STATUA (εἰκών, ἄγαλμα, ἀνδριάς; signum)
Nelle civiltà artistiche dell'antichità, soltanto quella greca si pose, e risolse in piena autonomia il problema della S. come rappresentazione della figura umana fine a se stessa, priva di ogni vincolo architettonico e liberamente moventesi nello spazio. Perciò nel presente articolo questo problema è considerato soltanto nell'ambito dell'arte greca e della civiltà ellenistica.
L'immagine plastica a tutto tondo realizzata nei materiali più svariati, così per i popoli primitivi come per quelli appartenenti a stadî più sviluppati di cultura, ha sempre rappresentato il "sostituto" più immediato e soddisfacente di un essere vivente, umano, animale o superumano, che si ritenga necessario aver continuamente presente accanto a noi. Un'immagine pittorica conserva sempre una qualità scopertamente illusiva: la s. è viceversa una presenza concreta, resistente, che è impossibile eliminare o sminuire. Nella concezione dei primitivi le ragioni che sono alla base della produzione di statue saranno sempre d'ordine religioso o magico. Non diversamente nel mondo greco, almeno sino al maturo arcaismo, non incontriamo statue che non siano immagini funerarie o divinità. E in entrambe queste categorie permane il bisogno indistinto di operare una canalizzazione di forze oscure che attraverso l'immagine potevano divenire controllabili e anche benevole verso gli esseri umani. Sappiamo così di immagini divine incatenate allo scopo di assicurarsene la protezione e di impedime la fuga. Pausania ci narra come lo spettro di Atteone devastasse il paese di Orchomenos sino a che non gli fu dedicata una s. che venne come ad assorbirne il potere malefico e a renderlo inoffensivo. Ugualmente la bambola funeraria a volte, completata con i capelli del morto, ha un ruolo essenziale in tante storie mitiche di "ritorni". In particolare nella storia di Protesilao e Laodamia essa viene a costituire un elemento di transizione come a preludere e a preparare il ritorno dall'oltretomba dell'eroe morto in terra lontana.
Estremamente diffusa è anche l'idea di una s. di origine divina; dono della divinità stessa o caduta dal cielo, che viene a costituire il pegno incomparabilmente prezioso e misterioso da cui dipendono le fortune e spesso l'esistenza stessa di una città. Primo fra tutti il Palladio di Troia che attraverso copie, furti, doppi sostituiti, si trova ad essere il centro spirituale di tante città antiche, da Ilio sino ad Atene, ad Argo, a Roma.
A chiarire le nostre idee sulle statue antiche, utili indizi possono esser tratti da un esame critico della terminologia complessa, e non sempre per noi perspicua, in uso presso gli antichi a designare e distinguere le varie categorie di immagini plastiche. Così accanto a termini ovvi e indeterminati come εἰκών, immagine, s'incontrano termini di carattere arcaico come βρέτας, che troviamo usato in connessione con immagini di peculiare primitivismo, e in apparenza da affiancare a termini di carattere ancora più decisamente inanimato quale σανίς la trave, κίων, δόκανον, il pilastro. Termini che evocano immagini estremamente semplificate e rudimentali e che si accostano alla classe delle pietre rudi e informi, i betili; ξόανον indicherebbe in origine unicamente l'immagine intagliata, levigata. Il termine è di uso frequente per immagini di culto di notevole antichità, di solito in legno, ma occasionalmente in lamina di bronzo o in altri materiali. Il termine ugualmente preellenico di κολοσσός solo in seguito all'erezione dell' immensa S. di Helios a Rodi (v. colosso) in età ellenistica, acquista valore di immagine colossale. In età più antica al contrario, così nelle Leggi Sacre di Cirene come in Erodoto, il termine serve a indicare unicamente immagini funerarie, indipendentemente dalle loro dimensioni. Quindi se κολοσσός è detta la grande S. di Memnon a Tebe, κολοσσοί sono innanzitutto sarcofagi antropomorfi o anche immagini funerarie, bambole del morto, sostituti, ušabti (v.).
La s. di culto è detta semplicemente ἔδος sede della divinità. ῎Αγαλμα designa invece un offerta e viene impiegato per le immagini supplementari del dio esistenti nell'interno del santuario, come pure statue di devoti di animali, tripodi e vasellame prezioso offerti alla divinità.
Come κολοσσός e come Palladion, ἀνδριάς sembra avere il significato di piccola statua. E del resto così le testimonianze storiche come i risultati delle esplorazioni archeologiche si accordano a far ritenere che le immagini primitive erano di dimensioni estremamente ridotte. Il peculiare, costante motivo di immagini di incomparabile pregio copiate, trafugate, sostituite, tenute nascoste in luoghi inaccessibili del tempio, conferma l'idea di statuette di modeste dimensioni e pericolosamente mobili. Per contrario l'unica immagine divina che s'incontra nei poemi omerici è la S. di Atena sull'acropoli di Ilio, seduta e apparentemente di dimensioni pari agli esseri umani se Theanò può deporle sulle ginocchia il peplo offerto da Ecuba e dalle donne troiane.
In definitiva è da assumere che la s. di culto dell'alto arcaismo in Grecia è una immagine di dimensioni assai ridotte, eseguita in generale in materiali preziosi, legno di olivo o di ebano, avorio, oro, lamina di bronzo. Accanto alla s. di culto gli ex voto, tra cui gli ἀγάλματα che in generale ne ripetevano l'aspetto e l'atteggiamento, eseguiti in generale in bronzo o terracotta. Le tre statuette in lamina di bronzo di Dreros presentano forse il più antico esempio di statue di culto. Esse sono peraltro da datare nella prima metà del VII sec. a. C. e appartengono di fatto alla corrente dedalica.
Le statuette della triade apollinea di Dreros, furono trovate sopra un altare fatto di corna di capra (keraton) in un piccolo santuario rettangolare con focolare al centro. Esse indicano non solo la più antica tecnica usata per le figure metalliche di una certa grandezza (v. bronzo, sphyrelaton, xoanon), ma anche l'origine della forma perpetuatasi nel palladio e che si trova nelle immagini arcaiche di Atena (bronzetto a Olimpia, prima metà del VII sec.; xòanon fittile a campana, a Iraklion).
Mentre a darci un'idea della statuaria più antica possono servire agàlmata di carattere monumentale, nonostante le piccole dimensioni, come la testa fittile di Apollo con l'elmo dall'Amyklaion, le statuette d'avorio dal Dipylon, l'Apollo di bronzo dedicato da Mantiklos, i piccoli bronzi di Olimpia raffiguranti Zeus come un guerriero.
Con il volgere del VII sec. a. C. si afferma la tradizione dedalica, che nei suoi aspetti fondamentali può esser ricondotta all'introduzione di grandi immagini spesso in pietra tagliata e in marmo. Naturalmente Dedalo e i Dedalidi continuano a impiegare le tecniche raffinate tradizionali dei legni preziosi e dell'avorio. Peraltro l'apporto più sensazionale di questa tradizione artistica è indubbiamente la scoperta della monumentalità. E con questo la necessità di una suprema chiarezza strutturale, di una disciplina liberamente accettata nelle proporzioni e nelle cesure di una immagine che doveva esser ricavata da un grande e costoso blocco di marmo. Alla libertà infinita dell'età geometrica si sostituisce quindi una consapevolezza sempre più precisa dei problemi di costruzione, all'improvvisazione il sistema, le misure, i rapporti predeterminati.
