STAVELOT
(fiammingo Stablo; Stabelaco, Stabulaus nei docc. medievali)
Cittadina del Belgio orientale, in provincia di Liegi (dip. Verviers), disposta ad anfiteatro sul versante settentrionale di una collina, ai piedi della quale scorre il fiume Amblève.Gli studiosi sembrano attualmente d'accordo sull'etimologia del nome - dal lat. stabulum 'luogo in cui si soggiorna, stalla, scuderia o stazione di cambio dei cavalli', - mentre sull'origine della località le opinioni sono divergenti, in particolare se essa esistesse prima dell'arrivo di s. Remaclo, fondatore nel sec. 7° di un'abbazia sulle rive dell'Amblève.La documentazione storica relativa alle vicende dell'abbazia, dalla sua fondazione intorno al 650 fino allo scioglimento all'epoca della Rivoluzione francese, è piuttosto abbondante. I documenti ufficiali (carte, diplomi, bolle papali), accuratamente copiati dai religiosi del monastero al pari di molte cronache redatte in epoche differenti, sono attualmente dispersi in diversi fondi, il principale dei quali è conservato negli Arch. de l'Etat di Liegi; un'importante raccolta si trova inoltre nella Bibl. Royale di Bruxelles.La documentazione iconografica è invece relativamente recente, giacché le più antiche vedute di S., opera di Charles de Beaurieux (Spa, Mus. de la Ville d'Eaux), risalgono solo alla fine del 17° secolo. La tradizione, ma anche l'assenza di testimonianze storiche o archeologiche anteriori al sec. 7°, fanno risalire l'origine della città all'arrivo di s. Remaclo. Sulle proprietà del re d'Austrasia Sigeberto III (635-656), figlio di Dagoberto I (m. nel 639), Remaclo fondò in un primo tempo l'abbazia di Malmedy, intorno al 648, e due anni più tardi quella di S., dove fissò la residenza principale degli abati. Le due comunità costituirono un'abbazia doppia, sempre governata da un solo abate e dipendente direttamente dal sovrano; ufficialmente, se non sempre nei fatti, essa conservò questo status di abbazia reale fino alla Rivoluzione.I primi insediamenti monastici consistevano probabilmente in costruzioni di legno, tra cui una delle più importanti doveva essere l'oratorio di Saint-Martin, menzionato nei documenti. L'oratorio venne rapidamente sostituito da una prima chiesa dedicata ai ss. Pietro e Paolo e consacrata nel 685, dopo la morte del fondatore, che vi ricevette una sepoltura 'onorifica'. Fino a oggi non è stata rinvenuta alcuna testimonianza archeologica di queste prime costruzioni.Il territorio concesso all'abbazia andò notevolmente estendendosi nel corso dei secc. 7° e 8°; nello stesso periodo si sviluppò il culto di s. Remaclo, che ebbe il suo apogeo tra il 9° e l'11° secolo. Alla fine del sec. 9° i Normanni saccheggiarono e incendiarono l'abbazia; di ritorno dall'esilio, i monaci avrebbero in qualche modo riparato i loro edifici prima che l'abate Odilone (938-954) avviasse la ricostruzione del monasterium. Quando nel 962 Ottone I fu incoronato dal papa imperatore del Sacro romano impero, la fondazione di s. Remaclo divenne abbazia imperiale della Bassa Lotaringia, centro del principato di S.-Malmedy, in cui l'autorità era rappresentata dall'abate, che portava il titolo di principe dell'impero. Al suo arrivo, nel 1021, l'abate Poppone, fedele al movimento di riforma religiosa iniziato da Riccardo, abate di Saint-Vanne a Verdun, ripristinò la disciplina monastica e fece di S. il centro di un'importante corrente spirituale. A S. egli avviò la costruzione di una grande chiesa di pellegrinaggio, il cui impianto si conservò fino al principio del 19° secolo. Nel sec. 12°, l'abate Vibaldo (v.; 1130-1158) dotò il tesoro dell'abbazia delle sue più prestigiose oreficerie.Nei secoli che seguirono, la città fu più volte incendiata, in particolare nel 1236 e nel 1336; l'abbaziale fu distrutta dalle truppe di Massimiliano d'Asburgo nel 1480. Al principio del sec. 16° l'abate Guglielmo di Manderscheidt iniziò la ricostruzione dell'abbaziale in stile gotico; tra il 1744 e il 1782, i monaci avviarono la ricostruzione del loro monastero in stile classico. Al principio del sec. 19°, il complesso degli edifici religiosi fu venduto come proprietà nazionale; l'abbaziale fu completamente demolita, tranne la torre d'accesso, e l'abbazia fu trasformata in abitazioni private.Dell'epoca medievale non rimane a S. che la piccola cappella di Saint-Laurent. Anticamente detta converserie di Saint-Laurent, questa cappella era riservata ai lebbrosi e, per questa ragione, collocata al di fuori della cinta muraria della città. Si tratta di una piccola chiesa 'a sala', romanica, consacrata nel 1030, composta da un'unica navata chiusa a E da un'abside