetti o a bibliotecarî uomini famosi per dottrina; tra i porporati ricordiamo: Marcello Cervini, Guglielmo Sirleto, Cesare Baronio, Girolamo Casanata, Domenico Passionei, Angelo Mai, Giuseppe Gaspare Mezzofanti, Angelo Tosti, Giovanni Battista Pitra, Alfonso Capecelatro, Aidano Gasquet, Francesco Ehrle, e, viventi, Giovanni Mercati ed Eugenio Tisserant; fu scrittore della Vaticana il grande archeologo cristiano G. B. De Rossi.
Alla Vaticana è annessa una scuola di biblioteconomia istituita da Pio XI (1934)
Fondi e cataloghi. - Gl'inventarî più antichi della biblioteca papale nel Medioevo non sono altro che una parte della descrizione del Tesoro pontificio, nel quale la biblioteca era compresa; ma il catalogo eseguito d'ordine di Sisto IV nel 1475 (con un Index ad inveniendum libros) e quello del 1481, del Platina, hanno vero carattere di catalogo di biblioteca. Il catalogo dei mss. vaticani latini (1-6025) divenne definitivo col riordinamento e la descrizione Rainaldi al principio del sec. XVII; di esso si servirono e si servono tuttora gli studiosi, mentre altri volumi (per i mss. 6026-14.850) vi si vennero via via aggiungendo. Per i mss. greci è tuttora in uso l'indice alfabetico di Leone Allacci (mss.1-1489), preparato nel 1620. I mss. orientali, che fino a Clemente XI erano frammisti a mss. d'altre lingue, ebbero l'attuale distribuzione in varî fondi dagli Assemani e furono i primi ad essere oggetto di una catalogazione a stampa per opera degli stessi. Giuseppe Simonio Assemani (1687-1768) e il nipote Stefano Evodio Assemani (1707-1782), arcivescovo di Apamea, successivamente primi custodi della Vaticana, progettarono un completo inventario dei mss. vaticani. Il grande catalogo doveva comporsi di 20 tomi in-folio. Il primo tomo apparve a Roma nel 1756; il secondo nel 1758 e il terzo nel 1759; del quarto (mss. arabi) si era iniziata la stampa, quando fu distrutto da un incendio nel 1768, con tutti gli esemplari restanti dei primi tre volumi, comprendenti i mss. ebraici e i siriaci. Il Mai diede alle stampe le descrizioni rimaste inedite, completando così la catalogazione di tutti i mss. orientali vaticani (Scriptorum veterum nova coll. e Vatic. Codicibus, IV e V, Roma 1831).
Un poderoso lavoro di revisione e descrizione scientifica dei mss. è stato iniziato fin dal 1880 per ordine di Leone XIII, dapprima sotto la direzione del cardinale G. B. Pitra, e poi con norme più particolareggiate (stese verso il 1900) sotto la guida oculata e dotta del padre (poi cardinale) Francesco Ehrle.
Il fondo Vaticano propriamente detto è il fondo originale al quale appartengono tutti i mss. entrati prima del 1622 e quelli che in seguito pervennero e non formarono fondi distinti; è diviso in codices Vaticani latini (circa 15.000), graeci (2608 mss.), hebraici (612 mss.), syriaci (524 mss.), arabici (1351 mss.), coptici (102 mss.), armeni (35 mss.), aethiopici (250 mss.), iberici (o georgiani, 2 mss.), indici (41 mss.), sinici (38 mss.), persici (152 mss.), rumenici (9 mss.), samaritani (3 mss.), slavici (53 mss.), turcici (362 mss.).
Di questo fondo sono pubblicati i cataloghi dei mss. latini 1-678 (da M. Vattasso e P. Franchi de' Cavalieri, 1902), 679-1134 (da A. Pelzer, 1931-33), 1461-2059 (da B. Nogara, 1912), 9852-10.300 (da M. Vattasso ed E. Carusi, 1914), 10.301-10.700 (dagli stessi, 1920); sono in stampa le descrizioni dei mss. 1135-1460 (per cura di G. Borghezio), 10.701-11.241 (di G.B. Borino). A questo fondo appartengono la raccolta del cardinale A. Carafa (mss. 3454-3553) e quella di Fulvio Orsini [mss. 3191, 3195-3453; cfr. P. de Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Parigi 1887), i codici bobbiesi (mss. 5748-5776), quelli del cardinale Angelo Mai (mss. 11.710-12.654), un migliaio di volumi nel 1921 trasferiti dall'archivio Vaticano, ecc.
