Stato
(XXXII, p. 613; App. III, ii, p. 839)
Riforme istituzionali
Leggi di revisione della Costituzione
Il tema delle riforme istituzionali in Italia ha acquistato particolare attualità nell'ultimo ventennio del Novecento, in parte anticipando e in parte seguendo gli svolgimenti che hanno profondamente mutato il volto del sistema politico italiano. Due sono stati i momenti di snodo della vicenda, che hanno segnato il passaggio da una fase in cui la trattazione del tema era rimasta confinata alla mera elaborazione e discussione di progetti di riforma, di cui l'ulteriore corso parlamentare era interamente rimesso alla libera scelta delle due Camere, a una fase che, con l'avvento delle Commissioni bicamerali per le riforme istituzionali, ha visto quell'ulteriore corso garantito attraverso procedure a cadenze vincolate, alla cui osservanza alle Camere non è dato sottrarsi (l. cost. 6 ag. 1993 nr. 1 e l. cost. 24 genn. 1997 nr. 1). Da una parte, il crollo subitaneo, nel 1989, del sistema delle cosiddette democrazie socialiste ha indotto la convinzione che il confronto politico si fosse fatto più fluido, sul presupposto che certe rigidità del nostro assetto partitico trovassero una loro giustificazione soltanto in quanto ripetevano sul piano interno la contrapposizione fra i due blocchi in cui l'Europa risultava divisa. Dall'altra parte, gli esiti delle consultazioni referendarie del 1991 (riduzione delle preferenze per la Camera dei deputati a una sola) e del 1993 (eliminazione della soglia del 65% per l'elezione diretta in collegio uninominale di una parte dei componenti del Senato della Repubblica) hanno dato avvio a un processo di riforma dei sistemi elettorali per la formazione delle due Camere. L'adozione per la Camera e per il Senato di una legge elettorale mista con larga prevalenza del sistema maggioritario uninominale (per il 75% dei seggi), ma con contestuale riserva a meccanismi proporzionali per la copertura della quota residua di seggi (pari al 25%), ha provocato il formarsi di nuove aggregazioni politiche, in parte favorite dalle nuove leggi elettorali per le amministrazioni regionali e locali, e caratterizzate - pur in presenza di una non disprezzabile componente di centro - da evidente tendenza al bipolarismo.
Per un duplice ordine di motivi si è consolidata l'opinione che alle novità politico-partitiche dovesse fare seguito una larga riforma delle istituzioni. Mentre in precedenza questa era stata sollecitata, per lo più in nome di esigenze di ordine tecnico-funzionale, solo in sede scientifica o di analisi pubblicistica, essendo stata messa in discussione la continuità del sistema dei partiti, i quali erano poco propensi a vedere ridefinito il loro ruolo di canali necessari della rappresentanza politica, i nuovi avvenimenti lasciavano emergere l'esistenza di forze politiche interessate a farsi esse stesse portatrici dell'esigenza riformatrice. Se dunque nel passato il discorso riformatore era stato condotto quasi in polemica, o comunque in antitesi, agli interessi e alle ragioni dei partiti, nella situazione postreferendaria i termini della questione risultarono mutati, e specialmente nella 13ª legislatura quel discorso ha trovato il supporto del nuovo Partito democratico della sinistra, di Forza Italia e di Allenza nazionale. A questi non potevano non aggregarsi, più o meno convinti, anche i partiti minori che con essi confluivano nei due grandi poli di destra e di sinistra, nella prospettiva di un assetto bipartitico del sistema politico da molti auspicato.
Vista l'ampiezza delle motivazioni delle iniziative che si venivano prendendo e che andavano al di là della puntuale correzione della vigente disciplina di questo o quell'istituto (si pensi soltanto al tema della riforma federale introdotto dalla Lega Nord e da più parti recepito, se non altro per contenerne l'espansione sul terreno elettorale), da qualche esponente politico venne prospettata l'idea della convocazione di una vera e propria Assemblea costituente. Ai più la proposta sembrò eccessiva, e comunque contrastante con l'idea che la consacrazione della transizione politica non dovesse portare in ogni caso a una rottura della continuità del vigente ordine costituzionale. Si è giunti quindi, nel 1997, a una soluzione più riduttiva, che ha affidato a una Commissione bicamerale il compito di predisporre - seppure limitatamente alla Parte seconda della Costituzione relativa all'Ordinamento della Repubblica - un progetto di riforma da sottoporre - con speciale procedura - all'approvazione dei due rami del Parlamento (v. oltre).
