BONUCCI, Stefano
Nacque ad Arezzo (il Cappelletti lo dice invece, confondendo, "aretino di origine, ma nato a Modena") con ogni probabilità nel 1520.
Tale data sembra più rispondente poiché, essendo il B. morto il 2 genn. 1589, si rileva sulla sua lapide sepolcrale a Roma, come nelle iscrizioni apposte a monumenti a lui dedicati in Arezzo, che aveva sessantotto anni. Secondo gli Annales, il padre, Ludovico, sarebbe stato originario di Modena; secondo Scipione Ammirato, sarebbe invece provenuto da "Reggio di Lombardia". La madre, che, stando agli Annales, si sarebbe chiamata Lucia, sarebbe appartenuta, secondo Iacopo Burali, alla casa Berghigni che nel 1638, anno di pubblicazione delle Vite de vescovi aretini, avrebbe goduto "i primi gradi d'honore come gl'altri principali cittadini". Lo stesso autore è l'unico ad affermare che il nome di battesimo del B. era Pietro. Gli Annales recano che nacque "in summa paupertate": il padre avrebbe lavorato come muratore. Soltanto il Burali, aretino e interessato forse a innalzare le origini sociali del B., ritiene invece che "fece essercitio di Lana". All'età di sette anni - ma mancano documenti che convalidino quanto vien ripetuto, sulla scia degli Annales, dagli altri biografi - Agostino Bonucci, colpito dalla intelligenza e bontà del B., lo avrebbe fatto entrare nell'Ordine dei servi di Maria in Firenze, dandogli il suo cognome: Bonucci non sarebbe dunque il nome originario di Stefano. È per altro assai improbabile che Agostino Bonucci, che avrebbe allora avuto ventuno anni e si trovava ancora nello Studio dell'Ordine di Firenze per terminarvi il corso di teologia, potesse compiere un atto del genere. Più verosimile sembra, invece, che ciò possa essere avvenuto in un periodo non molto anteriore al suo provincialato (1533-36), quando Agostino Bonucci era già affermato all'interno dell'Ordine. Nel 1534 "F. Stefano d'Arezzo" è tra i "novitij" del convento dell'Annunziata diFirenze: così reca il Tozzi nel Libro di Spogli segnato B. Ciò comproverebbe la nascita del B. nel 1520.
Nel 1536, divenuto Agostino Bonucci reggente dello Studio dei servi di Bologna, si fece seguire dal B. (come pure da altri fiorentini), che si formò così alla sua scuola. Si può ritenere valida la notizia riportata dal Bonfrizieri, secondo cui il B. sarebbe passato a Bologna "dopo l'aver fatta la sua solenne professione". Questa indicazione sembra coincidere perfettamente con quanto recano gli Annales: aBologna sarebbe stato "primum in liberalibus disciplinis, sacraque Theologia eruditus". Nel 1542 è già sacerdote, ed è certamente per intervento del generale Bonucci che, subito dopo questa data, "adhuc iuvenis regens declaratus Patavium mittitur". Questa notizia, che è stata riportata dagli Annales, sembra esser confermata dal Poccianti nel suo Chronicon.
Non abbiamo rinvenuto testimonianze circa il periodo della reggenza a Padova e circa il dottorato in teologia e il magistero del B. all'interno dell'Ordine. Per quanto riguarda un suo eventuale dottorato in teologia presso l'università di Bologna, è da dire che il suo nome non appare nel lavoro dedicato dal Pasquali Alidosi a I dottori Bolognesi in teologia,filosofia,medicina ed arti liberali. Circa il magistero in teologia, di cui il B. sarebbe stato insignito subito dopo terminato "il corso delle scienze, e della Teologia" nello Studio di Bologna, come afferma il Bonfrizieri, non si hanno prove. È probabile tuttavia che quando si recò a Trento, insieme con il generale Bonucci e Lorenzo Mazzocchio, avesse già ottenuto il titolo.
Il B., insieme con il Mazzocchio (unici due serviti presenti), prese parte alla prima congregazione dei teologi minori tenutasi a Trento il 20 febbr. 1546 e, del resto, il suo nome appare nell'elenco, compilato dal Massarelli, dei "sacrae theologiae doctores et magistri" presenti a Trento nel periodo 1545-1547. Per quanto concerne la specifica attività svolta dal B., non si hanno documenti che possano aiutare nel puntualizzare la sua particolare posizione teologica. Dato il suo strettissimo legame con Agostino Bonucci ed anche con il Mazzocchio, si potrebbe pensare che egli non si discostasse dalle linee di fondo dei suoi due più anziani e autorevoli maestri e confratelli.
