STEFANO da Cesena
STEFANO da Cesena (al secolo Nicolò Chiaramonti). – Nacque a Cesena il 22 novembre 1605, decimo figlio dello scienziato conte Scipione Chiaramonti e di Virginia degli Abbati.
Dopo aver studiato grammatica e retorica a Cesena, come altri della sua famiglia fu inviato paggio alla corte estense di Modena. Tornato a Cesena iniziò gli studi legali ma, seguendo l’esempio dei fratelli Chiaramonte (1588-1652), Gregorio (1596-1650) e Francesco (1604-1671) – in religione rispettivamente Giacomo, Antonio e Gregorio da Cesena – l’11 maggio 1625 vestì l’abito dei cappuccini a Carpi. Emessa la professione un anno dopo, diventò apprezzato predicatore, insegnante di filosofia e teologia, superiore del convento di Bologna e per tre volte, dal 1658 al 1661, dal 1664 al 1667 e dal 1670 al 1671, provinciale. Quest’ultima carica venne intervallata dalla nomina a visitatore della provincia di Otranto nel 1662 e in Svizzera e Austria nel biennio 1667-68. Infine, il 15 maggio 1671, al secondo scrutinio del capitolo generale fu eletto alla guida dell’Ordine, succedendo a Fortunato Giera da Pieve di Cadore, morto durante il generalato.
Come tutti i generali cappuccini dell’epoca, anche Stefano da Cesena iniziò il suo governo con una lettera circolare, del 4 ottobre 1671, che richiamava i frati all’osservanza della maniera chiara di predicare tipica delle origini, contro le degenerazioni dello stile barocco del tempo, e preparando subito la visita alle varie province, contando sul fatto che proprio a partire dalla sua elezione la durata del governo del ministro generale cappuccino era stata aumentata di un anno, portandola a un settennio, per avere più tempo per compiere la sempre più impegnativa visita. Convinto che fosse suo dovere proteggere la vigna del Signore dalle erbe cattive che potessero ostacolarne la crescita e che la purezza delle origini fosse minacciata da gelosie reciproche e da spirito di parte, cercò sempre di richiamare i superiori alla paternità verso i sottoposti e all’osservanza della povertà francescana condannando l’eccessiva movimentazione di denaro e l’obbedienza piegata a scopi personali. A tal fine intervenne con severità deponendo chi non rispettava la regola e promuovendo la pratica delle missioni popolari, da lui regolamentate nel 1676 secondo l’esperienza italiana ma lasciando libertà di adattamento alle situazioni particolari degli altri Paesi. Tuttavia, tale severità finì con l’acuire le divisioni, attirandogli la fama di uomo superbo e di parte, accresciuta dalle problematiche relazioni con la Spagna e con i ducati padani.
Lo scontro con la Spagna, avvenuto nel critico periodo della rivolta di Messina, trasse origine da un’accusa di francofilia. Il religioso era consapevole, come gran parte della Curia romana e delle autorità ecclesiastiche del tempo, della crescente potenza francese e del declino spagnolo. La secolare rivalità tra le due potenze si rifletteva anche all’interno degli ordini religiosi e tra i cappuccini era alimentata da due tra i più stretti collaboratori di Stefano da Cesena, i definitori Bonaventura Massari da Recanati, predicatore apostolico, e Francisco de Jerez, predicatore di corte a Madrid. Visitate senza problemi, tra il 1672 e il 1675, le province cappuccine di Austria, Germania, Svizzera, Fiandre e Francia, il 14 ottobre 1675 lasciò Roma per andare nel Regno di Napoli e di Sicilia, pensando di passare poi in Spagna. Ma appena giunto a Napoli fu espulso dal viceré Fernando Joaquín Fajardo-Zúñiga-Requeséns y Álvarez de Toledo, marchese di Los Vélez, il 23 ottobre, incolpato di intese con l’ambasciatore francese e di opposizione alla giurisdizione spagnola in materia ecclesiastica, specialmente riguardo le competenze del giudice di Sicilia nei confronti dei religiosi. Con i cappuccini divisi in tre fazioni (neutrali, pro o contro la Spagna) e l’ingerenza dei frati minori osservanti (che aspiravano a prendere il posto e gli onori dei cappuccini nella corte di Madrid), il dissidio si protrasse per quasi un anno e richiese la mediazione di Leopoldo I d’Asburgo per poter essere appianato. Il 15 luglio 1676 Stefano da Cesena ottenne il permesso di recarsi in Spagna e il 16 e 18 febbraio 1677, giunto a Madrid, fu ricevuto dal re Carlo II e dalla regina che gli concessero, come era consuetudine per tutti i generali cappuccini ricevuti a Madrid, il grado e il trattamento di grande di Spagna di prima classe.
