CIERA, Stefano
Figlio di Bertacci e di una Agnesina "da Fan", della parrocchia di S. Moisè a Venezia, nacque non dopo la metà del 1323: nel luglio 1348, nel primo dei documenti da lui rogati rimastici, risulta essere notaio veneziano, nomina per cui era richiesta l'età minima di 25 anni. Iniziò la sua attività di scriba e notaio negli uffici della Cancelleria ducale nel 1346, dopo un buon periodo di prova: probabilmente due anni, se nel luglio 1355 gli venivano riconosciuti più di undici anni di servizio.
Il C., che spesso è detto Stefanello, non va confuso con Stefano figlio di Desiderato di Franchino, quasi sempre indicato con il solo nome proprio, anchegli notaio della Curia maggiore dal 1334 a non oltre il '483 nominato nel 1342 notaio veneziano, al quale va certamente attribuita una missione diplomatica in Slavonia nel 1346 (agosto-ottobre).
Nel 1348 il C. era notaio della Quarantia; nell'ordo curiae del 1349 figurava fra i notai deputati ai Savi. Come era consuetudine, presto agli impegni curiali. si aggiunsero quelli diplomatici, che furono, anzi, così numerosi che la sua presenza nella Cancelleria a Venezia fu limitata a brevi periodi (lo troviamo soprattutto testimone alla stesura dei vari atti, meno frequentemente è egli stesso il rogatario). Dal 1351, nel gravi ed intensi anni della guerra con Genova e di quella immediatamente successiva con Luigi d'Ungheria, il C. fu impegnato infatti in molte missioni a seguito degli ambasciatori, mentre altre gli furono. personalmente affidate.
Scoppiato il conflitto genovese, nei primi mesi del 1351 fu inviato a Costantinopoli, rimanendovi più di un anno, probabilmente al seguito di Giovanni Dolfin che era stato incaricato di stipulare l'alleanza venetctbizantina contro Genova. In seguito, quando, per iniziativa e mediazione papale, ad Avignone si svolsero fra le potenze belligeranti incontri e.colloqui nella prospettiva di trattative di pace, dal 1352 per un biennio fu segretario delle legazioni veneziane alla Curia romana, recandosi più volte da Avignone a Venezia per informare direttamente la Signoria della situazione. Nel 1352 (settembre-dicembre) fu con l'ambasciatore Filippo Orio, e in questa occasione venne inviato anche in Aragona; nel 1353 insieme a Rafaino Caresini, fu notaio della legazione di Pietro Gradenigo, Goffredo Morosini, Marino Grimani, Pietro Badoer, per i quali il 19 aprile pagò al procuratore di Pietro d'Aragona, in rispetto del trattato del 1351, la quota veneziana per l'armamento delle diciotto galee contro i Genovesi. Infine, trascorsi alcuni mesi a Venezia, dal gennaio 1354 fu al seguito di Marco Giustinian, Marino Faliero e Niccolò Lion; il 2 maggio effettuò il solito.pagamento, all'Aragonese. Tornato da poco a Venezia, il 12 settembre, il giorno seguente all'elezione dogale, di Marino Faliero, fu inviato presso il Visconti a chiedere un salvacondotto per il nuovo doge, che ancora si trovava ad Avignone. Da Milano, compiuta la missione, proseguì fino alla Curia papale per comunicare al Faliero la nomina e consegnare le lettere ufficiali di notifica al papa e ai cardinali. In ottobre era a Venezia, ma in novembre, secondo il Caroldo, ancora una volta fu mandato "per diverse cagioni" ad Avignone, con l'incarico di fermarsi, lungo la via, a Milano per conoscere la disponibilità dei Visconti alla pace; scrisse di averlo trovato propenso alle trattative.
Nell'ambito delle relazioni che in questo periodo si stabilirono fra Venezia e Carlo IV, in funzione antiviscontea, il C. seguì le legazioni ("...propter tres ambaxiatas cum quibus ivit...") inviate presso l'imperatore venutoin Italia, contrariamente ad ogni aspettativa, arbitro di pace. Il 30 dic. 1354 infatti a Mantova rogò lo strumento di compromesso con cui la Repubblica e i suoi alleati di Terraferma autorizzavano l'imperatore a trattare con i Visconti la pace o una tregua. Nel gennaio seguente con gli ambasciatori Marco Giustinian e Paolo Loredan, incaricati di concludere, se possibile, i laboriosi negoziati, andò a Pisa, rimanendovi probabilmente durante tutto il soggiorno imperiale (gennaio-marzo).
