CONTARINI, Stefano
Figlio di Nicolò della contrada dei SS. Apostoli nel sestiere di Cannaregio, nacque a Venezia nella seconda metà del sec. XIV.
Ricordato nei documenti Pubblici con l'appellativo di "maior", il C. non deve essere confuso con il suo omonimo contemporaneo Stefano Contarini soprannominato "el grando", console a Tunisi di Berberia ed eletto all'ufficio del Sale: costui era figlio di un Nicolò, che abitava a S. Cassiano.
Il 23 dic. 1420venne nominato comandante di una squadra navale col compito di eliminare dal mare Ionio Gianambrogio Spinola, il corsaro genovese cha da alcuni mesi devastava le coste del Peloponneso fra Modone e Corone, con grave danno per i traffici marittimi e la sicurezza delle comunicazioni fra la madrepatria ed i possedimenti veneziani d'Oltremare. Al C., che fu posto alle immediate dipendenze del capitano generale del Golfo, furono assegnati quattro mesi di tempo per portare a termine l'incarico ed una paga di 60 ducati al mese. La commissione gli venne affidata il 6 febbr. dell'anno seguente, ma ancora il 25 di quello stesso mese i consiglieri dei doge si lamentavano delle conseguenze nocivetehe avrebbe avuto ogni ulteriore ritardo nella partenza della squadra, ed invitavano perciò gli Avogadori a prendere severi provvedimenti contro chiunque tentasse di inframettere ostacoli all'impresa. Responsabile dell'indugio era il C., che si rifiutava di assumere il capitanato, secondo quanto ci riferiscono le fonti, "vel propter infirmitatem vel propter aliam causam"; ma si trattava di scuse. In realtà egli giudicava insufficiente la somma che era stata stanziata per finanziare la sua missione; e solo quando il Senato, all'unanimità, decise di accogliere le sue richieste, si risolse a salpare. Agendo d'intesa con Giacomo Trevisan, capitano del Golfo, il C. riuscì in breve tempo a liberare il mare dai corsari genovesi: lo Spinola, inseguito sino a Gaeta, fu battuto e ferito, e le sue navi vennero distrutte. Nel settembre di quello stesso anno 1421i savi del Consiglio ed agli Ordini comandarono al C. di portarsi nelle acque di Rodi, dove navi veneziane erano state assalite dai Genovesi; egli avrebbe dovuto incrociare in quelle acque con i suoi vascelli per tutto il mese seguente, e quindi sarebbe dovuto rientrare alla base, dove la sua squadra sarebbe stata posta in disarmo.
Nel dicembre gli fu affidato il comando del vascello che doveva trasportare inEgitto Barnabò Loredan e Lorenzo Cappello ambasciatori al sultano di Alessandria. Secondo l'ordine di servizio, il C. sarebbe stato gerarchicamente sottoposto agli ambasciatori, finché fossero rimasti a bordo; quindi avrebbe assunto il titolo e le funzioni di sopracomito e vicecapitano del Golfo in assenza del capitano generale. Ricopriva ancora tale grado il 26 ag. 1422 quando gli fu affidata la responsabilità di garantire il rientro a Venezia della spedizione commerciale di Romania. Gli venne, inoltre, affidato il compito di assicurare, con una squadra di due galee, la protezione ai mercanti veneziani, che potevano trovarsi coinvolti nelle operazioni militari connesse con la guerra greco-turca allora in atto. Nel 1423 fu eletto capitano delle galee di Spagna, ma rifiutò l'incarico. Nell'aprile del 1424. mentre era in pieno svolgimento l'offensiva turca contro la penisola balcanica, venne nominato capitano dei Golfo e ricevette l'ordine di raggiungere, costeggiando la Dalmazia ed unendosi ad altre forze navali che avrebbe incontrato nel corso della navigazione, la flotta del capitano generale. Nel maggio, tuttavia, ricevette direttamente dalle autorità di Venezia l'ordine di porsi con le sue navi a difesa di Tragurio, Spalato e di altre fortezze della Dalmazia; ulteriori disposizioni relative alla difesa. dei Golfo contro incursioni turche ricevette anche in seguito direttamente dal Senato. Quando rientrò a a Venezia, gli fu assegnato - secondo il Priuli - l'incarico di provveditor in campo nella guerra che la Repubblica di S. Marco combatteva allora contro il duca di Milano: nel cono delle operazioni da lui dirette il C. conquistò Peschiera. Gli fu quindi affidato il comando di una squadra formata da sei tra le più grosse navi da guerra della Signoria, con le quali avrebbe dovuto appoggiare l'azione delle truppe di terra. Il 10 febbr. 1427 venne nominato capitano generale dell'armata sul fiume Po; ma, poiché esitava ad affrontare il nemico, a lui superiore di forze, la Signoria, dopo la caduta di Casalmaggiore, inviò nella zona di operazioni, coi titolo ed i poteri di provveditore all'armata sul Po, Francesco Bembo. La flotta veneziana, guidata dal Bembo e dal C., si scontrò con quella viscontea vicino a Brescello riportando una bella vittoria, che ebbe come effetto la liberazione delle truppe veneziane rimaste accerchiate nella cittadella emiliana e la riconquista di Casalmaggiore (20 maggio). Il 24 luglio, come capitano della flotta del Po, presenziò in Sommo (Pavia) alla stipula di un atto d'intesa tra il marchese Rolando Pallavicino ed i rappresentanti della Repubblica di S. Marco.
