BUONVISI, Stefano
Nacque a Lucca nel 1556 (fu battezzato col nome del nonno materno il 17 ottobre nella chiesa di S. Frediano) da Benedetto e da Chiara di Stefano Burlamacchi.
Ben poco si conosce della sua educazione e della sua formazione mercantile: è probabile che si sia presto trasferito a Lione dove trascorse poi gran parte della vita, tanto che conseguì a Lucca il suo primo anzianato soltanto nel 1622. Fin dal 1584 il suo nome comparve, insieme con quello del fratello Antonio, nella "Benedetto, Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C. di Lione"; alla morte del padre, nel 1587, i due fratelli ne continuarono le attività sotto la guida dello zio Bernardino, cui Benedetto li aveva affidati. A Bernardino, al B. e ad Antonio si intitolò la compagnia Buonvisi di Lione del 1587-95, cui il B. partecipò con una "missa" di 6.000 scudi (6,4% del capitale sociale); si fece anche promotore, con Antonio, di una sottoscrizione che fruttò alla compagnia una "missa" di altri 50.000 scudi "attenenti a più parenti et amici". Il B. era governatore della ditta e il contratto di costituzione della compagnia prevedeva proprio per lui la più alta provvigione per le fatiche spese al servizio dell'azienda: il 5% "delli utili et profitti che facesse detta compagnia".
Dal 1º marzo 1588 si intitolò al B., oltre che allo zio Bernardino e al fratello Antonio, la rinnovata compagnia di Anversa. "Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C." fu anche la ragione sociale della compagnia di Piacenza del 1587-91 (cui il B. partecipò con una "missa" di 1.000 scudi, pari al 3,8% del capitale sociale). Infine la compagnia del banco di Lucca incluse il nome del B. nell'intitolazione a partire dal 1591.
All'aprirsi dell'ultimo decennio del sec. XVI, sebbene le compagnie Buonvisi facessero sempre formalmente capo al vecchio Bernardino, ormai ritiratosi a Lucca, il B. e, forse in misura minore, suo fratello Antonio furono i veri animatori dei traffici internazionali della famiglia. Anche quando a capo delle aziende Buonvisi successe gradualmente l'altro zio, Paolo Buonvisi, pur vivente Bernardino, i due figli di Benedetto continuarono ad avere una posizione preminente.
Entrambi soci nominati della compagnia di Piacenza del 1592-98 ("Paolo, Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C."), vi parteciparono, con il fratello Martino, con una quota complessiva di 10.000 scudi (23,8% del capitale sociale); il B. e Antonio erano inoltre titolari di un conto a parte di altri 10.000 scudi raccolti fra parenti ed amici. Al rinnovo della compagnia di Piacenza ("Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C.") per il 1599-1605, il B. conferì al capitale sociale 4.000 scudi (11,4%) e con il fratello Antonio raccolse, sempre fra parenti ed amici, altri 20.000 scudi (57%).
Nel 1592 il B. divenne "principaliter nominatus" della compagnia che i Buonvisi decisero di riaprire a Genova, dopo aver lasciato per qualche anno ai Diodati l'incarico di rappresentarli su quella piazza. La "Stefano, Antonio, Lelio Buonvisi e C. di Genova" del 1592-98 ebbe un capitale di 80.000 libbre (quello della parallela compagnia Diodati fu di 40.000 libbre): 24.000 (30%) erano fornite da Cesare Diecimi, 18.000 (22,5%) da Paolo Buonvisi con i figli, altrettanti da Martino, il B. stesso e Antonio Buonvisi; le restanti 20.000 libbre vennero versate sotto il nome del B. e di Antonio, probabilmente quale frutto d'una sottoscrizione. La compagnia di Genova fu rinnovata nel 1599 con la ragione sociale "Stefano, Antonio, Scipione Buonvisi, Ottaviano e Fabio Diodati e C.": oltre ai nominati ne erano soci Paolo Buonvisi e l'altro suo figlio Pompeo, il fratello del B., Martino, e Alessandro, Niccolò e Ferrante Diodati. Il capitale sociale restava di 80.000 libbre (pari a 20.000 scudi), 16.000 delle quali (20%) versate da Paolo e dai suoi figli, 24.000 (30%) da Martino, dal B. e da Antonio. Le restanti 40.000 rappresentavano in parte il contributo dei Diodati e in parte il frutto della consueta sottoscrizione a Lucca.
