SPAZIALE, STAZIONE
Per s.s. s'intende un corpo (o, assai più spesso, un sistema di corpi) posto in orbita intorno alla Terra, dotato di attrezzature e volume sufficienti per consentire un'occupazione di lunga durata, o addirittura permanente, da parte di equipaggi umani. Come per tutto quel che riguarda lo spazio, i costi inerenti alla costruzione e all'esercizio di una s.s. sono estremamente elevati: è necessario quindi esaminare le ragioni che possono giustificare il grosso sforzo socio-economico a essa connesso, e confrontarle con le difficoltà che si frappongono alla sua costruzione e messa in orbita.
Motivazioni per la stazione spaziale. - Vi è anzitutto una motivazione di grande valore scientifico, cioè il desiderio di migliorare le attuali conoscenze astronomiche. Quest'affermazione può apparire stupefacente a un osservatore superficiale, ma si tratta in realtà di una circostanza del massimo interesse. Ne è prova il fatto che gli Stati Uniti hanno condotto in anni recenti grossi programmi come quello dell'OAO (Orbiting Astronomical Observatory) e, ancora più di recente, quello del telescopio orbitante Hubble, cui ha corrisposto un enorme impegno finanziario e organizzativo. L'interesse in questo campo non è puramente platonico o teorico, in quanto dalla migliore conoscenza dei corpi celesti, e dei pianeti in particolare, ci si aspetta la possibilità di progredire nella conoscenza della storia dell'universo, e di ottenere informazioni capaci di migliorare la qualità dell'ambiente terrestre. Rispetto alle osservazioni da Terra, l'osservazione da orbita ha l'incalcolabile vantaggio di eliminare gli errori associati alla presenza dell'atmosfera, come ha dimostrato appunto il grande telescopio spaziale Hubble (v. spazio, Esplorazione dello, in questa Appendice).
Ed è questo un altro punto importantissimo: si sono varati da tempo, e si stanno varando, vari Progetti Terra, il cui scopo è quello di un'osservazione continua della superficie e dell'atmosfera del pianeta, per ottenerne un continuo monitoraggio e informazioni utili al miglioramento delle condizioni ambientali. È vero che queste funzioni potrebbero essere assolte dal carico pagante di uno o più satelliti artificiali, certamente meno costosi e complicati di una s.s.; si deve però sottolineare che il controllo, la libertà di scelta e di modifica dei programmi da parte dell'uomo non sono minimamente confrontabili con quelli di un qualunque sistema automatico, rispetto al quale l'uomo ha, in più, la volontà. È da valutare poi, come è ovvio, la grande differenza associata alla durata e alla continuità delle osservazioni. Anche l'esplorazione planetaria si attende notevoli benefici dall'uso delle s. spaziali. Infatti, la partenza da una s.s. lontana dalla Terra richiede un impegno energetico inferiore a quello necessario per la partenza dalla Terra. Sta di contro che portare la sonda destinata all'esplorazione del pianeta fino alla s.s., e preparare il lancio dalla stazione stessa, sono operazioni che, oltre a essere costose, potrebbero risultare complicate anche a causa dell'ambiente in cui si svolgono. Va però considerato che tali difficoltà si avrebbero solo per i primi lanci; a lungo andare, non soltanto si ammortizzerebbero i costi d'impianto, ma si acquisirebbero anche l'addestramento, la tecnologia e la dimestichezza necessari al nuovo modo di lancio. Sta comunque il fatto che attualmente le grandi potenze spaziali stanno pensando assai seriamente a questo impiego, che è anzi uno dei principali obiettivi delle future stazioni.
Un altro importante obiettivo consegue dalla circostanza che in orbita ci si trova in condizioni di gravità zero (più esattamente, zero in un punto, quasi zero negli altri; v. anche microgravità, in questa Appendice) e che quindi alcuni fenomeni fisici vengono a essere fondamentalmente modificati. Per es., il meccanismo della miscibilità tra liquidi diversi avviene in modo tale che due liquidi non miscibili a Terra possono invece entrare in soluzione nello spazio: questo ha dato luogo a grandi speranze di miglioramento e riduzione dei costi di produzione di leghe metalliche o addirittura dell'ottenimento di leghe metalliche fino a oggi sconosciute. Anche i meccanismi di separazione di fasi diverse risentono in modo positivo della condizione di gravità zero, e questa proprietà trova applicazione, per es., nella preparazione di prodotti chimici e, in particolare, nell'elettroforesi. Si deve però osservare che, per varie ragioni, l'entusiasmo con cui si era pensato a tali possibilità va gradualmente raffreddandosi.