Il 3 febbr. 1431, il Senato veneto decise di allestire una nuova potente flotta sul Po e di nominare capitano generale dell'armata il C.: questi, tuttavia, pur avendo in un primo tempo accettato, finì col rifiutare l'incarico, perché il governo della Repubblica non intendeva prendere quei provvedimenti che a lui sembravano invece necessari. Capitano delle galee di Romania nell'agosto del 1432, alla fine dell'anno fu eletto per la seconda volta capitano in Golfo col compito di scortare Ermolao Donato che andava ambasciatore alla regina Giovanna II di Napoli; avrebbe quindi dovuto incrociare nelle acque di Corfú, per difenderle da eventuali incursioni nemiche. Il 21 ott. 1438 fu nominato capitano generale della flotta del Po in sostituzione di Pietro Loredan che, ammalato aveva dovuto lasciare l'incarico e rientrare a Venezia. Il 12 maggio dell'anno successivo fu inviato sul lago di Garda a comandarvi quella flotta, col titolo di provveditore, in un primo momento, e poi come luogotenente dell'armata e con 100 ducati di stipendio al mese; ma non vi rimase a lungo: poco tempo dopo, infatti, cadde ammalato, e fu necessario sostituirlo. Nel luglio fu nominato consigliere del doge, ma dopo la sconfitta inferta dal Piccinino a Pietro Zeno, gli venne affidato il comando di una nuova flotta. Dopo la vittoria del 9 novembre e la conquista definitiva di Verona, il C. poté dedicarsi alla riorganizzazione della flotta dei Garda. Alcuni vascelli furono costruiti a Torbole, sul lago, da tecnici specializzati fatti venire da Venezia e da Verona; mentre altre navi, richiamate da varie zone d'operazioni, risalirono l'Adige sino a ricongiungersi con il resto della flotta. Nel 1440, dopo aver colto un primo successo, recuperando una galea caduta in mano al nemico e fatto prigioniero un Assereto - è incerto se lo stesso Biagio o un suo nipote -, riuscì a bloccare un convoglio, che trasportava vettovaglie per gli eserciti viscontei: se ne impadronì affondando le navi da guerra che lo scortavano e pose così una seria ipoteca sulle operazioni militari dei Ducali (10 aprile). Consigliatosi col provveditore di Terra Girolamo Dandolo, decise di sfruttare a fondo la vittoria, cercando di impadronirsi di Riva del Garda. Mentre una colonna puntava sulla città per via di terra sotto il comando di Pietro Brunoro, il C. con le sue navi cercò di forzare le difese dei porto. Nonostante la tenace resistenza opposta dagli avversari e l'alto numero delle perdite, Riva fu occupata il 18 aprile; il castello, che non si era acconciato alla resa, fu bombardato per alcuni giorni, finché non capitolò nelle mani dello stesso Contarini. Questi, al comando della flotta del Garda, partecipò quindi al ciclo di operazioni che portò alla riconquista di numerose fortezze del lago e alla liberazione di Brescia dall'assedio del duca di Milano.