Nell'ottobre 1355 svolse una missione autonoma presso l'Estense che aveva chiesto l'aiuto veneziano riella guerra, per lui ancora in atto, con i Visconti. Il C. doveva ribadire come la Repubblica non potesse, per la gravità del momento, schierarsi a suo favore, ma come fosse pronta ad intervenire per procurare un accordo. Nel 1356, alla fine di aprile e durante maggio, fu impegnato nell'azione di mediazione che Venezia, preoccupata di ristabilire la pace ai suoi confini, nell'imminenza del conflitto ungherese, svolgeva per la soluzione della controversia sorta tra Francesco da Carrara e Cangrande a causa della catena posta sul, Brenta, a Covolo, dal Carrarese. Dapprima raggiunse gli ambasciatori veneziani a Padova per riferire le modalità e i termini dell'arbitrato; poi egli stesso portò a Cangrande l'esortazione ad accettare l'intervento veheziano; l'intento della Repubblica non giunse però ad effetto. In agosto, secondo il Caroldo - ma le altre fonti non confermano il fatto - il C. fu inviato, con il vescovo di Fermo, presso Luigi d'Ungheria, che assediava Treviso, per chiedere un salvacondotto a favore del nuovo doge Giovanni Dolfin, al momento dell'elezione provveditore a Treviso, ma la missione fallì, Dopo alcuni mesi di regolare presenza nella Cancelleria ducale, il 17 marzo 1357 si recò a Padova presso il Carrarese che doveva incontrarsi con gli ambasciatori ungheresi in Italia, per raccomandargli un atteggiamento favorevole ed amico nei confronti della Repubblica. Nei primi mesi di quest'anno compì anche una missione presso il duca d'Austria, di cui non è dato però avere precise notizie. Nel gennaio 1358, quando Francesco da Carrara propose la sua mediazione nelle trattative di pace, con il re d'Ungheria, il C. fu al seguito del priore di S. Giovanni del Tempio, che era stato inviato da Venezia presso il signore di Padova per sondarne le reali intenzioni, prendere contatti e trattare, appunto, in merito alla mediazione, che, infine accettata, fu condotta sino alla conclusione della pace in febbraio.
Dal 6 al 15 luglio del 1358 il C. fu a Cesena, dove restituì al tesoriere papale 20.000 fiorini d'oro anticipati alla Repubblica. Si concludeva con questo incarico la sua attività nella Cancelleria dúcale, svolta sempre con zelo e impegno tali da valergli aperti riconoscimenti da parte del governo, da fruttargli più volte aumenti di stipendio (1349, 1351, 1353, 1355) e da meritargli infine, nel 1358, la nomina a cancelliere di Corone e Modone, importante possesso veneziano in Grecia. Nell'agosto di quell'anno raggiunse la sua sede, dove rimase fino alla morte.
Il suo cancellierato non fu sempre esemplare: nel marzo 1371 il C. veniva condannato ad una multa di cento lire di piccoli per aver ricevuto doni e aver trasgredito ad altri doveri inerenti all'ufficio. Forse per questo motivo, in quello stesso anno, ebbe il permesso di tornare a Venezia per sei mesi; precedentemente doveva esserci già stato nel 1365; vi sarebbe ritornato nel 1376 "pro, expediendis aliquibus arduis factis suis". Un'ultima missione diplomatica, segno che la stima nei suoi confronti non era caduta, eseguì nel gennaio 1382 quando, ad Andrussa, come procuratore dei castellani di Corone e Modone, stipulò con i reggenti del principato d'Acaia un trattato di pace e alleanza. In Corone dovette partecipare con i suoi capitali ad imprese commerciali, come attesta un atto dell'anno 1374 con cui investì 110 o ducati d'oro nell'acquisto di seta. In effetti il C. doveva godere di una certa agiatezza; possedeva case e magazzini a Venezia, a Santa Maria. Formosa, e a Treviso, proprietà queste ultime, che gli venivano in parte dalla dote della seconda moglie; costruì, con il figlio Lorenzo, una "domum novam" a Corone.
Nel 1384, assai anunalato, otteneva il permesso di recarsi al S. Sepolcro, lasciando a sostituirlo nella Cancelleria il figlio Giovanni. Il 24 giugno 1389 consegnò il suo testamento, perché lo rogasse, a Lorenzo de Molino, canonico di Corone, per il quale, come procuratore, nell'agosto 1373 aveva ricevuto dal vescovo i benefici e le prebende del canonicato. Morì con ogni probabilità a Corone nel periodo compreso fra il 24 giugno 1389 e il 13 maggio 1390.