Strettamente collegato al punto precedente è il problema della formazione e della crescita dei cristalli da materiale fuso. Alcune esperienze, prodotte in particolare sullo Skylab, hanno dimostrato che in condizioni di microgravità: a) la macrosegregazione in fase liquida (da cui si ottiene il cristallo) può essere controllata; b) la microsegregazione dovuta alla fluttuazione della velocità di accrescimento dei cristalli può essere eliminata, rendendo possibile una migliore uniformità; c) è possibile il trattamento di cristalli senza contenitore, il che dà luogo a prodotti estremamente piani ed essenzialmente con assai meno difetti di quelli prodotti sulla Terra.
Tutte queste possibilità appartengono piuttosto al futuro; esse sarebbero infatti giustificate solo se condotte su scala industriale, e quindi con grossi impianti e grandi spazi disponibili. Sarebbe necessario in tutti i casi un coordinamento con le attività della stazione. Vi è già un esempio in proposito: nel 1993 una ditta statunitense ha firmato un contratto con l'agenzia spaziale russa avente per oggetto la possibilità di realizzare esperienze di crescita cristallina (a fini biologici) a bordo della stazione russa Mir. I campioni trattati, per ragioni che non sono note, dovevano essere riportati a Terra immediatamente (al massimo nel giro di un mese e mezzo), il che ha richiesto una modifica nei piani di volo della stazione Mir per riportare sulla Terra una parte dell'equipaggio insieme ai campioni trattati, a mezzo di una capsula speciale Raduga. Si può immaginare la grande quantità di problemi organizzativi che nascerebbero per una produzione di massa. Da considerare inoltre le necessità, anche sociali, che comporterebbe una lunga permanenza di una popolazione numerosa. A proposito della microgravità, c'è poi da osservare che per raggiungerla la stazione non è necessaria.
Esistono infine altri motivi di ordine politico e, soprattutto, militare, di cui si conosce l'esistenza ma non la natura. Ma, forse, alla base di tutto c'è il desiderio inarrestabile insito nell'uomo di nuove conquiste e di nuove esperienze.
I problemi delle stazioni spaziali. - Il problema principale per la realizzazione di una s.s. è rappresentato certamente dal suo costo. Probabilmente non esistono nella tecnologia moderna imprese a costo così elevato, e anche le altre attività spaziali, come per es. l'esplorazione dei pianeti (v. spazio, Esplorazione dello, in questa Appendice), i cui oneri si misurano in centinaia di milioni, e talvolta in miliardi di dollari, hanno costi che non sono paragonabili a quelli della s. spaziale. Va pure considerato che, nel caso attuale, si tratta di una spesa d'investimento, ma la spesa di esercizio non sarebbe comunque indifferente, se solo si pensi agli oneri pesantissimi associati ai lanci necessari al raggiungimento della s.s. da parte di vettori destinati ai rifornimenti, agli equipaggi, alle sostituzioni di elementi. Dal punto di vista della costruzione, la formula, che è stata già applicata e che lo sarà sempre di più in futuro, è quella modulare, consistente nell'invio in orbita di elementi prefabbricati, da montare come i pezzi di un gigantesco meccano. Di solito i progetti prevedono il lancio di un primo elemento di base, senza equipaggio, seguito, dopo due o tre settimane, da un altro lancio con gli astronauti (o cosmonauti, secondo la dizione russa), che cominciano il montaggio della stazione. I successivi moduli vengono lanciati più tardi, a distanza di mesi o di anni (v. oltre la storia della Mir), e naturalmente, la stazione può essere ingrandita quanto si vuole.
Per tutte queste operazioni bisogna ovviamente disporre di vettori affidabili, a costo ragionevolmente limitato e in quantità notevole. È perciò necessaria un'industria dei lanciatori che collabori strettamente con le autorità della stazione. Altro problema importante, anche se oggi praticamente risolto, sta nelle difficoltà concernenti sia le fasi di aggancio dei successivi pezzi della stazione e dei vari veicoli di rifornimento, sia le sostituzioni. Alcune difficoltà ancora da superare riguardano il modo e le manovre di accostamento, effettuate mediante piccoli motori a getto i cui scarichi, diffondendosi nello spazio, possono danneggiare le strutture della stazione: altri eventi accidentali, come per es. la fuoriuscita di propellente, vanno prontamente fronteggiati. Si può comunque affermare che tutte queste fasi sono oggi saldamente in mano agli operatori.
