CONTARINI, Stefano
Primogenito di Bernardo di Nicolò, dei Contarini di S. Silvestro, e di Orsa Contarini, figlia del procuratore di S. Marco Stefano di Nicolò, nacque a Venezia probabilmente nel 1444, dieci anni prima dell'unico fratello Teodosio (di una sorella, morta nel 1514, dà notizia il Sanuto). Sposatosi nel 1483 con Elisabetta Zane di Girolamo di Bernardo, ne ebbe nove figli: ai tre che compaiono nei registri dell'Avogaria - Nicolò, Teodosio e Santo, che fu capitano delle galere d'Alessandria, capitano a Padova e consigliere - vanno infatti aggiunti Alessandro, ricordato anche negli Arbori del Barbaro, che si sposò con Maria di Leonardo Pesaro e fu anch'egli consigliere, e Girolamo, menzionato nel testamento della madre, nonché Orsa (sposatasi con Roberto Morosini di Alvise), Maria (moglie di Giambattista Morosini di Gian Antonio), Chiara (maritata a Vincenzo Molin di Alvise), Cecilia (moglie di Michele Trevisan di Nicolò); una figlia illegittima si sposò nel 1500 con Angelo Tron di Andrea.
L'esiguità della rendita denunciata dal C. e dal fratello Teodosio per la redecima del 1514 - 38 ducati (di cui 35 per la casa di stazio a S. Maria Mater Domini) - non nspecchia certo la loro condizione economica. I due fratelli risultano infatti proprietari, sul finire del secolo, di una nave di 330 botti; il C., in particolare, è a capo di una grossa compagnia mercantile: "gran merchadante di formenti", come lo chiama il Sanuto, tra la fine del secolo ed il primo quindicennio del Cinquecento egli concentra nelle sue mani le importazioni di grano dalla Sicilia, che in questi anni di carestie ricorrenti e di gravi perturbazioni militari vengono a coprire la quota più rilevante della domanda pubblica di approvvigionamento alimentare. Dal 1497 in poi troviamo quasi annualmente suoi contratti con la Signoria per forniture anche di 50.000 staia di frumento, o addirittura, nel febbraio 1509, senza limite prefissato. È udattività che, nel rispondere all'urgenza delle istanze pubbliche, non manca di procurare al C. lauti guadagni, talora giudicati anzi eccessivi: nel 1515 il savio dol Consiglio Luca Tron, per opporsi ad una vendita di sale in Lombardia, ricorda appunto gli enormi profitti realizzati tre anni prima dal C. per una condotta di frumento a Verona. Di fatto, le rendite denunciate nel 1537 dagli eredi del C. e di Teodosio sono circa venti volte quelle dichiarate dai genitori., con grandi possedimenti "mai pertegadi" nel Padovano e altrove. Frutto forse di una conversione di capitali; resta certo comunque che il C. - capace di dare una dote di 8.000 ducati alla figlia Chiara, mallevadore di prestiti pubblici e di banchi privati, sempre generoso di prestiti alla Signoria (con uno di 3.000 ducati nel 1513 otterrà il condono da una condanna per contrabbando di spezie) - è uno dei più facoltosi e dinamici patrizi del suo tempo.
Non meno intensa, seppure iniziata tardivamente, fu l'attività politica del Contarini. La prima carica cui lo troviamo eletto, il 26 dic. 1489, è quella di officiale alle Rason Nove; chiamato poi nel 1493 nei Pregadi e due anni dopo nella loro zonta, nell'agosto 1495 viene inviato podestà a Chioggia. Nuovamente al Senato nel 1498 il 22 dicembre ne viene incaricato, assieme con Girolamo Bembo ed Alvise Grimani, di indicare i rimedi più opportuni per la gravissima crisi dei "viaggio di Siria", danneggiato dal pesante indebitamento del Cottimo di Damasco. Clúamato ancora al Senato l'anno seguente, il 21 apr. 1500 viene eletto podestà di Bergamo, dove raggiunge il capitano Francesco Basadonna, sostituito in ottobre da Girolamo Bembo.