Il B. fu in questi anni "principaliter nominatus" anche della compagnia aperta a Venezia nel novembre del 1600 per tre anni e poi prorogata fino al 1605.
Già nel 1578, con la collaborazione del mercante spagnolo residente a Firenze Baldassarre Suarez e con l'appoggio dei Ruiz, i Buonvisi avevano costituito una compagnia a Venezia che tuttavia non ebbe molta fortuna. Ancora i Suarez (Camillo e Sebastiano, con Antonio de Valderama) avevano probabilmente convinto i Buonvisi a riaffacciarsi a Venezia fornendo in accomandita, tramite le compagnie di Lione e Piacenza, 10.000 ducati veneziani (⅓ del capitale sociale; un altro terzo era versato dai mercanti spagnoli di Firenze) alla "Fazio Buzzaccarini, Bernardino Cancellereschi e C." del 1598-1601. L'esperimento diede probabilmente buoni risultati perché i Buonvisi furono incoraggiati ad aprire una loro compagnia che trafficò in lana, spezie e grano, non trascurando però le assicurazioni marittime. Essa si intitolava "Stefano, Antonio, Scipione Buonvisi e C." e contava fra i soci anche Martino e Pompeo Buonvisi e Cesare Lucchesini. Quest'ultimo, con Scipione Buonvisi, fu governatore della ditta, che ebbe un capitale di 40.000 ducati veneziani. Il Lucchesini contribuì con 7.000 ducati, il B., Martino e Antonio con 2.000 ciascuno, Scipione e Pompeo con 3.000 ciascuno; con il solito conto a parte Antonio e il B. conferirono i restanti 21.000 ducati. La compagnia veneziana fu socia in accomandita (con 7.500 libbre su 60.000) della "Benedetto Mariani e C. di Bologna" del 1603-1608.
Il nome del B. comparve anche nella ragione sociale della compagnia "di banco e di negotii mercantili" di Lucca del 1599-1605 ("Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C."), cui conferì 3.000 scudi (9,5% del capitale sociale) più altri 4.000 (12,6%) con il fratello Antonio per un conto a parte. Il B. fu ancora socio con Antonio della "Paolo, Bernardino Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1596-1600 e socio in accomandita, sempre con Antonio, della "Ferrante Burlamacchi e C. di Anversa" del 1593-98, che dai due Buonvisi dipendeva strettamente, visto che la loro "missa" di 4.000 libbre di grossi di Fiandra rappresentava l'80% del capitale sociale della ditta; al suo rinnovo, sotto la ragione "Ferrante Burlamacchi, Prospero Bottini e C.", per il 1598-1605 il B. partecipò attraverso le compagnie di Lione e di Piacenza che fornirono 6.500 delle 12.500 libbre del capitale; dopo il 1605 i Buonvisi scomparvero definitivamente dalla piazza di Anversa che avevano raggiunto, primi degli Italiani, novant'anni prima. Il B. fu infine socio in accomandita (con 2.000 scudi su 15.000) della "Fabio Buonvisi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1599-1602 e della "Ferrante Diodati, Simo Simi e C. dell'arte della seta di Lucca" del 1601-1604 insieme con i fratelli Martino e Antonio (4.000 scudi su 18.000).
A tutte le compagnie che abbiamo elencato il B. partecipò da Lione dove risiedette con la continuità che già era stata, dai primi decenni del Cinquecento in poi, di Vincenzo, Girolamo e Bernardino. Socio nominato delle compagnie Buonvisi di Lione del 1595-99 ("Bernardino, Stefano, Antonio Buonvisi e C."), del 1599-1605 e del 1605-1608 ("Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C."), partecipò alla prima con 6.000scudi (15,3%) piùaltri 9.500 (24,3%) raccolti, insieme con il fratello Antonio, da parenti ed amici, alla seconda con 8.000 scudi (16,1%) piùaltri 16.500(33,33%) versati con il fratello, alla terza con 12.000 scudi che rappresentavano da soli il 44% del capitale sociale. Di tutte e tre le ditte il B. fu governatore, come lo era stato della precedente del 1587-95.Del suo lungo soggiorno lionese sono testimonianza le numerosissime lettere scambiate con i Ruiz e gli stretti rapporti con la corona di Francia: anche grazie all'interessamento di Enrico IV il fratello del B., Buonviso, conseguì, primo della famiglia, il cardinalato, e lo stesso re di Francia, il 6dic. 1600, incontrò la moglie, Maria de' Medici, nella casa del B. a Lione, dove la regina e il cardinale Aldobrandini battezzarono un figlio del B. cui fu imposto il nome di Aldobrandino. Fu infine il B. a far procurare a Lione, nel 1610, la prima edizione di quella Vita e costumi del beato Giovanni Buonvisi che preludeva simbolicamente al "nuovo corso" seicentesco della famiglia lucchese.