Per ultimi, ma non in ordine d'importanza, bisogna ricordare i problemi fisiologici connessi con la lunga permanenza in orbita. Le fasi di EVA (Extra Vehicular Activity), consistenti nella fuoriuscita di membri dell'equipaggio per procedere a piccoli lavori di manutenzione e ispezione, di durata non superiore alle 5 ore, comportano una serie di problemi pratici. La prolungata assenza di gravità può causare danni e disfunzioni al metabolismo e al sistema cardiovascolare ed è responsabile di una progressiva decalcificazione ossea. Infine un grave pericolo per astronauti e occupanti è costituito dalla presenza di radiazioni ionizzanti, con effetti a breve e a lungo termine: si registrano radiazioni cosmico-galattiche, e quelle associate alle cinture di Van Allen, nelle zone da esse interessate. Anche le radiazioni solari anomale derivanti da eruzioni sono responsabili di gravi disturbi. A tutti questi grossi interrogativi sta dando una risposta la medicina spaziale, un campo di attività in grande sviluppo (v. spaziale, medicina, in questa Appendice).
Evoluzione storica del concetto di stazione spaziale. - L'idea della s.s. si trova già in un lavoro di G. Tsiolkowsky, che nel 1903 la discusse in dettaglio preoccupandosi anche dei problemi pratici. H. Oberth, nel 1923 (fig. 1), proponeva un progetto, avente tra l'altro lo scopo di concentrare i raggi solari su una ristretta zona della superficie terrestre con scopi ecologici. Ma il primo progetto concreto, anche se non realizzato, risale al 1952, contenuto in un celebre articolo di W. von Braun (che già operava negli Stati Uniti) sulla rivista Collier. Von Braun, che lavorava per l'esercito USA, continuò i suoi studi contemporaneamente alla preparazione dei razzi che avrebbero reso possibile la fase operativa della ricerca spaziale. Nel frattempo la NASA varava un programma di ''laboratorio orbitale'' che sarebbe poi sfociato nella s. spaziale. La prima s.s. effettivamente realizzata fu lo Skylab, il cui programma fu svolto nei primi anni Settanta. Esso misurava 20 m di lunghezza per un diametro di 7 m nel modulo principale, oltre ad altri moduli di servizio e ai contenitori degli apparecchi di misura e della strumentazione scientifica. La s.s. poteva ospitare tre astronauti; vi furono svolte tre missioni, di 28, 59 e 84 giorni rispettivamente, per un totale di 513 passeggero-giorni. Tenuto conto di quando le missioni si svolsero, la tecnologia risultava piuttosto elementare rispetto a quella attuale. Un'importante esperienza fu dovuta proprio a un problema sorto durante il lancio. Lo scudo di protezione meteoritico urtò violentemente contro uno dei pannelli solari, che giunse in orbita danneggiato. Fu necessario ritardare di dieci giorni l'invio degli astronauti, il tempo necessario per approntare gli attrezzi per la riparazione in orbita delle parti danneggiate. La riuscita dell'operazione contribuì a rafforzare la fiducia nell'efficacia dell'EVA, largamente usata in seguito. Particolare attenzione era stata riservata alle condizioni di abitabilità della stazione, a ciclo aperto, ossia senza riciclaggio dei rifiuti, e agli impianti di condizionamento, ottenuto anche con opportuna variazione e controllo dell'esposizione al sole. Al fabbisogno di energia elettrica si provvedeva mediante grossi pannelli solari, per una potenza complessiva massima di 7,5 kW, e una serie di batterie ricaricabili. Va notato a questo proposito che il problema dell'energia di bordo della s.s. potrebbe ricevere una risposta, almeno parziale, dall'uso del satellite al guinzaglio (tethered; v. anche satelliti artificiali, in questa Appendice). Lo Skylab va considerato una missione di prova dei più ambiziosi piani che avrebbero dovuto seguirlo, destinato ad affinare le tecniche di rendez-vous e docking orbitali, e a sperimentare le condizioni di vita e fisiologiche di un equipaggio in lunga durata.