Gli studiosi più recenti tendono a sminuire l'importanza delle leggi strutturali, in primo luogo quelle della frontalità formulate con tutta l'enfasi della tradizione positivistica da J. Lange. In realtà la grandezza del genio ellenico è appunto nel mirabile accordo tra libertà e disciplina. Le apparenze di immobilità delle opere arcaiche e i dati della favoletta di Theodoros e Thelekles che lavorarono ciascuno una metà di un Apollo in bronzo, l'uno a Samo, l'altro a Mileto in modo che le due parti si ricongiungessero perfettamente, vengono continuamente compromesse, contraddette dai fatti. Così la segreta vitalità delle statue più antiche fatta di disuguaglianze appena percettibili: così le impostazioni oblique sulla base come attestato dall'Apollo del Sunio o da tante statuette bronzee dell'Acropoli ricomposte da M. Kostantinou. È d'altra parte innegabile che questo bisogno di struttura chiara e precisa, unita alla passione dominante e quasi esclusiva per lo studio del corpo umano come una meravigliosa creazione dotata di suprema bellezza e di incomparabili possibilità espressive, sono alla base della straordinaria fioritura della grande plastica ellenica (v. frontlità).
La sostituzione della s. di dimensioni normali al piccolo idolo "trasportabile" porta come effetti quasi immediati l'esplorazione delle nuove possibilità espressive di questa tendenza. In effetti, il VII sec. e i primi decennî del VI a. C. sono dominati da immagini colossali, non solo tra le statue di culto, generalmente perdute, ma anche tra gli agòlmata raccolti nei santuarî. La s. dedicata da Nikandre a Delo era già notevolmente superiore al normale, mentre colossali sono i koùroi del Sunio (m 3,05) e quelli più antichi di Samo. Nasso in particolare, una delle prime isole del marmo ad essere regolarmente sfruttata, sembra essersi specializzata a provvedere immagini di straordinaria grandezza. Così il Colosso dei Nassi, la s. di Apollo con cintura il cui torso informe ha costituito per secoli un peculiare elemento paesistico della costa di Delo, è sempre la s. più grande dell'isola. Nelle cave di Nasso poi rimangono non finiti koùroi di 10 e di 5 m di altezza. Colossale è anche l'àgalma di Kypselos e dei Kypselidi di Olimpia, una st. in oro laminato, e colossale è il Kriophòros di Thasos.
Non è d'altra parte solo alle grandi proporzioni, quanto a una sempre più sottile e consapevole chiarezza di struttura, a una sempre più approfondita conoscenza, a un più armonico rendimento del corpo umano che si deve il trionfale sviluppo della s. ellenica. In realtà le immagini arcaiche si presentano allo spettatore con una così assoluta compiutezza nel disciplinatissimo ordine delle membra che bene a ragione L. Curtius poteva parlare del Koùros come dell'omphalòs del mondo, il supremo perno vitale intorno a cui tutto gira. Il principio nuovissimo della nudità integrale permette di misurare questo bisogno di assoluto: e nello stesso tempo porta a identificare il cammino stesso della scultura con il rendimento sempre più filtrato e armonico del nudo (v. nudo). A contrasto quindi del principio orientale della s. appoggiata a un pilastro, la s. greca nuda si presenta libera d'ogni parte e supremamente soddisfacente e compiuta.
Non mancano in realtà nell'arte greca immagini plastiche appoggiate, quali Cariatidi, supporti, acroteri, o le stesse statue frontonali. Mentre nei gruppi di combattenti o nella stessa concezione della Pròmachos o dello Zeus folgoratore, appunto per il loro essere impegnate in una azione, collocate di tre quarti e come distolte da quella intensa, esclusiva comunicazione con lo spettatore o il devoto, manca quel dato di esistenza intrinseca, di ossessiva presenza magica che costituisce il carattere dominante delle più grandi sculture elleniche dell'arcaismo e dell'età severa.
Con il VI sec. a. C. hanno inizio le immagini dei mortali, statue funerarie o anche agàlmata offerte in santuarî. Così l'imponente sfilata dinastica dei Branchidi nella Via Sacra di Mileto, il gruppo familiare scolpito da Gheneleos a Samo (v. gheneleos) o più tardi l'incomparabile serie delle Kòrai dell'Acropoli (v. kouros e kore). I Koùroi provenienti da aree cimiteriali in Attica o a Samo in nulla differiscono da quelli rinvenuti intorno a un tempio e che in molti casi è presumibile rappresentino Apollo (que sto almeno per Delfi, Delo, lo Ptoion). E accanto a immagini umane, quelle dei custodi delle tombe, come leoni, sfingi, più raramente sirene.
Dalle numerose iscrizioni sopravvissute è stato possibile rilevare un graduale allontanamento dalla concezione di una presenza reale, magica della s., anche quando essa continua a parlare in prima persona. La più famosa delle statue dei Branchidi proclama: Io sono Chares tiranno di Teichiossa: in altre più recenti la formula è Io sono l'agalma di... e nel gruppo di Samo appare l'espressione Noi fece Gheneleos. Ugualmente alle curiose, toccanti espressioni di compiacimento per la propria bellezza - tante statue si dichiarano καλὸς ἄγαλμα - si sostituiscono meno ingenue vanterie da parte degli artisti. Si direbbe, come osserva C. Karouzos, che la santità stessa intrinseca nell'immagine sacra bastasse a difendere anche lo scultore da qualsiasi forma di hỳbris (v. ritratto).
Indubbiamente il graduale processo di disintegrazione dell'idèa di una presenza reale, magica, della S. è già compiuto verso gli inizî del V sec. a. C. Mentre, ad esempio nelle figurazioni dell'attentato a Cassandra abbarbicata alla S. di Atena, i ceramografi attici più antichi sembravano perseguire una formula ambigua che andava dalla figurazione realistica della dea minacciante all'idolo irrigidito, a partire dalla famosa Ilioùpersis del Pittore di Kleophrades nell'hydria Vivenzio l'immagine fissata in un gesto meccanico si distacca nettamente dall'umanità palpitante e turbata del terribile racconto. Presto s'incontrano poi documentazioni di un singolare sdoppiamento, in cui la presenza divina reale e operante viene opposta al simbolo distaccato e immobile della S. nel tempio. Già nel cratere a calice con Ilioùpersis del Pittore dei Niobidi, da Spina, Elena si trova come incuneata tra un piccolo simulacro di Apollo su una colonnetta e Apollo presenza reale che le fa scudo contro la furia vendicatrice di Menelao. Più tardi, specialmente nella ceramica italiota, l'opposizione tra la st. del tempio fissa e irrigidita in un gesto rituale e la divinità liberamente atteggiata, spesso semiadagiata nelle rocce del fondo, diventa un elemento di particolare interesse. Alla stessa tendenza potremo forse riportare le statue di divinità appoggiate a simulacri arcaici.