Dai registri della Corte dei mercanti di Lucca non risulta che la compagnia di Lione sia stata né prorogata né rinnovata dopo il 1608: pur avendo continuato le loro attività in Francia negli anni successivi, forse allora per la prima volta i Buonvisi pensarono seriamente a chiudere, con l'azienda lionese, tutte le loro compagnie all'estero. Se le ditte di Genova ("Stefano, Antonio Buonvisi, Ottaviano Diodati e C.", al governo del Diodati, con capitale di 80.000 libbre conferite da Martino, dal B. e Antonio per il 45%, dagli stessi con conto a parte per il 5%, da Pompeo Buonvisi e dal Diodati per il 20% ciascuno e dai Buonvisi di Piacenza per il 10%), di Piacenza ("Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C.", con "missa" del B. di 6.000 scudi su 44.600, più altri 7.600 raccolti con il fratello Antonio da parenti ed amici), di Lucca ("Paolo, Stefano, Antonio Buonvisi e C.", con "missa" del B. di 4.000 scudi su 16.000) e di Venezia ("Stefano, Antonio Buonvisi e C." al governo di Arrigo Diodati, con capitale di 18.000 ducati, 8.000 dei quali raccolti dal B. e Antonio e 2.000 ciascuno versati dal Diodati e da Martino, dal B. stesso, Antonio e Pompeo Buonvisi) erano state ancor tutte rinnovate, rispettivamente le prime due per il 1605-1609, le altre per il 1605-1608 e 1606-1608, alla data del 1610 non risultava ufficialmente in vigore che la sola compagnia del banco e di negozi mercantili di Lucca "Stefano, Antonio Buonvisi e C.". Era stata aperta per tre anni, sotto la direzione di Giovanni Carli (che partecipava con 2.000 scudi) il 1º febbr. 1609: il B. e Antonio con 7.000 scudi ciascuno conferivano da soli quasi tutto il capitale sociale (16.000 scudi) della ditta, che aveva ormai perduto anche la collaborazione di Paolo e di suo figlio Pompeo.
La crisi attraversata dalle aziende Buonvisi intorno al 1610 venne superata a fatica: le ditte di Genova, Venezia e Piacenza scomparvero definitivamente e fu forse proprio il B., improvvisamente ritiratosi dagli affari, a determinare la nuova situazione. Egli partecipò ancora in accomandita alla "Orazio Mansi, Alessandro Chiariti e C. di Milano" del 1605-1611 (1.500 scudi su 16.000) e alla "Niccolò, Arrigo Diodati e C. di Venezia" del 1608-1612 (2.000 ducati su 19.500), ma già nel 1612 non rinnovò la sua associazione né al banco di Lucca, né alla compagnia di Lione (entrambe "Antonio, Benedetto Buonvisi e C."), le uniche superstiti compagnie Buonvisi, oltre a quella lucchese di arte della seta di Pompeo e Paolo, ormai del tutto separati dai cugini. Fu soltanto il testamento del fratello Antonio, morto nel 1614, che costrinse il B. a riassumere la direzione del banco di Lucca (insieme con l'altro fratello Martino) per conto dei nipoti Benedetto e Giovanni che si erano trasferiti a Lione. Così già dal 1615 e poi dal rinnovo del 1617-22 la compagnia di Lucca ("Stefano, Benedetto, Giovanni Buonvisi e C.") ebbe nel B. il "principaliter nominatus". Al capitale sociale, di 17.000 scudi, contribuirono Benedetto e Giovanni Buonvisi con 7.000 scudi, il B. con altrettanti e Giovanni e Iacopo Carli con 3.000. Nel 1623 la ditta fu riaperta per tre anni sotto la medesima intitolazione: all'aumento di 1.000 scudi del capitale contribuirono con 500 ciascuno il B. e i figli di Antonio.