Dal tempo della sua adozione a oggi la Costituzione è stata in più di un'occasione oggetto di revisione, sempre, però, con riguardo ad aspetti di dettaglio e mai in funzione di una generale riforma del nostro ordine costituzionale. Tale revisione ha interessato la Parte seconda della Costituzione, eccezion fatta per la l. cost. 21 giugno 1967 nr. 1, che ha introdotto una deroga al divieto di estradizione del cittadino e dello straniero per reati politici nel caso di delitti di genocidio, e per la l. cost. 17 genn. 2000 nr. 1 che, modificando l'art. 48 Cost., prevede l'istituzione della circoscrizione Estero per l'esercizio del diritto di voto di cittadini italiani residenti all'estero. In un primo tempo si è trattato di innovazioni tendenzialmente congeniali agli interessi delle forze politiche. Fra esse si segnalano in particolare quelle adottate con la l. cost. 9 febbr. 1963 nr. 2, relative alla composizione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, la cui durata è stata nell'occasione omologata in cinque anni. Di poco successivo è stato l'inserimento con l. cost. 27 dic.1963 nr. 3, della Regione Molise nell'elenco delle Regioni di cui all'art. 131 Cost., dopo che, con l. cost. 18 marzo 1958 nr. 1, era stato prorogato il termine di cinque anni previsto dall'11ª disposizione transitoria e finale della Costituzione per l'istituzione di nuove Regioni a modificazione di quello stesso elenco. È addebitabile alla l. cost. 22 nov. 1967 nr. 2 il nuovo testo dell'art. 135 Cost. con il quale sono state ridefinite le modalità di elezione del presidente della Corte costituzionale (di cui si ammette la rieleggibilità), rinviandone alla legge la disciplina, ed è stata ridotta da dodici a nove anni la durata in carica dei giudici della stessa Corte, con esclusione della possibilità di una loro prorogatio.
In seguito, sono stati modificati la disciplina dei giudizi penali nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, la procedura per la concessione dell'amnistia e indulto, e, infine, il regime delle immunità dei parlamentari. La l. cost. 16 genn. 1989 nr. 1, in revisione dell'art. 96 Cost., ha rinviato ad apposita legge costituzionale la disciplina della trattazione dei reati ministeriali di fronte alla giurisdizione ordinaria (subordinatamente all'autorizzazione della Camera di appartenenza dell'inquisito), abrogando così ogni competenza al riguardo della Corte costituzionale ed eliminando la fase parlamentare della messa in stato di accusa degli incolpati. Fatto salvo il primo comma dell'art. 68 Cost., la l. cost. 29 ott. 1993 nr. 3 ha riformulato i due ulteriori commi di quello stesso articolo, limitando i casi di autorizzazione della Camera di appartenenza all'adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale dei parlamentari, ovvero alla loro sottoposizione a perquisizione personale o domiciliare, con esclusione quindi di qualsiasi autorizzazione all'esercizio dell'azione penale. L'autorizzazione non è richiesta allorché si proceda a limitazione della libertà personale in esecuzione di sentenza irrevocabile di condanna, ovvero di arresto obbligatorio in flagranza di delitto. L'autorizzazione è, invece, richiesta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. Inoltre, secondo la l. cost. 6 marzo 1992 nr. 1, l'amnistia e l'indulto possono essere concessi con legge approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, "in ogni suo articolo e nella votazione finale", stabilendo anche il termine per l'applicazione delle misure medesime. Rappresenta un circoscritto allargamento dei poteri del presidente della Repubblica l'emendamento apportato con l. cost. 4 nov. 1991 nr. 1 all'art. 88 Cost., per cui la preclusione all'esercizio della facoltà presidenziale di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del mandato viene meno se essi coincidono in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura. Ulteriori innovazioni sono state introdotte dalla l. cost. 22 nov. 1999 nr. 1, che prevede significative modifiche agli artt. 121, 122, 123 e 126 Cost. in tema di elezione diretta del presidente della Giunta regionale e di autonomia statutaria delle Regioni, e dalla l. cost. 23 nov. 1999 nr. 2, che disciplina l'inserimento dei principi del 'giusto processo' nell'art. 111 Cost.