Le più antiche statue di atleti dedicate nell'Altis (v. più avanti) sembrano esser state quelle di Praximadas di Egina, in legno di fico (544-540) e quella di Rhexibios di Opunte in legno di olivo. In seguito innumerevoli statue, per lo più di bronzo, vennero a dar lustro alla grande tradizione delle scuole del Peloponneso e di Egina, specializzate in immagini atletiche. È da ritenere che almeno sino al IV sec. l'immagine dedicata da un atleta rimanesse puramente distaccata dall'individuo dedicante e non fosse che una statua atletica, in alcun modo distinta da lineamenti individuali. Sappiamo ugualmente da Luciano (De imaginibus) come i magistrati dell'Altis insistessero con cura scrupolosa a che nessuna delle statue atletiche fosse maggiore che natura.
A questa penetrazione sempre più intensa dell'elemento umano nella statuaria si dovrà quel nuovo rivoluzionario atteggiamento che E. Buschor segnala con l'introduzione dello stile severo, la coscienza del Fato (Hohes Schicksal). Le statue non stanno più serene ed erette, penetrate solo dell'intensa vitalità di una perfetta esistenza, ma distolgono il volto e si accasciano sotto il peso fisico e morale del destino tragico dell'umanità. Concezione questa che si appoggia ai sentimenti di modestia indispensabili in un atleta vincitore che volesse sfuggire l'accusa di hỳbris e all'influenza sempre maggiore della tragedia nella vita antica. Policleto con le sue statue gravemente cadenzate darà le espressioni più complete di questo nuovo atteggiamento spirituale.
Le immagini di culto procedenti da forme aniconiche quali quelle del Dioniso Perikiònios, del così detto Maskengott, di solito un volto appoggiato a un albero o ad un pilastro e completato con vesti reali, non rientra propriamente nella classe delle statue. Occorrerà peraltro tener presente che appunto questa loro diversità, questo non esser concepite come corpi reali organicamente completi costituisce in loro l'elemento divino. Non diversamente per l'altra forma abbreviata, l'erma, esistevano antiche leggi che ne proibivano l'uso come immagine funeraria.
Nei grandi secoli della classicità alle nuove tecniche in marmo e in bronzo continuano ad affiancarsi gli antichi sistemi di lavorazione. Così Kanachos lavora per Tebe una s. colossale di Apollo Ismènios in legno di cedro, che alcuni vogliono fosse una sorta di replica della più famosa statua di Apollo Philèsios a Didyma. Mentre la tecnica criselefantina ebbe le sue affermazioni supreme con i colossi di Fidia, l'Atena Parthènos alta 12 m e lo Zeus seduto di Olimpia che ne misurava quattordici. Con l'Atena Parthènos abbiamo anche il fatto sensazionale di un'immagine costruita a spese del tesoro sociale della Lega Navale e che di fatto continuò a costituire il tesoro della città. Sappiamo infatti che parti considerevoli delle vesti d'oro della dea vennero rimosse in varie occasioni per fronteggiare i bisogni della città.
Oramai statue di personaggi reali, senza neppure quella indispensabile trasposizione sul piano eroico, appaiono sempre più frequenti in luoghi pubblici e ginnasi. Questa tradizione, appoggiata alla nascita e al fiorire del ritratto (v.) va da statue puramente idealizzate di un eroismo anonimo come quello di Armodio e Aristogitone sino alle acute indagini psicologiche delle famose immagini statuarie dei grandi tragici, oratori e filosofi della fine del V e del IV sec. a. C.
Con Alessandro si ha semmai a ritracciare il cammino opposto. Attraverso l'enorme massa di ritratti del principe è il suo volto appassionato e vibrante che viene ad essere ereditato dagli dèi e dagli eroi più giovani, Apollo, Eracle, Hermes, i Dioscuri, persino dalla Gorgone.
Le suggestive notazioni pittoriche della nuova tecnica del marmo introdotta da Prassitele unita a un nuovo spirito di pungente emozionalità erotica, sembra portare con sè un rinnovamento della presenza magica delle statue di culto. Così è forse da intendere il motivo novellistico del giovane innamorato dell'Afrodite di Cnido o tanti altri esempi di appassionato amore per una statua.
Con l'ellenismo peraltro il senso religioso che era stato il primo motore per la creazione di un'immagine statuaria si attenua sino a spegnersi quasi del tutto. Le nuove condizioni di vita, le abitudini di sontuosità tipiche della tradizione orientale portano con sè nuove necessità, la statua ornamentale da giardino o quella che doveva arricchire una sala con la prèziosità delle forme o anche con la suggestione di un pungente epigramma. Mentre d'altra parte il nascente fenomeno del collezionismo presso i dinasti ellenistici, e la crescente persuasione della grandezza incomparabile delle età trascorse conducevano a quegli strani fenomeni di ripiegamento sul passato come il neoatticismo o la raccolta di capolavori "classici" nel Mouseion di Alessandria ecc. Il cammino verso l'affievolimento di ogni capacità creativa è sempre più deciso e irreparabile quando le massicce richieste di materiale decorativo conducono alla costituzione di fiorentissime industrie di copisti.
La S. romana tipica è per noi la s.-ritratto, in un certo senso la negazione del principio di struttura organica completa in cui ogni elemento doveva sgorgare naturalmente dall'altro. L'accento è decisamente posto sul volto, il ritratto fissato a volte con spietato realismo, a volte con potente sintesi di illuminata individualità. Il corpo in generale non è che un supporto, spesso preparato a parte e con possibilità di sostituzione della testa. Si hanno quindi esempî di contrasti appena attenuati tra un volto segnato, logoro e fortemente individuale e il corpo fiorente e anonimo di un atleta o di un'Afrodite. L'uniforme anonimità della toga conferma questo singolare disinteresse per la struttura organica dell'immagine statuaria (v. romana, arte). Tipico anche l'esempio di statue trasformate in erme (v. rhoumnas).
Un curioso fenomeno di risurrezione dell'importanza magica delle statue antiche degli dèi e degli eroi può vedersi sulla fine del mondo antico, quando lo zelo della prima cristianità affermata porta alla distruzione di tante immagini antiche. Statue di divinità erano allora veramente provviste di vita demoniaca: e di conseguenza incontriamo volti di Venere segnati con una croce in fronte: oppure statue nascoste per sottrarle alla distruzione. L'odio per la s. classica-demonio continua sino a quando in pieno quattrocento i cittadini di Siena distrussero una s. di Venere seppellendone i pezzi maledetti in territorio dei rivali Fiorentini. D'altra parte nel clima più tollerante di Roma statue antiche, opportunamente trasformate e acconciate, s'incontrano sugli altari di tante chiese romane, come la S. Elena-Hera Jacobsen di S. Croce in Gerusalemme, il S. Sebastiano-Zeus seduto di S. Agnese in Agone o l'Anacreonte-San Pietro della cattedrale di Paliano.