Rientrato in Venezia, fu eletto procuratore di S. Marco de ultra il16 marzo 1441, poi luogotenente della Patria del Friuli e membro della zonta del Senato. Secondo alcune testimonianze, visse alla Procuratia due anni, nove mesi e ventidue giorni: se tale notizia è, come probabile, esatta, la morte del C., che la più parte delle fonti a noi note pone nel 1443, deve essere invece avvenuta ai primi di gennaio del 1444.
Il 22 ott. 1442 presentò all'ufficio dell'Avogaria di Comun suo figlio Girolamo, di diciotto anni compiuti, natogli da Maria di Pietro Gradenigo, che aveva sposato nei 14115. Nel testamento, rogato l'8 nov. 1443, il C. lasciava quanto gli rimaneva di tutti i beni immobili e mobili al figlio Girolamo, che però ne avrebbe avuto la piena disponibilità solo compiuto il ventunesimo anno. Se tuttavia il giovane, prima di quell'età, si fosse dedicato al commercio, il C. stabiliva che i commissari testamentari gli anticipassero, per poter avviare l'attività, la cifra che ad essi fosse sembrata opportuna.
Della vita del C. la tradizione ha tramandato e pubblicizzato alcuni episodi, come esempi di fortezza d'animo e di coraggio. Le sue vittorie sul lago dì Garda furono cantate in esametri da Lodovico Merchenti, in un poema latino (Benachus:cfr. Argelati) che fu più tardi volgarizzato da Mario Filelfo, e furono illustrate dal Tintoretto, nel soffitto della sala del Maggior Consiglio, da Gerolamo Padovanino e Leonardo Corona.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. Codd., I, Storia veneta, 18: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' parritii veneti, pp. 426, 486, Ibid., ibid., 159, c. 27r; Ibid., ibid., III, Codd. Soranzo, 31: G. A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, pp. 794 s.; Ibid., Segretario alle voci, Misti, reg. 4, cc. 21r, 56v, 92r, 103r, 106r, 108v; Ibid., Avogaria di Comun, Cronaca matrimoni, regg. 106/1, c. 24r; 107/2, c. 50r; Ibid., ibid., Balla d'oro, reg. 163/11, c. 128v; Ibid., Senato, Misti, reg. 53, cc. 92r, 109v, 110v, 183r, 205rv; 58, c. 109v; 60, cc. 133r, 135v, 137r; Ibid., Senato, Segreti, regg. 7, c. 206r; 8, cc. 68rv, 69r, 155v, 157v, 161r; 10, cc. 22v, 47v, 48rv, 173v; 11, c. 161v; 12, cc. 114rv, 115rv, 13, cc. 15rv, 53v, 54rv, 92rv; 14, c. 161r; Ibid., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 22, cc. 59r, 125r; Ibid., Notarile, Testamenri, Atti Tomei, b. 1239, n. 678; Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 178v; Venezia, Bibl. nazion. Marciana, Mss It., cl. VII, 791 (= 7589): Cronaca detta veniera, cc. 111v, 112r, 113v, 115v, 118v, 123v, 130r, 136rv, 137rv; Ibid., Mss. It., 1, cl. VII, 198 (= 8393), c. 278r; Mss. Lat., cl. XII, 160 (= 4651): L. Merchenti, Benacus; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venet., II, Venetiis 1718, pp. 608, 628 s.; M. Sanuto, Vitae ducum Venet., in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 937 ss., 941 ss., 973, 992, 994-999, 1012, 1066 s., 1082-84, 1086, 1092-1096; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, pp. 90, 273; G. B. Egnazio, De exemplis illustrium virorum Venetae civitatis arque aliarum gentium, Venetus 1554, pp. 79 s., 208; G. Fiorelli, Detti e fatti memorabili dei Senato, Venezia 1672, pp. 77, 205; F. G. Degli Agostini, Ist. degli scritt. viniziani, I, Venezia 1752, pp. 159, 261; F. Argelati, Biblioteca dei volgarizzatori ital., o sia Notizie delle opere volgarizzate d'autori che scrissero in lingua morta prima del sec. XV, III, Milano 1767, p. 24; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, III, Venezia 1830, pp. 443-446; S. Romarun, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 120 s., 139, 200; B. Belotti, La vita di Bartolomeo Colleoni, Bergamo 1923, pp 100, 108, 117; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni..., I, Milano 1936, pp. 193 s.