Progetti di riforma istituzionale
Il tema di una generale e diffusa riforma delle istituzioni ha trovato per la prima volta attenzione sul piano operativo a livello parlamentare con la costituzione nell'ottobre 1982 di comitati di studio per l'esame di problemi istituzionali e, nell'ottobre 1983, con l'istituzione di una Commissione bicamerale per le riforme istituzionali sotto la presidenza di A. Bozzi (v. istituzioni, riforma delle, App. V), che concluse i lavori nel gennaio 1985.
Nonostante l'ampiezza dei consensi, alla relazione di Bozzi si contrapposero ben cinque relazioni di minoranza. Apparve evidente che una riforma avrebbe potuto decollare con il solo consenso dei gruppi della maggioranza di governo, il che contrastava con quella logica delle 'più larghe intese' che, secondo l'orientamento prevalente fra le forze politiche, avrebbe dovuto ispirare un processo di riforma costituzionale. Nonostante il doppio contestuale dibattito tenutosi alle due Camere nel maggio 1988 sui problemi istituzionali e le riforme, le forze politiche lasciarono passare alcuni anni che videro, fra l'altro, il referendum d'indirizzo sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo, l'approvazione in prima lettura da parte del Senato di una proposta di modifica procedurale del bicameralismo, che la Camera non condivise e alla quale, quindi, non diede seguito, e infine, nel giugno 1991, l'esito positivo del referendum abrogativo per la riduzione delle preferenze per la Camera a una sola. Nel giugno 1992, un nuovo dibattito parlamentare condusse all'insediamento di una Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da C. De Mita, e, dopo le sue dimissioni, da N. Iotti.
Dopo avere approvato un primo ordine del giorno sugli indirizzi per l'elaborazione dei testi di riforma (dic. 1992) e un documento di principi sulla revisione della legislazione elettorale, ma senza un testo redatto in articoli (febbr. 1993), la Commissione rassegnò le sue conclusioni l'11 gennaio 1994 affiancando alla relazione della presidente Iotti una relazione di S. Labriola sulla forma di S. e una di F. Bassanini sulla forma di governo. Nella premessa della sua concisa relazione, la Iotti indicava i punti salienti del progetto di riforma costituzionale adottato: ampia revisione del rapporto S.-Regioni con inversione dell'ordine della distribuzione delle competenze e conseguente enumerazione di quelle dello S., nuove regole per la formazione del governo con elezione del primo ministro a maggioranza assoluta e accentuazione del suo ruolo di guida dell'esecutivo, sfiducia costruttiva, riduzione a quattro anni della legislatura, revisione del potere d'inchiesta e, infine, nuove regole in materia di bilanci, decreti d'urgenza e delegificazione, potere regolamentare del governo e organizzazione della pubblica amministrazione.
Le difficoltà maggiori si manifestarono in tema di riforma del Parlamento, e per quanto riguarda il sistema delle garanzie ogni decisione venne rinviata a quando fossero state adottate decisioni compiute in ordine alla forma di S. e di governo. Il Parlamento fu sciolto prima di discutere l'esito dei lavori della Commissione. Modificata la maggioranza con le elezioni del 1994, il governo Berlusconi si impegnò a presentare al Parlamento un progetto di riforma costituzionale. A tal fine il ministro per le riforme istituzionali, F.E. Speroni, venne incaricato di assicurare il funzionamento di un Comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali e costituzionali, di cui assunse personalmente la presidenza. Un collegio di tecnici subentrava ai precedenti collegi di parlamentari. Gli si chiedeva di elaborare proposte per un rafforzamento del potere di decisione dei cittadini, favorire una migliore articolazione dello S., rivedere le procedure di decisione e di controllo politico, salvaguardare e rafforzare le garanzie a tutela dei cittadini. Nominato nel luglio 1994, il Comitato completò il suo lavoro a dicembre, proprio alle soglie della crisi di governo, presentando un progetto unitario di revisione della Costituzione.