Fino dal periodo postavignonese la biblioteca papale possedeva alcuni mss. greci, cresciuti poi di numero, sicché fu loro destinata una sala, la Bibliotheca Graeca, nella nuova sede eretta da Sisto IV. I Rainaldi classificarono il fondo nel 1620. Al presente i codici vaticani greci ammontano a 2608; tra i gruppi notevoli segnaliamo quelli del cardinale Carafa, di F. Orsini (mss. 1287-1421), del cardinale G. Sirleto, del Collegio greco, dell'abbazia di Grottaferrata; tra gli ultimi pervenuti, quelli del monastero di S. Basilio di Roma, entrati nel 1780 sotto Pio VI (mss. 1963-2123), i Colonnesi nel 1825 e quelli del gran logoteta del Fanar, Stabrakis Aristarchi, nel 1923 (mss. 2399-2563).
La prima parte dei vaticani greci, mss.1-329, fu descritta da Pio Franchi de' Cavalieri e da G. Mercati (1923); il secondo volume di R. Devreesse (mss. 330-603) è apparso nel 1937.
E. Tisserant ha descritto nel 1927 i mss. armeni e nel 1935, in collaborazione con S. Grébaut, gli etiopici; è uscito di recente (1937) il primo volume del catalogo dei copti studiati da A. Hebbelynck e A. Van Lantschoot; sono in stampa i cataloghi degli arabi musulmani descritti da G. Levi Della Vida (intanto: G. Levi Della Vida, Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana, in Studi e testi, Città del Vaticano 1935, n. 67) e dei cristiani da G. Graf, nonché degli ebraici esaminati da U. Cassuto.
Il fondo Palatino comprendeva oltre 8500 mss. e stampati quando fu donato a Gregorio XV; ma, anche in seguito alla cessione nel 1815 all'università di Heidelberg di 890 codici, quasi tutti tedeschi, il fondo conta ora 2027 mss. latini e 432 greci, gli ebraici furono incorporati al fondo Vaticano (U. Cassuto, I manoscritti palatini ebraici della Biblioteca Apostolica Vaticana e la loro storia, Città del Vaticano 1935, in Studi e testi, 1935, n. 66).
Dei codici Palatini latini 1-921 curò la descrizione E. Stevenson iunior (1886); i seguenti (922-2022) saranno catalogati da L. Montebaur e H. Hoffmann. E. Stevenson senior descrisse i Palatini greci (1885); K. Christ ha descritto Die altfranzösischen Hss. der Palatma (App. al Zentralblatt für Bibliothekswesen, Lipsia 1916).
Il fondo Urbinate ha oggi 1779 codici latini, ma un inventario del 1661 ne annovera soltanto 1414; furono computati dal 1719 tra gli urbinati anche mss. di altra provenienza, quali i manoscritti di Gaudenzio Paganino e di Giovanni Andrea Lorenzani. Il fondo greco conta 165 mss.; esso fu descritto da C. Stornajolo (1895), che esaminò pure i mss. latini (3 volumi, 1902, 1912, 1921). I mss. ebraici sono 59.
Il fondo Reginense, detto già "Alessandrino", è costituito dalla raccolta di 2000 mss., che Cristina di Svezia portò a Roma e lasciò in morte al cardinale Decio Azzolini. Pompeo Azzolini, nipote del cardinale, la vendette per la maggior parte al papa Alessandro VIII che ne lasciò un centinaio al proprio nipote, cardinale Ottoboni; altri 72 passarono all'archivio, ma per diventare nel 1704 proprietà del barone di Stosch e rientrare nel 1759 alla Vaticana in altri fondi, l'Ottoboniano e il Capponiano. Al nucleo originale dei mss. della regina furono riuniti circa altri 500 di diversa provenienza. I mss. greci sono 190; a essi furono aggiunti altri 55 provenienti dalla biblioteca di Pio II, e appartenenti già ai teatini; dei due gruppi stampò il catalogo E. Stevenson senior (1888). Dei 2120 latini sta preparando il catalogo A. Wilmart, che già ha rivelato interessanti inediti (Analecta Reginensia: extraits des manuscrits de la reine Christine conservés au Vatican, in Studi e testi, 1933, n. 59).
