natura, stato di
Primo elemento del modello concettuale giusnaturalistico (➔ giusnaturalismo): è la condizione antecedente la fondazione delle grandi istituzioni giuridico-politiche e la codificazione di un sistema di leggi scritte e coattive; rappresenta quindi lo stato della massima libertà e dell’indipendenza reciproca degli individui, ma anche lo stato precivile e, secondo alcuni autori, una condizione di vita selvaggia e primitiva. Non è, tuttavia, uno stato privo di leggi; ciascuno, interrogando la propria ragione, può infatti trovare un sistema di norme e alcuni validi principi per guidare le proprie azioni: sono le leggi naturali che si presentano come «dictamina rectae rationis». Lo stato di n. costituisce pertanto il punto di partenza dell’evoluzione storica e politica dell’uomo, che ha condotto – attraverso la stipula di un patto o contratto sociale (➔ contrattualismo) – allo stato civile o politico. Numerose sono le varianti con le quali la riflessione sul concetto di stato di n. si presenta nella trattatistica giusnaturalistica del Seicento e del Settecento, da Grozio fino a Kant. Esse sono essenzialmente tre: se lo stato di n. sia uno stato storico o una pura ipotesi; se sia uno stato di totale isolamento o siano già presenti forme elementari di socialità (le cosiddette società naturali, cioè coniugale, familiare e padronale), che tuttavia non annullano il principio individualistico cui sono ispirate tutte le teorie dello stato di n.; se, infine, sia uno stato di pace o di guerra. Un’ulteriore differenziazione riguarda le motivazioni che spingono gli uomini a uscire da tale stato, e che vanno dal calcolo utilitaristico di maggiori vantaggi al dovere etico di realizzare una coesistenza pacifica regolata da leggi.
Nelle pagine di Grozio (Sul diritto della guerra e della pace, 1625, Prolegomeni e lib. 1°, cap. 1°) non si fa riferimento a uno stato di n. come stato presociale, in quanto la natura porta immediatamente gli uomini a vivere insieme. Due sono infatti i caratteri fondamentali della natura umana: razionalità e socievolezza, e tali caratteri sono indistinguibili. L’appetitus societatis spinge l’individuo a vivere in comunità, ma non in una società qualsiasi, bensì razionalmente organizzata. Lo stato di n. è dunque l’ambito (ideale, non storico) in cui vige il solo diritto naturale, e non vigono ancora le leggi positive. Per Grozio infatti il diritto non è riconducibile tutto alla volontà del sovrano, cioè a un comando; bensì è necessario fare riferimento a un preesistente nocciolo razionale, a un contenuto di giustizia. Nello stato di n. il diritto è un prodotto della ragione che fissa principi di carattere universale in base ai quali si potrà ordinare la società civile originata dal contratto. Tra questi principi c’è in primo luogo il rispetto della parola data.
Lo stato di n. viene dedotto da Hobbes (De cive, 1645, 1-4; Leviatano, 1647, parte 1a) dagli istinti primari dell’uomo, egoistici e aggressivi; pertanto è lo stato dell’isolamento individualistico e dell’uguaglianza naturale (tutti gli uomini sono uguali in quanto ciascuno può apportare all’altro il massimo dei mali, la morte), in cui non ci sono gerarchie e l’unico diritto vigente è lo ius in omnia, poiché ciascuno ha per natura il diritto di utilizzare tutti gli strumenti che reputa indispensabili alla propria sopravvivenza. Tale diritto, unito alla naturale tendenza dell’uomo ad allargare il proprio spazio vitale e alla competizione (homo homini lupus), fa sì che lo stato di n. si qualifichi come uno stato di guerra permanente e universale (bellum omnium contra omnes). Di conseguenza lo stato di n. è condizione miserrima di vita ferina, nella quale l’uomo non conosce linguaggio, né cultura, né proprietà privata, e non ha alcuna possibilità di ottenere comodità e ricchezze. Di qui il vantaggio a uscirne al più presto, cedendo quel diritto su tutto che era la causa principale dei conflitti, per ottenere pace e sicurezza sottomettendosi a un sovrano. Pur dedotto secondo il metodo geometrico, a partire da un’analisi dell’uomo in chiave meccanicistica e materialistica, lo stato di n. hobbesiano presenta tre esemplificazioni storiche: la vita degli indiani d’America che vivono senza uno Stato, l’anarchia della guerra civile (intesa come forzato ritorno a una condizione prepolitica), i rapporti internazionali.