Negli Atti del concilio, relativamente al periodo tridentino del 1545-1547, il B. vien ricordato per nome in altre due occasioni, oltre quella del 20 febbr. 1546. In ottemperanza al privilegio accordato ai serviti da Innocenzo VIII nel 1487 di predicare "coram sanctissimo" il giorno dell'epifania e la domenica di passione - rispettato anche a Trento - il 6 genn. 1547, come risulta dal Diarium III del Massarelli, il B. tenne un'orazione di cui non sembra sia rimasto il testo. Egli è ricordato ancora fra i "Sacrae theologiae professores et magistri" presenti alla sesta sessione il 13 genn. 1547, al quarto posto oltre, nell'ordine, al Mazzocchio, ad Ambrogio Platina, Mariano da Verona, Giovanni Antonio da Faenza e Atanasio de Porliliis da Forlì. Il fatto che il suo nome non compaia negli Atti del concilio fra i teologi serviti presenti alle sessioni quarta e quinta potrebbe far pensare ad una sua assenza da Trento: anche se gli elenchi dei partecipanti non sempre sono esenti da lacune. Il nome del B. non compare neppure fra quelli dei teologi serviti che parteciparono alle congregazioni dei teologi, dopo il trasferimento del concilio da Trento a Bologna. Ciò potrebbe far pensare che egli, almeno in questo periodo, si trovasse a Padova. Reggente dello Studio dei serviti di Bologna, secondo il Tozzi, negli anni 1548 e 1549, avrebbe scritto per i suoi allievi, come recano, oltre al Tozzi, gli Annales e, sulla scia di questi, il Bonfrizieri, Lucubrationes super Aristotelem e Lucubrationes super Magistrum Sententiarum; esse dovevano ai tempi dei Giani, primo estensore degli Annales, trovarsi manoscritte "in Bibliotheca Patrum Florentinorum Pisis conservatae". Ma il B. doveva ancora essere reggente dello Studio di Bologna nel 1550, anno in cui si ebbe un processo nel quale fu coinvolto, appunto come reggente.
Tra il luglio e il settembre del 1550 il Senato di Bologna aveva espresso a Roma la tristezza e il rincrescimento per il "grandissimo disordine" che si riscontrava nel convento di S. Maria dei Servi, "uno delli principali della città". La colpa di ciò veniva fatta ricadere sul generale Agostino Bonucci, il quale, "per causa di regnare, manteneva lì un suo allievo per regente et vicario generale con un grosso numero di forestieri, affine che tengano oppresso la natione bolognese". In effetti, oltre al B., appartenevano alla provincia toscana sia il "baccalaureus conventus", Angelo d'Arezzo, sia il priore Giacomo Tavanti, senza contare numerosi studenti. Sulla situazione assai grave, tale da esplodere anche in scontri tra le due fazioni dei Bolognesi e dei Fiorentini e loro simpatizzanti, resta un duro giudizio del vicelegato Girolamo Sauli, incaricato insieme con il generale Bonucci, con breve di Giulio III del 15 ag. 1550, di riformare il convento dei serviti di Bologna. Il 21 settembre egli scriveva al cardinale Cervini, protettore dell'Ordine: "questa è una causa, che bisogna o riformarla ben bene o impiastrarla per men scandalo de non publicar tante bruttezze". Tra i documenti pubblicati dal Buschbell in appendice al suo Reformation und Inquisition in Italien sitrova anche la sentenza pronunciata, secondo lui, tra il 1554 e il 1555, dal tribunale dell'Inquisizione di Bologna, che condannava il B. al bando perpetuo e lo privava per tre anni "offitio magistri seu doctoratus". Il Buschbell ipotizza, senza fondare adeguatamente tale datazione, che la sentenza andrebbe collocata tra il settembre 1554 e il 9 apr. 1555 (elezione del Cervini al pontificato). Considerando per altro la biografia e il curriculum del B., questa sentenza non può esser stata pronunciata che nel 1550, e non si può trattare che della sentenza del secondo processo ordinato dal papa e messo in mano del generale Bonucci e del Sauli. Ciò risulta dalla lettera del Sauli al Cervini del 1º nov. 1550. La data è dunque da considerarsi anteriore al 1º nov. 1550. Del resto, dopo il 1550, non si può parlar più di un B. reggente dello Studio di Bologna. Da notare che sia la sentenza sia il breve di Giulio III mostrano come all'origine del processo si trovassero motivi disciplinari e non questioni di carattere dottrinale. Di questi fatti nessuna documentazione resta nell'Archivio generale dell'Ordine: manca, in primo luogo, il registro del generale Agostino Bonucci per il periodo 1549-1553.
La condanna subita dal B. non sembra per nulla aver inciso sulla sua posizione all'interno dell'Ordine. Stando a una lettera inedita, inviata dal padre Gregorio Alasia al Giani il 30 giugno 1618 in relazione alla stesura del secondo volume degli Annales, nel 1551 il B. era viceprocuratore generale e lo stesso anno divenne procuratore generale. Poiché fu nominato procuratore generale "ante annos legitimos", come osserva il Poccianti. nel capitolo tenutosi a Rimini il 1º maggio 1551, in cui Agostino Bonucci fu riconfermato nella suprema carica dell'Ordine, si deve inferire che egli divenisse viceprocuratore generale già nei primi mesi del 1551.
Gli Annales ricordano che nel1551, da procuratore generale, il B. insieme con il generale Agostino Bonucci ottenne, attraverso un intervento presso il viceprotettore dell'Ordine Bernardino Maffei, la remissione di metà delle decime dovute dall'Ordine alla Curia. Tale misura venne adottata con breve del 7 luglio ed ebbe valore per tutti gli Ordini mendicanti. Alla morte di Agostino Bonucci - la cui salma il B. fece tumulare nella chiesa dei serviti in Arezzo e alla cui memoria fece innalzare un monumento - poiché mancava ancora un anno alla regolare celebrazione del capitolo generale, Giulio III, con bolla del 6 luglio 1553, nominò il B., insieme con Zaccaria Faldossi e Feliciano Capitoni, "Generales Visitatores, Correctores, et Gubernatores usque ad proximum d. Ordinis Generale Capitulum celebrandum", però "ita ut unus sine aliis nihil facere possit". In questo periodo il B. dovette subire notevoli molestie e ricatti da parte di fra' Giovanni Battista da Faenza, il Solarolo, che era stato con lui condannato nel 1550. Ma il tutto si risolse con l'imprigionamento del Solarolo, su ordine dello stesso vicelegato Sauli che a suo tempo aveva giudicato anche il Bonucci.