Il legato del marchese Alessandro Capponi (1683-1746), archeologo e bibliofilo romano, apportò alla Vaticana 288 codici, descritti nel catalogo a stampa di G. Salvo Cozzo (1897).
L'Ottoboniana risale per le sue origini a Marcello II (Cervini); i suoi manoscritti passarono in parte al cardinale Guglielmo Sirleto il quale accrebbe la raccolta anche con i mss. delle biblioteche di Calabria. Alla sua morte la biblioteca passò al cardinale Ascanio Colonna e quindi al duca Giovannangelo Altemps. Alessandro VIII (Ottoboni) acquistò per la famiglia i mss. Altemps e ve ne unì altri provenienti dalla biblioteca della regina Cristina e la sua collezione particolare formata di documenti storici e mss. giuridici. Nel 1748 Benedetto XIV l'acquistò dagli eredi del cardinale Pietro Ottoboni iunior.
I mss. latini sono 3394 e i greci 473; ma non tutti risalgono alla collezione originale; tali, ad es., i mss. latini donati a Benedetto XIV dall'università di Avignone, e i greci provenienti direttamente dal Monte Athos. Per i mss. greci esiste il catalogo edito da E. Feron e F. Battaglini (1893) preceduto da uno studio storico di G. Cozza-Luzi.
Per la biblioteca Barberini, v. barberini, VI, pp. 140-141.
Il cardinale Stefano Borgia (1731-1804) fondava in Velletri, sua patria, un museo, raccogliendovi medaglie e mss. soprattutto copti. Nominato segretario di Propaganda Fide (1770), poté accrescere per mezzo delle missioni le raccolte d'antichità orientali. I suoi mss. copti furono distinti in due gruppi: i mss. non biblici furono mandati alla "Borbonica" (ora Nazionale) di Napoli; i biblici, con le medaglie e altre antichità, passarono a Propaganda, a formare il "Museum Borgianum", e di lì al Vaticano.
Il fondo Borgiano, diviso per lingue, annovera ora 276 mss. arabi, 88 armeni, 136 copti, 37 etiopici, 15 georgiani, 27 greci, 19 ebraici, 37 indiani, 2 irlandesi, 1 islandico, 768 latini, 1 messicano, 24 persiani, 2 siamesi, 22 slavi (illyrici), 178 siriaci, 41 tonchinesi, 81 turchi; i Borgiani sinici, computati a 543, sono, in massima parte, degli stampati.
Un Inventaire sommaire des mss. arabes du fonds Borgia à la Bibhothèque Vaticane è dovuto a E. Tisserant (in Miscellanea F. Ehrle, V, Roma 1924) e un Inventaire sommaire des mss. coptes ad A. Hebbelynck nella stessa Miscellanea. Dei mss. greci Borgiani, unitamente ai Chigiani, ha pubblicato il catalogo P. Franchi de' Cavalieri (1927). A. Scher dà una Notice sur les mss. syriaques du Musée Borgia aujourd'hui à la Bibliothèque Vaticane, in Journal asiatique, 1909.
Giovanni Francesco De Rossi, figlio di Giovanni Gherardo, per il suo matrimonio con la principessa Carola Ludovica di Borbone (1838), vedova del duca Massimiliano di Sassonia, ebbe i mezzi onde costituire una preziosa biblioteca di 1196 ms., di 6000 rari stampati e 2500 incunabuli. Alla sua morte, la vedova ne fece dono alla Compagnia di Gesù; dopo la presa di Roma, l'imperatore d'Austria la fece trasportare a Palazzo Venezia (1873), di dove fu inviata a Vienna (1877) e poi a Lainz. Nel dopoguerra tornò a Roma e fu depositata alla Vaticana. Sono stati particolarmente studiati i codici miniati (H. Tietze, Die illuminierten Hss. der Rossiana in Wien-Lainz, Lipsia 1911), i francesi (S. Vitte, Les mss. français du fonds Rossi à la Bibliothèque Vaticane, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, 1930) e i greci (C. van de Vorts, Verzeichnis der griechischen Hss. der Bibliotheca Rossiana, in Zentralblatt für Bibliotekswesen, XXIII, Lipsia 1906).