Bibl.: J. Lange, Darstellung des Menschen in der älteren griechischen Kunst, Strasburgo 1899; id., Die Menschliche Gestalt, Strasburgo 1903; E. Benveniste, Le sens du mot Κολοσσος et les noms grecs de la statue, in Rev. de Philologie, N. S. VI, 1932, p. 118 ss.; B. Schweitzer, Studien zur Enstehung d. Porträts bei den Griechen, in Berichte der Sächs. Ak., XCI, 1939, p. 4 ss.; W. Deonna, Dédale, Parigi 1930; E. Buschor, Altsamische Standbilder, 1937, vol. I; id., Vom Sinn der griechischen Standbilder, Berlino 1942; Ch. Karouzos, Περικαλλθς Αηαλμα, Atene 1940; C. J. Herington, Athena Polias, Manchester 1955; E. Homann-Wedeking, Die Anfänge d. griech. Grossplastik, Berlino 1950; E. Buschor, Frühgriechische Jünglinge, Monaco 1950. G. Kaschnitz v. Weinberg, Kleine Schriften z. Struktur, Berlino 1965, p. 93 ss.
(E. Paribeni)
Le statue dei vincitori olimpici. - Le gare olimpiche, fondate secondo la tradizione da Eracle e certamente connesse con un primitivo culto (piuttosto che ai ludi funebri) di Pelope, ebbero, con la loro periodicità quadriennale, una importanza particolare, nella storiografia più tarda, come elemento cronologico, (v. cronologia vol. i, pp. 962 ss.). Le fonti indicavano un ordinamento delle gare date da Licurgo e Ifito, che cadrebbe nell' 884 a. C.; ma fanno poi iniziare il còmputo delle Olimpiadi da quella vinta, nella corsa, da Koroibos la cui data fu fissata, probabilmente dal sofista Ippia di Elide, al 776 a. C. Come è noto, i partecipanti alle gare dovevano essere cittadini greci (in seguito anche romani), essere liberi e non colpevoli di delitti. Sul contributo che le Olimpiadi hanno dato all'unità morale dei Greci, sia pure su base razziale più che nazionale, è stato insistito più volte da autori sia antichi che moderni. Per quanto riguarda l'ordinamento delle gare e la storia delle Olimpiadi si vedano gli accenni nella voce olimpia e la relativa bibliografia (vol. v, p. 635 s).
Delle migliaia di atleti che tra il 776 a. C. e il 393 d. C. vinsero in Olimpia una o più gare, non è arrivato a noi che il nome (talvolta incompleto) di appena 780 vincitori. Le liste, conservate in parte dalle fonti storiche e risalenti senza dubbio a elenchi ufficiali visibili a Olimpia, ci sono giunte soltanto in frammentaria tradizione, integrata da qualche dato epigrafico e da qualche papiro. Molti dei vincitori ebbero una s. celebrativa in Olimpia, e talvolta più d'una (a seconda del numero delle vittorie), ma tra tutte queste statue quelle di cui si conosca l'autore sono appena un centinaio. Nella massima parte queste statue sono ricordate da Pausania (v.). Secondo Plinio (Nat. hist., xxxiv, 16) chi aveva vinto tre volte aveva diritto a una statua "iconica" che avesse, cioè, un rapporto diretto con l'aspetto corporeo dell'atleta (v. rutratto). L'elenco delle statue di olimpionici da lui vedute (esattamente 188, di cui la metà firmate) è stato criticamente esaminato in due eccellenti lavori di W. W. Hyde. Qualche rara notizia supplementare sulle statue degli olimpionici, o sugli artefici di esse, si trae da alcuni passi della Naturalis historia di Plinio, o dalle basi, ritrovate in Olimpia, delle statue stesse: è infatti da tener presente che le statue (di cui molte in bronzo) sono quasi del tutto scomparse, mentre le basi (per lo più, in marmo) si sono in buon numero conservate.
La massima parte delle statue ricordate da Pausania appartiene al periodo che va dalla fine del VI a tutto il sec. IV a. C.: in particolare, nessuna S. di cui si conosca l'autore è attestata per il mezzo millennio, e più, che va dallo scorcio del II sec. a. C. al 393 d. C. Poiché difficilinente può trattarsi di un puro caso, se ne potrebbe dedurre che il periodo più splendido di Olimpia, almeno sotto questo riguardo, è quello che v'a dalla fine del VI sec. sino ai primi decenni dell'età ellenistica; ma occorre tener conto anche della tendenza critica classicistica, ereditata dagli scrittori di cose d'arte del tardo ellenismo che volutamente ignorava, gli artisti d'età ellenistica sottovalutandoli (v. classicismo; greca, arte).
Sarebbe molto importante, per la cronologia dei singoli artisti, poter determinare la data esatta in cui furono eseguite le singole statue: ciò in parte è possibile quando si conosca con esattezza (da Pausania o da altre fonti) la data della vittoria olimpica, ma tale data, anche se sicuramente accertata, non costituisce in genere che un terminus post quem, poiché la s. stessa poté essere eretta anche molti anni dopo la vittoria e, talvolta, persino dopo la morte dell'atleta stesso: su questo aspetto del problema, importanti le considerazioni metodologiche di P. Amandry.
La lista che segue comprende tutti gli olimpionici di cui si sappia che una s., firmata dall'artista, esisteva in Olimpia: non comprende quindi le statue di atleti, pur numerose, delle quali si ignori l'autore. Per ulteriori notizie si vedano gli articoli relativi ai singoli artisti. Gli atleti sono elencati secondo la data (sicura o probabile) della loro vittoria, in base alla lista che ne ha dato alcuni anni or sono L. Moretti (v. più avanti, Mo.). Le fonti antiche che riguardano atleti e artisti non sono qui riportate, sia perché diligentemente elencate nelle opere che in appresso vengono citate con le abbreviazioni qui elencate: sia perché discusse in questa Enciclopedia nelle voci dedicate ai singoli artisti.
A. = P. Amandrv, A propos de Polyclète ......, in Charites, Bonn 1957, pp. 63-87.
H. = W. W. Hyde, De Olympionicorum statuis a Pausania commemoratis, Halis Saxonum 1003.
H.2 = W. W. Hyde, Olymoic Victor Monuments, Washington 1921.
Ma. = J. Marcadé, Recueil des signatures de sculpteurs grecs, Parigi 1953 ss.
Mo. = L. Moretti, Olympionikai, in Mem. Acc. Lincei, ser. viii, vol. viii, 1957, pp. 57-198.
R. = C. Robert, Die Ordnung d. Olymp. Spiele..., in Hermes, xxxv, 1900, pp. 141-195.
1. - Milion, figlio di Diotimos, di Crotone, vincitore della lotta nel 540 (categoria παῖδες, 532, 528, 524, 520, 516 (categoria ἄνδρες). La statua era opera di Dameas di Crotone (vol. ii, p. 996). H.2, p. 106; Mo., n. 122; A., p. 68. Non può dirsi con certezza se la a. in suo onore sia stata eretta dopo la prima vittoria tra gli ἄνδρες (532), dopo l'ultima (516), dopo la guerra dei Crotoniati contro Sibari (510), o addirittura dopo la morte. È assai dubbio che Inschr. v. Olympia 264 sia un frammento della base della sua statua.