L’attrito con i principi dei ducati padani fu invece la conseguenza dell’assoluta contrarietà di Stefano da Cesena al distacco dalla provincia di Bologna dei territori non compresi nello Stato pontificio, da lui manifestata già da provinciale. Per evitare la divisione egli impose religiosi di sua fiducia al governo di quella che era anche la sua provincia d’appartenenza. I frati emiliani, per reazione, chiesero la tutela dei loro duchi che, tra il 1673 e il 1675, espulsero dagli Stati estensi e farnesiani i cappuccini non nativi o contrari alla separazione. Per le continue pressioni, Innocenzo XI il 17 novembre 1677 permise la creazione della nuova provincia cappuccina di Lombardia. Stefano da Cesena però riuscì a impedire l’applicazione del breve papale fino alla fine del generalato. Sarebbe stato infatti il suo successore Bernardino Acquarone da Porto Maurizio a creare la nuova provincia, il 20 ottobre 1679.
Il capitolo del 1678 risentì di queste discordie, dell’inquietudine di molte province dell’Ordine e dell’ingerenza dei principi secolari. Stefano da Cesena fu accusato di voler imporre ai capitolari un candidato scelto da lui e papa Innocenzo XI decise di intervenire restringendo a soli cinque italiani la possibilità di essere eletti al generalato e alla procura dell’Ordine, fatto che poi mise a lungo in dubbio la stessa legittimità canonica del capitolo.
Terminato il generalato il 27 maggio 1678, Stefano da Cesena ritornò nel convento di Bologna, dove morì il 3 agosto 1682.
Dal punto di vista teologico egli aveva seguito e sostenuto la tradizione bonaventuriana dell’ordine, incoraggiando gli studi di Bartolomeo Barbieri da Castelvetro sul santo di Bagnoregio e lasciando diversi manoscritti propri, mai stampati (inventario in Felice da Mareto, 1940, e Donato da San Giovanni in Persiceto, 1949).
Fonti e Bibl.: Felice da Mareto, Tavole dei capitoli generali dell’Ordine dei Frati minori Cappuccini con molte notizie illustrative, Parma 1940, pp. 157 s.; Donato da San Giovanni in Persiceto, Biblioteca dei Frati minori cappuccini della provincia di Bologna (1535-1946), Budrio 1949, pp. 187, 200, 381 s.; Lexicon Capuccinum, Romae 1951, coll. 1631 s.; Melchior a Pobladura, De primis normis ad missiones inter populos fideles a sodalibus capuccinis instaurandas, in Collectanea Franciscana, XXVIII (1958), pp. 412-422; Optat de Veghel, La reforme des Frères mineurs capucins dans l’Ordre franciscain et dans l’Eglise, ibid., XXXV (1965), pp. 46-48; G. Benzoni, Chiaramonti, Scipione, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIV, Roma 1980, p. 547; Tarsicio de Azcona, Las cosas de los capuchinos en el siglo XVII. El gobierno del p. Esteban de Cesena (1671-1678), in Laurentianum, XXVII (1986), pp. 217-311; Id., El Capitulo general de la Orden capuchina de 1678, in Collectanea Franciscana, LIX (1989), pp. 23, 25, 27-34, 41 s., 54, 62 s., 67, 354, 357, 361, 364, 370; I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C. Cargnoni, III, 1, Perugia 1991, pp. 2009 s.; F. Mulazzani, I cappuccini blasonati della Provincia monastica di Bologna, Castelbolognese 1992, pp. 115, 117 s., XXIX; Mariano da Alatri, I cappuccini, storia di una famiglia francescana, Roma 1994, pp. 66, 81, 254; I Cappuccini in Emilia-Romagna. Storia di una presenza, a cura di G. Pozzi - P. Prodi, Bologna 2002, pp. 27, 219; G. Ingegneri, I cappuccini in Emilia-Romagna. Uomini ed eventi, Parma 2005, ad ind.; A. Maggioli - C. Riva, I cappuccini e Cesena (1559-2009), Cesena 2009, pp. 35, 130, 155, 162.