leggermente più stretta, a terminazione rettilinea; il portale di ingresso è del 16° secolo.Gli scavi archeologici condotti a partire dal 1977 sul sito dell'antica abbaziale hanno messo in luce i resti di due diversi edifici religiosi. Il più esteso, con una lunghezza di oltre m 100, fu costruito nel sec. 11° dall'abate Poppone e rivela una pianta decisamente atipica per la regione, in quanto combina elementi importati dalle grandi chiese di pellegrinaggio francesi con la tradizione germanica locale. Così, la presenza di un deambulatorio continuo - le navatelle proseguono in un deambulatorio intorno al transetto e al coro - riflette l'influenza delle prime, mentre la presenza di una cripta esterna (un vasto volume ribassato che conclude l'edificio a E) rivela la fedeltà all'architettura ottoniana della regione mosana. La costruzione dell'edificio in base a una serie di moduli riflette la qualità dell'ideazione del progetto e l'ambizione del suo fondatore: la superficie della navata corrisponde a quella del transetto; la cripta, della stessa larghezza del corpo longitudinale, si inscrive esattamente nel suo prolungamento orientale. La navata centrale era separata dalle navatelle da massicci pilastri cruciformi; il pavimento era costituito da grandi lastre di scisto. All'incrocio del transetto, il coro dei monaci, lastricato con terrecotte verniciate, era collocato a un livello inferiore di cm 15 rispetto al resto della chiesa, isolato a N e a S da muretti, a O probabilmente da un cancello. Il presbiterio rialzato era separato dal deambulatorio mediante delle colonne. Due corridoi in lieve pendenza conducevano dal transetto alla cripta, parzialmente interrata (m 1,20), divisa in cinque navate, ciascuna chiusa da un'absidiola a terminazione piana che conteneva un altare; la cripta ospitava al centro la tomba di s. Poppone. Nel sec. 12° magnifiche vetrate ornavano i finestroni della chiesa; anche la pavimentazione era molto ricca, costituita da terrecotte smaltate e mosaici in pietra.La ricostruzione in stile gotico del sec. 16° conservò la stessa pianta, giacché il nuovo edificio fu direttamente impiantato sulla base dei muri romanici. La torre d'ingresso, sola testimonianza attualmente conservata dell'abbaziale, risale a questa ricostruzione.I resti di una chiesa attribuita all'abate Odilone, ritrovati direttamente al di sotto di quest'edificio, permettono di ricostruire una struttura rudimentale - a navata unica molto allungata, chiusa a E da un'abside leggermente più stretta - dalla decorazione essenziale, con muri intonacati e pavimentazione di malta sopraelevata nella metà occidentale della navata. Questa semplicità doveva contrastare con la ricchezza della decorazione absidale, come testimonia il rinvenimento di tessere musive d'oro.La produzione artistica dell'abbazia fu particolarmente abbondante nel sec. 11° e soprattutto nel successivo. All'interno della ricca collezione di manoscritti provenienti dal suo scriptorium, la Bibbia di S., in due volumi (Londra, BL, Add. Ms 28106-28107), costituisce incontestabilmente il capolavoro; precisamente datata (1097) e firmata da Goderannus, autore anche della Bibbia di Lobbes (Tournai, Grand Séminaire, 1), e da un certo Ernesto, sembra, in seguito a un esame approfondito, essere opera di quattro o cinque mani differenti. La Bibbia di S. è un'opera molto innovativa, in particolare per la decisa evoluzione in direzione di una decorazione più pittorica delle iniziali e particolarmente di quelle istoriate, che diventano veri e propri quadri.Le opere attribuite al mecenatismo dell'abate Vibaldo sono di qualità eccezionale. La testa-reliquiario di papa Alessandro I (1145; Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire), in argento sbalzato, poggiante su uno zoccolo quadrangolare di rame dorato ornato di placche smaltate e di cabochons, ne costituisce uno dei primi esempi. L'aspetto altero di questo volto sembra improntato alla statuaria imperiale romana, mentre gli smalti, per la ricchezza e la straordinaria gradazione dei colori, testimoniano l'abilità degli orafi renanomosani della prima metà del 12° secolo.Un disegno molto dettagliato del 1666 e alcuni scarsi frammenti sono attualmente le sole vestigia del grande retablo commissionato da Vibaldo e probabilmente distrutto dagli stessi monaci. Realizzato in onore di s. Remaclo e destinato a ospitare un reliquiario anch'esso scomparso, illustrava la Redenzione, uno dei temi teologici più cari all'abate. I registri inferiori presentavano gli episodi più significativi della Vita di s. Remaclo, come simbolo della vita terrena, mentre la parte