Intanto i sovietici, ritenendosi battuti nella gara spaziale dai risultati del progetto Apollo, cercavano la rivincita attraverso la messa in opera di una grossa s. spaziale. Fu varato così il programma Salyut-Soyuz, che durò complessivamente dal 1971 al 1983. Veramente i sovietici, sempre per motivi propagandistici, datano la loro prima s.s. al 1969, in corrispondenza del riuscito docking tra le Soyuz 4 e 5, ma gli statunitensi ribattono che questo primo esperimento non costituiva un precedente, in quanto gli astronauti erano penetrati nella navicella per mezzo di EVA (cioè dall'esterno) e non attraverso il portellone di aggancio. Il programma vide complessivamente il lancio di otto s.s. (due delle quali non furono peraltro coronate da successo) e un totale di 33 equipaggi, che si avvicendarono nella stazione. Nel corso del programma stesso fu acquisita una serie di importantissimi dati di carattere pratico e operativo, oltre a numerosi risultati di carattere scientifico, soprattutto fisiologico animale e vegetale, come la crescita delle piante in condizioni di microgravità. Il peso complessivo della Salyut ammontava a 18,6 t, su una lunghezza di 13,5 m, e un diametro di 4,15 m, con un volume abitabile di 90 m3. Nella prima versione esisteva un solo punto di attracco, mentre un secondo punto fu aggiunto nella seconda versione. I lanci di materiale senza equipaggi venivano, e sono tuttora, effettuati per mezzo dei razzi Proton, mentre gli equipaggi raggiungevano la stazione sui Soyuz (da cui il nome del programma). Impossibile riferire sulla grande massa di dati raccolti nel corso del programma. Un importante avvenimento, non solo tecnico ma anche politico, fu la visita di tre astronauti statunitensi alla Salyut nel 1975, che ebbe larga eco nell'opinione pubblica.
La stazione spaziale Mir. - La s.s. Mir (parola che in russo significa "pace" e anche "mondo") rappresenta la più avanzata realizzazione mondiale nel campo delle s. spaziali. La stazione vera e propria, lanciata nel febbraio 1986 in pieno effetto Challenger, fu seguita, a tre settimane di distanza, dal primo equipaggio, composto da un esperto pilota e da un tecnico specializzato. Loro compito era verificare il funzionamento in orbita delle apparecchiature della s.s. stessa. L'opinione pubblica fu tra l'altro sorpresa dall'annuncio fatto dai sovietici, in quanto, com'è noto, dei loro lanci veniva data notizia a cose avvenute (salvo nel caso dell'incontro Apollo-Soyuz). In realtà, inizialmente era stato previsto un equipaggio di tre persone, ma alcuni piccoli problemi tecnologici a bordo della stazione, e monitorati da Terra, avevano consigliato la riduzione a due sole unità.
La s.s., nella sua configurazione iniziale, è mostrata schematicamente in fig. 2. Il peso totale iniziale era di 21 t, per una lunghezza totale di 13 m e un diametro massimo di 4 m. In figura sono visibili il compartimento di lavoro e di abitazione (per un volume complessivo di 90 m3), e i pannelli solari dispiegati, che forniscono energia alla stazione: la loro superficie totale è di 76 m2, con un'apertura di 30 m. Si nota in coda l'antenna direzionale e, nella zona anteriore, i cinque boccaporti di attracco delle astronavi che raggiungono la stazione, per lo sbarco e l'imbarco degli astronauti, e per lo scarico delle merci e degli equipaggiamenti destinati alla stazione. L'inclinazione dell'orbita era, ed è tuttora, di 51,6°, pari alla latitudine del poligono caucasico di Baikonour (com'è noto, non si possono effettuare, senza affrontare manovre assai difficili e costose, orbite con inclinazione inferiore alla latitudine del punto di lancio). Il perigeo e l'apogeo possono venire modificati, ma restano vicini ai 300 km di quota, cui corrispondono circa 90 minuti di periodo orbitale.
Della sonda era stato messo in orbita un solo elemento, il primo dei sei previsti per la stazione, e l'ammarraggio avvenne senza alcun problema. Nei primi giorni di permanenza a bordo, i cosmonauti furono impegnati in compiti tecnici di verifica e messa a punto degli apparati della stazione. Successivamente, a distanza di una sola settimana, fu lanciato il cargo spaziale Progress 25, che approdò alla stazione portando viveri, strumentazione, acqua, e perfino posta, per l'equipaggio. La missione iniziava così nel migliore dei modi.