Priore provinciale della provincia toscana dal 1554 al 1557, fu rieletto procuratore generale nel capitolo tenutosi a Bologna il 1º maggio 1557. Dal Diarium VII del Massarelli risulta che il 6 genn. 1558 tenne un'orazione durante la cappella papale ("in sacello Sixti" o in San Pietro?). Rimase in carica come procuratore generale sino al capitolo celebratosi a Ferrara nel 1560, in cui fu eletto generale Giovanni Battista Milliovacca. In questo capitolo il suo nome appare tra gli "officiales maiores" come "socius Prioris Generalis" per la provincia toscana.
Per l'ultimo periodo del concilio di Trento, nessuna notizia relativa al B., come pure ai teologi presenti a Trento e all'attività da essi svolta, si riscontra nel registro del generale Milliovacca. In Memorabilium il Piermei ha pubblicato uno stralcio dal Calendarium historicum, esistente manoscritto nell'Archivio generale dell'Ordine in Roma, secondo cui il B. "Anno 1562 habuit ad PP. Concilii trid. orationem in festo Epiphaniae et 15 Martii, nempe in Dom. Passionis. Eodem anno 1562 habuit concionem ibidem 28 Sept., in quam incidit XIX post Pent. Anno etiam 1563 in Dom. Passionis 28 Martii". Nella documentazione relativa al concilio pubblicata dalla Società Goerresiana non si riscontra una conferma piena alle notizie riportate nel Calendarium historicum. È possibile che il B. abbia tenuto l'orazione il 6 genn. 1562, anche se nel Servantii Diarium non compare il suo nome, ma si dice semplicemente che "fece l'oratione un padre dell'ordine di servi". Certo è invece, come appare dai Firmani Diaria caerimonialia, che il B. pronunciò un'orazione la domenica di passione dell'anno 1563 (28 marzo). Per quanto concerne l'orazione del 15 marzo 1562, da quanto è riportato nel Servantii Diarium nasce il sospetto che l'oratore non fosse lui. Circa la data del 28 sett. 1562, va solo osservato che la domenica in questione cadde il 27 settembre. Circa la presenza del B. a Trento, sappiamo con certezza dagli elenchi dei teologi compilati dal Massarelli che egli era fra i teologi intervenuti alla XVIII sessione del 26 febbr. 1562, come pure alla XIX del 14 maggio, alla XX del 4 giugno e alla XXI del 16 luglio. In tutte queste sessioni, gli unici serviti presenti a Trento, oltre al generale Milliovacca, furono il B. e Amante da Brescia, che fu presente anche alla XVII sessione da solo e alla XXII insieme con un "Antonius Aretinus". Ma non è certo che questo nome sia stato ben trascritto, e forse potrebbe trattarsi del Bonucci. Per quanto concerne la presenza del B. alle altre sessioni, non si hanno elementi né in senso affermativo né in senso negativo, mancando le liste dei teologi partecipanti alle sessioni seguenti.
L'unica nota degli Atti del concilio che permetta, al di là di un'arida elencazione di dati, di cogliere qualche movenza del pensiero del B. è quella relativa al suo intervento nella congregazione dei teologi del 22 giugno 1562: in questa occasione si parla di "Stephanus de Aretio Etruscus ord. S. Mariae Servorum cum eius generali". La specificazione "cum eius generali" farebbe pensare che il B. si trovasse a Trento come teologo del generale Milliovacca.
I cinque articoli sull'uso dell'eucaristia, su cui si dibatteva ancora il 22 giugno, erano stati proposti all'esame dei teologi minori il 6 giugno 1562. Prima del B. avevano già parlato numerosi e ben noti teologi, come il Salmeron, Antonio Solisio, Francesco Torres, Pietro Soto, il Ramirez, G. B. de Burgos, il Ciumel, Giovanni Del Gado, Pietro Canisio, Francesco Lombardo. E cinque giorni prima di lui aveva parlato Amante da Brescia, il battagliero teologo del vescovo di Sebenico, così positivamente presentato dal Sarpi, il quale, secondo una lettera scritta al Morone dal vescovo di Modena il 18 giugno, avrebbe provocato con talune sue formulazioni teologiche "uno strepito nel concilio di abbhominare così grandi biastemme". Quanto al I articolo, se fosse de iure divino la comunione sub utraque, il B. risponde negativamente, ponendosi così sulla linea comune a tutti gli altri teologi che avevan preso la parola prima di lui. Il taglio dell'argomentazione, pur nella stringatezza del resoconto degli Atti, si manifesta accentuatamente ecclesiologico: ciò a cui bisogna richiamarsi è la decisione, il precetto della Chiesa. Anche le risposte al IV e al V articolo non si discostano dalla sentenza comune emersa nel dibattito. Circa il IV articolo egli afferma, sulla scia di Tommaso, "non minus sub una quam sub utraque sumi"; quanto al V, egli non ritiene necessaria la comunione per i bambini "cum Christus id non praeceperit, apostoli non tradiderunt, et ecclesia non statuit, immo contrarium decrevit". La risposta agli interrogativi sollevati dall'articolo II (se le ragioni che avevano spinto la Chiesa a comunicare i laici e i sacerdoti non celebranti "sub una specie" restassero valide sì da non poter permettere il calice) è molto netta: "rationes illae retinendae sunt, cum hodie etiam militant". Altrettanto recisa è la risposta al quesito posto dall'articolo III (se si potesse concedere la comunione sub utraque a qualche regno e a quali condizioni): "nulla ratio afferri potest, ut calix alicui regno vel nationi concedatur, vel quod sint catholici, vel haeretici, vel qui eo calice utuntur, ab ecclesia petunt". La posizione del B., stando a quanto risulta dagli Atti, è intransigente, senza sfumature, più inflessibile ancora di quella assunta in questo caso da Amante da Brescia, il quale aveva pur sostenuto che non si concedesse ad alcun regno la comunione sotto le due specie se prima non fosse tornato alla Chiesa e, anche se ciò fosse avvenuto, "habenda sit ratio, an sit concedendus propter infinita scandala, quae ex hoc oriri possunt". Ben distante si colloca il B. da coloro che ritenevano, come il Solisio, che si potesse "tollerare" la concessione del calice ai Boemi, "dummodo nobiscum sentirent et ad ecclesiam redirent", posizione condivisa dal Torres, il quale, "ob unionem ecclesiae", sarebbe stato pronto a concederla "et aliis Catholicis", e dal Soto. Senza parlare della mancanza di eco nel B. di argomentazioni aperte e critiche come quelle prodotte daB. G. de Burgos prima, da Pietro Canisio poi e quindi dal napoletano Francesco Lombardo. È quasi nulla per conoscere la posizione teologica globale del B., ma è pur sempre un'indicazione di un certo orientamento, di un certo taglio di mentalità.