In realtà la riforma avrebbe dovuto interessare soltanto alcune parti della Costituzione, comportando in particolare la revisione della composizione del Senato (ripartita fra rappresentanti delle Regioni e degli enti locali), l'espressa enumerazione delle competenze dello S. con conseguente riconoscimento alle Regioni di poteri generali residuali, l'introduzione di legislazioni di riequilibrio e congiunturali, la revisione delle procedure di bilancio e della decretazione d'urgenza, l'introduzione di uno speciale statuto dell'opposizione e la riforma dell'ordinamento della Corte costituzionale.
La Commissione bicamerale del 1997
Per quanto già la l. cost. 6 ag. 1993 nr. 1, istitutiva della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, disciplinasse con norme apposite e speciali il procedimento di approvazione dei progetti di legge dalla stessa Commissione predisposti in adempimento del suo compito, i suoi lavori non ebbero seguito. L'evoluzione della situazione politica bloccò ogni ulteriore sviluppo della Commissione parlamentare e incise sull'ulteriore corso dell'elaborato del Comitato presieduto da Speroni. Si arrivò così all'istituzione di una nuova Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, cui ha provveduto la l. cost. 24 genn. 1997 nr. 1, composta da trentacinque deputati e trentacinque senatori, nominati rispettivamente dal presidente della Camera dei deputati e da quello del Senato della Repubblica, e presieduta da M. D'Alema.
L'art. 1, 4° co. della l. cost. 1/1997 individuava i compiti della Commissione nell'elaborazione di progetti di revisione della Parte seconda della Costituzione, "in particolare in materia di forma di Stato, forma di governo e bicameralismo, sistema delle garanzie". Nel mandato non vennero più incluse, come per il passato, le leggi sull'elezione delle Camere e dei Consigli delle Regioni ordinarie, e quindi soltanto limitatamente alle materie sopra menzionate i presidenti delle due Camere hanno trasmesso alla Commissione i disegni e le proposte di legge costituzionale già presentati. Da una discussione generale su questi documenti prese le mosse la Commissione, la quale è stata quindi chiamata a svolgere funzioni referenti nei confronti di entrambe le assemblee, secondo le norme del regolamento della Camera al quale essa può, tuttavia, apportare integrazioni a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Ripartiti i suoi compiti fra quattro Comitati (forma di S., Parlamento e fonti normative, forma di governo e sistema delle garanzie), la Commissione entro il 30 giugno 1997 approvò un progetto di l. cost. di revisione della Parte seconda della Costituzione in relazione al quale sono stati presentati numerosi emendamenti, con il differimento da parte della Camera dei deputati, alla fine di gennaio 1998, del primo esame in aula del progetto. Secondo la legge il testo doveva essere immediatamente discusso dalle due Assemblee, a cui spettava di adottarlo con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi. Nella seconda deliberazione per il voto unico finale era richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Il testo così adottato doveva essere sottoposto a un unico referendum popolare entro tre mesi dalla pubblicazione del testo approvato dalle Camere. La legge sarebbe stata promulgata se al referendum avesse partecipato la maggioranza degli aventi diritto e se la maggioranza dei voti validi si fosse espressa per l'approvazione.