Come i Massei nella compagnia di arte della seta di Paolo e Pompeo Buonvisi, così i Carli nella compagnia del banco, dopo decenni di collaborazione in un ruolo subordinato, riuscivano gradualmente a crearsi spazio per autonome iniziative commerciali appoggiate dagli stessi Buonvisi: nel 1618 fu costituita la "iacopo, Ludovico Carli e C. di Messina" (giunta, attraverso due rinnovi, fino al 1626) cui la compagnia Buonvisi del banco di Lucca partecipò con "misse" in accomandita del 23,3%, del 25% e, in occasione dell'ultimo rinnovo, insieme con la compagnia di Lione, del 35%.
I tentativi dei Carli e dei Massei indicano che la crisi dei traffici dei Buonvisi era fondamentalmente crisi di uomini e di personale: la famiglia nei suoi pur numerosissimi rami era andata rapidamente assottigliandosi alla fine del Cinquecento e all'inizio del Seicento e i non numerosi superstiti, a parte le sempre più spiccate tendenze nobiliari, erano già abbastanza impegnati dall'amministrazione dei patrimoni ereditati. Lo stesso B. perse cinque figli maschi (per il vaiolo, secondo la tradizione erudita lucchese) tutti nati dal matrimonio, del 1587, con la cugina Placida di Giuseppe Buonvisi; e anche l'unico sopravvissuto, Sebastiano, venne a morte fin dal 1616, pochi mesi dopo il matrimonio con Lucia di Bartolomeo Cenami, a sua volta figlia di Chiara Buonvisi. Quando nel 1629 il fallimento della ditta di Lione coinvolse anche il banco di Lucca, il B. era ormai solo e ultrasettantenne: se i suoi capitali liquidi e forse molti dei beni stabili finirono nelle mani dei creditori, bastava il fedecommesso costituito da suo zio Bernardino ad assicurargli rendite che ben poche famiglie lucchesi raggiungevano.
Morì novantenne a Lucca nel 1646.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Comune,Corte dei mercanti, n. 88 (Libro delle date), cc. 89, 159rv, 199rv, 200 (banco di Lucca); cc. 47v, 59v-60, 141v-142 (Lione); cc. 64v, 128rv, 148, 168 (Anversa); cc. 62-63, 98rv, 103rv, 139, 150v, 166, 177 (Piacenza); cc. 104rv, 110, 150, 176v (Genova); cc. 151rv, 191v-192 (Lucca, arte della seta); cc. 185v-186 (Venezia); n. 89 (id.), pp. 76rv, 98, 109rv, 139-140, 158v, 166, 178v (banco di Lucca); cc. 1rv, 6, 74v-75 (Lione); c. 64 (Anversa); pp. 2; 7, 73-74 (Piacenza); cc. 3, 71v-72 (Genova); pp. 26, 34 (Lucca, arte della seta); cc. 25, 83v, 110 (Venezia); cc. 102rv, 145 (Milano); c. 49v (Bologna); n. 90 (id.), pp. 37rv (banco di Lucca); cc. 11, 25, 42 (Messina); Ibid., Anziani al tempo della libertà, n. 766, pp. 582 ss. (anzianati); Ibid., Archivio Buonvisi, I, 64, ins. 18; Lucca, Biblioteca governativa, ms. 1108: G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi (sec. XVIII), passim e cc. 125-130 (rapporti della compagnia Buonvisi di Venezia con la Germania); J. B. L'Hermite de Soliers, La Toscane françoise..., Paris 1661, pp. 208-211; S. Bongi, Storia di Lucrezia Buonvisi, Lucca 1864, p. 153; N. Valois, Inventaire des arrêts du Conseil d'Etat (règne de Henri IV), II, Paris 1893, nn. 5864, 8170; E. Lazzareschi, introduzione a Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, Pescia 1946, p. 102; H. Lapeyre, Une famille de marchands: les Ruiz. Contribution..., Paris 1955, ad Ind.; J. Gentil da Silva, Stratégie des affaires a Lisbonne entre 1595 et 1607, Paris 1956, p. 51 e ad Ind.; A. Tenenti, Naufrages,corsaires et assurances maritimes à Venise,1592-1609, Paris 1959, p. 499 e ad Ind.;I.Belli Barsali, Le ville lucchesi, Roma 1964, pp. 39 s., 210.