Successivamente (marzo 1987) i sovietici inviarono il secondo modulo, denominato Kvant 1, che ebbe una lunga odissea, culminata nelle difficoltà di attracco alla stazione (causate da un corpo estraneo che aveva bloccato il dispositivo di ancoraggio), e che richiese una fase di attività esterna da parte dell'equipaggio per ripristinare manualmente il suo normale funzionamento. Un terzo modulo specializzato, denominato Kvant 2 o anche modulo D (Dusnashcheye, elemento addizionale), fu inviato nel dicembre 1989. Anche in questo caso vi furono rinvii e ritardi dovuti a cause tecniche; il modulo aveva a bordo riserve di combustibile ergol necessario per azionare i motori di controllo della stazione, strumentazione scientifica prodotta in paesi del patto di Varsavia, oltre ad acqua e viveri. Il suo arrivo e attracco erano imperativamente necessari per poter prolungare la permanenza a bordo di almeno parte dell'equipaggio. Interessante la manovra di aggancio alla stazione, realizzata con il boccaporto centrale, con successivo spostamento su uno dei quattro boccaporti laterali. Il quarto modulo (T, Technologie) veniva inviato nel 1990. Gli ultimi due, che erano stati previsti tra il 1992 e il 1994, e che dovrebbero completare la stazione nelle sue 130 t, non sono stati a tutt'oggi lanciati, a causa delle difficoltà politico-economiche dei Russi (non più sovietici), che potranno essere superate nel quadro degli accordi con gli Stati Uniti; ma a questo punto la storia della Mir s'intreccia con quella della costruenda stazione statunitense. Nel dicembre 1994 la stazione completava le 50.000 orbite.
Nel corso della sua permanenza in orbita, Mir ha assistito, naturalmente, a un frequente ricambio di equipaggi, con durate che tendono a essere sempre più lunghe anche per ridurre per quanto possibile le spese inerenti ai lanci. Anche ospiti stranieri si sono succeduti a bordo della stazione: per es., nell'ottobre 1994 un astronauta tedesco (nel quadro dell'accordo di collaborazione tra l'Agenzia spaziale europea e la Russia) ha raggiunto Mir con un equipaggio russo per un soggiorno di un mese. Negli anni futuri, poi, sempre più frequenti saranno le visite di astronauti statunitensi, aventi lo scopo di render loro familiari le manovre e le operazioni a bordo, in vista della progettata stazione internazionale (v. oltre). Negli ultimi tempi, poi, le prenotazioni e le richieste per missioni e permanenze a bordo della Mir si sono moltiplicate. Ha iniziato la Francia col candidare due suoi astronauti, un uomo e una donna, per una missione che sarà compiuta nel 1996. Anche il Giappone, nazione che sarà impegnata nella costruzione della stazione internazionale, ha richiesto di partecipare ai voli dello Shuttle verso la stazione Mir fino dal 1997.
Particolare interesse ha rivestito la missione di avvicinamento alla Mir del gennaio 1995, compiuta da un equipaggio composto da sei astronauti statunitensi e dal comandante sovietico V. Titov. È stata questa la prima missione comune russo-statunitense dai tempi dell'incontro Apollo-Soyuz, e il primo passo verso la realizzazione della s.s. internazionale (ma in realtà prevalentemente statunitense). Questo primo passo è consistito nell'allenamento al rendez-vous e docking orbitale, problema, come si è visto, d'importanza fondamentale per la costruzione della stazione, e ha comportato non pochi problemi tecnologici, derivanti da differenze del materiale impiegato. Per questa prima missione era previsto non l'aggancio, ma l'avvicinamento fino a una distanza di circa 10 m, rinviando di qualche mese, e con altra navicella, la missione completa. Numerose visite alla Mir di equipaggi statunitensi sono previste per gli anni futuri.
La partenza dello Shuttle Discovery ebbe luogo come previsto, ma ben presto cominciarono a verificarsi notevoli problemi, dovuti soprattutto alla fuoriuscita dai serbatoi dei propellenti che azionano i getti direzionali. Grande motivo di preoccupazione era rappresentato dalla possibilità che, in fase di avvicinamento, il liquido propellente, assai corrosivo, colpisse la Mir danneggiandone i delicatissimi sensori. Altro motivo di preoccupazione era costituito dalla perdita vera e propria che avrebbe potuto compromettere la manovrabilità e controllabilità della Discovery, mettendo in pericolo la riuscita e la sicurezza della missione. Comunque la Discovery, con un'ardita manovra, esponendo le parti danneggiate al sole, riuscì a sbloccare il condotto di alimentazione e a ridurre al minimo la fuga di combustibile. Si poteva così riprendere la marcia di avvicinamento alla stazione, giungendo a una distanza minima di pochi m, preludio alla ben più impegnativa manovra di aggancio. Alla spedizione parteciparono anche due donne: la statunitense ai comandi dello Shuttle (anche se assistita e indirizzata dal comandante) e la russa nell'equipaggio della stazione. Fu questo uno dei Leit-motive che accompagnarono il racconto dell'impresa da parte dei mezzi d'informazione.