Il testo presentato agli inizi di novembre 1997 si caratterizzava per molteplici scelte innovative, ritenute da alcuni ancora troppo distanti dalle aspettative di rinnovamento presenti nel corpo sociale, laddove secondo altri la spinta riformatrice sarebbe andata ben oltre il segno della convenienza e della praticabilità
Fa anzitutto discutere la stessa impostazione del testo costituzionale con anticipazione dei titoli dedicati alla configurazione della forma di S. e di quello concernente il presidente della Repubblica: vengono, quindi, postergati il titolo sul governo, tenuto distinto da quello sulla Pubblica amministrazione, e quello sul Parlamento, i quali sono collocati nell'ordine e precedono il titolo sulla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea. In chiusura troviamo i titoli sulla giustizia e sulle garanzie costituzionali. Il riassetto è notevole in quanto implica - almeno in apparenza - un ripensamento del ruolo del Parlamento nel sistema, che, pur non mettendone in discussione la funzionale centralità, certamente lascia capire che la proposta va nel senso di una maggiore articolazione della pluralità degli organi al vertice dello Stato. Su questa impostazione vengono a influire, da un lato, la scelta a favore di un'ampia revisione dell'ordinamento regionale e, dall'altro, la transizione a un sistema di governo caratterizzato dalla presenza di un capo dello S. eletto dal popolo. Entrambe queste innovazioni vengono, in effetti, a incidere sul ruolo del Parlamento, che non è più concepito come organo a competenza generale (o, se si vuole, residuale): le sue attribuzioni legislative sono enumerate e circoscritte, per cui tutte quelle a esso non demandate dovrebbero intendersi riservate alle Regioni. Questa alterazione nel sistema del riparto dei compiti fra centro e periferia ha trovato espressione nella nuova intitolazione proposta per la Parte seconda della Costituzione dove si parla di Ordinamento federale della Repubblica. Anche questa è una scelta molto discussa in quanto si sostiene che mancherebbero i presupposti per la qualificazione in senso federale dello Stato. Non vi sarebbe associazione di preesistenti entità statali sovrane e mancherebbe un trasferimento di poteri dalla periferia a un centro comune. Chi avanza questa obiezione mostra di accedere all'antica dottrina in materia di S. federali, che ora sembra essere stata in qualche modo superata dal corso degli eventi storici, per cui si sono visti S. unitari tramutarsi in S. federali (si pensi al Belgio), ed è sempre più frequente trovare ordinamenti federali che sono fondati non su accordi federali ma su Costituzioni unitariamente assentite dalle popolazioni interessate o dai loro rappresentanti. Il fatto è che nei componenti della Commissione bicamerale vi è la preoccupazione di differenziare il nuovo testo da quello della vigente Costituzione che è vista come documento istitutivo di un ordinamento soltanto regionale. Il ricorso ad alcuni segnali, anche soltanto formali, di differenziazione è giustificato da preoccupazioni politiche, tanto più che proprio recenti sviluppi costituzionali, con la crescente lievitazione dei poteri delle autorità federali centrali, vanno assottigliando la distanza fra gli ordinamenti federali e quelli regionali.
L'elezione diretta del capo dello S. non dovrebbe implicare l'adozione di una forma di governo presidenziale, ma certamente avvicina la soluzione progettata ai modelli di semipresidenzialismo temperato riscontrabili, per es., in Austria e in Irlanda. Non sembra, in effetti, possibile escludere a priori che il futuro presidente possa avere una qualche influenza sul rapporto governo- Parlamento sia per quanto riguarda la verifica del rapporto di fiducia e l'accertamento della sua effettiva persistenza, anche dopo l'elezione del nuovo capo dello S., sia per quanto concerne la conduzione della politica estera e di quella della difesa. D'altra parte, è pur vero che il nuovo presidente della Repubblica sembra destinato a trovarsi di fronte un presidente del Consiglio rafforzato, se non da un'elezione popolare, che non si è voluta accogliere, da un ampliamento dei suoi poteri e dalla stessa evoluzione verso assetti bipolari del sistema partitico. Molte novità sono preannunciate sul fronte parlamentare per l'estrema diversificazione delle procedure indirizzate all'approvazione dei vari tipi di leggi a cui conduce la differenziata ponderazione dell'intervento del Senato della Repubblica nei procedimenti legislativi e, in particolare, la creazione del Senato a composizione integrata accanto al Senato nella sua composizione ordinaria.