Nel capitolo generale tenutosi a Faenza il 20 maggio 1564 (con un anno di ritardo in quanto il generale era impegnato a Trento: si veda a questo proposito la richiesta di rinvio presentata al Farnese da parte del Seripando in data 2 luglio del 1563) venne eletto generale il Faldossi. Il B. compare fra i "Diffinitores Generales". Dallo stesso anno sino al 1570 egli è, secondo l'Alasia, priore del convento di S. Marcello in Roma. Una conferma del suo priorato per il 1565 è data dal Registrum del generale Faldossi. In effetti, durante il suo priorato nel convento di S. Marcello in Roma, il B. accompagnò come teologo il bolognese cardinale Ugo Boncompagni, che si recava in Spagna come legato a latere di Pio IV per presiedere formalmente come giudice - così era stato deciso e notificato nel concistoro del 13 luglio - alla causa di Bartolomé Carranza, arcivescovo di Toledo, imprigionato dall'Inquisizione spagnola sin dall'agosto del 1559. Assessori del Boncompagni dovevano essere il Castagna, arcivescovo di Rossano, che ricevette allora la nomina, a nunzio in Spagna, e il futuro cardinale Giovanni Aldobrandini. Con essi si recò in Spagna anche il francescano Felice Peretti da Montalto. Questa missione è definita dal Pastor "unica nella storia della diplomazia pontificia in quanto tre dei suoi membri dovevano poi salire alla cattedra di Pietro". Con l'andata in Spagna al seguito del Boncompagni, il B. entrò in contatto con personalità che dovevano essere poi determinanti per il resto della sua vita. La missione papale giunse in Spagna nel mese di novembre. Le trattative, appena iniziate dal Boncompagni, furono repentinamente interrotte per la notizia della malattia prima e subito dopo della morte di Pio IV, in seguito alla quale il cardinal legato ritornò a Roma il 29 dicembre. Non è sicuro se sia esatta la notizia data dall'Alasia al Giani secondo la quale il B. sarebbe stato in Spagna "circa un anno". Nel capitolo generale di Bologna (17 maggio 1567) non sembra che il B. ricevesse alcuna carica di rilievo. Nello stesso anno si trova nel Registrum del generale Faldossi l'annotazione di lettere patenti al B. nominato vicario generale per la celebrazione del capitolo della provincia romana da tenersi nel convento di Passignano. Sempre nell'anno 1567 il B. viene detto, nello stesso Registrum, "in conventu Romae... Prior pro p.o anno": si tratta del primo anno del secondo triennio. Questa carica egli ricoprì sino al 1570. Nel capitolo generale tenutosi a Cesena il 13 maggio 1570 il B. venne eletto generale.
Diverse erano le candidature. La più caldeggiata, stando agli Annales, era quella di Arcangelo Bruscoli. Il cardinale Boncompagni, "cupiens aliqua dignitate remunerare" il B., d'accordo con il cardinal Farnese protettore dell'Ordine, agì in modo che il Bruscoli si ritirasse dalla competizione. Cosa che questi, "qui se magis ad obedientiam, quam ad imperium profitebatur paratum", ben volentieri accettò, facendo confluire sul nome del B. anche i voti dei capitolari della congregazione dell'Osservanza. Il B. prese come suo motto: "Dominus illuminatio mea". Terminato il capitolo generale, il vescovo di Cesena, che lo presiedeva a nome del cardinal protettore, lesse il 15 maggio il breve redatto il 5 dello stesso mese con il quale Pio V sopprimeva la Congregazione dell'osservanza, in quanto riteneva questa "parum vel nihil differre" dal resto dell'Ordine. Aspra fu la reazione dei capitolari dell'Osservanza che accusarono i "fiorentini", e in primo luogo il Faldossi, di tradimento. Il vicario generale G. M. Capella si precipitò a Roma, ma non ottenne se non che fosse "socius et socii munere fungatur Rmi patris Generalis totius Ordinis" a vita, come è confermato in una lettera inedita del 14 ott. 1570 del commissario generale dell'Inquisizione, Umberto Locato vescovo di Bagnorea, a nome di Pio V.