Per la biblioteca Chigiana, v. chigiana, biblioteca. Per i mss. greci si ha il catalogo di P. Franchi de' Cavalieri (1927).
La Biblioteca Vaticana e il Museo Egizio possiedono 16 papiri geroglifici, 37 ieratici, 9 demotici, 11 greci, 9 copti, 2 copto-greci e 24 documenti papiracei. O. Marucchi ha descritto gli egizî (1890) e i latini (1895).
Nella prima epoca dell'arte tipografica gli stampati erano conservati frammisti ai mss. e solo durante il sec. XVI ne furono separati. Di recente è stata ricostituita la "Prima raccolta" (7990 volumi), di particolare interesse per l'antichità delle edizioni.
La "Raccolta generale", comprendente tutte le accessioni, salvo i fondi speciali e i libri della sala di consultazione, è divisa in una ventina di gruppi per materie.
Alcune notevoli raccolte pervennero unitamente ai mss. e son conservate in fondi distinti: le raccolte Palatina (4537 voll.), del cardinale Angelo Mai (10.485 voll.), Barberini (31.671 voll.), Capponiana (3210 voll.), Rossiana (circa 6000 voll.), Chigiana (30.260 voll.); la libreria Ferraioli (40.300 voll., 500 incun.), ed altre.
Fra gli stampati, il solo fondo Palatino ha un recente catalogo edito (di E. Stevenson iun., voll. 3, 1886, 1889, 1891; in preparazione il supplemento a cura di G. Mazzini); vecchi cataloghi a stampa hanno i libri Barberini (1681) e Chigiani (1764), la Drammaturgia Allacciana (1666; ristampa con aggiunte, 1755), le raccolte Capponi (1747) e Cicognara (1821). Con l'aiuto del Carnegie Endowment for international peace si è iniziato un catalogo metodico su schede a stampa di tutti i libri (Norme per il catalogo degli stampati, Roma 1931), e un indice generale su schede dattilografate di tutti i fondi manoscritti.
La Vaticana possiede una raccolta assai preziosa di stampe-incisioni. Il fondo antico è costituito da 161 volumi rilegati per ordine di Pio VI prima del 1793, con circa 32.000 stampe, divise per scuole; ora se ne può computare a 90.000 il numero totale.
L'elenco delle numerose Pubblicazioni della Biblioteca Apostolica Vaticana (Città del Vaticano 1937) rispecchia l'attività del personale scientifico, che ha per compito la preparazione dei cataloghi (Bibliotecae Apostolicae Vaticanae codices manuscripti recensiti) e la riproduzione dei cimelî più preziosi, con introduzioni e commenti, in varie serie: Codices e Vaticanis selecti quam simillime expressi; Codices ex ecclesiasticis Italiae bibliothecis delecti; Codices liturgici e Vaticanis praesertim delecti. Allo studio dei testi più importanti e del materiale inedito tratto dai mss. sono destinati gli Studi e testi (finora 71 volumi).
