Status di rifugiato: 60 anni di storia
Sono ormai passati 60 anni da quel 28 luglio 1951 in cui nella città elvetica di Ginevra fu firmata la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei rifugiati, che sarebbe però entrata in vigore solo nell’aprile 1954.
A oggi sono 148 gli Stati firmatari della convenzione, che stabilisce all’articolo 1 la definizione attualmente vigente di ‘rifugiato’ e sancisce, tra l’altro, le responsabilità degli Stati aderenti – per esempio quella di cooperare con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – e i diritti dei rifugiati stessi, tra cui quelli di non essere rimpatriati a forza e di non incorrere nelle eventuali pene previste per il reato di immigrazione clandestina, qualora quest’ultimo esista nei paesi d’arrivo.
La convenzione non ha oggi limitazioni geografiche: nel 1967 un protocollo addizionale ha infatti rimosso quelle contenute nella versione originaria del documento, volto a proteggere i numerosi rifugiati di epoca bellica ancora presenti sul suolo europeo a sei anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. All’epoca l’Europa era il ‘continente dei rifugiati’ per eccellenza, per effetto dei massicci esodi causati da guerre, rivoluzioni, dittature e pulizie etniche nella prima metà del secolo. Alla fine della Prima guerra mondiale, l’esploratore norvegese Fridtjof Nansen (1861-1930, premio Nobel per la pace nel 1922); divenuto primo Alto commissario per i rifugiati, al servizio della Società delle Nazioni, aveva introdotto il cosiddetto ‘passaporto Nansen’, un documento d’identità internazionalmente riconosciuto riservato ai rifugiati sprovvisti di qualsiasi cittadinanza, di fatto il primo a sanzionare legalmente, a livello internazionale, lo status di rifugiato. Ciò significava che il problema costituito dai rifugiati si era ‘internazionalizzato’, mentre nei decenni precedenti era rimasto pressoché circoscritto all’impero ottomano.
Dopo la Seconda guerra mondiale il problema costituito dai rifugiati – il cui numero nel 1945 ammontava a decine di milioni solo in Europa – venne affrontato da un’istituzione creata ad hoc, l’Organizzazione internazionale per i rifugiati (IRO, International Refugee Organization), che operò tra il 1946 e il 1952 per essere poi rimpiazzata dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR, United Nations High Commissioner for Refugees) tuttora esistente. Quest’ultimo, operando sulla base della convenzione del 1951, nella seconda metà del 20° secolo è stato attivo soprattutto in Africa e in Asia, dove un notevole numero di episodi di migrazione forzata è stato causato dalle guerre e dalle rivoluzioni che hanno accompagnato il processo di decolonizzazione e la nascita di decine di nuovi Stati indipendenti.
La convenzione del 1951 non ha lo scopo di regolare i fenomeni di migrazione economica, ma è spesso difficile separare questi ultimi da quelli aventi motivazioni di altro genere, con la possibile eccezione delle situazioni belliche o rivoluzionarie. Anche fra i migranti economici propriamente detti sono infatti spesso fortemente rappresentate quelle minoranze che, in patria, vengono discriminate in maniera più o meno aperta; gli ebrei erano, per esempio, numerosi fra gli emigranti partiti dall’impero zarista alla fine del 19° secolo, e i curdi fra i cosiddetti ‘lavoratori ospiti’ (Gastarbeiter) giunti in Germania dalla Turchia nella seconda metà del Novecento.
Occorre infine ricordare come la convenzione del 1951 non obblighi gli Stati contraenti a concedere asilo ai rifugiati in via permanente: in teoria ci si aspetta che essi vengano rimpatriati appena possibile, anche se la storia dimostra che questo accade solo in alcuni casi. Più frequente è infatti l’eventualità che i rifugiati trovino una sistemazione nel paese d’arrivo o in un altro ancora; la maggior parte dei rifugiati europei dell’epoca successiva alla Seconda guerra mondiale, per esempio, finì con lo stabilirsi, se non nei paesi dov’erano situati i campi profughi, in Stati ‘terzi’ come Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e Israele.
Infine, la convenzione non ‘copre’ alcune categorie di persone, come i criminali di guerra e coloro che sono responsabili di gravi delitti comuni (non politici) commessi al di fuori del territorio del paese cui chiedono asilo.
Le convenzioni di Ginevra
Nella città svizzera sono state firmate diverse convenzioni di diritto internazionale umanitario. A revisione di precedenti accordi, nel 1949 furono stipulate le quattro convenzioni che definiscono tuttora i comportamenti bellici ‘accettabili’ (ius in bello nel linguaggio giuridico internazionale): gli Stati contraenti si impegnano a riservare un determinato trattamento minimo ai prigionieri di guerra, ai feriti e malati delle forze armate di terra, ai feriti, malati e naufraghi delle forze navali e ad assicurare una adeguata protezione ai civili in tempo di guerra. La convenzione sullo status dei rifugiati del 1951 è stata successivamente integrata da un protocollo aggiuntivo; ai sensi di tale disposizione, per rifugiato si intende la persona che si trova fuori del paese di cui è cittadino, temendo di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, e che non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di quel paese.