Il B., al quale con la bolla Postquam nos del 30 maggio 1570 veniva affidato l'incarico di riformare l'Ordine (questa bolla non è una generica bolla di riforma, ma prescrive una riforma articolata sin nei minimi particolari: non va sminuita dunque nella sua portata, come sembra fare il Rossi), si recò a Venezia. Dopo un mese di trattative, condotte "tanta moderatione et tolerantia", riuscì a ridurre alla obbedienza il convento principale di Venezia (29 giugno, secondo l'atto notarile redatto sotto questa data) e della Giudecca e quindi, man mano, tutti gli altri conventi della congregazione. Nel mese di agosto, almeno ufficialmente, l'Ordine era ricomposto in unità. Tornato da Venezia a Roma l'8 luglio, il B. nominò Ambrogio Platina della Marca Trevigiana, già definitore generale, suo commissario per tutto il dominio veneto. E alla fine di agosto affidò a Claudio da Racconigi, nominato vicario generale e visitatore, la riforma della provincia narbonense. Sembra che portasse innanzi con moderazione ina anche con energia la riforma dell'Ordine voluta da Pio V. Per quanto concerne il Registrwn del B., va detto che esso è assai scarno e spoglio e non permette di seguire sin nei particolari la sua attività di generale. Subentrato a Pio V nel pontificato il cardinal Boncompagni, che assunse il nome di Gregorio XIII, il B. fu eletto nel concistoro del 23 genn. 1573 vescovo di Alatri. È di grande interesse per la puntualizzazione dei rapporti fra Gregorio XIII e il B. quanto è riportato negli Acta Miscellanea dell'Archivio concistoriale: "Tum S.mus proposuit ecc. am Alatrinam vacare per obitum proximi epi Perusci, et illi providere, de persona R.p.D. Generalis Ordinis Servorum, qui fuit in Concilio et secum pro Theologo ivit in Hispaniam, cum illuc Legatus se contulit pro causa Toletana, et quia ipse est pauper, et ecc. a pauper...". Con uno speciale indulto del pontefice (breve del 5 marzo 1573), il B. mantenne la carica di generale sino al capitolo che si celebrò a Rimini il 9 maggio 1573 e venne da lui presieduto in rappresentanza del cardinal Farnese: in esso rinunziò al generalato, "non sine ingenti omnium fletu". È una fonte imparziale quale quella dei Regesta priorum provincialium Romandiolae - siricordino i fatti del 1550 - che reca questa espressione. Essa è confermata, oltre che dal padre Verardi, che fu per cinque anni provinciale della provincia veneta, dagli Annales, dal Cathalogus del Palombella e dalla Biografia del p. Cornelio Perracini (manoscritta) in cui si legge: "renuntiò il generalato con un ragionamento tanto dolce et amorevole che commosse tutti... a piangere". Gli successe Angelo Morelli di Arezzo che venne proposto per il generalato dallo stesso Bonucci. Nel concistoro segreto del 1º ott. 1574 Gregorio XIII lo trasferì dalla chiesa di Alatri a quella di Arezzo "cum pensione scutorum auri mille pro Card. li S. Sixti eius Nepote". Nel mese di novenibre il B. prese possesso della sua nuova diocesi "con allegrezza incredibile di tutta quella città", come narra il Palombella. Le notizie che abbiamo circa gli anni del suo governo episcopale ad Arezzo sono assai scarse e del tutto insufficienti per coglierne lo spirito: per quanto concerne l'attività pastorale non esiste nulla, né sulle visite ad limina né circa le relazioni sullo stato della diocesi, sia nell'Archivio Segreto Vaticano sia nell'Archivio della Congregazione del Concilio. Si sa dal Burali che il B. cercò di ristabilire la pace "fra li Canonici della Cattedrale, e quelli della collegiata" e, inoltre, e ciò risulta anche da altri documenti, che aiutò con "cento scudi di suo proprio" a costruire una chiesa intitolata a S. Stefano, con annesso convento, per i cappuccini che vivevano prima in un "picciolo hospitio, con celle quasi sotterra". Ci sono pervenuti anche documenti della azione da lui svolta in favore della pietà mariana. Al di là di questi elementi frammentari e di scarso valore, va ricordato il giudizio espresso sulla attività pastorale del B. ad Arezzo dal Giani in Vera origine..., pubblicato nel 1591: "con una vita religiosa, e senza alcuna emenda governò per più anni intrepidamente con ogni rettitudine di giustizia, e senza alcun riguardo d'humani disegni, o di benevolenza di Principi, la Chiesa d'Arezzo". Da conferma e complemento al Giani (si veda anche quanto il Giani ha scritto più tardi negli Annales)può valere quanto scrive Scipione Ammirato: il B. fu "sobrio nel mangiare et nel bere, mansueto, paziente, zelante dell'honor di Dio, et degno senza dubbio del vescovado".