2. - Anochos, figlio di Adamatas, di Taranto, vincitore dello stadio nel 520 e del diaulo nello stesso anno o, al più tardi, nel 516. La s., opera di Hageladas (vol. iii, p. 1085), appartiene certo allo scorcio del sec. VI o al più tardi agli inizî del V: se gli scultori di nome Hageladas sono due, e non uno, si tratta certamente di Hageladas I. Mo., nn. 130-131.
3. - Damaretos, di Erea, vincitore dell'oplite nel 520 e 516. Ma la s., opera degli argivi Chrysothemis (vol. II, p. 571) ed Eutelidas (vol. iii, p. 547), forse discepoli di Hageladas, gli fu certo eretta più tardi, assieme a quella del figlio Theopompos I (v. oltre, n. 13).
4. - Glaukos, figlio di Demyios, di Caristo, vincitore del pugilato nel 520. La l. era opera di Glaukias (vol. iii, p. 954), ma venne eretta alquanto più tardi, forse non prima del 490, ad opera del figlio dell'atleta. Mo., n. 134; A., p. 65.
5. - Timasitheos, di Delfi, vincitore dei pancrazio in data non sicurissima (probabilmente 516 e 512, secondo Mo., nn. 140, 146). La sua s. era opera di Hageiadas I per il quale cfr. n. 2. Poiché Timasitheos morì nel 507, la sua a., anche se eretta dopo la morte, non può certamente scendere sotto il 500 a. C.
6. - Kleosthenes, figlio di Pontis, di Epidamno, vincitore della quadriga nel 516; Hageiadas I, era autore anche della sua s. (cfr. nn. 2, 5). Mo., n. 141; A., p. 69.
7. - Philon, figlio di Glaukos, di Corcyra, vincitore del pugilato nel 500 e 496. La s. era opera di Glaukias (cfr. n. 4) ed è probabilmente la più antica di questo scultore. Mo., nn. 161, 168.
8. - Hisronymos, di Andro, vincitore del pentatio in data incerta, ma in ogni caso prima del 480 (Mo., n. 173, pensa al 492 a. C.). La sua a. in Olimpia era opera di uno Stomios.
9. - Astylos, di Crotone, vincitore dello stadio e del diaulo (488), dello stadio e del diaulo (484), dello stadio, del diaulo e dell'oplite (480). La sua s. in Olimpia, opera di Pythagoras (vol. vi, p. 573) di Reggio, è probabilmente posteriore al 480: Lechat, Pythagoras, p. 15 ss.; Mo., nn. 178-179; 186-187; 196-198; 219; A., p. 71.
10. - Agiadas, di Elide, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta. Paus., vi, 10, 9 ne vide la s. in Olimpia, opera di Serambos di Egina. Poiché la scuola scultorea di Egina decadde dopo la perdita dell'indipendenza dell'isola (458 a. C.), Serambos deve essere anteriore al 458; e poiché dal 480 in poi conosciamo con sicurezza, o con alta probabilità, i nomi dei vincitori nel pugilato dei fanciulli per le varie olimpiadi, la data del 484 sembra (Mo., n. 183) la più tarda possibile per Agiadas. H., n. 103; Lippold, in Pauly-Wissowa, n, A 2, 1923, c. 1663, s. v. Serambos.
11. - Galon, figlio di Deinomenes, di Gela, vincitore della quadriga nel 488. La sua s. era opera di Glaukias (cfr. nn. 4, 7), e fu certo eretta prima del 485-4: infatti la base (Inschr. v. Olympia, 143) dichiarava Gelone cittadino di Gela, e Gelone divenne tiranno di Siracusa solo nel 485-4. Mo., n. 185.
12. - Dromeus, di Stimfalo, vincitore del dòlichos in due diverse olimpiadi di data non sicura. Secondo R., pp. 166, 177 (seguito da Mo., nn. 188; 199) le sue vittorie apparterrebbero ai 484 e 480; secondo H., n. 69, apparterrebbero invece al 460 e 456. La sua s. era opera di Pythagoras di Reggio (cfr. n. 9).
13. - Theopomphos I, figlio di Damaretos (cfr. n. 3), di Erea, vincitore due volte del pentatlo in data incerta. Secondo R., p. 118 s. (seguito da Mo., nn. 189, 200), le vittorie spetterebbero ai 484 e 480. La s. di lui, come quella del padre Damaretos, era opera di Chrysothemis ed Eutelidas argivi (cfr. n. 3).
14. - Euthymos, figlio di Astykles, di Locri Epizefiri, vincitore dei pugilato nel 484, 476 e 472. La sua s. era opera di Pythagoras di Reggio (cfr. nn. 9, 12). La base (Inschr. v. Olympia, 144) ricorda le tre vittorie olimpiche ed è quindi posteriore ai 472, come probabilmente la stessa statua. Sul rimaneggiamento della base v. da ultimo A., p. 64, n. 18; cfr. Mo., nn. 191; 214; 227.
15. - Epikradios, di Mantinea; vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta. La sua s. era opera di Ptolichos (vol. vi, p. 538) di Egina. I critici (R. p. 193 s.; H., n. 101; Mo., n. 193) sono d'accordo nel ritenere probabile, per questa vittoria, la data del 484.
16. - Mnaseas, detto Libys, di Cirene, vincitore dell'oplite in data incerta (484 ? Mo., n. 194). La s. di lui, come quella del figlio Kratiathenes (n. 24), era opera di Pythagoras di Reggio (cfr. nn. 9, 12, 14).
17. - Theogenes, figlio di Timosthenea, di Thasos, vincitore del pugilato nel 480 e del pancrazio nel 476 (Mo., nn. 201, 215). La sua s. era opera di Glaukias (cfr. nn. 4, 7, ii).
18. - Theognetos, di Egina, vincitore della lotta dei fanciulli nel 476. La sua s. era opera di Ptolichos di Egina (cfr. n. 15); Mo., n. 217.
19. - Kallas, figlio di Didymias, di Atene, vincitore del pancrazio nel 472. La sua s. era opera di Mikon ateniese (vol. iv, p. 1125). Mo., n. 228.
20. - Chionis, di Sparta, vincitore dello stadio e del diaulo nel 664, 66o, 656. La s. di lui in Olimpia, eretta circa due secoli più tardi a cura degli Spartani, era opera del grande Mirone (vol. v, p. iii) ed è forse tra le più antiche opere di questo artista (secondo H., n. 111, apparterrebbe al periodo 472-468). Sulle ragioni che indussero gli Spartani a erigere dopo tanto tempo la s. del loro concittadino, lo stesso Hyde ha una ingegnosa e assai verisimile spiegazione; cfr. anche Mo., nn. 42-43.