La dottrina spinoziana del diritto (Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico, post., 1677, 4a parte; Tractatus politicus, cap. 2°) è strettamente connessa con la generale concezione della realtà basata sulla dinamica del Deus sive natura. Il diritto di natura (o diritto di Dio) è, infatti, la stessa potenza divina, assolutamente libera; esso si identifica quindi con ciò che la natura è e può, e si estende fin dove arriva la potenza della natura. Poiché tale potenza si manifesta specificamente nella potenza dei singoli individui, ne segue che ciascuno ha pieno diritto a tutto ciò che è in suo potere, e quindi il diritto naturale (in assonanza con Hobbes) si identifica con la forza. Nello stato di n. gli uomini, nella difesa individuale di sé stessi e nel perseguimento del proprio utile, esercitano il diritto di natura non sotto la guida della ragione, bensì delle passioni, e vivono pertanto in uno stato di profonda miseria e di lotta continua. Per vivere meglio e con maggiore sicurezza essi devono quindi unirsi e fare in modo di fruire collettivamente di quel diritto che ciascuno aveva per natura su tutto, e di regolare ogni cosa secondo il dettame della ragione.
Il grande divulgatore delle tematiche giusnaturalistiche, Pufendorf, tratta dello stato di n. nelle sue opere principali (De iure naturae et gentium, 1672, II, 2; De officio hominis et civis, 1673, II, 1) e in una specifica dissertatio (De statu hominum naturali, 1675). Egli oppone nettamente lo stato precivile e prelegale a quello politico: la discriminante è data non dalla vita associata (l’uomo è un «animal sociabile» perché due dati obiettivi, la sopravvivenza e la consapevolezza della propria debolezza fisica, lo spingono a stabilire subito rapporti con i propri simili), ma dalla presenza di un summum imperium, cioè di un potere sovrano costituitosi legalmente. Lo stato primitivo è una condizione di libertà e indipendenza, ma anche di «pace vacillante», di qui la necessità di dar vita alle grandi e ordinate Civitates in cui l’uomo possa realizzare tutte le potenzialità della sua natura vivendo al sicuro. Secondo Pufendorf non si è mai dato uno stato di n. universale, bensì situazioni limitate ad alcune epoche, nelle quali gli uomini vivevano divisi per tribù, senza riconoscere un’autorità superiore a quella del capo clan. Sono questi che hanno poi stretto i patti di associazione e sottomissione. Pufendorf, tuttavia, presenta la sua analisi dello stato di n. come un’ipotesi: è questa la necessaria conseguenza del suo impegno di secolarizzazione del diritto e di separazione del diritto naturale dalla teologia morale. In un’epoca dilaniata dalle guerre di religione gli sembra indispensabile trovare una base comune su cui edificare una convivenza pacifica tra gli uomini, e questa base è il diritto naturale, razionalmente fondato e svincolato da qualsiasi credo religioso. Di conseguenza, egli preferisce prescindere dall’insegnamento biblico creazionista e fissare astrattamente un punto di partenza: la «fictio» di un uomo piovuto dal cielo sulla Terra, solo, senza aiuti e senza conoscenze. Questa impostazione suscitò forti critiche e l’accusa di aver contraddetto le Sacre Scritture (che invece descrivono la vita del primo uomo in un eden) e annullato il ruolo della provvidenza divina nella storia.
Nel secondo Trattato sul governo civile (1692, 1-6 ) lo stato di n. viene presentato da Locke inizialmente come uno stato pacifico e di benevolenza reciproca, uno stato di libertà, ma non di licenza, nel quale gli uomini già godono di tutta una serie di diritti e di doveri innati, che ineriscono loro in virtù della loro natura razionale, e conoscono forme di vita sociale (la famiglia, il rapporto padrone-servo, la proprietà privata). Tale condizione, nella quale gli uomini potrebbero vivere a lungo se fossero così ragionevoli da rispettare le leggi naturali, successivamente degenera in uno stato di guerra per due motivi: la mancanza di giudici al di sopra delle parti per risolvere i contenziosi, e l’introduzione della moneta che permette di superare i limiti «naturali» della proprietà privata originata dal lavoro (possedere solo ciò che si può consumare, e solo quanta terra si può lavorare) e quindi accumulare ricchezze. Diventa così necessario uscire dallo stato di n. per vedere garantiti i diritti individuali, in primo luogo il diritto alla vita, libertà e proprietà; ma a tal fine sarà sufficiente cedere un solo diritto naturale (quello a farsi giustizia da soli) per sottomettersi all’arbitrato di un magistrato.