Da vescovo di Arezzo, nel 1580, il B. fu inviato come visitatore apostolico al convento dell'Annunziata di Firenze "ad corrigendum et reformandum", dati "li molti disordini che sono seguiti... da un pezzo in qua..., con pocha reputatione vostra, et di cotesto Ordine, et con scandolo anchora, non solo del populo, ma del gran' Duca stesso", come scriveva il cardinal Farnese al priore e ai padri dell'Annunziata il 30 luglio 1580. Stando alla sentenza pronunciata dal B. (conservata nel Registrum del generale Tavanti), si trattava dell'assenza ingiustificata di maestri e baccellieri dalle preghiere comuni ("quod primum debent religiosi curare"), di trascuratezza o leggerezza che si verificavano durante le cerimonie liturgiche (da celebrarsi "non pro cuique arbitrio, sed iuxta Missale Rom."), di "colloquia fratrum cum mulieribus in Eccl.a", di forme abbastanza gravi di proprietà che erano entrate in uso da parte di diversi frati contro il voto di povertà. Le pene comminate dal B. nella sentenza pronunciata nella sala del capitolo dell'Annunziata presenti tutti i frati, il 25 ott. 1580, furono assai dure. Il provinciale fu sospeso dal suo ufficio e gli fu interdetto "commercium cum muliere Malfecta"; il priore del convento avrebbe dovuto digiunare a pane e acqua nei sei venerdì successivi sotto pena di sospensione; Lelio Baglioni, che sarebbe più tardi divenuto generale, fu mandato a Bologna nel convento di S. Giuseppe, con l'ordine di allontanarsi da Firenze entro tre giorni; altri frati ricevettero l'ordine di partire da Firenze e vennero inviati a Pisa o a Pistoia. Le misure adottate dal B. furono in tutto approvate dal papa e dal cardinal protettore, come risulta da una lettera inviata ai frati dell'Annunziata dal generale Giacomo Tavanti e conservata nel Regestum Provinciae Tusciae. Anche questa sentenza pronunciata proprio nel convento a lui particolarmente caro sta a testimoniare, con le sue motivazioni, della serietà e della austerità del servita Bonucci.
Nel 1587 (24 febbraio e 18 ottobre) il B. partecipò a Roma come conconsacrante, con il cardinal Santori, del vescovo di Verona e, con il cardinal Della Rovere, del vescovo di Cervia. Da Sisto V - "non immemor intimae familiaritatis, et necessitudinis, quam, cum Stephano de Aretio in Hispanica legatione contraxerat", come affermano gli Annales - chesubito dopo la sua elezione al pontificato aveva nominato il B. consultore del S. Uffizio, fu creato cardinale nel concistoro del 18 dic. 1587. Il Giani in Vera origine, il Catalogus Patrum, il Piermei in Memorabilium lo dicono creato cardinale nel 1586. Il 15 genn. 1588 ricevette il titolo presbiterale dei SS. Marcellino e Pietro. Nel suo stemma pose il motto: "Consilium Domini manet in aeternum".
Il Palombella nel suo Cathalogus esprime la gioia dell'Ordine all'annuncio della promozione del B. al cardinalato. Dopo aver descritto le solenni feste celebrate nel convento di Pistoia, aggiungeva: "Piaccia al Sig.re di conservarlo a gloria sua, e grandezza di S. Chiesa et a honore et beneficio della nostra povera Religione. Et come si sono rimossi tutti gli impedimenti che il tenevano non fossi Cardinale, così voglia Dio, se è in suo piacimento, che si rimovino tutti gli impedimenti, che al pontificato gli potessino far contrasto...". E, in effetti, grande era l'attesa dell'Ordine per una sua possibile elezione al pontificato. Essa si basava, oltre che sulle particolari doti del B., anche su una profezia che si diceva fatta sulla legazione del Boncompagni in Spagna: tre dei suoi componenti sarebbero divenuti papa. E veramente così fu. Ma il terzo, oltre al Boncompagni (Gregorio XIII) e Felice Peretti (Sisto V) non poté essere il B. premorto a Sisto V, sebbene il Castagna che successe col nome di Urbano VII a Sisto V (1590). Di questa attesa è traccia nella iscrizione posta sulla tomba del B. in S. Marcello ("Cum insignis religio, et doctrina omnium iudicio, et votis ei majora pararent...") e sul monumento a lui dedicato nel duomo di Arezzo ("dum spe Pont. Max..."). Anche l'Ughelli riferisce di una "omniumspes" nel futuro papato del Bonucci.
Sisto V, che con la bolla Immensa aeterni Dei del 22 genn. 1588 aveva fissato il nuovo ordinamento del sistema delle congregazioni, affidò alla VIII congregazione il compito di eseguire ed interpretare i decreti del concilio di Trento (salva l'interpretazione dei decreti dogmatici che egli si riservava personalmente), ampliandone la funzione rispetto a quanto stabilito da Pio IV il 4 ag. 1564. Di questa congregazione così ampliata Sisto V chiamò a far parte anche il Bonucci. Non è esatto quanto viene affermato da scrittori dell'Ordine antichi e recenti sulla scia degli Annales e ripetuto anche da altri, che egli sarebbe stato prefetto della Congregazione del Concilio. Fa eccezione il Mazzuchelli, il quale dice del B. che "fu anche uno degli interpreti" del concilio di Trento. 16 probabile che questo errore dipenda da una falsa interpretazione dell'espressione "Concilii interpres" che spettava ugualmente a tutti i membri della congregazione. Del B. come "concilii interpres" si parla nella iscrizione apposta al monumento sepolcrale nel duomo di Arezzo. Nel periodo in cui fu membro della Congregazione del Concilio, prefetto ne fu il cardinal Antonio Carafa. Dallo spoglio delle Declarationes sacri concilii tridentini ab anno 1576 esistenti nell'Archivio della Congregazione del Concilio risulta che il B. partecipò ai lavori della congregazione stessa nel 1588: non si trova conferma invece di sue presenze per il 1587, come sembra sostenere il Tromp. Stando però alle sedute di cui si ricordano nelle Declarationes i membri presenti - ciò che non avviene molto spesso - si ha l'impressione che egli non dovette essere fra i più attivi nel senso di una regolare, assidua partecipazione. Dai resoconti è invece impossibile inferire il ruolo specifico che egli ebbe nelle riunioni collegiali.