Bibl.: E. Tisserant, Bibliothèques pontificales, in Dictionnaire de sociologie, Parigi 1936; J. Bignami-Odier, Guide au département des manuscrits de la Bibliothèque du Vatican, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, LI, ivi 1934; G. B. De Rossi, La Biblioteca della Sede Apostolica ed i cataloghi dei suoi manoscritti, in Studi e documenti di storia e diritto, V, Roma 1884; I. Carini, La biblioteca vaticana proprietà della Sede Apostolica, ivi 1913; G. B. De Rossi, De origine, historia, indicibus Scrinii et Bibliothecae Sedis Apostolicae commentatio (dissertazione premessa al Catalogo dei codici palatini latini di E. Stevenson iunior, I, ivi 1886); F. Ehrle, Die Frangipani und der Untergang des Archivs und der Bibliothek der Päpste am Anfang des XIII. Jahrhunderts, in Mélanges offerts à M. Emile Chatelain par ses élèves et ses amis, ivi 1910; id., Zur Gesch. d. Schatzes der Bibl. u. d. Archivs d. Päpsten im XIV. Jahrh., in Archiv für Lit. v. Kirchengesch. des M. A., I, Berlino 1885; id., Nachträge zur Geschichte der drei ältesten päpstlichen Bibliotheken, in Kirchengeschichtliche Festgabe Anton De Wall (Römische Quartalschrift, supp. XX, Friburgo in B. 1913; in corso di rist. con aggiunte di A. Pelzer); id., Historia bibliothecae Romanorum Pontificum tum Bonifatianae tum Aventonensis, I, Roma 1890; M. Faucon, La librairie d. papes d'Avignon: sa formation, sa composition, ses catalogues (1316-1420), Parigi 1886-87; F. Ehrle, Un catalogo fin qui sconosciuto d. biblioteca papale d'Avignone, in Fasciculus Joanni Willis Clark dicatus, Cambridge 1909; G. Colombe, Au palais des papes d'Avignon; recherches critiques et archéologiques, XI: "La Libraria magna" dans la tour des Anges, in Mémoires de l'Académie de Vaucluse, 1914; G. Mercati, Per la storia della Biblioteca Apostolica, in Per Cesare Baronio: scritti varî nel terzo centenario della sua morte, Perugia 1910; P. Batiffol, L'abbaye de Rossano: contribution à l'histoire de la Vaticane, Parigi 1891; J. W. Clark, On the Vatican Library of Sixtus IV, in Proceedings of the Cambridge Antiquarian Society, 1898-99; E. Müntz e P. Fabre, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle, d'après des documents inédits, Parigi 1887 (Bibliothèque des Écoles françaises d'Athènes et de Rome, XLVIII); E. Müntz, La Bibliothèque du Vatican au XVIe siècle, ivi 1886; F. Ehrle, Bibliothektechnisches aus der Vaticana, in Zentralblatt für Bibliothekswesen, XXXIII, Lipsia 1916 (ristampa, 1934). Confronta inoltre G. Borghezio, Pio XI e la Biblioteca Vaticana, in La bibliofilia, XXXI, Firenze 1929.
Per alcuni dei fondi speciali, secondo l'ordine in cui sono stati ricordati, e oltre le notizie che precedono i singoli catal. a stampa, A. Theiner, Schenkung der heidelberger Bibliothek durch Maximilian I. an Papst Gregor XV., ecc., Monaco 1844; C. Mazzi, Leone Allacci e la Palatina di Heidelberg, in Il Propugnatore, n. s., IV e V (1893); F. Raffaelli, La imparziale e veritiera istoria della unione della Biblioteca ducale d'Urbino alla Vaticana di Roma, Fermo 1878; A. Valenti, Trasferimento della Biblioteca ducale d'Urbino a Roma, 1878; L. Dorez, Documents de la Bibliothèque de la reine Christine de Suède, in Revue des bibliothèques, Parigi 1892; G. de Manteyer, Les mss. de la reine Cristine aux Archives du Vatican, in Mélanges d'archéologie et d'histoire publiés par l'École Française de Rome, ivi 1897-99 e 1904; C. Ruggieri Marini, Memorie istoriche degli archivi della Santa Sede e della Biblioteca Ottoboniana ora riunita alla Vaticana, Roma 1825; C. Silva Tarouca, La Biblioteca Russiana, in La civiltà cattolica, 18 febbraio 1922.
La Tipografia Vaticana.
La prima idea di una Stamperia Vaticana, per l'edizione dei manoscritti della Biblioteca Pontificia, risale a merito dei cardinali Marcello Cervini (poi papa col nome di Marcello II) e Alessandro Farnese. Primo stampatore ne fu Antonio Blado. Più tardi, nel 1561, Pio IV chiamava a Roma Paolo Manuzio, figlio di Aldo il Vecchio, con il compito di pubblicare le opere dei padri e degli scrittori ecclesiastici in aiuto della Controriforma. Ma l'organizzazione stabile di un'amministrazione tipografica vaticana è merito di Sisto V, che con bolla 22 gennaio 1857 Immensa aeterni Dei istituiva la Congregazione cardinalizia della Stamperia Vaticana e con altra bolla Eam semper del 27 aprile stesso anno erigeva la nuova Stamperia accanto alla Biblioteca Vaticana, presso il cortile detto tuttora della Stamperia, tra la corte del Belvedere e quella della Pigna.