21. - Hieron, figlio di Deinomenea, tiranno di Siracusa, vincitore col corsiero nel 476, ancora col corsiero nel 472, con la quadriga nel 468. La statua di lui, a memoria delle tre vittorie ippiche, per la morte di Hieron stesso, fu dedicata dal figlio Deinomenes (quindi non prima del 467). Era costituita da una quadriga con auriga in bronzo, opera di Onatas (vol. v, p. 691) cui si affiancava, a ciascuno dei due lati, un corsiero con un fanciullo in groppa, opera di Kalamis (vol. iv, p. 291). Mo., nn. 221, 234, 246; A., p. 64.
22. - Diagoras, figlio di Damagetos, di Rodi, vincitore del pugilato nel 464. Della sua s., opera di Kallikles di Megara (vol. iv, p. 297), è rimasto il basamento con l'iscrizione (Inschr. v. Olympia, 151), che ha caratteri della fine dei IV secolo. Qui i critici ai dividono: alcuni ritengono che la s., e quindi Kallikles, appartenga allo scorcio del IV sec. e fosse pertanto eretta da tardi discendenti di Diagoras, altri invece pensano che la s. sia stata solo rinnovata alla fine del IV sec., ma che in realtà fosse stata eretta molto prima. Punto fermo per la cronologia di questa s. mi sembra il seguente: essa era in un gruppo di famiglia assieme a quelle dei figli di Diagoras, Damagetos (vincitore del pancrazio nei 452 e 448), Akusilaos (vincitore del pugilato nel 448) e Dorieus (vincitore del pancrazio nel 432, 428 e 424), e dei nipoti Eukles e Peisirodos (v. oltre, n. 40), vincitori in data incerta. Poiché i Diagoridi furono sterminati, a Rodi, nel 395, il gruppo di famiglia non può essere in ogni modo posteriore a questa data. Secondo alcuni (R., p. 195; E. Preuner, in Jahrbuch, xxxv, 1920, p. 62 sc.; Picard, Sculpture, iii, i, p. 158 ss.; Mo., n. 252) si potrebbe pensare a un Kallikles I, operoso verso la metà del V sec., o anche a un Kallikles II, operoso subito dopo la guerra del Peloponneso. Ma tale ipotesi è ben lungi dall'essere unanimemente accolta. Cfr. A., p. 67.
23. - Protolaos, figlio di Dialkes, di Mantinea, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (464 ? Mo., n. 256). La sua s. era opera di Pythagoras di Reggio (cfr. nn. 9, 12, 14, 16).
24. - Kyniskos, figlio di Mnaseas (cfr., n. 16), di Cirene, vincitore con la quadriga in data incerta (464 ? Mo., n. 257). La sua s., come quella del padre, era opera di Pythagoras di Reggio (cfr. nn. 9, 12, 14, 16, 23).
25. - Kyniskos, figlio di Kyniskos, di Mantinea, vincitore dei pugilato dei fanciulli in data incerta (460, secondo la grande maggioranza dei critici). Della s. di lui, opera di Policleto, abbiamo varie copie, la più nota delle quali è l'Efebo Westmacott: si tratta certamente di Policleto I (vol. vi, p. 266). mo., n. 265; A., p. 75.
26. - Leontiskos, di Measana, vincitore della lotta nel 456. La sua s. era opera di Pythagoras di Reggio (cfr. nn. 9, 12, 14, 16, 23, 24).
27. - Timanthes, di Cleone, vincitore del pancrazio nel 456 e 452. La sua s. era opera di Mirone (sopra n. 20). Mo., n. 273.
28. - Pythokles, di Elide, vincitore del pentatio nel 452. La sua s. era opera di Policleto: la base, ritrovata, reca due iscrizioni (Inschr. v. Olympia, 162, 163) con la firma dell'artista, una del v sec., una del i secolo. Secondo alcuni si tratta di Policleto i, secondo altri di Policleto ii (vol. vi, p. 298): H2., p. 211 ss.; Mo., n. 284; A., p. 75 s.
29. - Cheimon, di Argo, vincitore della lotta nel 448. La sua S. era opera di Naukydes (vol. v, p. 362) di Argo, ma poteva anche essergli stata eretta dal figlio Aristeus (sotto, n. 33) alcuni anni o decenni più tardi. Mo., n. 298.
30. - Lykeinos, di Sparta, vincitore per due volte in gare diverse. In Olimpia ne esistevano due s., opere di Mirone (Paus., vi, 2, i: in genere si dedicava una s. per ogni vittoria, cfr. H.2, p. 29). Secondo Mo., nn. 304, 324, potrebbe trattarsi di una vittoria nell'oplite (448 ?), seguita alcun tempo dopo (432 ?) da una vittoria con la quadriga.
31. - Gnathon, di Dipea, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (440 secondo R., p. 194 s.; H., n. 67; Mo., n. 314). La sua statua era opera di Kallikles (cfr. n. 22).
32. - Philippos, figlio di Azan, di Pellene, vincitore del pugilato dei fanciullo in data incerta. La sua s. era opera di Mirone (cfr. nn. 20, 30), che secondo alcuni è il più famoso scultore di questo nome (H., n. 79; H.2, p. 244 s.; Mo., n. 319, che data la vittoria al 436 circa), secondo altri è un omonimo più recente, del 300 circa a. C.
33. - Aristeus, figlio di Cheimon (v. sopra, n. 29), di Argo, vincitore del dòlichos in data incerta (420, secondo R., p. 179; Mo., n. 335). La sua a. era opera di Pantias (vol. v, p. 940) di Chio.
34. - Androsthenes, figlio di Lochaios, di Menalo, vincitore due volte del pancrazio nel 420 e probabilmente nella successiva olimpiade del 416. La sua s. era opera di Nikodamos (vol. v, p. 482). Ma., i, 85; Mo., nn. 336, 343.
35. - Amertas, di Elide, vincitore della lotta dei fanciulli in data incerta (420? Mo., n. 337). La sua s. era opera di Phradmon (vol. vi, p. 139) di Argo. Cfr. Ma., i, 88.
36. - Xenomarotos, di Coo, vincitore col corsiero in data incerta. La s., opera di Philotimos (vol. vi, p. 126) di Egina, lo raffigurava ritto presso il corsiero, in groppa al quale era (il figlio) Xenodikos, opera di Pantias di Chio (cfr. n. 33). Il nome di Pantias è l'unico indizio per datare questo gruppo (420 ?. Mo., n. 340).
37. - Nikostratos, figlio di Xenokleidas, di Erea, vincitore della lotta dei fanciulli in data incerta (416 ? Mo., n. 344). La sua s. era opera di Pantisa (cfr. nn. 33, 36).
38. - Pulydamas, figlio di Nikias, di Scotussa, vincitore del pancrazio nel 408. La sua s., opera di Lisippo (vol. iv, p. 654) è certo posteriore di alcuni decenni ed è forse tra le prime opere dello scultore, anteriore però in ogni caso alla distruzione di Scotuasa (367). Mo., n. 348.
39. - Symmachos, figlio di Aischylos, di Elide, vincitore della lotta in data incerta (404 ? Mo., n. 353). Autore della sua s. era Alypos di Sicione (vol. i, p. 293).