Secondo il Vera origine del Giani, durante gli anni del suo cardinalato il B. mantenne il "primiero rigor di vita, che haveva tenuta alla Religione", non volle mai abitare fuori del convento di S. Marcello né abbandonare "quell'Abito, che gl'haveva fatto scala a tale altezza...". Gli stessi tratti il Giani delinea negli Annales, dove aggiunge che il B. tutti riceveva "benigne, et sereno vultu" e che frequentava "D. Ioannis Basilicam Sabbathis continuatis devotissime". Lo stretto legame che lo univa all'Ordine è dimostrato, anche da un suo intervento presso Sisto V in favore delle richieste rivolte alla S. Sede dai frati dell'Annunziata di Firenze. Essi, contro le disposizioni delle Costituzioni del 1580 che avevano abolito particolarità liturgiche dell'Ordine che sembravano non in linea con la liturgia romana riformata, continuavano a recitare l'Ave Maria all'inizio e la SalveRegina alla fine degli uffici divini (era forse anche questo uno dei motivi, anche se di minor entità, che si trovavano all'origine della visita apostolica del 1580?). Perciò essi furono richiamati all'osservanza delle Costituzioni dal generale dell'Ordine. In una lettera del 3 dic. 1588 il B. comunicava ai frati dell'Annunziata l'approvazione delle richieste da parte di Sisto V e, ancora, che il papa "ha concessa la Messa della Concezione". All'inizio della missiva egli sottolineava di esser intervenuto presso Sisto V "mosso sì dalla devozione ch'io ho della beata Vergine nostra Advocata, e dagli obblighi grandi ch'io tengo alla nostra Religione...".
Durante il periodo del cardinalato il B. mantenne l'ufficio di vescovo di Arezzo: nei documenti vien chiamato "cardinalis Aretinus". Ammalatosi il giorno di s. Stefano del 1588, morì "religiosamente" otto giorni dopo, il 2 genn. 1589, all'età di sessantotto anni. Così è detto nella iscrizione sepolcrale in S. Marcello dove la salma fu tumulata; il Giani in Vera origine scriveva - sulla base, forse, di un codice esistente nell'Archivio generale dell'Ordine (Mss.Annales ord. S.B.M.V.,Monumenta et Licterae) - che il B. aveva settantaquattro anni, mentre negli Annales parla di sessantanove anni. Ai funerali parteciparono quarantadue cardinali. Come si legge in un altro manoscritto dell'Archivio generale dell'Ordine, il B. fece testamento "et lasciò heredi universali i nipoti, i paramenti al Duomo d'Arezzo, et la Libraria sua al nostro Convento d'Arezzo". Lasciò profondo rimpianto di sé nell'Ordine, nella Chiesa di Arezzo e nel collegio dei cardinali. Sisto V nel concistoro del 9 genn. 1589 lodò del B. - come riportano gli Acta Consistorialia - "pietatem vitaeque integritatem" e disse che "in eius obitu boni et pii cardinalis iacturani esse factam".
Fonti e Bibl.: Dell'Arch. generale dell'Ordine dei servi di Maria in Roma sono stati consultati i seguenti codici: Registra Priorum Generalium,Fondo Fiorentino, 25(A. Bonucci), f. 53v; Ibid., 29 (G. B. Milliovacca-Z. Faldossi), ff. 17, 26, 47v; Ibid., 30 (Z. Faldossi), ff. 15, 35, 38; Ibid., 31 (S. B.); Ibid., 34 (G. Tavanti), ff. 128-129; Ibid., 35 (G. Tavanti e precedenti), f. 27v; Ibid., 36 (lettere patenti di G. Tavanti ed altri generali), ff. 11v, 96v, 103v-106v; Registrum Prov. Romandiolae, 54, ff. 6, 34; Regestum Prov. Tusciae, 2 (1570-1602), f.48; Mantova Prov. e Diversi, 89, ff. 244 ss.; Epist. Pr. Gen., II, 1(fogli non numerati: lettera del cardinal Farnese al generale Faldossi del 21 sett. 1568); Uomini illustri - Privilegi, C.filza 3, ff. 49, 49 bis, 49 tris, 94; Viri illustres Ord. S.B.M. V., B, fasc. 49 (biografia del padre Cornelio Perracini); Mss. Annales ord. S.B.M.V.,Monumenta et licterae, Q3. III, 15 (n. 33: Catalogo de Generali del sacro Ord. de Servi de M. V.e); Mss. Annales ord. S.B.M.V.,Monumenta autographa, Q3. III, 16 (fogli non numerati: lettera del cardinal Farnese del 30 luglio 1580 al priore e ai padri del convento dell'Annunziata); Mss. Monumenta Historica pro continuatione Annalium, Sr. IV, 1 (fogli non numerati: lettera del padre Cipriano Verardi al B. del 18 marzo 1587); Ph. Tozzi, Libro di Spogli segnato B (senza colloc. e senza fogli numerati: sotto gli anni 1534 e 1536). Dell'Archivio Segreto Vaticano sono stati consultati i seguenti codici: Arch. Consist.,Acta Misc. 13, ff. 74v, III, 346v; Arch. Const.,Acta Misc., 45 bis, ff. 53, 91; Acta Consist.,Acta Misc., 19, f. 448. Dell'Archivio della