Nella situazione ancora incerta seguente la cattura di Ludovico il Moro, dall'osservatorio privilegiato ma anche pericolosamente esposto di Bergamo i due rettori raccolgono voci allarmanti di un'imminente discesa dell'imperatore contro gli alleati franco-veneti, mentre.si dice fervano gli arruolamenti in Germania e tra i Grigioni. In luglio sembra che 30.000 Imperiali siano già in marcia contro Venezia e i rettori si preparano come possono a sostenerne l'urto, ma poi la tensione si allenta, circola la notizia della tregua tra Massimiliano e Luigi XII, ed emerge sempre più chiaramente che non si raccontavano che"molte busie". Il C. e il Bembo possono allora dedicarsi attivamente alla raccolta della imposta straordinaria per la guerra coi Turchi, di difficile esazione nonostante la buona disponibilità dei sudditi, e all'arruolamento, ma con scarsissimi risultati, di rematori per le galere veneziane.
Tornato a Venezia nell'estate del 1501, il C. entra in una fase di intensa attività politica. Oltre che nell'elezione alle massime cariche - il 30 sett. 1501 è dei quarantuno che eleggeranno al dogado Leonardo Loredan, nei tre anni seguenti viene eletto tre Volte al Senato e due volte al Consiglio dei dieci, nel 1505 è consigliere per il sestiere di S. Croce -, il prestigio di cui gode trova riconoscimento nella partecipazione a magistrature straordinarie, consultive od esecutive in ambiti di particolare rilevanza e delicatezza: nel dicembre 1501 il Senato gli conferisce - insieme con Girolaito Querini - l'incarico di esecutore delle deliberazioni "sopra le cosse da Mar", che detiene per oltre due anni; dal giugno 1503 al gennaio successivo per ordine dei Collegio è impegnato a dirimere l'intricata questione del fallimento del banco dei Lippomano, che vede coinvolti oltre milleduecento creditori; nel maggio 1505 è chiamato a far parte dei quindici deputati al "Colegio di le acque" che con la Signoria e i capi del Consiglio dei dieci devono deliberare sul dibattutissimo problema- della sistemazione della Brenta nuova.
Ricoperta nel 1506 la prestigiosa carica di capitano di Verona, nell'aprile 1507 il C. è uno dei Tre in luogo di procuratori dei sopragastaldi, e in giugno viene nuovamente eletto consigliere, ma rinvia al primo semestre del 1508 l'ingresso in carica; non passa invece in settembre la ballottazione per la dignità procuratoria, dove fallirà anche nell'aprile del 1509. Entrato il 10 ott. 1508 nel Consiglio dei dieci, dal gennaio in poi ne è capo a mesi alterni, e si trova quindi alla guida del massimo organo della Repubblica durante il disastro di Agnadello. Il 23 maggio, considerata l'assoluta urgenza dei problemi annonari, il Consiglio delibera di affidarne la competenza ordinaria ad Alvise Malipiero e al C., che viege così a trovarsi nella posizione del tutto anomala di fornitore e committente al tempo stesso (il C. non va comunque confuso con l'omonimo figlio di Davide, provveditore alle Biade dal febbraio 1509). Ancora dei Tre in luogo di procuratori dal 10 ott. 1509, il 29 gennaio la rinuncia di Zaccaria Dolfin al capitanato di Padova gli permette di ottenere quella carica cui aveva concorso senza fortuna l'agosto precedente.
Portatosi alla fine di febbraio nella città, si unisce al podestà Cristoforo Moro e al provveditore Alvise Barbaro, impegnati in una frenetica opera di fortificazione che procede intensissima per tutto l'anno pur tra continue difficoltà, ostacolata dalla mancanza di denaro 0 rettori sono talora costretti a pagare di tasca propria gli sterratori), dalla concomitanza dei lavori campestri che fanno dileguare le cernide, dall'infuriare della peste che colpisce anche tra i familiari dei C., costringendolo per un certo periodo all'isolamento. Si comprendono pertanto il risentimento e le proteste dei rettori alle pesanti critiche rivolte al loro operato dai provveditori generali quando, in giugno, l'esercito è costretto a riparare in città. Ai problemi di una convivenza coi capi militari non sempre priva di tensione, si aggiungono poi per i rettori quelli del riacutizzarsi dei contrasti sociali che occorre gestire con un'accorta politica di rinvio, in modo da non compromettere le scelte future della Signoria senza deludere nel contempo sia i nobili sia i popolari, ansiosi i primi di veder riconfermati i loro privilegi, sospesi conla dedizione della città al nemico, mentre gli altri, forti della "fideltà soa", premono per infrangere l'assetto aristocratico pretendendo una rappresentanza popolare al Consiglio, il rinnovo degli estimi, "et altre cosse".