I progetti degli Stati Uniti. - È singolare notare che, in molte delle grandi imprese aerospaziali, gli statunitensi si lasciano battere sul tempo, tempo che hanno quasi sempre la capacità di recuperare ponendosi all'avanguardia, in ragione del loro enorme potenziale tecnologico e industriale. Fu così per lo Sputnik, per l'impresa di Y. Gagarin, per il supersonico civile; è stato così anche per la s. spaziale. La storia dei progetti statunitensi è piena di proposte, ripensamenti, cancellazioni, rifinanziamenti. Il progetto più avanzato fu quello della Freedom, ora cancellato, e sostituito dalla stazione internazionale Alpha. Naturalmente, in programmi del genere, c'è sempre da attendersi qualche sorpresa; tuttavia ci sembra opportuno illustrare assai brevemente quello che, al momento, è quasi interamente sulla carta.
Come si è detto, la stazione in progetto è internazionale; vi partecipano il Giappone, l'ESA (European Space Agency) e, attraverso essa, molte nazioni europee, il Canada, la Russia. La nuova configurazione allo studio (in tutto diversa dalle precedenti) consiste di otto moduli pressurizzati, con una struttura di sostegno che li collega, un braccio manipolatore per i lavori esterni, un sistema di captazione dell'energia solare per l'energia della stazione, e un sistema di minipropulsori di manovra. La dimensione longitudinale è di circa 100 m, con una dimensione trasversale massima di 120 m, e un volume abitabile di 1600 m3. Si prevede l'abitabilità per sei astronauti complessivamente (in confronto ai quattro delle versioni precedenti), con un fabbisogno di potenza di 110 kW in luogo dei 68 del progetto Freedom.
Nel progetto della stazione si è dovuto tenere conto delle necessità, delle esigenze, e degli interessi dei vari partecipanti (sia nazioni che industrie). Un tipico esempio è costituito dalla scelta dell'orbita la cui inclinazione è prevista in 51,6°, la latitudine del poligono russo di Baikonour; questa decisione, a cui si è giunti dopo lunghe discussioni, è motivata dalla necessità di raggiungere la stazione da moduli o vettori dalla Russia, e lascia prevedere il ruolo di primo piano che la Russia stessa avrà. È proprio questa partecipazione così stretta che ha destato non poche preoccupazioni nel mondo politico statunitense e proteste anche a livello accademico. Dal punto di vista organizzativo il progetto appare di dimensioni colossali. Non meno di 13.000 persone, tra NASA e subcontraenti, vi lavoreranno a tempo pieno per i prossimi sette-otto anni solo negli Stati Uniti. Il finanziamento assegnato al progetto e alla costruzione dal governo degli Stati Uniti è di 2,1 miliardi di dollari annui (circa 3500 miliardi di lire) per i prossimi dieci anni, a cui vanno aggiunti 400 milioni di dollari che la Russia riceverà a titolo di consulenza, e che saranno probabilmente utilizzati per il completamento dei due ultimi moduli della Mir. Inoltre, la costruzione di numerose parti della stazione sarà affidata alla Russia; la spesa relativa rientra nel finanziamento assegnato.
Il primo pezzo di stazione dovrebbe essere lanciato nel novembre 1997 su un razzo russo Proton, e conterrà le unità di potenza e di propulsione ausiliaria. In totale si prevedono quattro lanci nei primi dodici mesi. Seguiranno gli altri moduli fino ai primi anni del terzo millennio. La stima attuale è di non meno di 90 lanci, di cui circa 2/3 effettuati su vettori russi (Proton, Soyuz, Zenit) e, forse, europei (Ariane 5). Il solo coordinamento di tutte queste attività può dare un'idea dell'enorme impegno che la stazione internazionale richiederà.
Bibl.: M. Sommerfield, Space stations and space platforms, in Progress in astronautics and aeronautics, New York 1985; P. Langereux, Un premier équipage occupe la nouvelle station MIR, in Air et Cosmos, 1088 (marzo 1986), p. 62; S. Young e al., Gravitational biology, Oxford 1993; C. Lardier, Euromir doit être lancé le 3 octobre, in Air et Cosmos, 1487 (settembre 1994); Space systems, in Aerospace America, 32, 12 (dicembre 1994).