Sacra Congregazione del Concilio in Roma è stato consultato il codice Declarationes Sacri Concilii Tridentini, Arm. n. 3, Ext. 16, pp. 241, 387, 713. Dell'Archivio del convento di S. Marcello in Roma si è visto il Campione universale del convento di S. Marcello in Roma (senza collocazione, pp. 71 e 134: 1589, per la morte del B.). Dell'Archivio di Stato di Bologna sono stati consultati: S. Maria dei Servi, 182/6272, f. 2; Lettere del Senato, 2 (1544-1550), ff. 475, 482, 487. Dell'Archivio di Stato di Firenze son state viste Carte Cerv., 46/159 (per le accuse del Solarolo al Bonucci. Altri documenti che si trovano nelle carte del Cervini ed interessano il B. sono stati pubblicati dal Buschbell). Per le fonti edite sono stati utilizzati: M. Poccianti, Chronicon Rerum totius Sacri Ordinis Servorum B.M.V., Florentiae 1567, pp. 321 s.; Magnum Bullarium Romanum, II, Lugduni 1692, pp. 73 s., 102 ss., 111, 616 ss., 619; Annalium Sacri Ordinis Servorum B. Mariae Virginis, II, Lucae 1721, pp. 160, 165, 176, 195, 203, 221, 227 ss., 232, 281, 284, 286; Catalogus Patrum ac Fratrum totius Ordinis Servorum B. M. V…, Romae 1897, p. 10; Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, I, Friburgi Brisgoviae 1901, p. 599, 20; II, ibid. 1911, pp. 566, 9, 320, 29; III, ibid. 1931, pp. 20, 14 s., 28, 19 s., 64, 16 s.; V, ibid. 1911, pp. 13, 2, 820, 15-20, 1043, 31; VIII, ibid. 1919, pp. 303, 18, 368, 18, 501, 17, 528, 29, 542-7 ss., 545-13 ss., 547-4 ss., 552, 17 ss., 558. 14 ss., 561-7 ss., 566-569, 610, 2-18, 718, 25, 981, 15; Ph. Tozzi, Cronotaxis priorum provincialiumO.S. provinciae Tusciae, s.l. né d., p. 12; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien, Paderborn 1910, pp. 205 s., 322-324; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1910, pp. 58, 112, 130; Memorabilium Sacri Ordinis Servorum B. M. V. Breviarium, a cura di A. F. Piermei, II, Romae 1929, p. 167; III, ibid. 1931, p. 227; IV, ibid. 1934, pp. 13 s., 17, 19, 23, 26, 30 ss., 41 ss., 136, 149, 165 s., 168, 172, 183, 203, 261; G. G. Goretti-Miniati, Alcuni ricordi di G. Palliani Aretino, Arezzo 1932; A. Dal Pino, Sviluppi legisl. del "De reverentiis b. Mariaev." nelle CostituzioniO.S. M. (secc. XIII-XX), in Studi storiciO.S. M., XIII (1963), pp. 222, 226, 248 s., 251 s. (viene qui riportata la lettera del B. in data 3 dic. 1588 al priore e ai frati dell'Annunziata); Ph. Tozzi, De scriptoribus Ordinis Servorum B. M. V., a cura di P. Branchesi, Bologna 1964, p. 30; O. J. Dias, Regesta Priorum GeneraliumO. S. M. 1249-1625, in Studi storiciO.S. M., XVI(1966), pp. 260 s. (è riportato il discorso tenuto dal generale A. Morelli, il 9 maggio del 1573, in cui viene puntualizzata l'attività svolta dal B. in favore dell'Ordine); F. Combaluzier, Sacres épiscopaux à Rome de 1565 à 1662…, in Sacris erudiri, XVIII (1967-1968), pp. 145 s. Per la bibliografia sono state consultate le seguenti opere: A. Giani, Vera origine del sacro Ordine de Servi di S. Maria…, Firenze 1591, pp. 126-128; S. Ammirato, Vescovi di Fiesole,Volterra et d'Arezzo, Firenze 1637, pp. 239-241; I. Burali, Vite de vescovi aretini…, Arezzo 1638, pp. 113 s.; A. Ciaconius, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum..., IV, Romae 1677, coll. 182 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, pp. 293, 433 s.; P. Bonfrizieri, Diario Sagro dell'Ordine de' Servi di Maria Vergine, I, Venezia 1723, pp. 6 s.; G. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1697 s.; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles., VI, pp. 28 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, VI, Venezia 1847, pp. 450 s.; XVIII, ibid. 1864, p. 152; N. Bernabei, Vita del card. G.Morone vescovo di Modena..., Modena 1885, p. 187; L. v. Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1923, pp. 496 ss., 525, 527; VIII, ibid. 1924, pp. 172, 264; X, ibid. 1928, pp. 175 s., 185 s.; A. M. Rossi, Manuale di storia dell'Ordine dei Servi di Maria..., Roma 1956, pp. 86 s., 92-95, 312 s., 504, 508-510; S. Tromp, De cardinalibus interpretibus S. Concilii Tridentini annis 1564-1600, in La sacra Congregazione del Concilio…, Città del Vaticano 1964, pp. 251-263; N. Del Re, I cardinali prefetti della sacra Congregazione del Concilio..., ibid., pp. 268 s.; M. Aldrovandi, Fra A. Bonucci priore generale O. S. M…, Roma 1966, pp. 7 s., 34, 36-39, 43, 46 s., 53, 68, 74 s., 121.