Passate le consegne a Girolamo Contarini il 2 marzo 1511, il C. viene subito eletto nei Tre in luogo di procuratori, mentre in ottobre rientra anche al Consiglio dei dieci, dove viene rieletto nel 1513 e, come membro della sua zonta. nel 1515; consigliere nel 1512 e nel 1518, fa ininterrottamente parte della zonta del Senato dal 1514 al 1517. Contemporaneamente, il C. è chiamato a partecipare a magistrature particolarmente attinenti alle sue competenze mercantili e finanziarie: nel giugno 1511 il Consiglio dei dieci lo aggrega, conferendogli amplissimi poteri, ai due provveditori alle Biade Michele Salamon e Marco Contarini; nel 1513 e 1515 viene eletto nei Dieci d'avi a tansar; nel 1514 è uno dei due savi incaricati di recuperare i crediti di guerra; nel 1515 viene deputato dal Collegio a rivedere i conti dei banchi ebraici. Non hanno invece esito positivo le ballottazioni per capitano generale da Mar nel 1514, per savio dei Consiglio nel 1513, 1516, 1517, 1518, e per procuratore di S. Marco nel 1516, nonostante offra un prestito di 7.000 ducati. Come provveditore all'Arsenalé, canca cui viene eletto assieme con Alvise Priuli per tre anni consecutivi, dal 1516 al 1518, il C. è protagonista di continui e aspri scontri in Senato coi savi del Consiglio, che si oppongono sistematicamente alle sue richieste di finanziamenti straordinari per l'Arsenale.
Colto "da febre", il C. morì a Venezia ("con optima fama", come scrive il Sanuto) nella notte del 16 ott. 1518.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. codici, I, Storia veneta, 18: M. Barbaro, Arbori de'patritii veneti, II, p. 439; Ibid., Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 163, c. 138; Ibid., Avogaria di Comun, Cronaca matrimoni, reg. 107, c. 62 (il matrimonio del padre a c. 58v); il testamento della moglie, Ibid., Notarile, Testamenti, Pre' Giacomo Grasolario, b. 1185, cc. 204v-205; la condizione di Stefano e Teodosio, Ibid., Dieci savi alle Decime, b. 45, S. Maria M. D. n. 4, quella dei loro credi ibid., b. 100, S. Croce n. 341; sulla nave del C., la decisione di armarla per la guerra coi Turchi, Ibid., Senato, Mar, Deliberaz., reg. 14, c. 192v; indicazioni sull'attività mercantile del C., Ibid., Consiglio dei dieci, Misti, reg. 32, cc. 70, 77v, 86v, 107v, 194v; sulla condanna per contrabbando, Ibid., Cons. dei dieci. Misti, reg. 35, cc. 168v-169; dispacci dei C., Ibid., Capidei Cons. dei dieci, Lettere rettori, filza 11 (Bergamo), nn. 4, 5; filza 192 (Verona), nn. 44; filza 80 (Padova), nn. 84, 86, 87, 88, 96, 99, 101, 102, 104, 105, 110, 111, 113-122; lettere al C. come rettore, Ibid., Senato, Terra. Deliberaz., reg. 13, cc. 115, 170v; reg. 14, c. 49v, e Ibid., Cons. dei dieci, Misti, reg. 31, cc. 44v, 64v; vedi, inoltre, Ibid., Senato, Mar, Deliberaz., reg. 14, c. 171; reg. 15, c. 99v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Msi. It., CI. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio venero, I, c. 290 (dove però il nome dei nonno è indicato erroneamente in Girolamo); Ibid., Mss. It., cl. VII, 156 (= 8492): M. Barbaro, Nozze patrizie, cc. 129-133; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: O. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, cc. 178v-179 (dove il padre è erroneamente chiamato Raimondo); M. Sanuto, I Diarii, Venezia 11879-1993, I-XVII. XIX, XXXV-XXXVI, ad Indices (tenendo conto che il C. vi compare richiamato sotto diverse voci, e nel vol. XX anche erroncamente come figlio di Leonardo); I libricommem. della Rep. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 89, 109, 148, 156; A. Gloria, Di Padova dopo la lega stretta in Cambrai... Cenni storici... Padova 1863, p. 33; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, III, Bergamo 1959, p. 204.