Il Ginevrino sottopone ad aspra critica (nel Discorso sull’origine della disuguaglianza, 1755) tutte le precedenti concezioni dello stato di n.: filosofi e giureconsulti credevano di descrivere lo stato originario dell’umanità, ma si sono limitati a proiettare in un passato remotissimo l’uomo che avevano sotto gli occhi, un individuo cioè la cui natura è stata fortemente modificata dalla vita in società e dalla storia, e che è ora in perenne antagonismo con gli altri. Bisogna invece liberare tale individuo da ogni incrostazione e far riemergere il vero volto della natura. L’uomo originario è poco più di un bestione, che vive immerso nella natura, solitario, felice e inconsapevole. Non ha linguaggio né ragione, ma ha sentimenti: l’amor di sé, che lo porta a vegliare sulla propria sopravvivenza, e la pietà naturale, che addolcisce il suo egoismo. Inoltre è un essere perfettibile, potenzialmente capace di modificare sé stesso e il mondo che lo circonda, e in questa possibilità di scegliere, e non solo di obbedire all’istinto, sta la sua libertà e spiritualità. Avvenimenti in larga misura casuali (eventi climatici, carestie, aumento demografico) lo porteranno sul periglioso e lungo cammino della storia, dove si perderà. A differenza dei giusnaturalisti precedenti, Rousseau non presenta lo stato di n. come una condizione statica di semplicità che precede la vita organizzata e complessa nello Stato, bensì, seguendo un metodo genetico, individua una serie di passaggi e di crisi che conducono l’uomo dall’originaria solitudine alla stipula di un patto iniquo e quindi alla moderna società civile. Egli descrive pertanto la fase della caccia e della pesca con i primi raggruppamenti umani, che formano le prime famiglie e si costruiscono delle capanne, dando vita alle prime forme di vita stanziale (è questa la vera età dell’oro); la pratica dell’agricoltura con la connessa metallurgia; l’istituzione della proprietà privata come atto d’arbitrio e vero e proprio momento fondativo della società civile; la lunga sequenza di conflitti e di rivalità prodotti dall’accumulo di ricchezze, dalla disuguaglianza e dalla reciproca dipendenza; fino alla proposta, avanzata dai più ricchi e forti a tutti gli altri, di mettersi insieme e istituzionalizzare una socializzazione caratterizzata dalla disuguaglianza. Lo stato di n., che pure è un’ipotesi (anche se Rousseau fa spesso riferimento a resoconti antropologici contemporanei), serve così da cartina di tornasole per giudicare l’inadeguatezza della società moderna e per riflettere quindi sulla storia non come progresso verso forme di vita sociale più complesse ed evolute, bensì come processo di degenerazione morale e politica.
Nelle pagine di Kant (Metafisica dei costumi, 1797; Principi metafisici della dottrina del diritto, introduzione e 1a parte ) lo stato di n. viene presentato come lo stato del diritto «provvisorio». La condizione precedente la vita nello Stato è già per Kant uno stato giuridico, nel senso che ciascun uomo è titolare di una serie di diritti naturali che vanno a coincidere con il diritto privato, cioè con il diritto che regola i rapporti degli individui tra loro; tra le istituzioni del diritto naturale o privato ci sono in primo luogo la proprietà privata e l’acquisto. In tale stato naturale, però, proprietà e acquisto sono solo provvisori, in quanto non sono tutelati e difesi da una forza in grado di intervenire contro chi li violi. Di qui la necessità di fondare lo Stato per rendere «perentorio» il diritto naturale attraverso l’elemento della coazione, abbandonando quindi quello stato di incertezza e precarietà rappresentato dallo stato di n., ed entrando in una società civile che «garantisca il tuo contro ogni altro» e realizzi così la certezza del diritto. Kant ripropone la condizione descritta come stato di n. a proposito dei rapporti internazionali; ma, a differenza degli altri giusnaturalisti, procede oltre, delineando la prospettiva di una pace perpetua (➔ pace/pacifismo). Come gli individui escono dalla conflittualità potenziale o in atto dello stato di n. sottoscrivendo un contratto, così anche gli Stati dovranno entrare in una confederazione che disciplini i loro rapporti e risolva le loro eventuali controversie senza ricorrere alla guerra (Per una pace perpetua, 1795).