40. - Eukles, figlio di Kallianax, di Rodi, vincitore del pugilato in data incerta (404 ? Mo., n. 354). La sua statua era opera di Naukydes (cfr. n. 29).
41. - Baukis, di Trezene, vincitore della lotta in data incerta (400? Mo., n. 358). La sua s. era opera di Naukydes (cfr. nn. 29, 40).
42. - Antiochos, di Lepreon, vincitore del pancrazio in data incerta (400 ? Mo., n. 360). La sua s. era opera di Nikodamos (cfr. n. 34).
43. - Euthymenes, di Menalo, vincitore della lotta dei fanciulli in data incerta (400 ? Mo., n. 362), e più tardi (392 ? Mo., n. 377) nella lotta degli uomini. La sua s., opera di Alypos di Sicione (cfr. n. 39), era stata eretta in occasione della prima vittoria.
44. - Timon, figlio di Aigyptos, di Elide, vincitore della quadriga in data incerta (400 ? Mo., n. 364). Ne esistevano due s. in Olimpia, di cui una, opera di Daidablos (vol. II, p. 989), celebrava assieme a Timon anche il figlio di lui, Aisepos, vincitore nella stessa olimpiade della gara del corsiero.
45. - Eupolemos, di Elide, vincitore dello stadio nel 396. La sua s. era opera di Daidalos (cfr. n. 44). Mo., n. 367.
46. - Archedamos, figlio di Xenias, di Elide, vincitore della lotta dei fanciulli in data incerta (396? Mo., n. 369). La sua s. era opera di Alypos (cfr. nn. 39, 43).
47. - Bykelos, di Sicione, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (396 ? Mo., n. 370). La sua s. era opera di Kanachos il giovane (vol. iv, p. 310).
48. - Kyniska, figlia del re Archidamo II di Sparta, vincitrice due volte della corsa delle quadrighe in date incerte (396 e 392 ? R., p. 195; Mo., nn. 373, 38 1). Ne esistevano in Olimpia due donarî, veduti da Pausania: una piccola quadriga in bronzo che si discute se possa essere identificata con una piccola base recante la firma di Apelleas figlio di Kallikles (Inschr. v. Olympia, 634), e una quadriga più grande di cui si è ritrovata la base con la firma di Apelleas stesso (Inschr. v. Olympia, 16o). Per le questioni connesse, v. vol. i, p. 460.
49. - Neolaidas, figlio di Proxenos, di Feneo, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (392 ? Mo., n. 380). La sua ss. era opera di Alypos (cfr. nn. 39, 43, 46).
50. - Aristodamos, figlio di Thrasys, di Elide, vincitore della lotta nel 388. La sua s. era opera di Daidablos (cfr. nn. 44, 45).
51. - Antipatros, figlio di Kleinopatros, di Mileto, vincitore del pugilato dei fanciulli, con tutta probabilità nel 388 (Mo., n. 385). La sua S. era opera di Policleto II: (v. polikleitos, 4: vol. vi, p. 98).
52. - Hysmon, di Elide, vincitore del pentatlo in data incerta (394 ? Mo., n. 391). La s. era opera di Kleon di Sicione (vol. iv, p. 371).
53. - Narykidas, figlio di Damaretos, di Figalia, vincitore della lotta in data incerta (384 ? Mo., n. 392). La s. era operadi Dai dalos (cfr. nn. 44, 45, 5o).
54. - Damoxenidas, di Menalo, vincitore del pugilato in data incerta (384 ? Mo., n. 393). La sua s. era opera di Nikodamos (cfr. nn. 34, 42).
55. - Lykinos, di Erea, vincitore dello stadio dei fanciulli in data incerta (384 ? Mo., n. 394). La s. era opera di Kleon (cfr. n. 52).
56. - Alketos, figlio di Alkinos, di Kleitor, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (384 ? Mo., n. 395). Anche la sua s. era opera di Kleon (cfr. nn. 52, 55).
57. - Xenophon, figlio di Menephilos, di Aigion, vincitore del pancrazio. in data estremamente incerta (secondo H., nn. 34, 35, tra il 400 e il 360; secondo Mo., n. 400, verso il 380). Autore della sua a. era Olympos (vol. v, p. 676).
58. - Deinolochos, figlio di Pyrrhos, di Elide, vincitore dello stadio dei fanciulli in data incerta (380 ? Mo., n. 401). La s. era opera di Kleon (cfr. nn. 52, 55, 56).
59. - Hippos, di Elide, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (380 ? Mo., n. 402). La sua s. era opera di Damokritos di Sicione (vol. II, p. 998).
60. - Kritodamos, figlio di Lichas, di Kleitor, vincitore dei pugilato dei fanciulli in data incerta (376 ? Mo., n. 406). La s. era opera di Kleon (cfr. nn. 52, 55, 56, 58).
61. - Xenokles, figlio di Euthyphron, di Menalo, vincitore della lotta dei fanciulli in data assai incerta. La sua s., di cui si è ritrovata la base con la firma dell'artista (Inschr. v. Olympia, 164), era opera di Policleto. Potrebbe trattarsi di Policleto I (cosi per esempio A., p. 77), ma anche di Policleto II (Mo., n. 408, che assegna dubitativamente questa vittoria al 372).
62. - Tersilochos, di Corcyra, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta. La sua s. era opera di Policleto nel quale alcuni vedono Policleto I, altri Policleto II: propenderei (Mo., n. 409) verso questa seconda soluzione assegnando dubitativamente Thersilochos al 372.
63. - Troilos, figlio di Alkinoos, di Elide, vincitore della biga e della quadriga tratta da puledri nel 372 (Mo., nn. 412, 413). La sua s. era opera di Lisippo (cfr. n. 38).
64. - Aristion, figlio di Theophilea, di Epidauro, vincitore del pugilato in data incerta. La sua s., di cui si è ritrovata la base con l'iscrizione (Inschr. v. Olympia, 165), è opera di Policleto, secondo i più Policleto II (A., p. 77 s.; Mo., n. 415, che assegna dubitativamente la vittoria di Ariation al 368).
65. - Philandridas (? il nome è dubbio), di Stratos, vincitore del pancrazio in data assai incerta (368 ? Mo., n. 416). La sua s. era opera di Lisippo (cfr. nn. 38, 63).
66. - Xenon, figlio di Kalliteles, di Lepreon, vincitore dello stadio dei fanciulli in data estremamente incerta. La sua s. olimpica era opera di Pyrilampel (vol. vi, p. 572) di Messene, posteriore quindi in ogni caso alla ricostituzione dello stato messenico: secondo H. n. 24 e Mo., n. 426, questo scultore apparterrebbe a data non lontana dal 360 circa; ma potrebbe in verità essere anche molto più tardo, del I sec. a. C., se dovesse identificarsi con uno scultore Pyrilampos di Messene (Inschr. v. Olympia, 400), fiorito appunto in quel periodo.
67. - Agenor, figlio di Theopompos, di Tebe, vincitore della lotta dei fanciulli in data assai incerta. La sua s. olimpica era opera di Policleto II. Mo., n. 427 (che lo assegna dubitativamente al 360 circa).
