stato di minima coscienza
Situazione di pazienti che, in seguito a gravi cerebrolesioni, presentano segni inconsistenti ma riproducibili di coscienza di sé stessi o dell’ambiente circostante. Lo s. di m. c. può essere sviluppato nel corso di disordini neurologici, neurometabolici, tumori, o altri disordini congeniti o di sviluppo, o acquisito in seguito a cerebrolesioni, traumatiche o meno. Cerebrolesioni di natura non traumatica possono includere episodi di emorragia subaracnoidea, emorragia intercerebrale spontanea, anossia o stroke ischemico, spesso risultanti in lesioni focali del tronco encefalico, in partic. nei nuclei legati al sistema reticolare attivatore ascendente (➔ formazione reticolare). Cerebrolesioni di natura traumatica sono invece principalmente associate con gravi e diffuse lesioni assonali.
Lo s. di m. c. si inserisce all’interno di un continuum di patologie, collettivamente denominate disordini della coscienza, quali lo stato di coma (➔) e lo stato vegetativo, in cui il livello della coscienza (➔ vigilanza) o i suoi contenuti, per es. la consapevolezza, sono gravemente compromessi. La totale mancanza sia di vigilanza sia di consapevolezza definisce lo stato di coma. Questa condizione, generalmente limitata nel tempo, può evolversi in uno stato vegetativo qualora il paziente mostri segni di veglia, come l’apertura e la chiusura ciclica degli occhi, in assenza di qualunque segno di consapevolezza di sé o dell’ambiente circostante. Qualora sia possibile riscontrare evidenza comportamentale del ritorno, seppure incostante, di uno stato di consapevolezza, il paziente è considerato in stato di minima coscienza.
Lo s. di m. c. è generalmente associato con una serie di caratteristiche cliniche tipiche che includono la presenza dei cicli di sonno-veglia e la presenza, parziale, della consapevolezza. È importante notare, però, che la coscienza in questi pazienti è considerata ‘fluttuante’, ed è quindi possibile che si verifichino periodi protratti di veglia non cosciente. I pazienti in s. di m. c. possono esibire una varietà di comportamenti che, seppure incostanti, devono essere ripetibili e protratti in modo tale da evidenziare la presenza di intenzionalità e da distinguerli da semplici risposte automatiche o riflessive. Comportamenti motori possono includere la localizazione di stimoli nocicettivi, visivi o uditivi, il movimento direzionato verso oggetti, spesso mostrando movimento accomodatorio di mano o dita consistente con la forma o grandezza dell’oggetto, e il movimento oculare di fissazione e di inseguimento sostenuti. Altri comportamenti spesso esibiti includono l’esecuzione di ordini semplici, vocalizzazioni contingenti e risposte gestuali o verbali del tipo sì/no. In aggiunta, possono anche essere riscontrati comportamenti legati alla sfera emotiva, quali il sorriso o il pianto contingenti e appropriati a una stimolazione. Lo s. di m. c. può essere permanente o transitorio verso un ritorno più completo della coscienza. In partic., l’emergenza dallo s. di m. c. necessita evidenza consistente e riproducibile di comunicazione interattiva funzionale o di utilizzo funzionale di due oggetti diversi. Per comunicazione funzionale si intende la capacità di rispondere, verbalmente, in modo scritto o gestuale, in maniera accurata a sei domande su sei di orientamento situazionale, in due occasioni consecutive.
In mancanza di uno strumento oggettivo o quantitativo per misurare la presenza della coscienza, il suo rilevamento a fine diagnostico è affidato a osservazioni ed esami clinici di tipo comportamentale tramite l’utilizzo di procedure standardizzate quali la Scala di Glasgow (Glasgow coma scale) o il JFK coma recovery scale. Per emettere una diagnosi di s. di m. c. è necessario riscontrare, durante tali esami clinici, uno o più dei seguenti comportamenti: consapevolezza di sé o dell’ambiente circostante; risposta sostenuta, riproducibile o chiaramente intenzionale a stimolazioni visive, uditive, tattili, nocicettive od olfattive; comprensione o produzione di linguaggio. La diagnosi dello s. di m. c., e soprattutto la differenziazione da pazienti in stato vegetativo, è particolarmente complessa e risente di problematiche legate a un’ancora superficiale comprensione dei meccanismi neurali sottostanti il fenomeno della coscienza e all’utilizzo di strumenti comportamentali, che non sempre risultano buoni indicatori della presenza della consapevolezza. In partic., a partire dal 1993, un numero crescente di studi ha dimostrato come deficit sensoriali o motori conseguenti a gravi cerebrolesioni possano impedire l’accertamento della presenza della coscienza tramite strumenti comportamentali, producendo un’elevata percentuale di errori diagnostici, stimata intorno al 40%, in cui pazienti in s. di m. c. vengono erroneamente diagnosticati come in stato vegetativo. Alla luce di questi dati, esistono oggi crescente interesse e ricerca su metodi alternativi di diagnosi, non basati sul comportamento motorio ma bensì sull’osservazione diretta di risposte cerebrali. In particolare, tecniche neurodiagnostiche quali la risonanza magnetica funzionale e l’elettroencefalografia mostrano la capacità, in alcuni casi, di distinguere pazienti in s. di m. c., che a causa di deficit motori non possono produrre risposte comportamentali durante tradizionali test comportamentali, da pazienti vegetativi. Mentre queste tecniche possono aiutare a ridurre il numero di errori diagnostici, è importante sottolineare che a oggi solo una minoranza di pazienti appare capace di produrre tali risposte, e che in qualità di strumenti sofisticati e di notevole complessità, le modalità del possibile impiego diffuso di queste tecniche sono fonte di dibattito nella comunità medicoscientifica. Al momento (2010), i test neurodiagnostici non sono né previsti né riconosciuti da linee guida internazionali come quelle stilate nel 1996 e 2003 dal britannico Royal college of physicians, ritenute capaci di confermare una diagnosi di stato vegetativo o di minima coscienza.
La definizione e i criteri correnti dello s. di m. c. risalgono al lavoro, nel 2002, dell’Aspen neurobehavioral conference workgroup, quindi non sono ancora (2010) disponibili dati di lungo periodo. In generale, è però riconosciuto che le probabilità di recupero funzionale diminuiscono con il passare del tempo. Per quanto riguarda il periodo di un anno dopo la lesione, pazienti in s. di m. c. ottengono, in media, risultati migliori di pazienti in stato vegetativo. In partic., pazienti con eziologia traumatica hanno migliori prospettive di recupero rispetto a pazienti con eziologia non traumatica. Oltre i 12 mesi, pazienti che non mostrano segni di miglioramento tendono a restare, dal punto di vista funzionale, gravemente menomati e dipendenti.