superiore, dominata dalla figura di Cristo benedicente inscritta in un timpano, evocava il paradiso. Due piccoli medaglioni in smalto champlevé sono scampati alla distruzione dell'opera: su uno di questi, raffigurante l'Operatio (Berlino, Staatl. Mus., Kunstgewerbemus.), è rappresentato un elegante angelo, dai tratti delicati e dal drappeggio modellato morbidamente e con grande varietà di colori. Questo medaglione, come anche il suo pendant, Fides-Baptismus (Francoforte sul Meno, Mus. für Kunsthandwerk), attesta l'alto livello qualitativo delle manifatture di Stavelot.Anche il trittico-reliquiario della Vera Croce, conservato a New York (Pierp. Morgan Lib.), deve essere attribuito alla munificenza di Vibaldo. Si tratta di un trittico di produzione mosana, in legno ricoperto da placche di rame dorato e smaltato (ca. 1155), che racchiude due piccoli reliquiari bizantini, fissati sul pannello centrale e probabilmente riportati dall'abate al ritorno da uno dei suoi viaggi. Notevoli sono i sei medaglioni smaltati che ornano le ante, con la Leggenda della scoperta della Vera Croce.L'altare portatile di S. (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire) è probabilmente di poco posteriore (ca. 1165) e potrebbe essere stato commissionato dal successore di Vibaldo, suo fratello Erlebaldo. Si tratta di un piccolo altare rettangolare con zoccolo e cornice sporgenti, sostenuto agli angoli da quattro statuette di bronzo dorato raffiguranti gli evangelisti in atteggiamenti individualizzati e vivaci, che rimandano al fonte battesimale di Saint-Barthélemy a Liegi. La struttura dell'opera, con un quadrilobo al centro della tavola, i temi illustrati (la Crocifissione, la Chiesa trionfante, la Sinagoga ribelle), ma anche la ricchezza dei colori degli smalti, evocano in modo straordinario la vetrata della Redenzione della cattredrale di Châlons-sur-Marne.Il retablo della Pentecoste, detto anche di Coblenza (ca. 1160-1170; Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny), sembra anch'esso provenire dall'abbazia di Stavelot. Quest'opera, di grandi dimensioni, in rame sbalzato e dorato, si differenzia da altri esemplari precedenti per l'assenza di policromia: gli smalti conservati non sembrano infatti far parte del programma originale. Il retablo si presenta come un vasto rettangolo, coronato al centro da una lunetta sulla quale spicca la figura di Cristo benedicente. Nel registro inferiore, gli apostoli seduti, disposti a coppie e separati da colonnette, sono a bassorilievo ed emergono solo i volti, tipicamente mosani.Nel corso di recenti scavi, all'interno della tomba del principe-abate Vibaldo è stato ritrovato il nodo di un pastorale, realizzato in smalti champlevés; si tratta di una sfera schiacciata decorata con un motivo a scaglie intrecciate, vivacemente colorate di bianco, blu, giallo e verde; due anelli d'oro, con iscrizione incisa, congiungono il nodo all'asta. L'analisi epigrafica e quella degli smalti permettono di datare quest'oggetto al terzo quarto del 12° secolo.La chiesa parrocchiale di Saint-Sébastien (sec. 18°) conserva un importante tesoro, in parte proveniente dall'antica abbazia, che comprende tra l'altro la cassa-reliquiario di s. Remaclo, attualmente visibile nel coro della chiesa. Realizzata tra il 1220-1240 e il 1268, in rame e argento dorato, con alcuni dettagli impreziositi da smalti e vernici brune, si presenta come un sarcofago o come un edificio in miniatura con i fianchi e i timpani decorati da una serie di statuette: il Cristo e una Sedes Sapientiae nei timpani, i dodici apostoli, S. Lamberto e S. Remaclo lungo i fianchi, episodi evangelici negli spioventi della copertura.
Bibl.: F. Baix, Etude sur l'abbaye et principauté de Stavelot-Malmédy, I, L'abbaye royale et bénédictine (des origines à l'avènement de S. Poppon, 1021), Charleroi 1924 (rist. anast. Bruxelles 1981); Trésors des abbayes de Stavelot-Malmedy et dépendances, cat. (Stavelot 1965), Liège 1965; L.F. Genicot, Un "cas" de l'architecture mosane: l'ancienne abbatiale de Stavelot. Contribution à l'étude de la grande architecture ottonienne disparue du pays mosan, Bulletin de la Commission royale des monuments historiques et des sites 17, 1967-1968, pp. 71-140; Wibald, abbé de Stavelot-Malmédy et de Corvey (1130-1158), a cura di J. Stiennon, J. Deckers, cat., Stavelot 1982; L'ancienne abbaye de Stavelot et les fouilles de l'église abbatiale, in L'archéologie en région wallonne 1980-1990, Dossier de la Commission royale des monuments, sites et fouilles 1, 1993, pp. 89-92; B. Neuray, Stavelot, les abbatiales, in Le patrimoine archéologique de Wallonie, Namur 1997.