Anche nel titolo sulla Giustizia (che non è più, dunque, equivocamente dedicato alla Magistratura) si ritrovano scelte innovative sia per quanto riguarda l'amministrazione del personale giudiziario (con differenziazione fra magistrati giudicanti e requirenti), sia per la limitazione dei poteri del Consiglio superiore della magistratura, cui viene affiancata - per i giudizi disciplinari e per quelli di impugnazione delle determinazioni consiliari amministrative - una Corte di giustizia della magistratura. Ma viene anche rivisto lo stesso assetto dei rapporti fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa. Sono, infine, aumentate le attribuzioni della Corte costituzionale, la quale rischia di trovarsi in difficoltà a esercitare i nuovi compiti che le spettano in sede di decisione dei ricorsi individuali, di quelli dei parlamentari, degli enti locali minori e delle controversie in materia di regolamenti dell'esecutivo e di contenzioso elettorale presidenziale e parlamentare.
Il dibattito alla Camera dei deputati (iniziato nel gennaio 1998) su questo testo ha avuto un andamento contrastato e difficile e si è fermato all'esame dei primi articoli della proposta della Commissione bicamerale. Si è così constatato che l'accordo che aveva consentito l'inoltro del progetto alla trattazione in assemblea era molto fragile e fondato su considerazioni di opportunità, le quali non si sono poi tradotte in un effettivo consenso su un testo suscettibile di ottenere l'approvazione definitiva delle parti politiche. I contrasti sono stati accentuati dalla tendenza a radicalizzare le posizioni secondo linee ideologiche contrapposte: è il caso delle norme in materia di sussidiarietà, dove si è voluto trasporre il dibattito dal piano dell'ordinamento delle autonomie territoriali a quello dei rapporti fra potere pubblico e potere e libertà privati, andando palesemente al di là del mandato riformatore, in quanto si venivano così a toccare i contenuti della parte prima della Costituzione i quali dovevano sfuggire a ogni iniziativa di revisione. Lo stesso si può dire per quanto riguarda il tema delle garanzie del cittadino nel processo, che si voleva affrontare con norme di dettaglio, e non già con mere indicazioni di principio nella parte dell'articolato dedicata agli assetti del potere giurisdizionale (i contrasti sono stati peraltro superati con l'approvazione della l. cost. nr. 2 del 1999 in materia di 'giusto processo'). Anche in materia di federalismo non è stato possibile trovare un accordo sia per la stessa imprecisione delle richieste di quanti accusavano di 'timidità' il progetto della Bicamerale, sia per le lamentele di coloro i quali, per contro, paventavano rischi di frattura dell'unità dello Stato. E sullo sfondo restava sempre irrisolto il contrasto sulla definizione dei poteri e del ruolo del capo dello S. eletto direttamente dal popolo, in quanto i propositi di mediazione da tutti enunciati in Bicamerale all'atto della scelta presidenzialista non trovarono seguito nei fatti, i sostenitori di quella scelta insistendo per portarla alle sue ultime conseguenze e i suoi moderati oppositori risultando più disposti a trovare un punto di equilibrio fra semipresidenzialismo alla francese e parlamentarismo razionalizzato che a fare del capo dello S. un organo di governo e di iniziativa politica.
Il fallimento dell'impresa non è stato mai formalizzato in una delibera di interruzione del processo riformatore. La procedura è stata di fatto sospesa nel giugno 1998. In teoria la Camera dei deputati potrebbe essere riconvocata per riprendere l'esame del progetto, o questo potrebbe tornare alla Commissione bicamerale che sino alla fine della 13ª legislatura non verrà sciolta, anche se dovrebbe comunque darsi un nuovo presidente dopo le dimissioni di M. D'Alema, divenuto nell'ottobre 1998 (fino all'aprile 2000) presidente del Consiglio dei ministri. Ma allo stato attuale entrambe le eventualità sembrano molto remote e, se il progetto riformatore dovesse riprendere nuovo slancio, la via da percorrere sarebbe quella segnata dall'art. 138 Cost. In ogni caso il progetto elaborato dalla Bicamerale potrebbe rappresentare un utile e costruttivo punto di riferimento, nonostante i conflitti che ne hanno accompagnato i lavori.
bibliografia
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