Sisto V, che per l'erezione della nuova Stamperia Vaticana aveva speso quarantamila scudi d'oro, chiamò a dirigerla il tipografo veneziano Domenico Basa, con il compito di curare l'edizione ufficiale della Volgata, della quale già nel 1590 apparivano i tre sontuosi volumi. Negli anni 1592, 1593 e 1598 la Stamperia Vaticana pubblicava le tre edizioni della Vulgata Clementina.
Ma un'altra celebre tipografia era sorta poco dopo in Roma. Fin dai primi anni della sua fondazione, la S. Congregazione di Propaganda Fide aveva, nel 1626, creato una stamperia per i bisogni delle missioni, che ben presto divenne una tipografia "poliglotta", dotata di caratteri delle più importanti lingue asiatiche. Fino dall'inizio era stata fornita di caratteri glagolitici e serviani donati dall'imperatore Ferdinando II; dalla Biblioteca Vaticana venivano inoltre dati a prestito madri e punzoni di caratteri armeni e arabici, e per acquisto le pervenivano punzoni ebraici, arabi, greci, caldei, ecc.
Sotto Gregorio XVI (1831-46) essa era in grado di stampare in 55 lingue: 27 europee, 22 asiatiche, 3 americane e 3 africane. Nel 1870 ai padri del Concilio Vaticano fu presentato il Pater noster in 250 lingue e dialetti, stampato con l'uso di 180 alfabeti.
L'una e l'altra tipografia furono riunite da Pio X che le trasportò nel 1910 in un nuovo edificio fornito di ogni mezzo moderno. La Tipografia Poliglotta Vaticana è divisa in due sezioni, la "comune" e la "segreta". Serve essenzialmente per i bisogni della Curia. Sono ben note le pubblicazioni ufficiali: gli Acta Apostolicae Sedis, la Gerarchia cattolica, i Cataloghi della Biblioteca Vaticana, le edizioni liturgiche e gregoriane, ecc. Benedetto XV e Pio XI hanno benemeritato della tipografia ampliandone i locali e dotandola di nuove macchine.
Bibl.: G. Monticone, Per la storia della "Stamperia poliglotta" della Sacra Congregazione "de Propaganda Fide", in Gutenberg Festschrift zur Feier des 25. jährigen Bestehens des Gutenbergmuseums in Mainz, 1925; A. Lodolini, La Tipografia Vaticana ed il suo archivio, in Archivi d'Italia, s. 2ª, a. I, Roma 1933-34; The Vatican: its history, its treasures, New York [1914].
Specola Vaticana.
La fondazione della Specola Vaticana è strettamente congiunta con la riforma del calendario, stabilita dalla bolla Inter gravissimas di Gregorio XIII. Circa il 1579 il papa fece costruire nel Vaticano una torre alta 73 metri, ora chiamata "Torre dei venti" o "Gregoriana". Nel suo interno, nella sala detta del Calendario, dov'è la meridiana costruita da Ignazio Danti, si tennero le discussioni degli astronomi convocati in quell'occasione e si dimostrò al sommo pontefice che l'equinozio cadeva a quell'epoca verso l'undici di marzo.
Raggiunto con la riforma del calendario lo scopo principale della specola, questa cominciò poco a poco a decadere. Nel 1784 il cardinale F.S. de Zelada si propose di riattivarla, ma G. Calandrelli ne lo dissuase per la posizione poco opportuna della torre. Nell'anno 1789 mons. F.L. Gilii ne fece un centro di studî meteorologici sul clima di Roma; ma dopo la morte del Gilii (1821) la specola decadde di nuovo. A nuova vita risorse nel 1888, quando, in occasione del giubileo sacerdotale di Leone XIII, i membri del clero italiano cultori delle scienze offrirono al papa una raccolta di strumenti scientifici. Su proposta del p. F. Denza, barnabita, presidente del comitato, gli strumenti furono collocati nella Torre Gregoriana e il papa volle che l'antico osservatorio risorgesse sotto la direzione dello stesso Denza; la fondazione fu solennemente approvata col "motu proprio" Ut mysticam del 14 marzo 1891. Nel congresso internazionale della carta fotografica del cielo tenuto in Parigi nel 1889 il Denza a nome del papa propose e ottenne che il nascente istituto prendesse parte a quel grandioso lavoro. Alla Specola vaticana fu assegnata la zona di declinazione da + 55° fino a + 64°. Per assolvere questo compito fu collocato nella più che millenaria Torre Leonina, sulla vetta del Colle Vaticano, un equatoriale fotografico di 34 cm. di apertura e di 3,43 m. di distanza focale, e dei lavori fotografici fu incaricato il p. G. Lais dell'Oratorio. Morto il Denza (1894), rimase alla direzione come vicedirettore il Lais fino all'anno 1898, allorché fu nominato direttore il p. A. Rodriguez, agostiniano. Le prime pubblicazioni furono per lo più di indole meteorologica.