68. - Pyrilampes, di Efeso, vincitore dei dòlichos in data estremamente incerta (Mo., n. 431). La sua s. era opera di Pyrilampes di Messene (cfr. n. 66).
69. - Damaretos, di Messene, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta, ma in ogni caso dopo la ricostituzione dello stato messenico. Mo., n. 448, lo assegna dubitativamente al 344 circa. La sua a. era opera di Silanion ateniese.
70. - Kallikrates, di Magnesia al Meandro, vincitore due volte dell'oplite in date incerte (344 e 340? Mo., nn. 449, 454). La sua s. era opera di Lisippo (cfr. nn. 38, 63, 65).
71. - Asamon, di Elide, vincitore del pugilato in data estremamente incerta (Mo., n. 453). La sua s. era opera di Pyrilampes di Messene (cfr. nn. 66, 68).
72. - Telestar, di Messene, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (340? Mo., n. 453). La sua s. era opera di Silanion (cfr. n. 69).
73. - Cheilon, figlio di Cheilon, di Patrai, vincitore per due volte della lotta in date incerte, ma molto probabilmente nel 332 e 328 (Mo., nn. 461, 465). La sua s., di Lisippo (cfr. nn. 38, 63, 65, 70), fu fatta erigere dagli Achei dopo la morte dell'atleta in guerra (si tratta probabilmente della guerra di Lamia, 322 a. C.): dovrebbe quindi essere una delle opere più tarde di questo scultore.
74. - Satyros, figlio di Lysianax, di Elide, vincitore per due volte del pugilato in date incerte (Mo., nn. 462, 466), ma molto probabilmente nel 344 e 340 oppure nel 332 e 328. La sua s. era opera di Silanion (cfr. nn. 69, 72).
75. - Douris, di Samo, vincitore del pugilato dei fanciulli, probabilmente nel 324 (Mo., n. 471). La s. di Douris (che e il noto storico ellenistico), era opera di un altrimenti ignoto Hippias (vol. iv, p. 38).
76. - Pyttalos, figlio di Lampis, di Elide, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (320? Mo., n. 476). La sua s. era opera di Sthennis di Olinto.
77. - Choirilos, di Elide, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (316? Mo., n. 480). Anche la sua a. era opera di Sthenniis di Olinto.
78. - Alexibios di Erea, vincitore del pentatlo in data incerta (312? Mo., n. 483). La sua statua era opera di Akestor (vol. i, p. 181).
79. - Thaotimos, figlio di Moschion, di Elide, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (308? Mo., n. 489). La sua s. era opera di Daitondas di Sicione (vol. II, p. 991).
80. - Nikandros, di Elide, vincitore due volte del diaulo in date incerte (304 e 300? Mo., nn. 494, 501). La sua s. era opera di Daippos (vol. II, p. 991).
81. - Kallon, figlio di Harmodios, di Elide, vincitore del pugilato dei fanciulli in data incerta (304? Mo., n. 497). La sua s. era opera di Daippos (cfr. n. 80).
82. - Timosthenes, di Elide, vincitore dello stadio dei fanciulli in data incerta (300? Mo., n. 505). La sua s. era opera di Euthychides (vol. iii, p. 554).
83. - Telemachos, figlio di Telemachos, di Elide, vincitore della gara delle quadrighe in data incerta. L'iscrizione della base, conservatasi (Inschr. v. Olympia, 177), ricorda il nome dell'artista, Philonides (vol. vi, p. 126). Per i caratteri epigrafici dell'iscrizione, la vittoria di Telemachos potrebbe appartenere agli inizî del iii sec. (Mo., n. 531).
84. - Kratinos, di Aigeira, vincitore della lotta dei fanciulli in data incerta (272? Mo., n. 541). La sua s. era opera di Kantharos di Sicione (vol. IV, p. 313).
85. - Alexinikos, di Elide, vincitore della lotta dei fanciulli in data incerta (268? Mo., n. 544). La sua s. era opera di Kantharos di Sicione (cfr. n. 84).
86. - Gorgos, figlio di Eukletos, di Messene, vincitore del pentatlo in data incerta (232? Mo., n. 573); nel 218 fece parte di una ambasciata che i Messeni inviarono a Filippo V di Macedonia. La sua s. era opera di Theron di Beozia.
87. - Damokrates, figlio di Hegetor, di Tenedo, vincitore della lotta in data incerta (204? Mo., n. 596). La a. era opera di Dionysikles di Mileto (vol. iii, p. 117).
88. - Epitherses, figlio di Metrodoros, di Eritre, vincitore due volte del pugilato in date incerte, ma assai probabilmente nel 184 e 18o (Mo., nn. 61o, 612). La sua s. era opera di Pythokritos (vol. vi, p. 579) di Rodi.
89. - Lysippos, di Elide, vincitore della lotta dei fanciulli in data incerta (164? Mo., n. 621). La sua s. era opera di Andreas argivo (vol. i, p. 360).
90. - Amyntas, figlio di Hellanikos, di Ereso, vincitore del pancrazio dei fanciulli in data incerta (Mo., n. 632), ma in ogni caso posteriore al 200 a. C. (introduzione di quella gara in Olimpia). La sua s. era opera di Polykles (vol. vi, p. 298) ateniese che deve essere identificato con l'omonimo a. C. Cfr. scultore ateniese ricordato da Plin., Nat. hist., xxxiv, 52, attorno al 156. Ma., ii, 108.
91. - Agesarchos, figlio di mestratos, di Tritea, vincitore del pugilato in data incerta (120? Mo., n. 649). La sua s. era opera di Timarchides e Timokles, figli di Polykles (cfr. n. 90). Ma., ii, 131.
92. - Angelas, di Chio, vincitore del pugilato dei fanciulli in data ignota (Mo., n. 950). Autore della S. era Theomnestos di Sardi, di data ignota, posteriore però in ogni caso ad Alessandro Magno.
93. - Chaireas, figlio di Chairemon, di Sicione, vincitore del pugilato dei fanciulli in data ignota (Mo., n. 954). La sua s., opera di un ignoto Asterion (vol. i, p. 750) e posteriore in ogni caso a quella di Bykelos (v. sopra, n. 47).
94. - Kriannius, di Elide, vincitore dell'oplite in data ignota (Mo., n. 969). La sua s. era opera di Lisos di Macedonia (vol. iv, p. 753).
95. - Philles, di Elide, vincitore della lotta dei fanciulli in data ignota (Mo., n. 975). Paus., VI, 9, 4, ne vide la a. in Olimpia, opera di Kratinos spaltano, altrimenti sconosciuto.
96. - Prokles, figlio di Lykastidas, di Andro, vincitore della lotta dei fanciulli in data ignota. La s. era opera di un altrimenti ignoto Somis di Elide (v. sopra p. 404): è estremamente dubbia la identificazione di questo scultore con Domis (vol. iii, p. 165), operoso a Delfi nella seconda metà del sec. vi.
(L. Moretti)