Il C. aveva sposato Elisabetta da Mosto di Marco, dalla quale ebbe Giovanni e Francesco, canonico di Apollonia e poi della Chiesa olonense, premortigli, Lorenzo, Benedetto e Barbarella, sposata a Maffeo Diedo; in seconde nozze sposò Altallore, vedova di Guglielmo degli Angusoli di Treviso. Fu amico dell'umanista veneziano Paolo de Berna do. Anche egli partecipò, almeno negli anni giovanili, al fervore culturale che informava l'ambiente della Cancelleria veneziana nel '300; a queste cure e a questi interessi fa allusione il de Bernardo in una lettera, scritta nel 1371, piena di familiarità e di affetto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia. Arch. notarile, Testamenti, busta 1232, n. 38; Ibid., Grazie, reg. 6, 30v; reg. 11, f. 56; reg. 12, ff. 44, 92v, 96; reg. 13, ff. 1, 7, 10, 24, 35v, 49, 50, 57, 61; reg. 14, f. 18v; reg. 16, f. 131v; reg. 17, ff. 84v, 185v; Ibid., Senato, Sindicati, I, ff. 49, 58v, 59v, 60-61, 65-67, 69rv, 70v-71v, 74-75, 76v; Misti, reg. 26, ff.46v, 106rv; reg. 27, ff. 38, 72v, 74, 83, 85v; reg. 28, f. 25v; Consilii Rogatorum secreta, reg. B, ff. 96, 103; Ibid., Quarantia criminal, Parti, reg. 16, ff. 2, 194; Ibid., Collegio, Scripturae secretae Consilii Sapientium, ff. 2rv, 9rv, 24rv, 26v, 35rv; Ibid., Maggior Consiglio, Deliberazioni, Spiritus, f. 126v; sempre nell'Arch. di Stato di Venezia sono conservati gli atti notarili del C.: Arch. notarile, Testamenti, busta 1110, inserto 40 c (6 testamenti); Cancell. infer., busta 236, inserto 1 (quattro pergamene); Archivio di Stato di Padova, Pergamene diverse, mazzo XXI, n. 442; mazzo XXIII, n. 494; mazzo XXIV, nn. 509 s.; mazzo XXV, n. 522; mazzo XXVI, nn. 543, 546; mazzo XXX, n. 637; mazzo XXXIV, n. 689; mazzo LII, nn. 772, 1081; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Gradenigo, 83, II: Corona seconda della veneta Repubblica..., ff. 127, 129-130v; Ibid., Manoscritti provenienze diverse, C. 2213, n. 14; Venezia, Bibl. naz. Marciana, cod. Ital. VII, 90 (= 8029): Arbori e croniche delli cittadini veneti, f. 28v; Ibid., cod. Ital. VII, 128a (= 8639): G. G. Caroldo, Cronica veneta, ff. 208v, 229v, 232v, 235rv, 238rv, 253, 259v; Listine o odnošajih izmediu južoga Slavenstva, II, a cura di S. Liubič, in Monumenta spectantia historium Slavorum meridion., II, Zagrabiae 1870, pp. 375 s., 379, 401; III, ibid., III, ibid. 1872, pp. 276, 318; V, ibid, V, ibid. 1875, pp. 281, 284, 307, 327 s.; I libri commemor. della Republica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, II, Venezia 1878, IV, nn. 314, 368, 424; V. nn. 7, 28, 35 s., 144, 191, 240; VI, nn. 27, 30; III, ibid. 1883, VIII, n. 126; Diplomatarium Veneto Levantinum, I, a cura di G. M. Thomas, Venetus 1880, p. 347; II, ibid. 1899, p. 4; Addimentum primum ad J, F. Böhmer, Regesta Imperii, VIII, a cura di A. Huber, Innsbruck 1889, p. 801 n. 697; G. B. Verci, Storia della Marca trivigiana e veronese, XIII, Venezia 1789, doc. p. 27 n. 1525; C. Cipolla, Karl IV. in Mantua (1354-1355), in Mittheilungen des Instituts für österreich. Geschichtsforschung, III(1882), pp. 439-445; L. Lazzarini, Paolo de Bernardo e i primordi dell'umanesimo in Venezia, Genève 1930, pp. 100-103, 193 ss.; Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall'VIII al XX secolo, a cura del Cons. naz. del notariato, Milano 1961, pp. 188 s.; V. Lazzarini, Marino Faliero, Firenze 1963, pp. 55 s., 121 s.