Sotto la direzione del terzo direttore, il p. J. G. Hagen (1906-1930), la specola fu completamente riorganizzata e, cancellata la meteorologia dal programma, essa divenne puramente astronomica. Nel 1921 ebbero termine i lavori di misura delle lastre per il catalogo astrografico e nel 1928 fu compiuta la stampa dei 10 volumi di questo, contenenti circa 500.000 posizioni e grandezze di stelle. La sede della specola dalla Torre Gregoriana fu trasferita al villino di Leone XIII nei giardini vaticani; sulla torre, cui sta addossato il villino, fu montato un equatoriale visuale di 40 cm. di apertura e di 6 m. di distanza focale. Mentre il Lais continuava il lavoro fotografico, il Hagen proseguiva quello dell'atlante delle stelle variabili; insieme escogitava ed eseguiva nuove prove meccaniche della rotazione della Terra con l'isotomeografo e con la macchina di Anvood; e con l'equatoriale visuale faceva uno studio speciale delle nebulose lucide e oscure. Varie pubblicazioni si succedettero, di cui le più importanti sono: Colori Stellari (1911), La rotation de la Terre, ses preuves anciennes et nouvelles (1911), Die veränderlichen Sterne (1921), A Preparatory Catalogue for a Durchmusterung of Nebulae (1927), The General Catalogue (1928), e, postuma, Rassegna delle Nebulose Oscure (1931).
Intanto l'espansione di Roma e la crescente illuminazione notturna del cielo rendevano critica la situazione della specola, e si dovette pensare a un nuovo trasferimento. Pio XI perciò nel 1931 offrì generosamente il palazzo pontificio di Castel Gandolfo dove volle installato un osservatorio interamente nuovo con strumenti modernissimi. L'inaugurazione ebbe luogo il 29 settembre 1935.
Gli strumenti principali del nuovo osservatorio sono: un equatoriale visuale con apertura di 40 cm. e distanza focale di 6 m. e un astrografo doppio, composto di una camera con obiettivo di 40 cm. e distanza focale di 2 m. e di uno specchio di 60 cm. e distanza focale di 2,40 m. Al corredo del visuale appartengono due micrometri filari, un fotometro a cuneo; a quello dell'astrografo un reticolo e due prismi obiettivi, un astrospettrografo con uno o tre prismi, applicabile al foco di Cassegrain. Completano l'arredamento diversi strumenti per la fotometria e la misurazione delle lastre.
Alla specola è annesso un laboratorio astrofisico per ricerche spettrali. Gli strumenti principali sono: un grande spettrografo di Steinheil (Monaco), un altro della ditta Halle (Berlino), un terzo di Zeiss (Jena), un microfotometro registratore di Zeiss.
Il programma della specola comprende: lo studio della struttura della Via Lattea; fotografia di nubi stellari; classificazione degli spettri ottenuti con prisma obiettivo; deteminazione degl'indici di colore; valutazione delle distanze delle nubi stellari, tenuto conto dell'assorbimento interstellare.
Inoltre si continua la pubblicazione della Carta Celeste, sospesa da parecchi anni, e si prepara il volume 9 dell'Atlas Stellarum Variabilium.
Il programma del laboratorio comprende particolarmente l'esame spettrale dei meteoriti, di cui la specola possiede una ricchissima collezione dovuta alla generosità dei marchesi di Mauroy. Per facilitare queste ricerche, furono già pubblicati due atlanti dello spettro esteso del ferro: uno dello spettro scintillare, in 13 tavole, l'altro dello spettro di arco, in 21 tavole. È in preparazione un atlante delle righe ultime di diversi elementi.
Il personale della specola è composto (1936) di 6 astronomi e due meccanici, della Compagnia di Gesù.